Girone si rende conto di essersi innamorato della moglie di Danaino (1-18)
1Già vien la sera, e ’l buon Giron richiama
Danain per trovar l’alloggiamento;
vannosi ragionando, e pregio e fama
danno a chi vinto aveva l torneamento.
Ciascun di lor or riverisce et ama
l’arte di Sagramoro e l’ardimento,
e pensa ben ch’alla perfetta etade
deggia esser cavalier d’alta bontade.
2Vengon a riposare e l’armadure
per rinfrescarse al quanto si spogliaro.
Attende Danain che ben sicure
l’uno e l’altro caval, ch’è bello e raro,
guarda se in tutto sien salde e sicure
le selle e i fren, che in color bruno ornaro,
e s’ell’offendon lor la bocca o ’l dorso,
se ben ferrati e ben disposti al corso.
3Ma il cortese Giron d’altro pensiero
ha il cor ripieno, e muove lento il passo
fuor dell’albergo, e lunge dal sentiero
con le man sopra i fianchi e ’l capo basso,
e rumminando va s’è falso o vero
quel c’ha sentito, e divien tristo e lasso,
della donna gentil ch’ivi era stata
come cosa celeste celebrata.
4E più che mai per le parole altrui
l’avea mirata con sottil riguardo,
e se medesmo poi riprende in lui
ch’a conoscer il sol sia stato taro.
Poi si condanna de’ discorsi sui,
presago in sé dell’amoroso dardo,
e de’ nuovi pensier si maraviglia,
alzando per dolor al ciel le ciglia,
5dicendo: «Or potrò mai con tal piacere
del mio compagno rimirar la moglie?
Prima poss’io di folgore cadere
o viver sempre in affannose doglie
che io voglia un tal desio nel cor tenere
ch’ogni viltade, ogni difetto accoglie,
e ch’oggi per colei questa alma ardesse
ch’io devrei ben punir quando altri il fesse».
6Danain, poi che tutto ha proveduto,
esce di fuor e ’l vede parlar solo,
parlar sì come suole un che sia muto
e che sia involto in infinito duolo.
Tutto di lui pietoso divenuto,
il va a trovar come falcone a volo,
e perché l’adorava quale un dio
dice: «Che fate voi qui, signor mio?
7Qual avvenuto vi è caso novello
che ’l cor vi turbi e che a me venga ascoso?
Ditemel, io vi prego, come a quello
ch’è sol di vostro ben desideroso,
e che ’l suo proprio cor avria rubello
s’ei pensasse ch’a voi fusse noioso,
e che più vi ama che se stessa assai,
e non vivrebbe senza voi già mai».
8Chi porria dir come il baron cortese
vedendo di costui la cortesia
di vergogna, di duol, d’ira s’accese
contro a se stesso e non sa dove sia?
Non sa che dir, pur poi partito prese
tutto in un punto, come amor l’invia,
e dice: «Io pensava or molto lontano
dal paese ove semo e non già in vano,
9e mi ritorna in cor ch’essendo nato
del bel famoso e buon paese franco,
e non vi essendo già molti anni stato
al mio dever et a me stesso manco,
e da i parenti miei c’ho in quello stato
son di lettere aver e preghi stanco,
che io vi deggia tornar; et io non veggio
di potervi ancor ir s’io non fo il peggio,
10ché io mi trovo obligato, e voi il sapete,
ad Artus ora, e prima a Pandragone,
e ’n sì gran guerre, alle stagion men liete
di sol lassarlo non avrei ragione.
Ho de’ miei riveder natural sete
ma la soffrisco, e questa è la cagione
che quando io resto sol talor mi face
star come uom ch’a se medesmo spiace».
11Disse queste parole, et in se stesso
maraviglia assai n’ebbe e più vergogna,
che dall’aperta lingua non sì spesso
uscir mai suol, come allor fe’, menzogna.
Ma il volse amor, che nella mente impresso
gli ha simulazion quando bisogna,
il qual sa insegnar più in una ora sola
che mille buon maestri in altra scuola.
12Ne duole a Danain quando ha sentito
la cagion che credea del suo dolore,
onde il conforta e gli offera partito
di lui seguir infin del mondo fuore.
L’altro si tacque, e vien più sbigottito
quando più vede del compagno il core,
tanto al suo bene e suoi desiri amico,
et ei cosa pensar d’aspro nemico.
13Finito il ragionar vengon le mense,
mangia l’un lieto e l’altro ne fa vista,
mostra d’essere scarco e che non pense
a cosa che gli sia dogliosa o trista.
Poi s’accordan ch’al sonno si rispense
la notte che di stelle era già mista;
spogliasi, lì ciascun truova le piume
che di raro veder avea costume.
14Il misero Giron non truova posa,
non che s’addorma, e si rivolge intorno,
sente troppo scaldar l’alma amorosa
né si può tòr di cuor quel viso adorno.
or l’assimiglia alla più fresca rosa,
or all’aurora nel più lieto giorno,
già comincia a scusar suo fallo e dire
ch’esser non può biasmato il suo desire,
15perché cosa non brama ch’a lei sia
non al consorte suo di biasmo o incarco:
– Chi la vorrà chiamar di scortesia
se per lei son di mille fiamme carco?
e s’alcun è che dal contrario stia
e che dir voglia che ’l dever mio varco,
la mia lancia sostenga e la mia spada,
ch’io non vo fuor della lodata strada.
16Egli è ben ver che s’ella ritornassi,
come altre volte, a domandarmi aita,
forza saria ch’io la ne accontentassi
più tosto che troncar sì bella vita.
E chi distrugger vorria gli spirti lassi
di questa donna in terra e ’n ciel gradita?
e far contro alle leggi ancora un poco
poi che sì pecca in così degno loco? -.
17Dannasi, detto questo, e si ripente,
e di mai no ’l pensar al Ciel fa voto;
poi nel contrario salta incontinente
e prega Amor quanto più può divoto
ch’a lei più scaldi l’infiammata mente
né faccia il suo desir d’effetto vòto,
e fia pur quel che vuol, ch’è certo e fermo
d’arder sempre per lei, né vuol più schermo.
18Già risoluto e del pensar già stanco
e già vicino al giorno al fin s’addorme
il corpo lasso, ma lo spirto franco,
sciolto ancor, segue le pensate forme.
L’ardore e ’l desiderio non vien manco,
e ’l sogno del vegliar pur segue l’orme;
or è dubbioso or certo, or lieto or mesto,
così dormendo come mai fu desto.
Girone e Danaino intervengono nel torneo in cui Meliadusse e Laco stanno risultando vincitori, e rivolgono le sorti del conflitto ottenendo la vittoria (19-134)
19Vien chiaro il giorno, et ei non s’è svegliato,
ma il Rosso Danain tosto di leva,
e poi ch’è tutto in punto apparecchiato
il riscuote dal sonno che l’aggreva.
Ei tosto surge, et è meravigliato
ch’ei si vede il dì che notte si credeva,
vestesi, armasi in fretta e su i destrieri
ritrovano i medesimi sentieri.
20Giungono al loco ove già insieme è accolta
di guerrier nobilissimi gran schiera,
più che mai fusse vista un’altra volta
sì ben ornata e di valore altera,
perché ciascuna delle parti ha tolta
l’impresa ardita e guadagnarla spera,
e già principio han dato nell’arrivo
dell’onorata coppia ch’io descrivo.
21Or nel punto medesmo d’altra parte
il re Meliadusso e ’l greco audace
vengon, che ciaschedun risembra un Marte,
nimico naturalmente di pace.
Hanno l’arme e gli scudi i quai nell’arte
avea dipinti che più al vulgo piace,
solo argentate son tutte di fuore,
senza aver sopra mischio altro colore.
22Ma i lor cavalli et essi eran sì belli,
eran così mirabil d’apparenza,
passeggiavan sì vaghi e così snelli,
come quei che n’avean somma eccellenza,
che tutto il popol corre per vedelli.
Giungono in campo e fan la riverenza
al gran re di Norgalle, e cenno fanno
che difender il voglion d’onta e danno.
23Poi tuta contro al re volta la faccia
che di Noromberlanda il seggio tiene,
il re Meliadus si mette in caccia
verso a chi primo per ferirlo viene.
Lui co ’l cavallo steso a terra caccia,
cade qual morto e tardi si rinviene,
et egli il suo valor qui non arresta
ma fère un che ven poi dritto alla testa.
24Il qual peggio che ’l primo si ritruova,
va sopra un altro e ne fa quello istesso.
Rotta è la lancia nella terza prova,
pon la mano alla spada e segue appresso.
Qui il buon re Laco, che l’ardor rinnuova
e che fiso il suo sol rimira spesso,
bramoso esser quel dì Marte e Bellona
con sommo ardir il suo cavallo sprona.
25E co ’l destrier insieme un cavaliero
al primo suo incontrar getta in un monte;
volto al secondo, più spietato e fero
stampar il fa la rena con la fronte.
Passa più innanzi e fa largo il sentiero
con la mano e la lancia al ferir pronte.
Quattro n’ha messi l’un su l’altro a terra,
poi trae la spada a più terribil guerra.
26E menando gran colpi intorno gira
l’animoso caval spumoso e molle,
or fendenti or traversi in modo tira
che chi l’attende è temerario e folle.
Un fer lupo ripien di fame e d’ira
da i pastor ben lontano in piaggia e ’n colle
altrimenti non fa di gregge umile
che face or costui del popol vile.
27Tanti n’ancide, tanti in fuga volge
che restò quasi a lor due soli il campo.
Or qua, or là senza animo s’avvolge
la rotta gente e sol ricerca scampo.
Parean d’abisso le dolenti bolge
ove arde di giustizia eterno il vampo
il sentire e ’l veder, or quello or questo,
or morir or gridar al ciel molesto.
28Ma che deggio io più dir? Già il mondo tutto
gli argentato guerrier con voci esalta,
a gli avversari lor vergogna e lutto,
a i due gridan vittoria integra et alta.
In nulla parte è più il terreno asciutto
ma di sangue e di lagrime si smalta,
che la Noromberlanda pur non volta
ma si fugge da loro a briglia sciolta.
29Mentre che ciò si face, il buon Girone
e ’l Rosso Danain non sono ancora
voluti entrar nella real quistione
ma si stanno aspettar che vegna l’ora.
Fuor della calca son sopra l’arcione,
sotto una verde pianta all’ombra e all’ôra,
con disegno di attender chi vincesse
poi far ch’el perditor la palma avesse.
30E restando così dall’alte mura
senton gridar che i cavalier d’argento
hanno ardir e valor sopra natura,
e che ’l popol contrario han vinto e spento,
e che cosa mortal con lor non dura
se non qual secca fronde o paglia al vento.
Ha di questo Giron gran maraviglia
e co ’l compagno suo basso bisbiglia:
31«Chi ponno esser costor che tanto fanno
ch’empion ciascun d’inestimabil tema?
Quei ch’alla corte de i Norgalli stanno
non han come costor virtù suprema.
Ma sian chi vuol, che s’uomini saranno
forse fia lor questa vittoria scema,
se l’arme nostra in muover la battaglia
non men di quel che soglia punge e taglia».
32In questo lo scudier ch’era a vedere,
un di quei di Giron, là ratto viene
e dice lor che le norgalle schiere
hanno messi i nimici in fuga e ’n pene,
e di due cavalier l’alto sapere
e l’estrema virtù che in un conviene;
tal che s’altra non vien ben ratta aita
il pregio è d’essi e la guerra è finita.
33«Ohimè,» disse Giron «che troppo atteso
aviam di dar a i perditor soccorso;
è di pena maggior, di più gran peso
l’acqua arrestar se troppo in asso ha corso.
Rendiam l’onor al popol vilipeso,
adoperiam gli spron, lassiamo il morso».
Poi commanda al scudier: «Menaci dove
gli argentati guerrier fan tante pruove».
34Egli ubidisce e va dritto alla porta,
la principal che mette nel castello,
del cui quivi arrivar fu tosto accorta
la vaga dea che Maloalto appello,
e benché l’uno e l’altro il nero porta,
pur appare a mirar più grande e bello
il Cortese Giron che ’l Rosso sposo,
e ’n sembiante il riguarda assai bramoso
35Poi giudica in suo cor ch’ivi non sia
cavalier che ’l pareggi o che ’l somigli.
Beltà, senno, valor e cortesia
par che in ogni atto suo l’albergo pigli.
Miral sì fisso che se stessa oblia,
sì ch’a imagin di pietra s’assimigli,
e quanto più da lui fu rifiutata
tanto più caldamente è innamorata.
36Anzi cosa non è che più raccenda
fiamma ch’avvampi un’alma feminile,
né che dell’uom seguace più la renda
che ’l mostrar le sue pene aver a vile.
Però chi ben questa dottrina intenda
asconda il ve sotto mentito stile,
che come in guerreggiar i Parti fanno
co ’l mostrar di fuggir più in preda s’hanno.
37Ma s’ella con piacer vêr lui riguarda,
ei con non men desio si volge in suso,
e par che dentro e fuor si strugga et arda
tanto più quanto men in questo ha l’uso.
Pur, perché l’ora omai pareva tarda
al popol troppo già vinto e confuso,
dice al compagno suo: «Spingiam là dentro
e quei ch’or sono in ciel mettiamo al centro».
38Sostien la voce mia, famosa Clio,
che quelle opre maggior raccontar vuole,
che dal ciel quinto il guerreggiante dio
vedesse mai tralle sue chiare scuole.
Di quattro cavalieri, onde il più rio
avanza ogni altro che lodar si vuole,
sono in due parti, e di portar la palma
stima ogni una di sé dovuta salma.
39Il feroce Girone il caval punge
risostiene i fuggenti e gli conforta.
Il re Meliadusso a caso giunge
ch’or questo or quel di lor per terra porta;
come l’altro l’ha scorto un po’ da lunge
drizza a lui il corso per la via più corta,
non sa chi sia ma al rimirar di fuore
gli sembra esser campion di gran valore.
40E con tanto furor e forza il fiede
ch’ancor che fusse il re de i più possenti,
né si truovi con lui chi resti in piede,
maraviglia e terror dell’altre genti,
qual cerro pur che di nativa sede
sveglie soffiando il re de gli altri venti,
fu constretto a cader, e co ’l suo peso
si tirò il buon corsier addosso steso.
41Non si arresta per ciò ma innanzi sprona
fra quelli altri guerrier che vanno appresso,
una parte n’abbatte, un’altra intuona,
chi di timor e chi di danno oppresso;
e mentre intera ancor non l’abbandona
la sua forte asta quasi in fuga ha messo
dei vincitor norgalli il destro corno;
poi si rivolge con la spada intorno.
42Il Rosso Danain che della gleva
tra i miglior corridori era lodato,
e di ferir secondo assai gli greva,
va contro al fero Laco d’altro lato.
Truova che gran miracoli faceva
sì come uom generoso e ’nnamorato;
sostenne il colpo e non saria caduto
se men asso il cavallo avesse avuto.
43Ma il gravissimo colpo non sostiene,
cade sul prato e tira il signor seco,
e se non era armato più che bene
ben ferito restava il forte greco.
E di trovarsi a tal rabbioso viene,
e de gli occhi e del cor vien più che cieco,
e più si duol de l’aspra sua fortuna
che distrigarsi via non truova alcuna.
44I norgalli baron, ch’a tutta briglia
seguian le rotte lor nemiche schiere,
di timor pieni e di alta maraviglia
resta, quando tai due veggion cadere.
Ciascuno in se medesmo si consiglia
s’or si deggia fuggire o ritenere,
ma il Rosso Danain, che a nulla bada,
ha già fuor tratta l’onorata spada.
45Il cortese Giron là dove appare
più stretta insieme quella gente avversa,
qual onda al torbo e tempestoso mare
contra il lito o lo scoglio si rinversa,
e di sangue e di lagrime più amare
il segno lassa a chi se gli attraversa;
chiama e dà speme a quei ch’ei vuole amici,
che fur per opra sua nel dì felici.
46Gli animosi suoi detti e i fatti arditi
fanno indietro tornar chi già fuggia,
fan via fuggir afflitti e impauriti
quei che vittoria aver pensaron pria.
Gli spettator, che in alto eran saliti,
testimon d’ogni pruova buona o ria,
come vider i due che in terra sono
cominciaro a gridar con alto suono:
47«La bell’arme argentata vinta giace,
e la dritta vittoria ha l’arme oscura».
Non si porria contar quanto dispiace
e quanto accusa il Ciel e la natura
il re Meliadusse, e ’l greco audace
molto più ancor, ché l’amorosa cura
il rimorde parlando: «Or che può dire
di te la bella che ti fa morire?».
48E tanto più dolor misero avrebbe
se ben sapesse allor quanto costei
più d’altro mai piacer dolcissimo ebbe
e rende mille grazie a i sacri dèi
quando al caro Giron, ch’aver vorrebbe,
vedea far colpi dispietati e rei;
e tal gioia sentia delle sue lode
che a pena in Paradiso più si gode.
49Ella ha più care assai le sue prodezze
che del suo Danain signore e sposo,
e senza mostra far di chi più prezze
parla a quell’altre in atto grazioso:
«O vaghe donne, che più forse avvezze
sète a mirar il giuoco periglioso,
a cui dareste voi più tosto il vanto
di questi cavalier c’han fatto tanto?».
50Tutte d’accordo son che quei d’argento
se non fusser venuti i due secondo,
tanto valor mostràr, tanto ardimento
che miglior non gli avrebbon mille mondo;
ma quei dell’arme brune han tutto spento
il ben che gli facea chiari e giocondi,
né si può dubitar che di lor neghi
del torneamento il pregio, al torto pieghi.
51«Or non sappiam chi sien, ma veramente
creder si può che son di regie sorti,
O beata colei ch’è lor parente,
ma più l’amiche loro e le consorti».
L’altra, del gran diletto che ne sente,
ben risposto avrebbe a i detti accorti:
«Così fusse di me l’altro amoroso
come l’un di quei due pure è mio sposo».
52Ma il diceva in suo cor; or tai sermoni
di questo torneamento hanno le dame.
Gli argentati guerrier i vòti arcioni
cercan montar et han le voglie grame,
e se stati non fusser più che buoni
nol potean far, ch’aveano estrema fame
i noromberlandi a vendicarse
che non possin di terra rilevarse.
53Stan loro intorno e fan come al cinghiale
che incappato è ne i lacci o nella rete,
cui stormo di levrieri in giro assale
che ancor del suo sangue aggia gran sete,
gli abbaian lunge e non gli fanno male,
ma quel crudel con l’arricciate sete
e con le zanne armate il tempo apposta,
e n’ancide qualch’un se pur s’accosta;
54così questi a que’ due fan cerchio intorno,
pungon da lunge e cercano il vantaggio,
perché danno ne trae peggio che scorno
chi sia vicino e non sia destro e saggio,
e tal segnal riporta di quel giorno
che no ’l può cancellar l’aprile o ’l maggio.
Ma dovunque s’addrizzan con le spade
i cavalli e i pedon lor fanno strade.
55Si convengono al fine i due guerrieri
che l’un di loro il popolo sostegna,
l’altro in quel mezzo monte sul destrieri
e per socorso al suo compagno vegna.
Il re Meliadusso volentieri,
come in chi cortesia con virtù regna,
fra lor come un leon si mette a piede
urta, abbatte, sbaraglia, punge e fiede.
56E sì gran piazza in un sol punto face
che ’l forte greco può montar in sella;
punge il cavallo e con parola audace
il suo compagno in altro nome appella:
«Prendi il tuo buon corsier quando ti piace,
e lascia in preda a me la turba fella,
che io mostrerò che in man della canaglia
poco punge ogni spada e manco taglia».
57E con queste parole per la briglia
gli presenta il cavallo e spinge innanti,
il valoroso re d’un salto il piglia
come è costume dei baroni erranti.
or troppo a dir saria gran maraviglia
aduno ad uno i colpi tutti quanti,
basta che fecer sì ch’ogn’uom gli lassa
e l’uno e l’altro il suo viaggio passa.
58Come il sagace can che con dotta arte
dal suo buon cacciator avvezzo sia,
che se gli mostra un cervo in ogni parte
quel riconosce e mai non si travia,
e se mill’altre schiere o giunte o sparte
ne ritrovasse il segno non oblia,
cerca, segue quel sol ch’ei vide prima
e ’n fin che non l’ha giunto altro non stima,
59tal fanno questi allor che l’altre torme
fan sembiante tra lor di non vedere.
Sol con l’occhio e col piè ricercan l’orme
dei due trionfator delle armi nere.
«Io non so» disse il greco «dal cor tòrme
la gran vergogna che mi pare avere
d’esser caduto così tosto in guerra
quando aver mi credea vinta la guerra».
60«Questo medesmo affermo e penso anche io»
dice il gran re, che desperato appare;
«giurato avrei che ’l bellicoso dio
far non potesse quel che ho visto fare,
ma pria mi giunga di morir desio
che io lassi mai senza vendetta andare
da un non conosciuto tanta offesa.
Andiam pur a seguir la nostra impresa».
61Soggiunse il greco: «Per colui che adoro,
che mai non trovai due di forza tale
di poi ch’io vidi già il grande Ascanoro
allor ch’uscimmo di prigion mortale.
Ma se più che leon fusser costoro,
non lasserò provar se l’onta e ’l male
or potrò vendicar che io ho sofferto
rendendo a quei che ’l fèr dovuto merto.
62Perché prima morir per certo voglio
ch’alla presenza di sì chiara dama
non riportarne quello onor ch’io soglio
e lassar sì macchiata la mia fama,
che ben la nave mia rompe allo scoglio
quando più il porto che è vicin la chiama.
E del medesmo far è in voi cagione
o magnanimo re del gran Leone,
63ch’a dirne ver, non men che mi fess’io,
come un picciol fanciul cadeste a piede.
Poi, pensando io far meglio il dever mio,
m’avvenne come all’uom che troppo crede,
tal che ciascun di noi codardo e rio
reputato sarà da chi ne vede.
Or vivi ci gettiam in una fossa
o l’estremo facciam di nostra possa».
64«Già,» gli rispose il re, quasi sdegnato:
«guardate di ben far la vostra parte,
ch’assai m’ingegnerò che dal mio lato
si spieghi e in me valore et arte».
Così dicendo l’arenoso prato
discorre tutto fra le schiere sparte,
fin che l’altra coppia truova insieme
che i nemici urta, abbatte, ancide e preme.
65Quando vide la gente che avea tolta
a difender di danno e darle il volto,
che in così poco in fuga è volta
né si arresta un sol pur in alcun canto,
tal ira e tal pietade ha in sé raccolta
che a poco fu che non si vols in pianto.
Danain vede il primo e contro a quello
ratto s’addrizza, di pietà rubello,
66come falcon che d’alta parte scuopra
volar più bassa la cercata preda,
che con chiuse ali se le avventa sopra
sì ch’al greve furor l’aria più ceda,
l’aguto artiglio, il torto becco adopra
ove con più suo duol l’affligga e fieda,
la piuma squarcia e con rabbiose brame
sfoga il crudel la dispietata fame.
67E di tal possa sopra l’elmo il fère
che quando arriva la robusta spada
il fe’ fuor d’ogni senso rimanere
e l’alma abbandonar l’usata strada,
e tutto sopra il collo del destriere
senza conoscer più convien che vada.
Né qui l’ardito re resta contento
ma si serra con lui di mal talento.
68E ’l riprende nel collo e ’ntorno gira
sì che ’l fa traboccar fuor dell’arcione,
e sotto al ventre del cavallo il tira
e lo sbatte cruccioso sul sabbione.
Non si porria narrar se monta in ira
il cor del cortesissimo Girone
vedendo quel ch’amò più che se stesso
in tal periglio con la morte appresso.
69E ’l mostrò ben, che con più fretta e duolo
ch’alla sua gregge il provido pastore,
o che pia madre all’unico figliuolo
che d’alto suo cader sente il romore,
lascia ogni altro da parte e corre a volo
là dove scorge il re vendicatore
dell’offese passate fare strazio,
né di quanto ancor fa mostrarsi sazio.
70Poi, con al forza che non ebbe uguale
in tutto il mondo e ’n tutti i tempi suoi,
con la pesante spada che più vale
ch’altra mai prima e che venisse poi,
con disdegno, coruccio e furor tale
ch’avanzò Achille e tutti gli altri eroi,
mille colpi menò tutti in un punto,
né di tutti un sol pure in fallo è giunto.
71E se non era allor più che perfetto
del buon re l’elmo e di divina tempre,
tutto gliel divideva infino al petto
e lui faceva ben dormir per sempre.
Quello scampò da morte e ’n guisa ha retto
che, se ben di dolor par che si stempre
e che si senta già l’alma stordita,
non si truova perciò tolta la vita.
72Resta ferito in testa leggiermente,
cade sopra l’arcione a capo chino,
pargli carco di stelle veramente
veder girar l’empireo ciel divino.
Giron il guarda e vede che non sente
ma fuor appar del suo fatal confino,
e come a poco a poco vers in terra
il lassa e va cercar nuova altra guerra.
73S’addrizza sopr’a Laco, che veduto
il tutto avea del suo real compagno,
e come stranamente era abbattuto
così spera di sé pari il guadagno.
Per tutto ardito per più saldo aiuto
ricorre al brando e dice: «Io non mi lagno
di fortuna o del Ciel s’io caggio al piano,
poi che feci il dever con questa mano».
74E ’n sé raccolto il buon Giron attende,
che con estremo ardor contra venìa,
e del primo ferir vantaggio prende
per ischifar, s’ei può, la sorte ria.
mena un gran colpo e l’altro, che l’intende,
fece il medesmo alla contraria via,
e nel calar s’incontran le due spade
delle quai l’una e l’altra in tutto rade.
75Ma quella di Giron miglior di molto
rompe in due parti l’aspra sua nemica,
cade la mezza al prato e resta sciolto
il braccio allor della difesa amica.
Il fero greco, che mai cor né volto
per periglio che sia non cangia mica,
co ’l troncon che gli resta ancora sprona
contra al guerriero e mai non si abbandona.
76Il possente Giron non fa dimora,
raddoppia il colpo e ’n capo il ripercuote,
e con suo greve danno dentro e fuora
gli intuona i denti e le lanose gote,
che senza contrastar la gente allora:
«Ove il sol giri l’infiammate rote»
dice «mai non fu visto al paragone
di feritor la spada al gran Girone».
77Danain, che già in sé ritornato era,
e montato a caval con poco affanno,
accorre là dove battaglia fera
il suo compagno e ’l suo avversario fanno.
Va con la spada e con la forza intera
sopra chi d’ambe avea sentito danno,
il ribatte a due man sopra la testa
da rovinar un cerro alla foresta.
78Poi con tutto il poter ratto l’abbraccia,
il trae di sella e ’n mezzo il prato il getta,
come orso alpestre ch’è ferito in caccia
che nel primo che vien fa sua vendetta.
Giron, perché al desio suo sodisfaccia,
il lasciò solo, e va dove più stretta
la schiera sia delle genti norgalle
e gli fa ad un ad un mostrar le spalle.
79Or il grido e ’l romor fu tale e tanto
di tutto il campo poi ch’egli hanno scorto
l’un e l’altro argentato ch’avea il vanto
già la seconda volta sembrar morto,
e che i neri guerrier d’onta e di pianto
hanno i noromberlandi mesi a porto,
che gli uccei che ’n quel punto erano in alto
fecer cader nel sanguinoso smalto.
80Non vi era alcun sì vile e sì da poco
che per sei di Norgalle allor non vaglia,
che se ’l favor le due parti ha nel gioco
ne ritien quattro e sei nella battaglia.
Non si dura con lor più che co ’l foco
duri l’arido fien, la secca paglia;
più di tema colmàr l’ardito Achille
e ’l fugace Tersite armàr per mille.
81Però s’ei fuggon quei, s’ei seguon questi,
tutto è proprio valor della fortuna,
che i due guerrieri allor soccorso presti
fece; cui par non è sotto la luna,
tanto ch’a i colpi d’essi agri e molesti
l’onor chiaro che avean tutto s’imbruna,
e gli fan sì che per le vie più corte
cercan tutti vergogna e fuggon morte.
82Il buon re surge e si lamenta e duole
d’esser caduto in un sol dì due volte,
né può sfogarsi in altro che in parole,
ché ’l potere e le forze gli son tolte.
Pur co ’l medesmo cor che sempre suole,
tutte le sue virtudi in sé raccolte,
tosto si stringe co ’l compagno insieme,
minaccia e batte il popol che gli preme.
83Tanto adopran le spade e tanto han fatto
che chi più gli combatte torna il piede,
e se la lor virtude a questo tratto
non fusse stata tal ch’ogni altra eccede
non avrieno in mille anni mai disfatto
il saldo nodo che d’intorno assiede:
pur facendo a i nemici or danno or onta,
l’uno e l’altro a caval tosto rimonta.
84Poi che sono in sicuro, il troncon mostra
della sua spada il fero Laco e giura
che senza altra disputa l’età nostra
avea prodotto un uom sopra natura,
che co ’l brando a ferir, con lancia in giostra
facea colpi mortali oltr’a misura.
Il re l’afferma quando in sé l’avvisa
ch’una lama cotal sia sì recisa.
85Dà il tronco in mano al suo scudiero e piglia
nuova altra spada il greco valoroso,
dice che ’l serbi a muover maraviglia
dell’alte forze del baron famoso.
Poscia al re parla con turbate ciglia:
«Mettiam pur ora mai l’alme in riposo,
che aviam trovati due sì forti e destri
che dell’arme e di noi restan maestri».
86«Sia con Dio,» dice il re «voi dite il vero,
che io non fui più già mai condotto a tale
com’io son da costor del vestir nero;
ma sian pur quai vorran, che non men cale,
e ’ntendo pria che passe il giorno intero,
che mi squarcino al tutto il fil fatale
o vendicarmi sì che veggia il mondo
che se ’l primo non son son il secondo».
87«Ben» disse il greco «tosto ce ’l vedremo,
non parliam molto e facciam poco appresso».
Non gli rispose il re ma con l’estremo
d’ogni sua possa a vendicarsi è messo,
come legno che corre a vela e remo
che ha la notte vicina e ’l porto presso;
sprona verso Giron con l’arme in mano
che ben si fa conoscer di lontano.
88L’altro, che ’l vede verso lui venire,
e che del suo valor fa grande estima
e c’ha sentito com’ei sa ferire
e che ’l tien de i guerrier l’eletta cima
s’acconcia in modo da poter soffrire
la sua percossa se non può la prima
a lui donar, che male agevol fia
perché l’assalitor vantaggio avia.
89L’aspetta adunque, ma quel re possente
sopra l’elmo il percuote così grave
che Giron si stordisce e nulla sente
e tenersi a caval vigor non have.
Non sa s’è notte oscura o dì lucente
ma quasi uom stanco e vinto da soave
sonno che de i suoi sensi l’alma priva
cadde, non già come persona viva.
90E ben confessò poi che nulla avea
sentita mano ancor così pesante,
e che conobbe allor che più valea
d’ogni altro forse cavaliero errante.
Ora il buon Danain, che già vedea
il caro amico suo levar le piante
contra il ciel come morto, nulla bada
e lassa in dietro l’onorata spada.
91Vien dal traverso (che dinanzi a pena
saria potuto per la calca entrare),
prende l’elmo a due mani, ond’ogni vena
gli enfia nel collo e fal quasi annegare.
Poi tutto in giro con tal furia il mena
che sopra il buon caval non può più stare,
ma disposto a i suoi piedi a terra il getta,
poi dove ha scorto il greco corre in fretta.
92Qui no ’l rifiuta l’altro e ’nnanzi fassi,
e gli presenta il brando ardito e baldo;
son due baron che mai non furon lassi
in arme oprar et han cor alto e saldo,
stabili e duri più che scogli o sassi
trall’onde nati e confermati al caldo;
e con sommo desir di farsi danno
e vergogna, s’ei ponno, incontra vanno.
93Donasi in testa in un medesmo punto
colpi sì grave che chi n’ha il migliore
quasi all’ultimo fin di vita è giunto,
e gli occhi ha involti in tenebroso orrore.
Sopra il collo al caval di duol compunto
Danain cade, e pallido ha il colore,
il medesmo è del greco, e i lor destrieri
gli traportan per campi e per sentieri.
94Non cadder già, ma restano in maniera
che ogni picciol garzon gli abbatterebbe.
Or che direm dell’altra coppia altera
che per vari accidenti egual fine ebbe?
Dico il re di Leon che lume e sfera
fu di quanta virtù quel secol crebbe
e del cortese e nobile Girone
che ambe giaceano ancor fuor dell’arcione.
95Stetter mezza ora o più tanto storditi
che nessun sa di lor s’è vivo o morto;
pur, poi che furo al quanto risentiti,
ciascun di lor come a i suoi fatti accorto,
prende il suo brando che ne’ vicin liti
giacea negletto, e già prendon conforto.
Giron si drizza e come ha fermo il piede
il re Meliadusso appresso vede.
96E ’l riconosce ben ch’egli era quello
che l’aveva condotto in tale stato,
e ’nfra sé dice: – D’ogni onor rubello
sarò per sempre s’oggi vendicato
di lui non sono, e per villan m’appello
né porterò più lancia o spada a lato -.
Poscia imbraccia lo scudo e l’arme stringe
e con sicuro passo a lui si spinge.
97Il re, che ’l riconosce parimente,
e che ’l vede venir di sdegno pieno,
come maggior il suo vantaggio sente
ferma le piante e ben stampa il terreno;
e quantunque il suo cor mai non pavente
di mortal cosa e mai non venga meno,
pur n’ha vedute già due volte segno
che ’l stima cavalier ch’è troppo degno.
98Così comincia tra i più gran guerrieri
che furo allor l’assalto più famoso
che fecer mai gli erranti cavalieri
nel più lodato tempo glorioso.
Vannosi incontro minacciosi e feri
con sì gran colpi che contar non gli oso;
son tutti soli a piede e chi fa fallo
non ne puote incolpar il suo cavallo.
99Ciascuno ha forza, ciascun ha grande arte,
ciascun sa ben quel che il nemico vale,
ciascun l’occhio sagace mai non parte
della difesa sua, dall’altrui male.
La mano, il piede il tempo ben comparte,
or si ricuopre or con vantaggio assale,
or finge un colpo e ’n altro poi riesce
e lo schermo e ’l valor quanto può mesce.
100Dice il re seco: – Io non conobbi mai
così gran feritor di spada ancora -,
e teme in sé di riportarne guai
se del chiuso colpir si mette fuora.
Giron lui stima più d’ogni altro assai
e co ’l temporeggiar attende l’ora,
ma pur con tutto ciò non si può dire
che non siam sommo onore e sommo ardire.
101Il popol tutto a riguardar s’aduna
l’aspra battaglia che non è per gioco.
Ivi è tanta virtù che la fortuna
quasi d’entrar fra lor non truova loco,
ch’un altro par non ha sotto la luna
che appo costor non sia vile e da poco,
e son sì eguai tra lor che colpi dansi
meravigliosi e nessun danno fansi.
102Quei che d’intorno son chi suda e trema
che sempre l’un de i due morir gli sembra,
chi giugne duol grandissimo alla tema
che due corpi sì chiari, in cui s’assembra
quanta fu mai virtude al mondo estrema,
che sì famose e sì onorate membra
mettino in rischio tal per cosa leve,
e dice che dividergli si deve.
103Ma non è alcun che si conosca forte
di porsi in mezzo a sì pesanti spade,
così i due cavalier di questa sorte
si cercan d’avanzar tutte le strade.
Ma non si porria dir chi danno porte
o chi innanzi d’onor, chi in dietro vale,
e sì ben le virtudi hanno divise
ch’egualissimi sono in tutte guise.
104Mentre che questi fan mirabil prove,
vien dai Noromberlandi uno scudiero,
cui pietade e dever e ragion muove,
e presenta a Giron il suo destriero;
ei con parole allor cortesi e nuove
si volge all’avversario cavaliero:
«Prendetel voi, signor, vi prego, et io
n’avrò qualche altro pe ’l bisogno mio.
105Ché s’io montassi e voi lasciassi a piede
troppa sconcia farei la villania,
essendo voi cotal, come ogni uom vede,
e dove sì mortal la presta sia».
Il valoroso re, che non possiede
men che ogni altra virtù la cortesia
si meravigliò molto e poi gli dice:
«Se Dio vi doni onor lieto e felice,
106ditemi il ver, se questo ch’offerite
ch’io l’accettassi vi saria contento?».
«Sì» rispose Giron «ché le gradite
parti ch’avete me ne dan talento,
e se ben con voi qui son giunto a lite
non ha in me l’ira il buon costume spento».
«Io ’l credo» disse il re «ma in tal periglio
non molto util per voi veggio il consiglio,
107ché pur veder potete apertamente
ch’io vi son fino a qui mortal nemico,
e che di farvi misero e dolente
quanto più posso in arme m’affatico,
e s’io sopra un caval tanto possente
voi vedessi d’aiuto esser mendico,
or non pensate poi come avrei pronte
le voglie a vendicar gli oltraggi e l’onte».
108«Certo,» replicò l’altro «io me ’l conosco
che mi sète nemico, e l’ho provato,
ma per certo mi credo che in un bosco
se mi trovaste ben preso e legato,
in così nobil alma in mele il tosco
si riconvertirebbe in quello stato,
perché tal cavalier, come voi sète,
vie più d’onor che di vendetta ha sete.
109Ma lassiam tutto andar, montate pure
sopra questo corsier che anch’io n’avraggio,
e così più onorate e più sicure
le strade fien di scherno e di dannaggio.
E poi sendo a caval quando vi dure
la voglia ancor d’aver meco paraggio,
mi troverete men che prima stanco
a mostrar ch’al mio onor già mai non manco».
110E tanto il repregò Giron Cortese
che ’l re l’accetta, et egli in questo mezzo
un ch’offerto gli vien pe sé si prese,
et esser volse nel montar il sezzo.
Poi gli dice: «Signor, in cui discese
quanta vera bontade ha il cielo in prezzo,
non per farvi piacer fo questo dono
ma come a quel che sète e quel ch’io sono;
111perch’egli era vergogna ad ambe duoi
restare a piede con tante arme intorno:
or che siam pari al tutto sia fra noi
se volete battaglia e notte e giorno».
E si apparecchia con gli arnesi suoi
per far al guerreggiar novel ritorno,
ma vede dietro a sé che Danaino
era all’esser disfatto assai vicino.
112Perciò che il gran re Laco ritornato
primo in se stesso, addosso a lui s’avventa;
piglial per l’elmo e ’n quello e ’n questo lato
di farlo rovinar più volte tenta.
L’altro, quantunque lasso e malmenato,
non per ciò del nemico si spaventa,
e si tien sulle staffe così bene
che ogni sforzo del greco indarno viene.
113Or il fido Giron lassa ogni impresa
e del compagno suo viene al soccorso,
e fe’ in cima alla testa tal offesa
al fero greco che la lingua ha morso,
e se l’elmo non gli era alta difesa
forse al fiume di Lete saria corso;
ma come morto cade senza fallo
su i polverosi crin del suo cavallo.
114Ivi il buon Danain, che se ne accorge,
e che ’l vede ridotto a mal partito,
il me’ ch’ei può di stordigion risorge
e va vêr lui come cinghial ferito,
e l’aspre man vendicatrici porge
ove ei giaceva più che tramortito,
e per la fibbia che l’elmetto allaccia
come un arbor tagliato a terra il caccia.
115Or chi vorrà della divina dama
di Maloalto scrivere i pensieri?
Ella vede colui ch’adora et ama
in casi spesso perigliosi e feri;
divotissimamente prega e chiama
gli Angioli eletti i più pietosi e veri,
che sostenghin la man del suo signore
e toglino a i nemici ogni furore.
116«Come saria» dic’ella «aspro peccato
che ’l maggior uom che mai natura fesse
di senno, di valor, di fede ornato
che vince di beltà le Grazie stesse,
che ’l Ciel per vivo speglio ha qui mandato,
greve dolore o morte sostenesse?
O Dio, sia in te più tosto stabilita
di me la fin che di sua cara vita,
117sì che io non veggia il gran publico scempio
ricca or per lui della natura umana,
della virtù che per verace essempio
di sé il presenta all’altra gente umana,
della bontà ch’ogni vizio atro et empio
spegne della sua vista amica e piana,
della cavalleria, di quanto bene
in mill’anni qua giù di là su viene».
118Come dentro tremar si sente l’alma
qualor del suo nemico il brando vede?
Come le vien di lagrime gran salma
quando l’elmo o lo scudo alcun gli fiede?
Quanto s’allegra poi quando la palma
scorge che a lui tutta ridente riede,
e ch’abbatter gli vede or quello or questo
ch’alla vittoria sua venga molesto?
119E ne ringrazia Dio, poi gli fa voti
ch’al principio sì bello il fin s’agguaglie,
e che non tornin mai d’effetti vòti
i suoi desir dall’orride battaglie,
e che fortuna dolcemente ruoti
la sua possanza e poco lo travaglie,
e se pur il travaglia questo sia
per amar lei, come ragion saria.
120E tra questi pensier cangia sì sesso
gli atti e ’l color che chi gli sta d’intorno
ben se ne accorge e ’l vede nell’istesso
volto, d’amore e di pietade adorno.
Poscia un buon vecchio che sedeva appresso
e dentro in Maloalto fea soggiorno,
servo antico de i suoi per più piacere
in ciò domanda il saggio suo parere,
121dicendo: «Deh, s’el Ciel pace vi doni
la vostra opinion, prego, mi dite:
di questi cavalier, quali i più buoni
stimiate e di chi l’opre più gradite?».
Rispose ei: «S’a voi piace ch’io ragioni,
benché giudice indegno a tanta lite
mi tegna, narrerò quel che oggi sento
di tutta l’assemblea del torneamento.
122Sappiate che di tutti, a non mentire,
quattro soli ci son di lode degni,
ma ben son tali che si porria dire
che gli altri son di contrastargli indegni;
ciò è quei due che nero hanno il vestire
e quei che portan gli argentati segni;
e van sì par tra lor che io non saprei
a chi più tosto il pregio donerei».
123Diss’ella allor: «La vostra opinione
a quella che tengo io molto è conforme;
ma ditemi or: de i quattro al paragone
chi più avanti stampò di gloria l’orme?».
«Veramente » diss’ei «questa quistione
non è per uomo a cui l’ingegno dorme,
ché sì bei fatti e tanti ho in lor veduti
che, come ho detto, eguai gli avea tenuti.
124Ma, con pace de gli altri, dirò pure
che sopra quanti sono io dono il vanto
a quel gran cavalier dell’armi oscure,
ch’ancor travaglia e travagliato ha tanto.
Parmi che nulla alla sua forza dure
così la gente abbatte d’ogni canto».
«Certo voi dite il vero e simil pruove»
gli rispond’ella «n’ha già fatte altrove».
125Come disse, il buon vecchio: «Adunque voi
lui conoscete a quanto dimostrate?».
Et ella, sorridendo: «Io ’l dirò poi,
quando il bisogno vegnin alte fiate».
Già vuol tuffar Apollo i capei suoi
dentro all’occidentali onde salate
quando quei di Norgalle senza scampo
forzati son di abbandonare il campo.
126E ’l re Meliadusso era assalito
da tanti intorno e così forte e stretto,
tanto ha battuto altrui, tanto ferito
da gli altri è stato i piè, le braccia e ’l petto,
e gravissimamente armato è gito
poi che l’aurora co ’l vezzoso aspetto
annunziò il giorno che si regge a pena
e gli spirti, il vigor perde e la lena.
127Poi tutti quei della Noromberlanda
c’han cacciati i nemici e messi in volta
l’han circondato e chiuso d’ogni banda,
e ciascuna lor forza ivi è raccolta.
Ei, se ben questo e quello a terra manda,
poco util fa, perché la gente è folta
e maraviglia par che possa ancora
in piè restar né sia de i sensi fuora.
128Ché non pur Sagramoro e Danaino,
non pur il buon Giron percosso l’hanno,
ma tanto popol poi d’altro confino
ch’ogni altro, se non ei, moria d’affanno.
E ’l cortese Giron, ch’era vicino,
ben se ne maraviglia, e del suo danno
gran pietade have e dice nel suo core
che non fu mai guerrier di più valore.
129E ’l prode Laco ancor dall’altro lato,
che senza il gran furor dell’arme nere
avea la lode e ’l pregio guadagnato
e messe in rotta le contrarie schiere,
or condotto si truova in tale stato
che non si può più dritto sostenere;
s’accosta al suo gran re, fanno consiglio
di ritirarsi omai di tal periglio.
130Come duo gran leon ch’aggian di notte
assalite a gli armenti l’alte mura,
che poi che molto l’han graffiate e rotte
e quasi avean la preda in sen sicura,
che le genti vicine al grido addotte
cani e pastor, che ne tenean la cura,
con grida, con baston, con arme in mano
tanto fan che gli faccian di lontano,
131et essi minaccianti il tardo piede
muovon guardando in dietro irati spesso,
tanto ch’egli spaventan chi gli vede
e fanno i vincitor fuggir da presso,
in questa guisa l’uno e l’altro cede
al popol fero onde si truova oppresso.
Né molto lunge i cavalli hanno spinti
ch’ei cader di lassezza e sudor vinti.
132Come ei son fuor di là, quei di Norgalle
senza ritegno alcun, senza vergogna,
a gli altri che seguian mostran le spalle
ch’ogni uom la vita più che il pregio agogna.
Il lor re proprio che più stretto il calle
trovò ch’al suo fuggir non gli bisogna,
fu in terra riversato et ha ventura
che i nemici di lui non ebber cura,
133ché se conosciuto era, ivi saria
prigion restato come gli altri tutti.
Così per dura e mal guidata via
tra sospiri e timor sen vanno e lutti.
IL re Meliadusso che ’l vedia
no ’l pote riguardar con gli occhi asciutti,
ma di gran duol che avea rabbioso e crudo
gettò su ’l campo l’argentato scudo.
134E tutte altre coverte ch’egli avea,
facendo voto non portar già mai
vestir d’argento, tal fortuna rea
gli avea portata e vergognosi guai.
Il buon greco altre sì questo facea;
poi cercan ivi ove son scudi assai
di quei che eran caduti a i perditori
e ne ripiglian due d’altri colori.