commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro IV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 13.09.15 8:18

Laco decide di seguire la moglie di Danaino, ritiratasi ad un castello vicino (1-20)

1Già s’avvicina il sole all’Occidente
e si fuggon gli uccei nel chiaro nido,
le vezzose campagne d’Oriente
si veggion imbronir più d’altro lido,
lassa il lavor l’affaticata gente,
il fidato pastor con fischio e grido
muove le gregge sue, già la cicala
al grillo cede e fugge la rugiada.

2Il re Meliadusso, ch’era stanco
e che vede che ’l cielo affatto imbruna,
dice al compagno: «Or ritirianci al manco
ove accusar possiam nostra fortuna
e riposar, ché l’uno e l’altro fianco
tutte l’ossa e le membra ad una ad una
mi doglion più che fessero in mia vita
e credo che la colloral aita».

3Ma il miser Laco, che già tornato era
con gli occhi a quella che gli ha tolto il core,
non considera o vede s’egli è sera
e pensa a lei mirar, non pensa all’ore,
il danno e l’onta della guerra fera
oblia solo in un punto e ’l suo dolore;
non risponde al buon re, mira più fiso
che l’alme elette il ben del Paradiso.

4Pur poi ch’egli ebbe al fin quattro o sei volte
replicatogli «Andiam, ch’è notte oscura,
e sono omai le tenebre sì folte
ch’a pena scorgerem la sua figura»,
«Ahi,» gli rispose il greco «dopo molte
fatiche avute quanto un giorno dura,
or privar mi volete del ristoro
che il Ciel m’ha dato e ’l sommo mio tesoro?

5Io l’ho sì sculta nella mente accesa
che lei veder non mi torria l’abisso,
non che la notte, ch’a gran pena è scesa,
e che non ha del tutto il giorno scisso.
De, non mi fate voi, signor, contesa
del gran piacer, ch’io ho nell’alma affisso;
guardatela ancor voi, ché può guarire
la stanchezza, il dolor, gli affanni e l’ire».

6E mentre così parlan si diparte
dalle mura ove sta la donna bella,
ch’un messaggier venuto era da parte
del caro sposo ch’ancor era in sella,
e le ha detto che vada in altra parte
ad alloggiar innanzi che la stella
divenga chiara il ciel, poco lontano
ad un forte castel d’un suo germano.

7Tanto era ebbro in guardar che non si avvede
l’amoroso guerrier di sua potenza,
ancor tien gli occhi fermi ove si crede
che sia il suo sole e si trovava senza.
Il buon Meliadusse, che ciò vede,
non ebbe co ’l suo error più sofferenza,
e gli dice: «Signor, mirate in basso,
se non sète di vista al tutto casso».

8Si volge adunque e già sente un valletto
che iva avanti assai forte e gridava alto:
«Aggiate, cavalier, tutti rispetto
alla donna che vien di Maloalto».
Ogni uom fa loco con cortese affetto
e ’l caldo greco all’improvviso assalto,
che si scorge il suo ben così vicino,
quasi fu per cader a capo chino.

9Resta senza color e senza voce,
senza cor, senza spirto e divien ghiaccio,
si sbigottisce qual leon feroce
che si veggia incappato in duro laccio.
Pur fa loco alla fiamma che gli nuoce
et ancor la riguarda d’altro impaccio
e volentier vorria lo stato avere
di suo servo vilissimo e staffiere.

10Dinanzi a lei passavan molte ornate
damigelle e scudier ch’ancora stanno
divisando le cose ivi passate
e forse ancor dall’amoroso affanno.
Poi d’arme lucidissime e dorate
quattordici guerrieri appresso vanno,
sopra grossi corsieri e tutti in punto
come s’al battagliar sia ’l tempo giunto.

11Ella vien poi, leggiadra e ’n vista alter,
ma ne gli atti umanissima e cortese;
lieta accetta i saluti e scuopre in cera
nobile e ben creato chi l’apprese.
Secondo i merti altrui cangia maniera
dicevole a gli strani o del paese,
a i cavalieri *** e mostra bene
quanto a reale spirto si conviene.

12Seco aveva sei donne in compagnia
che son brutte appo lei ma belle altrove;
essa fra lor la somiglianza avia
che tra merli e sparvier l’uccel di Giove.
Poscia onorata schiera la seguia
di dodici campioni, a tutte prove
sì bene armato e bei che in tutte parti
sì come ella Ciprigna ei sembran Marti.

13Così sen parte, e par che con lei porte
tutto il miglior dell’onorato greco,
e non ha cosa più che ’l riconforte,
non le va dietro e non dimora seco,
non vive il poverel, non sente morte,
più non vede il suo lume e non è cieco,
non sa quel che si sia ma immobil resta
come un secco troncone alla foresta.

14Il re, che tutto intende, gli domanda:
«Che vi pare ei, signor, che sia costei?».
Egli un grave sospir dal petto manda,
poi parla: «Io dico che nel Ciel gli dèi
ove più larga lor luce si spanda
non ebber mai splendor simile a lei,
e se qui fusser mille armate schiere
vorrei lor quel ch’io dico mantenere».

15Quinci si tacque, ma pur fiso guarda
ove la bella donna addrizza il passo;
poscia dice al compagno: «L’ora è tarda,
e voi pur sète fastidito e lasso,
che io non so come il corpo e ’l corno non vi arda
della disgrazia avuta e del fracasso
di tant’alte cadute e di tai botte,
ch’avrieno a Briareo le membra rotte.

16Quanto io, per me dimorar qui non voglio,
ma mi conviene in fretta altrove gire».
«Ah,» disse il re «s’io son quel ch’esser soglio,
qual di lasciarmi è in voi nuovo desire?
Noi rotte aviamo in un medesmo scoglio
le nostre navi e ’n fin presso al morire:
or che con voi di confortarmi credo
mi donate, signor, duro congedo?».

17«Come» rispose l’altro «io sarò allora
il più stolto e più rio che mai nascesse
se un gran re che tutto il mondo onora
rifiutassi che meco rimanesse.
Ma non farò lontan lunga dimora,
se ’l Ciel tutto il contrario non volesse,
e di tornar domani vi prometto
ma dove io vo mi convien ir soletto».

18«Da poi che io veggio che ostinato sète,»
seguitò il re «con buon voler consento,
e tanto più se voi mi promettete
che di qui ritornar siate contento.
E pur ch’aggia di voi novelle liete
m’obbligo ad aspettar bramoso e ’ntento
tre giorni interi, supplicando al Cielo
che vi rimandi tal qual io n’ho zelo».

19«Così prometto io» disse «al terzo giorno
di ritornar, se menar posso a fine
quel ch’io disegno; ma se danno o scorno
me ne daran l’alte virtù divine,
vi dico apertamente che io non torno
ma per vie sconosciute e peregrine
sfogherò la disgrazia e ’l dolor mio;
questo è conchiuso, e vi accomando a Dio».

20«Andate adunque, e ben mi pesa assai
ma far convien la voglia de gli amici.
Guardivi sempre il Ciel di danni e guai
e i vostri buon desir faccia felici»,
tal gli risponde il re. Già Febo i rai
ascosi ha in tutto alle nostre pendici,
questo va nel castel, ivi s’alberga,
l’altro ove il spinge l’amorosa verga.

Danaino riceve notizia di una agguato per lui preparato da due suoi nemici, rifiuta l’aiuto di Girone (21-31)

21Così parton costoro; il buon Girone
e ’l Rosso Danain ancor si stanno
su ’l campo istesso dove la quistione
con lor tanta vittoria finita hanno.
Ecco un corrier che mostra aver cagione
bene importante del sofferto affanno,
e lassando il compagno d’altro canto,
ritira Danain segreto alquanto.

22Poi gli dice: «Signor, ben vi sovviene
de i due german della terra forana
che, non come alla guerra si conviene
ma come traditor, morte villana
al franco cavalier che ’l nome tiene
della marasceria non qui lontana
vostro caro cugin l’altro anno diero
che portavan lo scudo bianco e nero?».

23Sospirò Danain quando lo intese,
e dice: «Veramente che in oblio
non porrò mai le scellerate offese
ch’ei fecero all’amico e fratel mio,
né gli terrà sicuri alcun paese
fin ch’io dimori in vita piace a Dio».
Or gli dice il corrier: «Sappiate ch’essi,
se non hanno messe ali, son ben pressi.

24Che poco tempo fa che io gli ho veduti
qui proprio star quando era il torneamento,
dietro di tutti gli altri e sconosciuti,
come chi di mal fare aggia talento.
Poi verso Maloalto i passi astuti
hanno rivolti, ond’io di voi pavento
che non vi attendin là per la foresta
e qualche tradigion vi sia molesta».

25Ben l’ascolta il baron, poscia il domanda
quali armi e quai color portano intorno.
«Non so» gli rispose ei «se ’n altra banda
cangeran quelle ch’egli aveano intorno;
lo scudo azzurro ove la bocca spanda
un leon bianco riccamente adorno
porta ciascun, e come io dissi pria
inverso Maloalto è la lor via».

26Vanne a Girone e tutto gli racconta
Danain mesto che ’l corrier gli ha detto,
e che troppa in se stesso doglia et onta
avria che sempre gli arderebbe il petto
s’or che l’occasion si mostra pronta
non la volesse prender nel ciuffetto
per vendicar la morte d’un parente
ch’amò più che ’l suo cor veracemente.

27Il conforta Giron, indi il consiglia
ch’accorto vada a sì lodata impresa,
perché bisogna aperte aver le ciglia
a chi vuol far a chi si guardi offesa.
Ma se lui almen per suo compagno piglia
non sarà poi chi possa far contesa,
e ’l supplica di poi, se gli piacesse,
che sopra sé l’incarco riponesse,

28soggiugnendo: «Io non fui mai conosciuto
d’alcun di quei, né mi potran fuggire;
e s’io farò per voi quel ch’è dovuto,
per più messaggi un dì potrete udire».
Ma il fero Danain non ha voluto
del suo caro parlar il fin soffrire;
il ringrazia e soggiugne: «Ei non bisogna,
ché troppa a dir il ver n’avrei vergogna».

29Ei son due soli, et io mai non vorrei
impiegar cavalier come voi sète
con men di mille quattro volte e sei,
che per numero tale e più valete,
contra tai vili e traditori e rei
ch’ebber del sangue mio sì cruda sete,
basterò solo, e tornerò ben presto
a ritrovarvi e conterovvi il resto».

30«Ditemi al men se vi sentite sano»
gli domanda Girone, et ei rispose:
«Ben sono al quanto stanco, ma la mano
e ’l core e l’altre membra ho vigorose.
Gite voi nel castel poco lontano
ove a mia moglie ho detto che si pose;
fategli compagnia, che doman poi
sarete in Maloalto, et io con voi».

31«Or sia» segue Girone «a questa volta
quel che volete voi, ma non mancate
che vostra compagnia non ci sia tolta
per più d’un giorno, come voi pensate».
Partesi Danaino e per la folta
foresta ove le strade avien segnate
egli e ’l corrier camminan quanto ponno,
mentre gli altri mortali ha in guardia il sonno.

Girone va a dormire nel bosco, sente un cavaliere che si lamenta d’Amore (32-46)

32Da poi che ’l cortesissimo Girone
del suo buon Danain soletto resta,
sendo tutta imbrunita la stagione
i passo addrizza verso la foresta,
ch’una fontana così ben ripone
che mai pioggia né sol non la molesta;
ivi adagia le membra, non già il core,
troppo affannato di soverchio amore.

33Quasi in un punto e per l’istessa via
pur lì medesmo il fero Laco arriva,
che ’l re Meliadus lassato avìa,
ivi si asside alla vicina riva.
La notte è scura e nulla si vedia
né pensa ei là trovar persona viva,
l’elmo si tragge, accomoda il destriero,
a pascer l’erbosissimo sentiero.

34Così posando a mente gli riviene
la sua donna gentil di Maloalto,
le vaghe luci e di dolcezza piene
il sembiante leggiadro, umile et alto;
di doglia in gioia e di timor in spene
va cangiando il pensier di salto in salto,
all’ira al fin il fren tutto abbandona,
e ’n tai parole con Amor ragiona:

35«Crudo fanciul, perché in sì altero loco
sproni il desire ove arrivar non vale?
Perché il cor m’ardi in sì possente foco
per cosa che non sia come io mortale?
Sai ben ch’uman valor sarebbe poco
per meritar fra noi pregio cotale,
ma sol mi spingi all’impossibil sorte
per vedermi vivendo ogniora a morte.

36Se Giove in cielo a tutti gli altri dèi
che già favoleggiar l’antiche carte
fussero or quinci per aver costei,
non sarien degni di mirarla in parte;
e non pur guadagnar io la potrei
ma con l’arme del ciel Bellona e Marte.
Che adunque spero? a che m’avvolgo indarno?
perché fuor di ragion mi struggo e scarno?

37Ahi fero arcier, non sai tu ben come io
posso mal sostenere i colpi tuoi?
come ho sovente di morir desio?
come rabbioso son più che non vuoi?
come insieme l’altrui co ’l danno mio
procaccio sì che contrastar non puoi?
come io fo tal che ’l Ciel nemico a pena
non saprebbe ordinar per darmi pena?

38Non ti sovvien con che mio gran periglio
fui del regno di Logres messo in bando?
con qual duro e che turbato ciglio
il gran re Pandragon mi andò cercando?
che da i buon cavalier dal suo consiglio
scacciato un tempo andai peregrinando,
e privo, ahi lasso, della gran Brettagna
cercai Dacia, Germania, Gallia e Spagna?

39Et or fatto m’hai far villan rifiuto
d’un de i gran cavalier che ’l mondo porte,
di cui saggio consiglio e saldo aiuto
non ho ch’al gran bisogno mi conforte,
tal che, temendo più di quel che ho avuto,
mi fo nemico alla tua falsa corte;
ti scaccio dal mio cor, ti metto al fondo
né sarai più per me sentito al mondo».

40Dopo questo parlar restato alquanto
tacito seco, ricangiò pensiero,
di penitenza carico e di pianto
spogliando in tutto ogni suo sdegno fero,
e ’ncomincia: «O divoto, o sacro santo
alato dio, ch’el fren reggi e l’impero
solo in ciel, nell’abisso, in terra, in mare,
senza il cui gran valor può nulla stare,

41potentissimo Amor, tu sei, tu solo
d’ogni ben, d’ogni onor principio e fine,
per te d’intorno all’uno e l’altro polo
giran le cose altissime e divine,
per te l’abbietto vil mortale stuolo
alza il cor sovra questo uman confine,
per te fa cose l’uom che da se stesso
creder non può quando le vede appresso.

42Come al sol neve, come nebbia al vento
fugge ove arrivi ogni pensier villano;
solo alle vere lodi vive intento
il cor piagato per tua dolce mano,
né di vil possession può aver talento,
e quel ch’el vulgo vuol tien frale e vano,
gemme, oro, regni e ciò che il mondo chiude
non cangeria per dramma di virtude.

43Io ’l so per me, ché senza te già mai
non ebbi vero ben né gloria in terra.
Tu m’hai mostrato, come a gli altri fai,
d’esser cortese in pace e forte in guerra.
IO dietro al lume de i tuoi santi rai
che ne scorge al cammin che mai non erra,
mille lodi riporto e mille palme
tra donne, cavalieri e nobili alme.

44Ma perdonami, Amor, ch’io fo qual suole
l’ingrato servo al caro suo signore,
che gli ha fatto di ben più che non vuole,
più che non merta assai grazie et onore,
ch’al fin biasmando si lamenta e duole,
il lascia e fugge con malvagio core,
che s’una volta pur non gli compiacque
tutto il passato bene et ei gli spiacque.

45Non guardar, prego, all’alta mia follia
che m’ha fatto dannar quel cui più deggio;
signor, perdona, che mai più non fia
che io vaneggi vêr te com’or vaneggio.
Al mio gran fallo penitenza sia
la mercé dolorosa che io ne chieggio:
non mi dar morte, e non mi trar del core
sì bella donna e sì famoso ardore.

46Fa ch’io sia degno per tuo sacro affetto
e per l’alto valor che dar mi puoi
d’esserle un giorno servitore accetto
contato al men tra gli ultimi de i suoi.
E sopra la mia spada ti prometto
d’abbandonar la vita a tutti i tuoi,
e ridurre i rubelli alla sua sorte
o di loro o di me veder la morte».

Girone si mostra al cavaliere, che non riconosce, con il quale discute sul calore degli antichi cavalieri (47-71)

47Poi c’ha finito, intorno ha riguardato,
e ’l cortese Giron presso si vede,
ch’a men d’un’asta gli giaceva a lato
ov’un arbor gli ha fatto e letto e sede.
Pien di paura ogni altro saria stato,
ma il magnanimo ardir che a nulla cede
sicur restando dolce gli domanda:
«Chi sète voi, signor? chi qua vi manda?».

48«Io sono un basso cavaliere errante»
Giron risponde «e cerco mia ventura;
tra queste erbe, queste acque e queste piante
mi rifuggo venendo notte oscura,
e come il sol rallumini il Levante,
andrò dove vorrà chi ci have in cura.
Ma voi chi sète, che in cingevo core
sì ben biasmate e ben lodate Amore?».

49«Io non vel posso dir, ma voi mi dite
s’ascoltat’ora avete i miei lamenti».
«Sì,» Giron disse «et ho ben tutte udite
le voci vostre di gran doglia ardenti,
che quando qui veniste scolorite
eran tutte le luci e i lumi spenti
della luna e del sol, che io non vi scorsi
e che fuste vicin nulla m’accorsi,

50se non ch’io vi sentii con quelle note
sfogar la fiamma che v’ardeva il core;
né suon più dolce l’alma mi percuote
che saggia lingua in ragionar d’Amore,
però ben tenni queste frondi immote
né co ’l spirto o co i piè facea romore
per non vi perturbar sì dolce pianto
che voi sfogava et a me piacque tanto».

51«Poi che voi sète errante cavaliere»
disse il buon Laco «or non vi sia gravoso
dirmi se fuste al torneamento fero
del castel delle suore sì famoso».
Et egli: «Io vidi tutto». «Or dite il vero»
seguitò l’altro: e chi vittorioso
vi sembrò più de gli altri a lancia e spada?
Ditel se di piacermi oggi vi aggrada».

52Allor dice Giron: «Io vi consento
che mai guerrier non vidi in altra parte
miglior de i due ch’avean l’arme d’argento,
che l’un e l’altro mi pareva un marte;
ei fecer meraviglie al torneamento
o insieme accolto o ciascun in disparte».
«Ah,» rispose il greco «e ben veggio io
che scerner non sapete il buon dal rio».

53«Io ’l dico» fa Giron «e giuro appresso
ch’arditamente la ragione ho detto,
e chi pensa il contrario credo espresso
che sia del tutto fuor dell’intelletto».
E l’altro gli replìca: «Io no ’l confesso
che s’ei fusser cotali a vero effetto
avrien per lor virtù vinta la guerra,
ove ontosi più volte andaro a terra».

54«Voi avete gran torto veramente
a biasmar due di così alto affare,»
seguio il Cortese «ma sicuramente
invidia o sdegno ve ne fa parlare;
per avventura, come a molta gente,
vi avran fatti gli arcioni abbandonare».
Non vuol credere il greco e dice i neri
son da chiamar al tutto buon guerrieri.

55«Non vi pare ei così?» Giron gli afferma
«che si posson lodar ma ch’altri molti
ebber in arme la virtù più ferma
e si mostraro arditi e feri e sciolti?».
«Ben,» disse Laco «vostra mente inferma
conosco ch’al cammin va de gli stolti,
poi che quei di tutti fur migliori
volete che peggior sian de i peggiori.

56«Or lassiam tutto andar» segue il Cortese
«che io voglio aver con voi, s’io posso, pace,
ma s’io non vi pensassi fare offese
vorrei che mi diceste e se vi piace
chi è la donna per cui amor vi prese
e vi arde il cor della sua ardente face,
e che vi fa biasmar la vostra sorte
e ’n odio aver la vita e chiamar morte».

57«Troppo avanti sète ito in poco d’ora»
rispose il greco «a domandarmi questo,
e troppo di ragion uscite fuora
onde ch’io ’l neghi non vi sia molesto».
«Tacetel dunque,» dice l’altro allora
«ma concedete di chiarirmi il resto,
se per amor di lei fareste cosa
che male agevol fusse e perigliosa».

58«S’io vel dicessi non vi parrei saggio»
replicò Laco «perché mal conviene
a cavalier parlar a suo vantaggio
ma se stesso avvilire oprando bene.
Sol vi dirò che io mostrerei tal saggio
qual a guerriero e servo s’appartiene;
venite doman meco ove vedrete
ciò che intender da me mostrate sete.

59Perché io intendo tentar sì dura impresa
che a miglior uom di me daria spavento,
e che non sia maggior troppo mi pesa
così nell’impossibil sono intento».
Dice Giron: «A gran follia ripresa,
da chi ha intero e san l’intendimento,
è l’avventura ov’un si mette fuore
d’ogni ragione e n’esce a disonore.

60Or pensatela ben che s’io son vosco
a beffarmi di voi sarò il primiero,
a voi sol ne verrà l’ontoso tosco,
io resterò di mia vergogna intero».
«Ah,» disse il greco «come mal conosco
che vi stimai discreto cavaliero
e no ’l sète però, per quel ch’io sento
ma di mostrarvi il ver pur m’argomento.

61Credete voi che i cavalieri erranti
e c’han passate già grandi avventure
esaminasser sì le cose innanti
che le trovasse poi più che sicure?
A i magnanimi cori, a i veri amanti
son chiare e piane l’erte strade oscure;
poi questo mio disegno che ’ntraprendo
non già per impossibil tutto intendo.

62Ben periglioso assai per me vel dico,
perché breve conosco il mio potere,
ma se mi fusse Marte tanto amico
come a quel che portava l’armi nere,
agevolmente e di maggior intrico
mi penserei la palma d’ottenere».
«Come» disse Girone «ei furon due
qual è di lor che voi stimate piue?».

63«Io intendo del maggior,» rispose il greco
«che fece al torneamento sì belle opre
co ’l mio compagno, con molti altri e meco
che de’ miglior la fama oggi ricuopre;
e vi prometto di agguagliarsi seco
non sia buon cavalier ch’in van s’adopre».
Dice Giron ridendo: «Or ben m’avveggio
che ’l vostro giudicar va sempre al peggio,

64ché tenuto è miglior da tutto il mondo
l’altro minor, come la pruova mostra».
«Ch’io non vel credo, a questo vi rispondo»
seguitò Laco «e sia con pace vostra
ma quanto tempo fa ch’avete il pondo
dell’arme intorno in torneamento o in giostra?
Perché forse in quei dì n’eran migliori
di questi ch’or ci son combatti tori.

65Ch’allor che fusse cavalier creato
tre buon guerrier trovati si sarieno,
de i quai ciascun compitamente ornato
d’ogni estremo valor vivea ripieno;
or non se ne rincontra in alcun lato
che qualche nota non gli macchie il seno».
Quando Giron gli antichi esaltar ode
in se medesmo se ne allegra e gode.

66E dice nel suo cor: «Bene è fornito
questo buon cavalier d’alta prodezza»,
e di saper gli vien nuovo appetito
chi sia costui che tanto i buoni apprezza,
e ’l va tentando: «O cavalier gradito,
di virtù colmo e d’ogni gentilezza,
deh se lieta avventura il Ciel vi doni
chi furo i tre che voi stimaste buoni?».

67Umanamente il greco gli risponde:
«Dei tre di chi vi parlo io due ne vidi,
il terzo alla memoria si nasconde
e fu il maggior che ne i britanni lidi
già mai nascesse e gli venisse altronde,
da poi ch’ella lasciò gli idoli infidi
e la religion dannata e vana
e per grazia del Ciel tornò cristiana.

68Io so ben che ’l miglior ch’or vada a torno
al peggior di quei due già non si agguaglia.
Ettore il Bruno è il primo, che fu adorno
d’ogni virtù miglior che in arme vaglia;
nessun trovava a cui non fesse scorno
in tornea menti o ’n singular battaglia.
L’altro fu detto Galealto
che di cavalleria giunse al più alto.

69Ebbe questo un compagno valoroso
che Girone il Cortese chiamato era,
e fu in questo mestier tanto famoso
che di tutti i miglior fu luce vera;
ma durò poco, ché ci fu nascoso
dalla fortuna ria, perfida e fera:
sparì in un punto, né di morte o vita
sen è di lui novella poi sentita.

70E gli era ne i suoi di certo cotale
che nessun si truova oggi che ’l paregge,
sì che al compagno suo fu più che eguale-
Or voi intendete dell’antica gregge
chi resta in basso e chi più sopra sale,
e come si può dir ch’assai vanegge
chi si vuol agguagliare a i tre ch’io dico
e come di ragion vive inimico».

71«Io vi confesso ben di quei due primi»
gli replicò Giron «quanto voi dite,
che i fur guerrier magnanimi e sublimi
e ch’avanzaron gli altri senza lite,
ma che ’l medesmo di Girone io stimi
s’io ci devessi metter mille vite,
no ’l crederei mai far, perch’io son certo
che più lodate che non fu suo merto.

Il cavaliere racconta a Girone un’impresa di Girone stesso: da questo Girone capisce che è Laco, che intende combattere per la moglie di Danaino il giorno innanzi (72-146)

72E se di buon cuore e non fe’ mai
a persona, ch’io creda, oltraggio o torto,
ma che valesse come gli altri assai
d’affermarlo mai più non vi conforto».
Soggiunse Laco allor: «Io ’l ritrovai
un di men bravo che non m’era porto,
e poi che non aviamo altro da fare,
se vi piace, signor, vel vo’ narrare.

73«Deh sì» dice Giron «che in ogni modo
a i cavalieri erranti si richiede
di vegliar sempre o non dormir mai sodo,
poco star a giacer e molto in piede,
e del vostro parlar tanto mi godo
ch’io prego il Ciel che ve ne dia mercede,
e tanto più di quel che molti spesso
han già contro al dever sopra il ciel messo.

74E chi fece a i suoi dì pur mancamento,
s’ei fu ben solo, assai biasmar si deve,
ch’un cavalier qual oro e quale argento
se non è puro, netto, intero e greve
fugge la gloria sua qual nebbia al vento,
qual cera al foco e come al sol la neve;
sia qual candida perla al cui candore
piccola macchia toglie ogni valore».

75Sta il greco cheto alquanto a i detti suoi
e di molto pensar sembiante mostra.
L’altro, che ’l sente, il ridomanda poi:
«Perché indugiate la promessa vostra?».
Diss’egli: «Io non so intender perché voi
così cercate la sentenza nostra;
forse offesa vi ha fatto? Or sia che vuole
ch’io seguirò le vere mie parole.

76Signor, gran tempo fa che ’l buon Girone
avea per suo compagno un cavaliero
che di grandezza ogni altro paragone
vinse, bello a veder, ardito e fero,
ma ne gli effetti vile oltr’a ragione
da temer un uom morto in cimitero,
e costui seco aveva una donzella
che quanto esso codardo ella era bella.

77Ora in quei tempi stessi avvenne a sorte
che ’l re che fu della Noromberlanda
tenne la più fornita e ricca corte
che mai fusse veduta in quella banda.
Non vi restò barone ardito e forte
conte, principe o re che ’l nome spanda,
d’arme, d’amor che non venisse allora
ad onorar colui che i buoni onori.

78Ivi fra gli altri un cavaliero avea
picciol, magro e minuto oltr’a misura,
ch’era cagion di riso a chi ’l vedea
e faceva onta e scherno alla natura;
né la fortuna ancor gli fu men rea,
ch’era povero, inetto e senza cura,
tal che ogn’uom per vergogna lui fuggiva
come persona vilipesa e schiva.

79Poi che la bella gente è insieme accolta
sopra la gran riviera della Forne,
con la sua compagnia che non è molta
allor che il sol a mezzo dì soggiorna,
innanzi a tutti, di ricche arme avvolta,
vien la presenza in ogni parte adorna
del cavalier villan senza elmo avere
per far le sue fattezze più vedere.

80Era sopra un corsier ben fatto e snello
e ’l fa tardo trottar sempre a traverso,
ha le gambe drittissime a pennello,
la testa ferma in bellicoso verso,
volge sol l’occhio intorno vago e bello
d’lata bravura e di fierezza asperso,
tien di tutti quel conto e del re stesso
che di bassi valletti ch’aggia appresso.

81Il cortese Giron vien dietro a lui
in abito e maniera dolce umile;
assai più che se stesso stima altrui,
saluta ogni uom, quantunque basso e vile;
e mostra in tutti i portamenti sui
d’esser discreto, nobile e gentile.
Poi presso gli venìa l’alma donzella
che parea in vista la Ciprigna stella.

82E perché sconosciuto era e privato
et avea quella donna assai vicina,
cagion fu che da noi non fu notato
per la persona ch’era alta e divina.
Un piacevol buffon ci era da lato,
che di tener l’uom lieto avea dottrina;
esso il conobbe che l’ha visto altrove
in mille altere e gloriose prove.

83Ma perché ben sapea che aveva usanza
di celar suo nome in ogni parte,
di narrarne chi sia non ha baldanza,
ma in alta voce a quelle genti sparte
comincia: – Veggio un uom di tal possanza
che veramente può chiamarsi Marte;
state allegri, signor, che questa corte
non porria cavalier aver più forte -.

84Noi ci volgemmo allora et ei seguio
(non dirò già più oltra e temo ancora
non aver detto troppo e ’l parlar mio
mi sia forse cagion d’una trista ora),
ma perché innanzi andava il guerrier rio
che più bello e miglior pareva allora,
lui ricevemmo con maggior favore,
facendo a gli altri pur dovuto onore.

85Tosto il picciol guerrier di ch’io parlai
innanzi a tutti noi si rappresenta,
e con voce alta et orgogliosa assai
sì che chi sta d’intorno il tutto senta,
«Da chi la donna da i lucenti rai
d’esser di voi menata si contenta?»
diss’egli, e quel villan che tale il vede
e poterlo avanzar pur seco il credo,

86«Io son,» gli risponde tutto ardito,
«perché fatto mi hai tu domanda tale?».
Et ei: «Perché mi vien nuovo appetito
che noi proviam con l’arme chi più vale,
e, come in questa legge è stabilito,
la vergogna, la beffe resti e ’l male
a chi vinto riman, l’altro la palma
riporti e di costei l’amica salma».

87Dunque risponde il cavalier da poco:
«Valete meco aver quistion per lei?».
«Sì» l’altro afferma, «e non sarà per gioco
ch’io intendo guadagnar oggi costei;
e se voi fuste ferro, acciaro e foco
tale avventura star non lasserei.
Montate pur or mai tosto in arcione,
che le lance ch’aviam faran ragione».

88Noi che ascoltiam, di maraviglia
e di nuovo stupor colmati semo,
e ben diciam che a bestia s’assimiglia
il picciol cavalier del senno scemo,
che altro pensavam che mille miglia
l’avria fatto fuggir a vela e remo
sì pareva alto, bel, forte, membruto
e questo poverel basso e sparuto.

89Così il villan guerrier, che fede avea,
come io vi dissi, nella vil bassezza
del suo nemico, assai buon cuor facea,
si mette l’elmo e con maggior prestezza
discende ove quell’altro l’attendea;
monta a cavallo e mostra gran fierezza,
torna indietro ciascun poi sprona innanti,
che parevan due Achilli ne i sembianti.

90Vengonsi a ricontrare e quel fallito
codardo, vile e tristo cavaliero
fu della lancia di colui ferito,
che ’ntaccò sol la pelle di leggiero.
Cader lasciosse afflitto e sbigottito,
quasi piangendo, in mezzo del sentiero,
né se gli potea dar cuore o conforto
ch’al dispetto d’ogni uom dice: «Io son morto».

91Viene il picciol barone e sopra arresta,
e gli domanda se battaglia nuova
vuol ancor seco, c’ha la spada presta
per esser seco alla seconda pruova.
L’altro, senza drizzar gli occhi o la testa,
debil risponde che sì mal si truova
che più tosto quitar le donne tutte
vuol, ch’ancor assaggiar di simil frutte.

92Or se noi restammo stupefatti
più che fussimo ancor pensatel voi;
noi ci accordavam pure a tutti patti
che ver non fusse ma paresse a noi.
Quel già superbo e fastidioso in atti
alla donna gentil s’accosta poi,
pigliala al seno e dice: «Andianne via
poi che l’arme e ’l valor v’han fatta mia».

93Quando la poverella il picciol vede
d’esser sua, piange, grida e si dispera,
si rivolge a Giron, chiama mercede
che da lui sol la sua salute spera.
«O franco cavaliero, o somma sede
di valor, cortesia, di virtù vera,
pietà vi muova della mia fortuna
e del vostro dever che troppo imbruna.

94Deh, sopplite all’error di quel codardo,
non mi lassate ir preda a questo mostro,
alla cavalleria giusto riguardo,
se nol volete aver al danno nostro,
aggiate, ch’io so ben che già mai tardo
a i bisogni d’altrui né all’onor vostro
non fuste, e s’or il fuste io ’l prenderei
più che da voi, signor, da i merti miei».

95Gli rispose Giron pensoso e breve:
«Non men ch’a voi del vostro mal mi pesa,
ma con invitto cor portar si deve
l’inevitabil del destino offesa.
Ben vi dico che ingiuria o grave o leve
non mi farà di donna aver difesa
contro a questo guerrier, ma s’a lui piace
ben v’accetterò in don con buona pace».

96Risponde l’altro altero et orgoglioso:
«Né a voi né a tutto il ciel lassar la voglio,
se non a chi nell’arme valoroso
men mi faccia parer di quel ch’io soglio».
«Sia vostra (fa Giron) ch’io non sono oso
d’addrizzar il mio legno in tale scoglio.
Dio vi conduca», e così via la mena
il picciol cavalier con doppia pena.

97Io, che di tutto ciò crucciato fui,
come s’a me toccasse, a trovar vegno
quel che l’avea lodato e dico a lui:
«Ben di gran punizion saresti degno
che te medesmo smenti e scherni altrui,
come s’ogni uom qui fusse piombo o legno».
Risponde io giogolar: «Io vi replico
che più che veritade è quanto io dico.

98E quel medesmo, senza biasmo ho detto
ove Uter Pandragone aveva seggio,
e che lì fu tenuto il più perfetto
guerrier che fusse e di ciò non vaneggio».
In quel che noi parliam consiglio stretto
fatto è contro a Giron che fusse il peggio
de i cavalier di quella e d’altra banda,
e ridendo ciascun pur gli domanda:

99«Ah signor cavalier, come potete
soffrir che così bella a voi compagna
prigion sen vada come cerva in rete
d’un picciol nan ch’a sorte la guadagna?
Come un tale a veder come voi sète
con tutte le vergogne s’accompagna?».
Ei sente tutto ben, né mostra udire
né così tostamente vuol partire.

100Ma poi ch’è stato al quanto, muove il passo,
qui si gli leva appresso un gran romore:
«Ahi malvagio guerrier ch’è sempre lasso
di faticarsi e di cercar onore».
Ei con uno scudiero a capo basso
senza alcun riguardar se ne va fuore,
or di questo è il maggior fallo che promesso
v’avea dir di Girone e ’l vidi io stesso».

101Come il greco ha finito il buon Girone
gli soggiunge: «E ben fu gran mancamento
di rifiutar al picciol la quistione
e di perder tal donna esser contento;
ei fe’ quanto io vi narro, e diè cagione
di far chi ’l vide biasmarlo intento».
Seguitò Laco: «Et io con gli altri ancora
fui del medesmo creder per allora.

102Ma ben tosto cangiai mente e pensiero,
e con l’esperienza fui ben certo
ch’ei fe’ com’onorato cavaliero
del militar dever in tutto esperto;
come anco a voi di far vedere spero
poi che vi avrò del conto il fine aperto».
«Io no ’l vo’ più sentir,» l’altro gli afferma,
«bastami che ho di lui credenza ferma.

103E che voi stesso che il lodaste tanto
mostrate ch’all’oprar non fu poi tale».
Risponde il greco: «Adunque darmi vanto
già mi volete a menzognero eguale?
«Ben» gli disse Giron «da questo canto
vi tengo cosa che ’l medesmo vale,
se l’onoraste fra i migliori innanti,
or il fate il peggior di tutti quanti».

104«Io vel confesso, or mi lassate il resto»
disse ei «contar, e giudicate poi».
«Non vo’» dice Giron «ché basta questo
a saper tutti espressi i fatti suoi,
né porria il mondo intero e ’n arme presto
farmi altrimenti creder, non che voi».
L’altro risurge: «egli è pur forza udire
il rimanente, e mel lassar finire».

105«Io n’ho udito assai,» Giron dicea
«né del vostro campion vo’ più sapere».
Il geco tutto irato rispondea:
«Sappiate che d’udir vi fa mestiere,
se non che questa notte acerba e rea
vi porria tale in mente rimanere
che non udrete conto che si tegna
che del mio rifiutar non vi sovvegna».

106Sorride allor Girone e non si adira,
ma quanto puote il suo corruccio accende,
e più dell’ascoltarlo si ritira
e parte umanamente anco il riprende:
«Ovunque luce sole o vento spira
cosa credo più ingiusta non s’intende
di quella che a me far vi apparecchiate
se all’orecchie di udir forza mi fate.

107E di chi? D’un guerrier vituperato
e che da tutto un popol fu schernito,
da voi fuor di ragion così lodato
come chi fusse in terra e ’n Ciel gradito.
Or mi vorreste far un bel trovato
amendando il parlar che vi ha fallito,
ma ’l narrerete altrove, che io vi giuro
di non udirlo, e siatene sicuro».

108Qui s’ei si cruccia dir non si porria,
e ripiglia il parlar: «Poi che vi piace
di beffar il mio dir come follia
e come invenzion che ’l vulgo face,
non è per torto oprar la forza mia,
ma come a virtuoso mi dispiace
che voi, né qual si sia senza cagione,
aggia d’un tal non buona opinione.

109E ben nulla di me tenete cura
se non volete a poche mie parole
dare udienza sol d’una avventura
delle onorate che narrar si suole.
Ma dico ben che peggio che paura
vi potrebbe costar ove più duole»,
drizzasi in piede, e ’mbraccia il forte scudo,
e va verso Giron irato e crudo.

110L’altro assai più sorride, e non si muove,
et esso: «Io volgerò quel riso in pianto,
né sarebbe sicuro in grembo a Giove
chi m’offende o mi sbeffa tanto o quanto.
E vi conterò cose antiche e nuove
qual più mi piaccia e voi queto da canto
starete, umil come fanciullo a scuola,
che tema del dottor la sferza sola».

111Quando lo scorge pur pronto e cruccioso
e con la spada in man per far quistione,
risurge lieve, e non ritenne ascoso
il valor che riserva il buon Girone,
ma pur ridendo ancor dice: «Io non oso
più mantener la prima opinione,
e vi voglio omai ceder questo tratto
come a voi piacerà, ma con tal patto,

112che mi serviate poi quelle promesse
le quai fatte m’avete di mostrarmi
doman, prima che ’l giorno al fin s’appresse,
maravigliosa e grande impresa d’arme;
et io d’udir quelle parole istesse
che piaccia a voi, signor, di raccontarme
m’obligo». Et egli il tutto gli consente,
e si beffa di lui come vincente,

113dicendo: «Io credo ben che questa spada
v’aggia fatto più saggio divenire,
e questa è certo la migliore strada
di far la gente al dritto riuscire».
L’altro: «Io vel confesso e s’ei v’aggrada
ditemi s’a Giron cangiar desire,
come a me fate, pesereste fare».
Non rispose ei, che gli era d’altro affare.

114«E vi assicuro che s’ei fusse nudo
et io con l’arme in dosso che vedete
men temeria mia forza e questo scudo
che voi d’un pescator la vecchia rete.
Io ben del suo poter feroce e crudo
la tema istessa avrei che di me avete».
«Sète» disse Giron «dunque codardo
sì ben come sono io quando riguardo,

115s’un nudo temereste, et io voi temo
perché di ferro fin sète coperto».
Il greco vien dell’ira al fin estremo,
e già d’esser beffato si tien certo,
e dice: «O cavalier del senno scemo,
dunque ardite voi dir chiaro et aperto
ch’io sia codardo? E ven farò dolente»;
e lui va per ferir immantenente.

116Quando il vide Giron dice: «Ah signore,
voi già ingannate la promessa fede?
che devreste narrar l’alto valore
di quel ch’al vostro dir tutti altri escede.
Deh, ponete da canto ora il furore
e ritornare su la vostra sede».
Et ei: «Cagion voi sète d’ogni cosa,
or ascoltate, e mi lasciate in posa».

117E ricomincia: «Poi che la lodata
donna si parte dalla ricca corte
dal picciol cavaliero accompagnata,
chiamando aita o volontaria morte,
il buon Giron, che già molto allungata
la stima a ricercar va miglior sorte,
e segue i passi suoi per la sua via
di cui tenuta aveva accorta spia.

118Io, che pur non sapea porre in oblio
quel che ’l buon giogolar ne disse prima,
dentro mi metto a lui con gran desio
di vede pur s’egli è di tanta stima;
non che pensasse già persona o dio
ch’ei Giron fusse de i miglior la cima,
perché sì vil sembiante avea dimostro
che l’onta esser parea del secol nostro.

119Sprono adunque il caval sì ch’io l’arrivo
all’entrar proprio d’una gran foresta;
con un solo scudier, d’ogni altro privo,
il truovo e che l’elmetto aveva in testa,
tosto il saluto, ei non punto schivo
dolce risponde e nel mio dir s’arresta,
poi camminiamo e ci moviam parole
di cose generai, come si suole.

120Poscia io cercava entrar a poco a poco
in parlar della donna e di quell’onta,
quando sentimmo di non lunge loco
più d’una voce che troppo alto monta.
Veggiam poi certo che non è per gioco,
arrivando ove il bosco si raffronta
con la campagna, ch’un lì si dispera,
piange e si cruccia contra un’altra schiera.

121Intendiam meglio e ritroviam che l’uno
era quel picciolissimo guerriero,
schernito di quei molti da ciascuno,
senza la dama a piè presso al sentiero,
abbattuto vilmente sopra un pruno
et esso ancor facea il malvagio e ’l fero,
che ritentar la sua fortuna vuole
e l’altro se ne ride e dà parole.

122Quel della Stretta Marcia era il signore
che seco i trenta aveva in compagnia,
che per man d’un guerrier suo servitore
la bella donna guadagnata avia.
or quel meschin a crescere il romore
comincia come noi vicin vedia.
Quando Giron il tutto ha bene inteso,
a me si volge di letizia acceso,

123 e disse: «Questo è quel ch’io cerco solo
di costei ritrovar in man più degna,
e combatter più tosto un grande stuolo
che d’un vil nano la persona indegna».
E sì ratto come aquila ch’a volo
alla preda s’avventa ch’a lei vegna,
prende la donna al freno e le dice: «Io
vi menerò dove è ’l vostro desio».

124L’altro, che ’l picciol uomo have abbattuto,
si rivolge a Giron e dice: «Or lassa,
se non che tu sarai sì mal venuto,
come costui ch’è su la terra bassa».
«Ben (risponde Girone) non hai veduto
ch’un spesso un altro di possanza passa?
Tutti fatti non siam come costui,
e che sai tu s’io son peggior di lui?».

125L’altro risponde: «Allor io ti assicuro
che se tu fussi ancor Giron Cortese,
e ferro tutto et adamante puro,
non condurresti a fin tante contese,
ché trenta siam che facciam siepe e muro
al signor nostro e di questo paese,
e ’nfin ad un ad un non siamo in terra
non potrai dir d’aver vinta la guerra».

126«Or sia (disse Giron) pur come voglia
che se qui fusse la Brettagna intera
non vo’ che far la prova mi si toglia,
e vinca il vincitor, pèra chi pèra,
e chi la palma o chi n’avrà la doglia
chi resta in vita il conterà la sera».
Io, che ’l veggio uscir tal, dico in mio cuore:
«Chi non pregia costui fa sommo errore»

127Come ha detto, Giron nulla dimora
ma sopra al cavaliero a forza sprona;
nol difende il suo scudo che non mora
perché la sella e l’anima abbandona.
Vanne verso la dama, ch’ancora plora,
e dice: «Poi che ’l Ciel grazia ci dona,
ditemi or, prego, ove vi piace gire,
ch’io vi venga a difendere e servire».

128Ella, ella avventura più che lieta,
con lui ben volentieri il cammin prende,
se non ch’un altro cavalier il vieta
e gli dice che ’l tempo indarno spende.
Giron il guarda, e poscia senza pieta
di colpo mortualissimo l’offende;
il terzo dopo a questo il sopraggiunge,
ei co ’l medesmo ardor l’abbatte e punge.

129In terra cadde ben, ma non morto;
poi viene il quarto a dar nuovo soccorso,
mandato dal signor, che per desio
d’aver la donna fuor del ritto è scorso.
Non fu de gli altri nell’oprar men rio,
che ’n terra si trovò nel mezzo corso,
quando vede Giron venire il quinto,
a lui si volge, di troppa ira tinto:

130«E come (dice) adunque mi conviene
di far tante battaglie in tante volte?»
«Sì,» gli risponde il cavalier che viene,
«e vi parranno troppe, non pur molte».
«Ah (soggiunge Giron), io veggio bene
che ’l miglior fia d’averle in un raccolte,
e per tempo avanzar trovar un gioco
ch’espedisca assai cose e duri poco».

131Indi, senza più dir, si lascia ir sopra
e getta tutto in un quello e ’l cavallo;
poi al possente spada mette in opra
ch’al quinto colpo fe’ la lancia fallo.
Scudo che guardi bene, elmo che cuopra
poco han valor poi che si mise in ballo,
e tra le schiere della Stretta Marcia
urta, abbatte, percuote, fère e squarcia.

132E gli fu favorevol sì la sorte
che ’l signor di quei tutti fu il primiero
ch’esso ha incontrato sì rabbioso e forte
che ’l gittò lunge benché ardito e fero.
Poi con crude ferute or dritte or torte
si mette dove il popol sia più intero,
e ne fa mille parti come suole
lupo di gregge mal difese e sole.

133Egli era oltr’a misura grosso et alto,
possente in ogni parte e ’n tutte guise;
ei menò mille colpi in uno assalto
e parte n’abbatte, parte n’uccise;
di sanguinosi corpi ha pien lo smalto,
solo scampò chi per fuggir si mise.
Ma che deggio io più dir? ei fece tanto
che gli restò la donna, il campo e ’l vanto.

134Io, che ben tutto avea mirato fiso,
e mi parea miracoli vedere,
così di maraviglia era conquiso
ch’io non sapea che contenenza avere,
che pur d’aver già scorto m’era avviso
d’ottimi cavalier mille maniere,
ma la più pronta, ardita, altera e bella
non mai fu vista in questa etade o in quella.

135E perch’io mi pensai che tal fatica
l’avesse fuor di molto travagliato,
a lui m’addrizzo con sembianza amica,
l’esalto e poi il domando in quale stato
si truovi, e se la schiera a lui nemica
l’avesse troppo offeso o molestato.
Mi rispose: «Ferito non mi truovo,
la Dio mercé, il resto non mi è novo.

136Perché s’io mi sentissi al quanto lasso
non è fuor di ragion in simil casi».
Io vi confesserò ch’un pensier basso
mi nacque ove ingannato al fin rimasi,
che stimandol fra sé di forze casso
e che non si reggesse dritto quasi,
mi pensai guadagnar la donna tosto
e con questa speranza a lui m’accosto.

137Era io sopra il cavallo armato e ’n punto,
egli era sceso e si giaceva all’ombra
d’uno arbor verde, che co i rami a punto
lui, la sua donna e i lor cavalli adombra.
Fommigli avanti, e dicogli: «E’ m’è giunto
nuovo desio che spesso i cori ingombra
d’aver questa donzella, e ’n cortesia
pregar vorrei che la faceste mia.

138E se non la volete acconsentire
pria che lassarla a voi combatter voglio».
Quando egli ebbe ascoltato il mio mal dire,
disse: «Io ve la darò, come dar soglio
con l’arme in mano; e vi porria mentire
vostra speranza che vi porta in scoglio
voi mi stimate lasso, et io non sono
men che pria fussi a lei difender buono».

139Or io, che presa avea la strada torta,
volsi condurre a fin a sciocca impresa,
e gli replico: «O che sia mia comporta
o che prender di lei convien difesa».
Quando pur vede la persona accorta
ch’io m’apprestava per donargli offesa,
prende lo scudo, la lancia e monta in sella,
e dice: «Or disputiam questa donzella».

140Poi, senza mostrar collera né sdegno,
soggiugne, tutto piano e tutto umile:
«Tosto, o franco guerrier, vi darò segno
ch’ei non si stanca un cavalier gentile».
E ’n questo contra a me che vêr lui vegno
muove co ’l valoroso usato stile.
Io ’l dirò pur, qual er affaticato
mi fe’ far letto dell’erboso prato.

141Il picciol cavalier ch’era presente,
e che gli ha viste far così gran cose,
disse: «Or conosco io ben che veramente
non per timor ch’avesse a me s’ascose
questo ardito campion, ma l’alta mente
tra i suggetti vilissimi mi pose.
Or sia vostra la dama, ch’io confesso
ch’a voi più si convien ch’a Marte istesso».

142Non lo ascoltò Giron, né pur si volse
dove io stava abbattuto, ma si pone
a quel cammin ove la donna volse,
né mai più nuove n’ebbi o triste o buone.
Così il torto suo biasmo in loda volse
e fe di sé divina opinione».
Or qui finì il suo conto il fero greco,
e ’l buon Giron comincia a pensar seco,

143e s’accorda in suo cor che questo certo
sia il gran re Laco, il nobil cavaliero,
ché ’l suo contar che l’ha mostrato aperto,
e si rallegra assai nel suo pensiero
d’aver trovato in mezzo d’un diserto
dell’arme e del valor lo speglio intero;
poi gli dice: «Signor, tutto comprendo
e questo più che l’altro conto intendo.

144E veramente fu bella avventura
pur dell’altre maggior ne son già state.
Ma se Dio vi dia pace e la natura
dite, vi prego, quella che pensate
doman tentar s’ella sarà sì dura
come fu l’altra che sì ben narrate».
Disse il greco: «Io no ’l so, ma noi ’l vedremo
quando all pruova là ci troverremo».

145«Ben» gli disse Giron «perché la mano
avete contro a me qui messa all’arme
vedrò vostre prodezze di lontano,
e forse contro a voi vorrò trovarme»,
perché pensava bene, e non in vano,
ch’occasion verrà che non risparme
la sua possanza nel futuro assalto
per la bella salvar di Maloalto.

146Non ci pon mente il greco e non risponde,
se non che dopo alquanto aver parlato
gli dice: «Or la tarda ora il sonno infonde,
posiamci alquanto, o cavalier pregiato».
e si accomoda lì tra rami e fronte;
fa il medesmo Giron dall’altro lato,
che tali avien percosse e tal lassezza
che di tosto dormir senton vaghezza.