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Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 13.09.15 9:58

Girone parte da Maloalto, incontra un cavaliere che gli racconta le brutte imprese di un cavaliere villano, Serso (1-29,4)

1Or mentre questo avvenne, il buon Girone,
della piaga sanato che si porse,
errando andava, e sdegno era cagione
per un cruccio novel che appresso occorse
contro al suo Danain, ch’oltra ragione
gli tolse di nascoso e lunge scorse
una donna ch’amava, e ’n lui cercare
ebbe molte avventure altere e rare.

2Come di Maloalto è dipartito,
ad un guerriero il primo dì s’avviene
che portava lo scudo in due partito.
Lieto il raccoglie e compagnia gli tiene,
vannone insieme ov’è il cammin più trito
e ’l cavalier, poi ch’alla selva viene,
dice a Girone: «Ier sera qui trovai
il più discortese uom che fusse mai,

3il più crudo, maligno e disleale,
che vince ogni altro e vince ogni credenza,
nato per dilettarse in oprar male
et ottener in ciò somma eccellenza».
«Deh, se di compiacermi oggi vi cale
ditemi» fa Giron «di che presenza
è questo cavalier, e ch’arme ha in dosso,
che forse quanto voi parlar ne posso».

4«Ei porta l’arme sue divise in due,
non già come le mie ma d’altra foggia»,
rispose il cavaliero; e Giron fue
certo ch’esso era quel che nullo alloggia
che in quella notte per preghiere sue
sendo oscurato il ciel da vento e pioggia
non puoté indur che dentro l’accettasse
d’un padiglione e seco riposasse.

5E volentier s’accorda alle parole
del suo compagno, e pregalo ch’ei dica
quel che a lui fece, perché appresso vuole
parlar di sua natura all’uom nemica
più ch’altra che già mai vedesse il sole,
e che mette in oltraggi ogni fatica,
come un buon cavalier per mille vie
farebbe in virtù d’arme e ’n cortesie.

6Comincia il suo compagno adunque e dice:
«Ieri, a punto del dì fra vespro e nona,
qui stesso in la medesima pendice,
incontrai quel monstro e non persona,
che con rozzo parlar più che non lice
ingiuriosamente mi ragiona:
– Guardati, cavalier, che ti bisogna
meco giostrar e riportar vergogna -.

7Io, che ’l veggio ch’è già di tutto presto,
incontinente sprono, e non vo tardo.
Quando sono al ferir, venne molesto
al mio caval, quantunque sia gagliardo,
un sasso in terra e ’n quel che l’asta arresto
rovino in basso, in manco ch’uno sguardo.
Io rimasi di sotto e carco d’arme
ch’a gran pena così poteva aitarme.

8Fu il primo a ridrizzarse il mio destriero,
perché sopra era e caricato meno;
s’appressa il discortese cavaliero
senza parlarmi, e sì ’l pigliò pel freno.
Menal quanto più può fuor del sentiero,
tutto il dispoglia e getta sul terreno
e la briglia e la sella in varia parte,
e via caccia il caval, quindi si parte.

9Io, che ciò veggio e mi ritruovo a piede
e del cader ancor fiaccato alquanto,
resto com’uom che ’l suo dannaggio vede,
né gli truova rimedio tanto o quanto.
Prego il Ciel che gli dia giusta mercede
e sto maraviglioso d’altro canto,
che si possa trovar in uom, che sia,
sì poco amore e tal discortesia.

10Or mentre così penso, ecco ch’arriva
un cavalier su la medesma strada,
con una donna di bellezza diva,
che ’l volto avea di rose e di rugiada,
nobil ne gli atti, leggiadretta e schiva,
da seminar virtude ovunque vada.
Il cavalier villan tosto n’ha voglia,
più che per suo piacer per altrui doglia.

11E giunto ove venìa dice: – Signore,
troppo vi veggio bene accompagnato,
et io vo soletto a tutte l’ore;
aver vorrei questa donzella alato -.
L’altro, ch’è ben guerrier d’alto valore,
sorridendo risponde al domandato:
– Veramente la donna non darei
ad uom che sia, se non piacesse a lei.

12Ma s’avvenisse pur che a lei paresse
che di tanta beltade io fussi indegno,
forza saria ch’altrui si concedesse
perch’io vo’ sottoposto al suo gran regno,
non ella al mio, ch’alle sue voglie istesse
obbediscon le mie sì come è degno -.
L’altro invidioso, non istette molto
ma s’invia verso lei villano e stolto,

13e le dice: – Madonna, voi parete
tanto bella a mirarvi et avvenente
che d’avervi compagna avrei gran sete,
con patto di trattarvi nobilmente,
Rifiutate costui con chi voi sète,
e, come vaga fuor, sia il cor piacente,
che se ’l contrario fate io vi prometto
che per voi ne verrà dannoso effetto -.

14Quando l’onesta donna ode il villano,
con disdegnoso riso fa risposta:
– Se voi dite da ver mi pare strano
che faccia un cavalier simil proposta -.
L’altro cruccioso: – Io non vi parlo in vano,
e rispondete pur, che poco costa.
Ma pensatela ben, che dal rifiuto
vi potrà danno estremo esser venuto -.

15Dic’ella allor, con volto tutto irato:
– Voi sète il re della di scortesia,
bruttamente nutrito e peggio nato
a minacciar già mai donna che sia,
e vi rifiuto qual vituperato,
qual pien di codardigia e villania,
e vengane che vuol, che cruda morte
più tosto avrei che un uom di vostra sorte -.

16Quando ell’ebbe finito il discortese
si volge all’altro e dice: – Or ne conviene
ch’ella impari alle vostre e le sue spese,
e sien de gli error suoi per voi le pene.
Venite in giostra, e vi farò palese
che chi tal compagnia sì cara tiene
si tien caro il morir o tal vergogna
che più bella cercar non gli bisogna -.

17Così senz’altro dir del campo piglia,
così fa l’altro e vengono a trovarse;
ma incontro a quel ch’è buono a maraviglia
le forze del villan furono scarse,
sì che al fin gli conviene arcione e briglia
lassar del tutto e ’n terra abbandonarse.
Ma tosto si drizzò prendendo il freno
del suo caval, di mal talento pieno.

18Poi gli dice: – Io confesso, o cavaliero,
che nel primo giostrar son da voi vinto,
perché avete caval del mio più fero
e con troppo furor nel corso ha spinto,
ma se sète guerrier perfetto e vero
d’alto valor, come stimate, cinto,
discenderete ancor sopra la strada
alla pruova infallibil della spada -.

19Il buon signor che mena la donzella
ch’è forse de i miglior che vada intorno,
volenteroso scende della sella
e ’l caval lega ove l’adombra un orno.
in questo mezzo la persona fella
ch’avea pensato il disonesto scorno,
rimontato a caval è incontro gito
ov’esso altrove è volto e sta impedito.

20Urta di dietro e crudelmente il pone
con la percossa fronte a terra steso,
né di ciò sazio l’animo fellone
vuol ch’ancor senta del cavallo il peso.
Il calca, il pesta, né compassione
ha più di lui che d’un che l’aggia offeso
ne i parenti, figliuoi, ne ’l proprio sangue,
e quivi il lassa tramortito essangue.

21Ecco venir in quello un brutto nano
dicendogli: – Signor, or vi sovegna
d’un gran ben ch’io vi fei poco lontano
da queste bande, e ricompensa degna
ve ne chieggio io, né ’l mio pregar sia vano,
ma qual fra i veri amici si convegna -.
Rispose il discortese: – Io tel consento,
e darti guiderdon son ben contento -.

22Alla donna tristissima poi torna
e gli ricorda che ’l prezzò sì poco:
– E come in testa avessi mitra o corna
oltraggiato m’avete in questo loco.
Ma vi mostrerò con pena adorna
se de i simili a me si prende gioco;
mi seguirete omai dovunque io vada
a piè, come staffier che corra strada,

23il mio scudo portando e la mia lancia,
né mai vi vo’ lasciar infin ch’io truove
lo spietato Brevesso, ch’aggia a ciancia
quel ch’io v’ho fatto e maggior pene innuove -.
Così la poverella, che la guancia
bagna per più cagion d’amare pruove,
fa discendere a terra per menarla
allor che ’l rozzo nan tutto alto parla:

24- Come ben vi sovvien, signore, un dono
devete farmi, et è gran tempo omai -.
– Domanda (disse l’altro), perch’io sono
apparecchiato a farlo ove vorrai -.
Rispose il sozzo: – Io mi terrò per buono
d’aver costei ch’io veggio in tanti guai -.
Il villan che ’nproviso ciò l’assale,
vi pensa al quanto e fa risposta tale:

25- Io te la do, ma in questo convenente
che tu la meni giorno e notte a piede,
sì che sia riso e scherno della gente
e del suo poco senno faccia fede -.
Il nan s’accorda et esso incontinente
fa il brutto mostro di tal donna erede;
così via ne la mena, e quel villano
prende un altro cammin dal suo lontano.

26Poi che se ne sono iti, a trovar vegno
quel cavalier ch’avea sì mal trattato,
e per vedere s’avea di vita segno
gli allento l’elmo e l’arme d’ogni lato;
e si rileva alquanto, e co ’l sostegno,
domandol come sta. Dice affannato
che forte dentro e fuore impiagato era,
ma se riposo avrà guarire spera.

27E quando intende poi che a piè son io
che di già l’avventura gli avea conta,
mi supplica: – Or prendete il destrier mio
e per tutto ove il bosco scende e monta
cercate il vostro, e con l’affetto pio
che mostrate or ch’all’opre si confronta,
ritornerete a me quando l’avrete,
poi quel ch’a voi parrà di me farete -.

28Io montato a caval per la foresta
sono andato smarrito un pezzo errando;
non truovo il mio caval né dove resta
il miser cavalier vo immaginando.
Or guardate, signor, se pari a questa
fu già mai villania veduta, quando
i barbari nemici in una terra
entrati son dopo ostinata guerra.

29Or poi che raccontato ho del villano
la gran di scortesia finite voi
di lui narrar qualch’altro caso strano,
simiglianti o maggior de i fatti suoi».
Giron, che fu dolcissimo et umano,Girone e il compagno trovano Serso in prigione di un altro cavaliere: viene a questione perché si liberi il cavaliere villano (29,5-65)
disse: «Io n’avrei da dir, ma par che a noi,
che a lui contrari semo, si disdica
di prenderne a parlar nuova fatica.

30Però vi prego che mi disciogliate
della promessa e d’altro si ragioni».
Così s’accorda, e poi che son passate
tra lor parole de gli antichi e buoni,
ch’esso a gli arbori intorno e le pedate
riconosce ove il miser con gli sproni
lasciò senza caval che l’aspettasse,
né ’l ritrovando maraviglia fasse,

31dicendo: «Io ’l lasciai qui, nulla è più certo
e che partito sia miracol pare».
mentre parlan così dentro al diserto
veggion quattro guerrieri ivi arrivare,
ciascun d’arme onorate era coperto,
un nano et un scudiero han seco a pare.
Questo il scudo e la lancia in man si tiene,
sopra un bel palafreno il picciol viene.

32Et un uom ben legato mena appresso,
tutto scalzo e ’n camicia e nudo in fronte.
Conosce il cavalier, quando son presso,
il suo destriero alle fattezze pronte,
e mostralo Giron ch’egli è quell’esso
di chi gli aveva le novelle conte,
a cui gettò il villan la sella e briglia
e che ’l fece ire a piè di molte miglia.

33«E s’io non mi fallisco, chi gli è suso
è il cavalier medesmo ch’io cercai».
Disse Giron: «Così trall’arme chiuso
lo stimerei campion che vaglia assai,
e vorrei che fusse egli e fusse schiuso
d’infermitade e de gli avuti guai,
caro avrei di saperlo», e ’n quel che viene
se gli fa incontro e ’n tai parole il tiene:

34«Io vi prego, signor, che non vi spiaccia
di dirmi apertamente la cagione
che costui qui sì strettamente allaccia
e gir il fa così nudo e pedone».
«Contento son ch’a voi si sodisfaccia
(rispose il buon guerrier tosto a Girone):
costui fu cavalier, ma di tal sorte
ch’alla cavalleria fece onta e morte».

35«Ah,» rispose il Cortese «se vi è caro
che pur fu cavalier, qualunque sia,
come gli sète voi di tanto amaro
di condurlo in tal guisa per la via?
S’e fusse disleal, codardo, avaro,
pien d’ogni vizio e d’ogni villania
devreste aver rispetto non a lui
ma pure a voi medesmo e a tutti nui.

36Egli è pur cavalier, come noi semo,
c’ha di cavalleria l’ordine e ’l nome.
S’egli è di onore e di virtude scemo
carcato sia di più dicevol some».
Il cavalier, che n’ha dolore estremo,
si rivolge a Girone e dice: «Or come,
non hanno i cavalier possanza intera
di punir chi non va per la via vera?

37Non è l’uficio nostro aver la cura
di chi fa tradimenti, oltraggi e danni
a figlie, a donne, a quelli i quai natura
non ha condotti ancora a i perfetti anni?
e dar lor morte o penitenza dura
domar l’orgoglio, e quei che torti affanni
donano a i semplicetti cori umili,
che son peggio che lupi a i bassi ovili?».

38Gli risponde Giron: «Veracemente
voi parlate da dritto saggio e ’ntero,
e far dèe quanto dite ogni possente,
ogni discreto e nobil cavaliero».
«Adunque» disse l’altro «immantinente
io non vo fuor del cammin giusto e vero,
ch’egli ha fatto tal fallo in questo loco
ch’ogni mal cu’io gli fo vi parrà poco».

39E gli conta la cosa tutta a punto
come l’altro narrata glie l’avia.
ben sa il tutto Giron, ma in sé compunto
di pietà vien della fortuna ria
di quel, quantunque saccia ch’era aggiunto
al sommo fin di somma villania,
e ch’era quel che a mezza notte bruna
il serrò fuori al lume della luna.

40Il chiama adunque, e dolce poi domanda
s’altra volta ch’allor veduto l’abbia.
Quell’altro in atto se gli raccomanda,
e si fa in volto di color di sabbia:
«Io v’ho visto, mi credo, in altra banda
(al fin risponde con tremanti labbia),
non vi conosco molto, et ho ben fede
che sète un cavalier ch’ogni altro escede».

41«Non vi ricorda ben» Giron replica
«di quel che in questa notte mi faceste?».
«Sì (disse l’altro), e fei cosa nemica
a tutte virtuose genti oneste».
«Se m’accettavi con maniera mica
(disse Giron) a meglio or ne sareste:
io vi deliberrei da tante offese
perciò sempre è guadagno esser cortese».

42«Ah (disse il miserel) non par ragione
che la mia villania villan vi faccia.
S’io non v’accolsi dentro al padiglione
dritto non è che ’l bene oprar vi spiaccia.
Dell’uom cortese al giusto guiderdone
obligato è ciascun che satisfaccia,
e chi fa il suo dever non merta lode
ma chi mancasse ben faria gran frode.

43S’io fussi stato a voi qual esser deggio
non saria cortesia la vostra or meco;
tanto è più chiaro don quel ch’io vi chieggio,
quanto più indegno e peccator mi reco.
Nobiltade è giovar a chi fa peggio
e co ’l lume ch’altri ha condurre il cieco,
donar sempre, non vender la sua grazia
di che spirto gentil mai non si sazia.

44Ora il raro valor in voi si svegli,
faccia oggi quel che ’l vulgo far non usa,
aiti i suoi nimici, i suoi rubegli,
quel che per dispietato ogni uomo accusa.
Forse pria che mi imbianchino i capegli
scenderà grazia in me dal Cielo infusa
ch’io diverrò miglior, se nel mio scempio
di bontà date glorioso essempio.

45Mille ragion direi ch’oggi m’insegna
necessitade e ’l mio commesso errore,
per cui ben si vedria ch’opra più degna
non porria desiar uom di valore;
ma perché nobile alma si disdegna
ch’un gli mostri il sentier di vero onore,
ond’ella a lui notissimo cammina,
senza ricordi altrui preghi o dottrina,

46non dirò più, ma sol vi metto avanti
le miserie ove io sono e l’ardir vostro,
al qual mill’altri cavalieri erranti
tenuti son del territorio nostro.
E s’ei furo in virtù pregiati e santi
et io son di viltade orrido mostro,
più bella e rara gloria avrete in questo
che in tanti anni che fur di tutto il resto».

47Qui si tacque egli, e ’l buon Giron ridendo
gli dice: «O cavalier, come esser puote
ch’essendo voi fellon com’io ne ’ntendo
le strade de i miglior vi sien sì note?».
Gli risponde egli allor: «Tardi comprendo
or che fortuna in tutto mi percuote,
il ben dal mal, e ’l gran bisogno è guida
a pregar ben colui dove s’affida».

48Qui soggiunse il Cortese: «Volentieri
a liberarvi in forza mi porrei,
ma non vi penso tal che al tutto speri
che correggiate i vostri vizi rei,
e temo ancor che molti cavalieri
io non offenda ove giovar vorrei».
«Non,» disse quel «ch’io ho in modo imparato
che certo eleggerò contrario stato.

49Che fusse cortesia non sapea prima,
tutto il tempo allevato in vili imprese;
or la terrò d’ogni altra cosa in cima
essendo quella ch’oggi mi difese.
Dunque a voi sta ch’io l’aggia in somma stima
e ch’io d’empio e villan torni cortese,
ché se scampato son di questo inferno
mi farò nobilissimo in eterno».

50Alle parole sue, Giron rivolto
al cavalier che prigioniero il mena,
per esso il prega e lo scongiura molto
che lui deggia discior di questa pena,
e ch’al valor ch’esso ha nell’alma accolto
più ch’all’altrui natura impia e ripiena
di qual vizio è maggior deve guardare
un cavaliero intero e d’alto affare.

51«Signor,» rispose quello «io vel confesso,
e cortese sarò ma in tempo e loco
a lui fo per vendetta quello istesso
che alla mia donna fatto avea per gioco,
infin ch’io la ritrovi e quivi appresso
penserò meglio a quel ch’io deggio un poco.
Ma di così tenerlo oggi mi piace
e qualche giorno ancor con vostra pace».

52«Ah,» rispose Giron «posate alquanto
l’ira, e pensate bene al dever vostro.
Non è ingiuria qual fia che tanto o quanto
ci deggia far uscir del termin nostro.
Ogni virtuoso uom di pregio e vanto
dritto cammina al glorioso chiostro,
né si de’ vendicar l’altrui peccato
con peccato maggior di quel ch’è stato.

53Sempre ho sentito dir che la virtude
il vizio vince, e ’n voi contrario fia
se la bontà che ’n vostro cor si chiude
s’arrende all’altrui lorda villania.
Raddolcischinsi in voi le voglie crude
e ’n gentil alma la vendetta sia
l’aver potuto e lassar fare a Dio,
giusto compensator al buono e ’l rio».

54L’irato cavalier si cruccia al fine
né vuole a sue ragion dare udienza,
dicendo: «Io so che le virtù divine
de i difetti mortali han conoscenza,
ma quel che d’esso in alto si destine
anco io glie ne vo’ dar la penitenza,
ché la somma giustizia pur c’insegna
di donar premio e pena a i merti degna».

55Gli soggiunse il Cortese: «Io voglio ancora
pregarvi e che ’l pregar non vi dispiaccia,
che dell’ira che in voi per lui dimora
a i miei desir presente se ne faccia,
e che ’l traggiate di tai lacci fuora
e liber possa gir ove a lui piaccia».
Or quell’altro gli dice acerbo e corto
che no ’l vuol far, e che l’intenda scorto.

56Disse adunque Giron: «Pensate bene
o la forza o l’amor qual più vi piace,
perché un dei due sciorrà quelle catene
ma più cara mi fia la vostra pace».
Il cavalier, che ’l suo voler ritiene
dice: «Uom non so che quel che più mi spiace
m’induca a far già mai, fuss’ei d’acciaro
e cavalieri avesse un centinaro».

57«Io non son già d’acciaro, e sol mi truovo
e contra voi per lui chieggio quistione»,
grida il Cortese, e quel, che ingiusto e nuovo
gli pare il caso e fuor d’ogni ragione,
risponde: «A maraviglia assai mi muovo
che pel più traditore e rio campione
che portasse arme mai sopra la terra
meco senza cagion vogliate guerra».

58«Or se fusse tre volte, quattro e sei
più tristo e fusse la malizia stessa,
liberarlo di certo anco vorrei
sol per la cortesia c’ho in cuore impressa;
e poi che dispregiate i preghi miei
da questa lancia mi sarà concessa
la grazia ch’io domando. Or difendete
l’avarizia invêr me ch’usata avete».

59E così l’uno e l’altro dilungato
si ritorna a ferir con gran tempesta.
Giron, perché era alquanto corrucciato
gli pon la mira in mezzo della testa,
e co ’l medesmo colpo ha riversato
lui co ’l cavallo, e tutta la foresta
ne risonò d’intorno. Ei quivi il lassa,
e verso il prigionier più oltre passa.

60Il discioglie e gli rende libertade,
poscia il fa rivestir di nuovi panni,
facendol ricco d’altrui povertade
che spoglia un altro e ’l mette in pari affanni.
in questo è l’altro surto e con le spade
cerca di ricovrar gli avuti danni.
Va, ritruova Girone, altero grida
et a nuova battaglia anco il disfida,

61che ben d’alta prodezza era fornito,
non però tal che ’l suo nemico agguaglie.
Gli dice: «Io son da voi stato avvilito,
ma non scuopre un colpir quanto altrui vaglie.
Se di cavalleria sète compito
il mostrerete in nuove altre battaglie.
Difendetevi ben co ’l brando in mano
e poi sia vostro il cavalier villano.

62Se non di a voi lassarlo non intendo
se non vincente alla seconda pruova».
Dice Giron: «Per quel ch’in voi comprendo
voi ricercate ancor vergogna nuova.
Non è saggio colui che danno avendo
cerca di medicina e ’l mal rinnuova.
Io vi consiglierei che vi posasse
e per oggi tal onta vi bastasse».

63Come risponde quel: «Dunque sicuro
sète così di vostre forze estreme?
Or venitene pur, ch’io non vi curo,
ché se breve è il poter il cor non teme»,
e si avventa vêr lui spietato e duro
che come irato mar per rabbia freme.
Giron si tira a dietro e dice: Innanzi
facciamo i patti più chiari che dianzi.

64S’io vi abbatto di nuovo io vo’ che sia
d’ogni querela sciolto il prigioniero».
Risponde l’altro: «Se la virtù mia
come altra volta suol mi dice il vero,
a tutti a due farò la scortesia
ch’esso ha mertato, e voi troppo leggiero
cercando andate, e s’abbattuto io resto
lui vi consento e de i poltroni il resto».

65A queste alte parole il brando leva
l’animoso Giron, e proprio il coglie
sopra la fronte, e così ben l’aggreva
ch’ogni spirto e vigor toso gli toglie.
Non così caggion quando il verno neva
mosse dall’Aquilon le secche foglie,
com’esso un’altra volta cadde giue
e stette come morta una ora o piue.

Girone catechizza il cavaliere villano su come ben comportarsi (66-82)

66Poi verso il prigionier Giron ritorna,
e vuol di lui saper la patria e ’l nome.
L’altro ad aprirgli il tutto non soggiorna,
dice che Serso è detto, e narra come
d’Ettore ’l Brun l’alta progenie
era al sua di sangue e di cognome,
e Galealto il figlio veramente
ebbe amico strettissimo e parente.

67Giron si maraviglia e poi gli dice:
«Come possibil è che sendo voi
di casa che in virtù fu vincitrice
di chi mai nacque e nascerà da poi
siate al mondo sì povero e ’nfelice
ch’odiate lealtade e tutti i suoi,
né seguiate il camin ch’Ettore feo
ma quanto esso fu buon voi siate reo?».

68Rispose sospirando: «Nutritura
credo che cagion fu del mio difetto,
che più che ’l padre può, più che natura
come i saggi filosofi hanno detto.
Tennemi in casa e vissi alla sua cura
Bruno il fellon, là dove a mio dispetto
imparai d’esser crudo e disleale,
invido, impuro e vago d’ogni male.

69Ma vi prometto bene e do la fede
da quel che omai sarò non quel ch’io fui,
ché vostra cortesia mi farà fede
d’ogni virtù ch’io riconosco in vui.
E così Dio vi dia larga mercede
del buon voler che voi portate altrui,
come udirete tosto il vostro Serso
di quel ch’esser solea tutto il riverso.

70E potrete ben dire a tutto il mondo
d’aver fatto miracol così raro
quanto ne fusse mai primo o secondo
da tenervi fra noi pregiato e caro,
ch’io non avea desir, né ve lo ascondo,
che d’esser sempre a chi ben vive amaro,
e s’io non vi scontrava o non moriva
conduceva mill’alme a triste riva».

71Qui ripiglia Girone: «Et io vi lasso,
con questa condizion, del tutto sciolto:
che camminiate omai con giusto passo
verso Dio prima, ov’ogni bene è accolto,
poscia di vero onor non sia mai lasso
l’animo vostro alle gran lodi volto,
sì che possiate dire a viso aperto
vostro alto sangue, e sia creduto certo.

72E sappiate di ver che men fatica
è l’esser buon che ’l suo contrario assai.
Chi natura have de i miglior nemica
a sé dà più ch’a gli altri affanni e guai.
In quanti aspri travagli ognor s’intrica
un cor villano e non ha pace mai
s’egli ottien quel ch’ei vuol, vive di torti,
se no ’l puote ottenere ha mille morti.

73Qual tormento maggior fu in Siracusa
di quel che sente un uom che male adopre?
Ha dentro l’alma chi tutt’ora l’accusa
gli pone innanzi e biasma l’inique opre,
che se con gli altri fuor val qualche scusa
a se medesmo il miser no ’l ricuopre.
E che gli val se tutto il mondo inganna
se al fin se stessa coscienza danna?

74Ma qual piacer è quel d’un che si veggia
camminar dritto ove comanda il Cielo?
e che la virtù segue e non vaneggia
con vivo, assicurato, ardente zelo?
E se ben non ha sempre quanto chieggia
non ha maggior in sen caldo né gielo,
che chi sol per virtù la virtude ama
non cura chi beato il mondo chiama.

75Quanto ne veggiam noi poveri e nudi
che non portano invidia a i panni d’oro,
che più dolcezza a quei dan le virtudi
che le gemme e gli onor non fanno a loro?
Non son stampati tra mortali incudi
i merti della palma e dello alloro,
pria son mossi dal Cielo e vengon poi
là dove son pregiati a trovar noi.

76Che lodato tesoro è cortesia,
come amato, stimato, utile e caro?
Ella par ben che la radice sia
di quanto vien fra noi soave e raro,
e il vero cibo d’ogni anima pia
che mai non si trovò per tempo amaro
se medesma diletta, a gli altri giova
e tanto cresce più quanto è più in pruova.

77Quanto piace il pensar seco la sera:
– Molti ho servito e nessun oggi offesi,
questo e quel d’onta e di fortuna fera
co ’l proprio sangue mio giusto difesi;
il mio buon nome, la mia gloria altera
s’andrà spargendo in tanti bei paesi? -.
E s’ascosa anco fia non torna vòta
poi ch’a te stesso che l’oprasti è nota.

78Conviensi a ciaschedun ch’al mondo è nato
ma doppiamente all’uom di nobil prole;
egli essempio de gli altri e riputato
ch’ogni uomo il mira come Clizia il sole.
Quanto anco è vilipeso e vive odiato
chi fa il contrario che ’l suo padre suole,
e se gli possa dir: di lui possiede
i ben, non le virtù quel falso erede?

79Come a voi già, di ch’io mi meraviglio
che mille volte il dì non vi uccideste,
o senza far di voi ferro vermiglio
sol di vergogna morto non cadeste,
ricordandovi sol che indegno figlio
fuste di tal ch’avea le voglie preste
sempre più nell’altrui che nel suo bene,
e voi cercate in noi dolore e pene.

80Or io non dirò più, poi che m’avete
assicurato di cangiar la voglia,
la qual cosa se saggio manterrete
non avrete mai più periglio e doglia,
et io se vi vedrò d’onesta sete
farò per voi più che per gli altri soglia,
ch’un convertito al ben lassando il male
per cento nati buon sovente vale».

81Qui finisce Girone e dà licenza
al prigionier, ch’ove gli piace vada,
et egli allor con somma riverenza
gli soggiunge: «Signor, se ciò vi aggrada
di voi mi date vera conoscenza,
ch’io saccia almen quell’onorata spada
mi tornò in vita, e qual cortese lingua
fa che ’l torto cammin dal buon distingua».

82Gli risponde il Cortese: «A questa volta
non vel poss’io già dire, e ben vi prego
che villania non paia a chi mi ascolta
se domanda sì picciola vi nego,
ché senza essermi forza, e sia ben molta,
a scovrir il mio nome non mi piego».
Il lassa, e sol co ’l cavalier n’è gito
ch’avea lo scudo suo mezzo partito.