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Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro V

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 13.09.15 8:38

Laco batte i ventisei cavalieri che accompagnano la moglie di Danaino e si prende la donna (1-50)

1Già fuor mostrava il bell’aurato lembo
della sua gonna la vermiglia aurora,
che, tutta schiva, dal canuto grembo
del suo vecchi o Titon surgeva allora.
Della candida brina il dolce nembo
doppiava, e più mordea la frigida ôra;
gli uccei tra le frondi e liquidi cristalli
già facean liete risonar le valli.

2Il buon bifolco e ’l provido pastore
le ingorde gregge questo e quello i buoi
con avido pensiero e con amore
mena ai boschi vicini, a i campi suoi.
La villanella già del letto fuore
l’albergo cura e se medesma poi.
Si veste in fretta il duro peregrino
e sotto dubbio ciel prende il cammino.

3Allor l’ardito e vigilante greco
primo si sveglia e ’l buon Giron appella:
«Surgete, cavalier, se venir meco»
dice «volete all’alta impresa bella.
Già s’apre il giorno e già trionfa seco
l’alma face maggior d’ogni altra stella,
e di giacer ancor prender vergogna
deve ogni alto guerrier che lode agogna».

4Il cortese Giron surge con fretta,
l’arme quanto più può si veste introno,
frena tost il caval, sopra si getta,
poi dice: «Andianne, o mio signore adorno».
L’altro va innanzi e per la folta e stretta
selva a traverso infin ch’è chiaro il giorno,
tra folti rami, siepi e prun s’invia
senza trovar già mai segnata via.

5Pur poi che iti son molto e ch’alza il sole,
trovano in mezzo una maestra strada;
guardala quel che mai fallir non suole
e ferma in sé che a Maloalto vada.
Vede ivi interi i fiori e le viole,
né l’erba scossa ancor dalla rugiada,
e ben sia accerta che non sia passato
lo stuolo ancor a chi ponea l’agguato.

6Il cortese Giron che tutto vede
e che consoce ben, ringrazia Dio
che ’n quella parte gli avea dritto il piede
e chiama Amor ne i suoi bisogni pio.
Sa che ’l valor di Laco a nessun cede
e ch’ogni cavalier con lui par rio,
e che non trenta pur ma d’altri molti
avria con la sua forza in fuga volti.

7Fermasi l’uno a l’altro parimente,
l’un guarda intorno e pensa, l’altro tace;
quel cerca sopra gli altri esser vincente,
quest’altro sopra a lui disegno tace.
Pur Giron, simulando et al presente
«Perché quinci arrestar, signor, vi piace? ».
«Per far quel ch’io v’ho detto, e qui si deve
la pruova far che non fia forse lève»,

8gli risponde il buon Laco, e l’altro dice:
«Ancor più voglio aprir il mio pensiero:
venuto io sono in questa aspra pendice
con voi, signor, ma s’egli avvien mestiero
della mia spada a far il fin felice
della vostra avventura, a dirvi il vero,
in aiuto già mai per voi non fia
ma che ’ncontra venisse esser porria.

9Questo dico io perché sol da voi stesso
cerchiate aiuto, e non da quel ch’io vaglia,
né possiate di me dolerve appresso
s’io volessi con voi, forse, battaglia».
«Io non mi sono in voi sperando messo
in questa impresa, e se di voi mi caglia
vedetel» disse il greco «ch’io vi giuro
che d’avervi all’incontro anco non curo».

10Mentre che stan così, veggion venire
sei scudier che spronando innanzi vanno;
gli conobbe Girone all’apparire
che son quei che ’n Maloalto stanno.
Comincia il geco assai cortese a dire:
«Dio vi guardi, signor, d’onta e di danno;
dite come il signor vostro si chiama».
«Di Maloalto l’onorata dama»,

11rispose l’un di loro, et ei replica:
«Ben ne potete gir far gli altri alteri:
di più gran donna e di virtude amica
sète ch’avesse mai nulli scudieri.
Or dove si trova ella un di voi dica».
«Qui ben vicina fu questi sentieri»
gli afferma il primo, «e poco attenderete,
che come ci siam noi vicin l’avrete».

12«Come vien riccamente accompagnata»
domanda ancor, e l’altro pur rispose:
«Sì ben come regina alta e pregiata
c’ha da sessanta oneste e generose
donne, e poi seco bella schiera armata
di duci e cavalier d’opre famose,
tra i quai son venti ch’oggi porrieno
mille nemici lor tenere a freno».

13Quando ode tutto questo il capo abbassa
il dubbio greco, e nel suo cor ragiona:
– Questa avventura le mie forze passa,
né vincer la porria mortal persona -.
Pentesi or quasi e di tentar la lassa,
ma l’animoso Amor dentro gli suona
nobilissime voci, e dice: «Come
temi meco portar si lèvi some?

14Non sai tu ben ancor ch’amorosa ama
vola di sopra il ciel, né teme Giove?
Non sai ch’a quella man do sempre palma
che meco vien nell’incredibil pruove?
Non sai che leggierissima la salma
sopra il mio dorso che par grave altrove?
Tenta, fuor di ragion, ch’al troppo audace
più ch’al saggio e ’l miglior do gloria e pace.

15Non può vostro intelletto o ingegno umano
comprender l’opre ch’io conduco a fine:
non può termine aver dannoso o vano
chi segue l’orme mie sacre e divine.
Vesti d ispeme il cor, muovi la mano,
che di aragno farò l’arme più fine;
farò ch’un Mongibel sia la tua forza,
l’altra d’un pomo vil negletta scorza.

16Or ti sovvegna quel che già facesti
contra Uter Pandragone e tanti suoi,
allor ch’io fei che quei begli occhi onesti
ti guadagnasti e fur poi sempre tuoi.
Or perché indietro della impresa resti
se pur siam quei medesmi ambe due noi?
Tu sei pur il re Laco, io sono Amore,
l’arme hai l’istesse et io l’istesso ardore.

17E se questa non è l’istessa donna
non ti sgomenti ciò, ché forse è meglio:
simil mai di costei non vestì gonna
che di te beltade e di virtude speglio.
L’invitto tuo valor che pigro assonna
risurga omai, che di mia man lo sveglio;
apparecchiati all’arme che s’appressa
la tua ricchezza e la mia gloria espressa».

18Mentre così fra sé parla e risolve,
il cortese Giron di tutto chiaro
già la crucciosa mente intorno volve
e tien inverso il greco animo amaro.
A lui, che ’l pregia come fumo e polve,
dice: «Or son certo che ’l periglio raro
che intraprender volete è questo solo,
di cui n’avrete pentimento e duolo,

19ché se pur vincerete,, che no ’l credo,
la compagnia che vien, et io ci resto,
che per conto nessun a voi la cedo
ma vi sarò quanto potrò molesto».
«E che così mi vada tel concedo,»
rispose Laco «e che sarà per questo?
Di te farò, se men darai cagione,
come di me quel dì fece Girone».

20«E s’esser dèe così» l’altro dicea
«ché non provate or prima la mia lancia?
E s’ella fia come credete rea
pigliatela con l’altre a scherno e ciancia,
ma se reggesse pur, come solea,
non turberete la vermiglia guancia
della donna bellissima e de i suoi
per a me che son qui lassarla poi.

21E mi par che ciò sia vostro avvantaggio,
più tosto pria che quando fuste stanco,
et io, che pur di voi giusta tema aggio,
sarò contento affaticarvi manco».
Come s’ei fusse stato men che saggio
l’ascolta il greco, e pur gli risponde anco:
«Non più; per valentissimo vi tegno,
ma per or di combatter non mi degno».

22Così parlan tra loro, e lunge appare
polvere estrema che si leva in alto.
Disse Giron: «Tosto potrem contare
d chi la donna sia di Maloalto».
A i due rivali in petto non pò stare
più fermo il cor, che gir vorria d’un salto
a presentarse a i due begli occhi, i quali
gli hanno impiagati di percosse eguali.

23Ecco arrivar la nobil compagnia:
dodici cavalier tenan la fronte,
poi dolcissima schiera gli seguia
di donne e di donzelle ornate e conte.
Appresso a lor la stella che faria
oscuro il sol quando più in alto monte;
due dame antiche e di più illustre pregio
le fanno intorno uno onorato fregio.

24Indi vien dietro il resto della torma
de i rari cavalier ch’ella avea seco.
Lassa tutto passar né muove un’orma
fin che lei vede il valoroso greco;
poscia sprona il corsiero e cangia forma,
e grida: «O cavalier, prendete meco
mortal battaglia, o ciaschedun mi ceda
la ricca, altera et onorata preda».

25E corre incontro al primo così forte
che ’l fece riversar fuor dell’arcione;
va sul secondo e come il primo a morte
convien che vada, e ’l secolo abbandoni.
Conduce il terzo alla medesma sorte,
poi che al lancia è volta in due tronconi;
sprona in mezzo alla pressa e con la spada
si fa far ampia e ben sicura strada.

26Né mancan del dever gli aspri avversari,
ma gli fan con le lance cerchio intorno,
fangli spesso i suoi colpi costar cari,
e girargli la testa come un torno.
Ma quel, ch’avanza i più famosi e rari
ben il mostrò nel periglioso giorno,
che co ’l caldo d’Amor faceva pruove
ch’avanzàr le memorie antiche e nuove.

27E si truova otto, dieci e più tal volta
lance a lui sopra in un medesmo punto;
quel getta in basso e questo mette in volta
con l’urto del cavallo, altri ha disgiunto
a questo il braccio, a quel la testa tolta,
questi nel fianco e quel nel petto ha punto,
questo arriva in cammin, da quel si scuote,
si ricuopre or da questo, or quel percuote.

28Poi che sono i miglior già morti in terra,
molti feriti ancor, molti altri a piede,
quei che furo i peggior lassan la guerra,
e ciascuno al suo scampo omai provvede.
La femminile schiera fugge et erra,
e spaventata al ciel soccorso chiede,
piange, grida, si batte, graffia e straccia
il seno, il collo, i crin, gli occhi e la faccia.

29Resta la bella donna adunque sola,
fuor che di quei che son feriti e morti.
Tanto ha dolor che non può trar parola,
né lagrime o sospir formare scorti.
Biasma la sua fortuna che le invola
tutte l’aiute sue, tutti i conforti,
e chiama nel suo cor tristo e smarrito
or i suo caro amante or il marito,

30dicendo: «O coppia amata, un sol di voi
ma pur l’un più che l’altro chiamerei,
che or dal guerriero e da gli assalti suoi
tutto in un punto libera sarei».
In questo arriva il greco e dice: «Poi
ch’egli è stato piacer de gli alti dèi,
nobilissima donna, non vi sia
grave, io vi prego, di restarvi mia.

31Voi avete veduto il gran periglio
e ’l gran travaglio c’ho per voi sofferto,
ma l’aiuto d’Amor, l’alto consiglio
m’ha lo stretto cammin di gloria aperto;
e se fusse il terren molle e vermiglio
del sangue proprio, poi che sète il merto
non mi dorria, ch’ella è più che appagata
la pena mia d’avervi guadagnata.

32Non vi incresca, Madonna, di seguire
un vostro servo d’umiltà ripieno
e meco in altra parte oggi venire
disgiunta dal natio vostro terreno».
Quando la miserella ode il suo dire
d’amarissime lagrime empie il seno,
e con voce piangente e con gran core
magnanima risponde in tal tenore:

33«Se voi sète baron d’alta prodezza
e più che tutti i mei valete in arme,
non è giusto perciò che questa asprezza
e questa crudeltà vogliate usarme.
Non è gran cavalier chi di fierezza
e d’oltraggioso ardir non si disarme;
colui ch’è forte e che ’l mal far gli aggrada
è, più che buon guerrier, ladron di strada.

34Ma pensar non potrei che campion tale
qual io veduto v’ho con l’arme in mano
possa peccato aver più che mortale
e che dal vero onor sia sì lontano.
D’una fera selvaggio vive eguale
colui c’ha il braccio forte e ’l cor villano;
non vogliate macchiar il ben che ho visto
con l’oprar empio, scellerato e tristo.

35Poscia io ho tanti servi e tale sposo
che solo in ciel sareste voi sicuro,
il qual per vendicarmi sarebbe oso
d’andar nel foco o nell’abisso oscuro.
E ben che io so che a voi, signor famoso,
non faria tema chi governa Arturo,
dovreste riguardar che sì grande opra
un sì basso desir guasti e ricuopra.

36E s’egli è ver che tanto ben mi amate,
donate il prezzo a me del sudor vostro,
senza contesa omai mi rimenate
ov’io lieta men giva al nido nostro.
ivi scolpir farò per lunga etate
in saldo marmo, in immortale inchiostro:
«Contra molti guerrier la spada strinse
chi quegli, Amore, e se medesmo vinse».

37Questo è il supremo onor, questa è la gloria
propria dell’uom che ci può far divini.
Troppo fuggir si dèe quella vittoria
che fa danno a i lontan, nuoce a i vicini,
e quando gli ritorni alla memoria
di vergogna e di duol la testa inchini.
Servate a dunque con dovuto zelo
l’onor del mondo e ’l pio voler del Cielo».

38Il valoroso greco, a cui natura
avea più dato ardore, ardire e forza
che discrezione o legge, la scrittura,
né scorge a dentro e guarda fuor la scorza,
le risponde: «Madonna, io non ho cura
se non di quel che mi conduce e sforza;
dico d’Amor, che senza senno e cieco
vuol che a dritto o ragion vegnate meco.

39Perciò senz’altro affanno e senza pianto
seguite ove vi spinge alto destino,
benché io vi adduca meco in altro canto
e ’n paese lontano e peregrino;
voi padrona sarete, io servo, quanto
mi terrà il Ciel in questo uman confino.
Non temete di forza, e mi fia assai
voi rimirar e i vostri ardenti rai».

40Che direm di Giron?, che dall’un lato
sta contemplando e quando tutto vede
l’altere pruove il più meravigliato
resta del mondo e quasi non lo crede.
Poi si ripente aver tanto indugiato
a dar soccorso a chi l’annoda e fiede,
e sì alta pietà per lei l’afferra
che quasi di dolor caduto è a terra.

41Pur se stesso e ’l valor in un raccoglie,
si guarda intorno e si racconcia in sella;
esamina il poter, cresce el voglie
di vendicar colei che in cor l’appella.
S’appressa ardito e la parola scioglie
d’ardir ripiena e di timor rubella:
«Troppo presso, signor, sète a costei,
né voi né maggior uom degno è di lei.

42Or lassa tela a me se non vi è caro
più che l’onor e ’l viver la follia».
L’altro il riguarda, e tienne conto al paro
d’un uom che ’n tutto fuor del senno sia.
La bella donna, d’intelletto raro
più che alcuna che fusse o poscia o pria,
e che avea sempre nella mente amore
ben conobbe il guerrier d’alto valore.

43Ben conobbe Giron, che innanzi gli era
la notte e ’l dì, quantunque ei fusse altrove.
Parvegli aver de gli Angioli una schiera
che le mandasse il sacro santo Giove;
allor con voce signorile altera
il crudo cavalier da sé rimuove:
«State» disse «lontan, che noi non sète
degno di me, né dell’onor ch’avete.

44So che con voi non mi terrete, omai
tal difensor per me l’impresa toglie,
e se non mi lassate eterni guai
tosto n’averete, credo, e mortai doglie.
Questo val più che tutti quelli assai
e tutte le virtù nel sen raccoglie:
se non volete aver vergogna o morte
non tentate con lui novella sorte».

45Il re Laco rispose: «o donna altera,
se mettete in costui vostra speranza
ne sarete ingannata innanzi sera,
ché più che ’l senno la follia gli avanza.
Ben par membruto et ha sembianza fera,
ma gli manca voler, cuore e possanza,
e se voi ’l conoscete ben, come io,
il terreste guerrier fallito e rio».

46Ma il cortese Giron, mentre ch’ei dice,
«Lassate omai la bella donna andare,
se non ch’io vi farò tristo e ’nfelice,
codardo e vile e diventar mio pare»,
minaccioso gli replica, e vittrice
mostra la man che ’l deve gastigare,
e nel mezzo al cammin spinge il cavallo
per emendar con l’arme ogni suo fallo.

47Quando il greco alla fin che fa da vero
vede Girone e che ubbidir non vuole,
comincia: «O folle, tristo cavaliero,
ove non può giovar le mie parole
e che l’arme adoprar sarà mestiero,
farò qual s’uno agnello il lupo suole,
e sfogherò vêr voi tale ogni sdegno
ch’eternamente poi n’avrete il segno».

48«Or sappiate» Giron risponde allora
«che s’io son folle, io vi farò ben certo
ch’assai voi più di me ciò sète ancora,
e mostrerollo a tutto il mondo aperto».
Lassa Laco la donna e se ne accora
che ’l menarne il suo ben gli sia differto,
e gli dice: «Invidioso e mal creato,
pur di nuocervi al fin sarò sforzato.

49E so ben che mi fia biasmo e vergogna
di prender or quistion con pari a voi,
ma vilissimo verme anco bisogna
premer talor quando soverchio annoi».
«Ah,» risponde il Cortese «a me bisogna
la scusa far di quel che fia tra noi,
che travagliato sète, io fresco sono
tal che a me stesso a pena mi perdono.

50Ma vi assicuro ben che s’ei non fosse
che io non vi vo’ lassar sì degna preda,
non avrei di giostrar parole mosse
fin che la forza in voi salda non rieda.
Pur tutte cerimonia omai rimosse
o convien che la donna mi si ceda,
o che voi così stanco, io così folle
facciam questo terren da sangue molle.

Girone batte Laco e entra nella selva con la moglie di Danaino: si fermano ad un fonte e si svelano il reciproco amore (51-104)

51l’altro, che vede al fin voglia o non voglia
che gli convien passar questa avventura,
acceso tutto di furore e doglia
trae fuor la spada, né di lancia ha cura;
e con quella fierezza che mai soglia
pardo assalir un cervo alla pastura,
o contro una cicogna irato drago
ne va verso Giron di sangue vago.

52Il qual, quando vêr lui vede che viene,
si scosta al quanto e via la lancia getta,
ch’a cavaliero errante non conviene
cercar vantaggio, e tira il brando in fretta,
e con tutto il poter ferì sì bene
l’elmo, che simil colpo non si aspetta,
che l’ingannato greco, e ’n vero stanco,
per l’estrema gravezza si vien manco.

53Né poté far che sopra il primo arcione
non cadesse già vinto a capo basso;
la spada, per soverchia stordigione,
gli uscì dal pugno intormentito e lasso.
Non si ritien per questo il gran Girone,
s’avventa e, dopo orribile fracasso,
con ambe mani all’elmo poi l’afferra
e con sommo suo mal lo scaglia a terra.

54E lo scagliò sì forte e sì lontano
e con tanto corruccio e con tant’ira
come talor veggiam stanco villano
che dorme all’ombra ove Favonio spira
gettar lunge da sé vespa o tafano
che l’ha svegliato e ’ntorno se gli aggira,
poi che improvisamente il sopraggiunge
mentre esso il pugno ancor gli fiede e punge.

55Diè sì gran colpo il greco tramortito
ch’ei non si rimutò dopo grand’ora.
Giron, poscia che ’l vede a tal partito,
alla donna gentil che l’innamora
addrizza il passo, e con parlar gradito
dice: «O signora mia, poi che siam fuora,
la Dio mercé, di quel che ne ’mpedia,
comandi ov’ella vuol prender sua via.

56Et ella, ch’era in sé tanto gioiosa
che d’esser desta non si crede a pena,
lui guarda solo e di parlar non osa,
sta di dolcezza e maraviglia piena;
infin che ’l suo Giron la faccia ascosa
dell’elmo scuopre e mostra la serena
vista, ch’ella ama più, più onora e cole
che i nudi prati dopo verno il sole.

57Allor riprende, dopo alquanto, ardire,
e gli dice: «Signor, che sète speglio
di bontà, di virtù, d’alto desire,
e di quanto è miglior la cima e ’l meglio,
perdon vi chieggio s’io non posso dire,
ch’io non son certa ancor s’io dormo o veglio,
e ’l timor vecchio e la novella gioia
cagion son quasi che vivendo muoia.

58Ma s’io no ’l so narrar, non resta in core
ch’io non pensi e non sappia quanto io deggio
al vostro famosissimo valore;
e grazia al Ciel divotamente chieggio
che vi faccia saper che con l’amore,
se non con l’opre, supero e pareggio
quell’alte obligazion ch’io riconosco
ora e mille anni son di tener vosco.

59Rimasa sola son, come vedete,
le donne e i cavalier fuggiti e morti.
Voi la salute e la mia guida sète,
voi sol che mi riconsoli e conforti.
Ma poi che ’l meglio e ’l più condotto avete,
so che farem per dal Cielo scorti
infin che arriveremo a salvamento
al nostro desiato alloggiamento».

60Le rispose Giron: «Or non vi caglia
che sì lunge non è la compagnia
che tosto non l’aggiam per la boscaglia
ove più dritto il cammin nostro sia».
Poi, perché Amore i sensi abbarbaglia,
senza più oltra dir si mette in via,
ella il segue e lì sol lascian stare
il re Laco meschin che morto pare.

61Come la donna sola si ritruova
con quel che l’ama più che ’l proprio core,
il vento de i sospir, di pianto piova
cangia in lieti pensier di antico amore.
Va misurando la mirabil pruova
del suo bel servo e l’acquistato onore,
l’è passato il dolor, l’avuta tema,
e di vera dolcezza or suda or trema.

62E rende grazie umilemente al Cielo
che dopo tal disgrazia ha tal ventura;
poi lui riguarda e con ardente zelo
loda i begli atti, i modi e la figura.
Più bel le sembra che ’l signor di Delo,
e che ’l feroce Dio che l’arme cura
e valoroso il chiama, forte e saggio
come Nettuno e Giove e d’avvantaggio.

63Anzi le par ch’ogni divina forza
per avanzar se stessa si ponesse
a far più rara et onorata scorza
ove il spirto miglior all’ombra stesse;
in cui cosa mortal mai non ammorza
l’alta virtù ch’al nascer suo gli impresse,
e chi vuol dir valor, gloria e ragione,
cortesia, grazia, onor dica: Girone.

64Or si truova ella al più richiesto loco
in più bella stagion e commoda ora,
da ritentar se ’l suo soverchio foco
si potesse acquetar con più fresca ôra.
Pensa fra sé di cominciar per gioco
e seguir poi secondo che vien fuora
dolce o cruda risposta, e che le insegni
Amor ch’affina i più selvaggi ingegni.

65Quasi vuol dire, e si ripente poi
e pensa d’aspettar a notte bruna
ove si ardisce più ne i desir suoi
non vista in viso da persona alcuna.
Poi replica: «Chi sa s’oggi fra noi
metta altro impaccio l’invida fortuna?
Chi ha tempo e l’attende è sciocco e stolto,
ché perde il poco e non ritrova il molto.

66Il meglio è pur parlar, ma s’ei risponde
come altra volta, già che farò io?
Pria tra Scilla e Cariddi in le crude onde
o nel foco perir mi faccia Dio,
ch’io quel cor turbi ove ogni bene infonde
l’immortal Padre, fuor che l’esser pio,
e ch’io gli dia cagion che ’n sé mi chiame
tralle impudiche donne la più infame.

67Tacciamo adunque, ma se certa sono
che ’l mio silenzio mi conduce a morte;
seguane pur, che vuol non saria buono
cercar per scampo suo più dolce sorte?
E s’io me stessa all’ultimo abbandono
chi verrà che m’aiute e mi conforte?
Forse non fia crudel, com’è già stato,
ch’ogni cosa mortal cangia suo stato».

68Ma la donnesca e nobile vergogna
le ritoe della lingua la parola.
Vien quale infermo che vegliando sogna
né di donna ha, se non l’immagin sola,
il resto ha pietra; e dove più bisogna
aver ardir Amor tutto l’invola.
Va muta e senza senso, e ’l viso smorto
che ben se ne sarebbe ogni altro accorto.

69Ma il cortese Giron, che colmo il seno
avea d’alti pensier non se ne accorge,
che da i dubbi medesimi, non meno
che a lei, cade or l’ardir or gli risorge.
Tien gli occhi fissi al florido terreno,
nulla il misero sente e nulla scorge,
se non che come Amor muove il suo impero
va cangiando co ’l cor voglia e pensiero.

70E dice pur ch’al mondo mai non nacque
più bella di costei, leggiadra e vaga,
e non è maraviglia s’a lui piacque,
e di lei chi la guarde Amor impiaga,
ché può i monti far gir e fermar l’acque
più che Circe o Medea con l’arte maga,
co i suoi dolci atti e con la chiara luce
ch’ogni splendor del cielo in terra adduce.

71E poi se stesso il misero riprende,
che gir tanta ventura lassa in vano,
e che ’l sommo diletto non si prende
ch’Amor gli ha messo in grembo di sua mano.
Or si raffrena tutto or si raccende,
or va presso al dever or va lontano,
or contro a lei si cruccia e tutto nega,
or fa seco la pace or la riprega.

72Pur si sveglia il valor e dice: «Come
vuoi far al tuo compagno oltraggio tale,
et imporre al suo onor sì gravi some,
anzi al tuo proprio, ove pentir non vale?
S’ella ha il bel volto e le dorate chiome
il portamento alla Ciprigna eguale,
s’ella ti strugge il cor, se in preda l’hai
quanto più te ne astien, più gloria avrai.

73Non sai tu ben che non può far bell’opra
mai più colui che simil fallo feo,
ché l’atra conscienza ha sempre sopra
che gli dice villano, infido e reo?
Prima questo terren vivo mi cuopra
o ’l Ciel m’ancida come Capaneo
ch’io acconsenta pur con l’alma sola
quel ch’ogni pregio a chi più ’l brama invola.

74Confesso ben che se venisse ancora
come altra volta a domandarmi aita,
non sarei sì severo, come allora,
in denegarmi a cosa sì gradita,
ché troppo micidiale et empio fora
chi tormentasse, ohimè, sì chiara vita,
e forse anco scusato ne sarei
da i più giusti tra gli uomini e gli dèi.

75Ché saper ben no ’l può se non chi ’l pruova
quanto di nobil donna ponno i preghi,
che bella bocca ornatamente muova
e sospirando sue ragioni alleghi.
Qual scoglio d’adamante si ritruova
che non arda all’udir non pur si pieghi?
Massime essendo soli e ’n mezzo un bosco,
tra fiori, arbori e fronde all’aere fosco.

76Com’or lasso sono io, che veggio bene
scender veloce il sol verso l’Occaso,
nessun de i suoi per ritrovarla viene
ove scorta e signor le son rimaso,
e penso che restar qui ci conviene
fuor d’ogni albergo ove ci porta il caso,
di che mi doglio e mi rallegro in parte
qual uom che brama e dal dever si parte».

77Ma la donna, ch’amor più forte punge
e che men sa resistere alla voglia,
mentre che l’altro con ragion si aggiunge
e quanto puote i desir torti spoglia,
il richiede a che pensi, e poi soggiunge:
«Qual vi fère oggi il cor novella doglia?
E perch’io so come il silenzio aggreva
e ’l dolce ragionar l’alme rileva,

78e fa il camin parer più piano e corto
e ch’egli è la lettica più soave,
s’io vi domando, o cavaliero accorto,
di tornarmi risposta non vi grave:
chi guida l’uom più presto e meglio scorto
al valor vero che ’l cor nobil have
per proprio oggetto et a prodezza d’arme,
virtù che ’n voi veder divine parme?».

79Tosto risponde il buon Giron cortese,
che vede al suo desir materia certa:
«Amore è quel che all’onorate imprese
accinge l’uomo e la sassosa et erta
montagna un erbosissimo paese
piano e campagna facile et aperta
ne mostra al mondo, e fa che notte e giorno
d’ogni altera virtù si faccia adorno.

80D’un vil cervo un leon può fare Amore,
può far fino oro dell’abbietto loto,
può sopra il maggior ciel portare un core
che per sé nasca d’alto desir vòto;
accende cortesia, spegne furore,
di buon nome e di gloria il fa divoto.
In somma io dico ch’amorosa sorte
è vita d’ogni ben, d’ogni mal morte».

81«Molto è possente dio per quel ch’io intendo,
da voi,» dice la donna «e ’l credo ancora».
Le seguita il baron: «Da me ’l comprendo,
che s’io feci opra di valor talora
alle sue fiamme sol grazie ne rendo,
et al poter ch’ascoso in lui dimora,
e tanti cavalier c’han fatto e fanno
sì chiare cose a lui la gloria danno.

82E chi, se non Amor, condotto avrebbe
quel nobile guerriero a tale impresa,
che scacciò i vostri e voi per sua terrebbe
se da me non giungea tosto difesa?
Esso l’ardor, l’industria e la forza ebbe
da quel che vince ogni uom senza contesa.
E per narrarvi il ver senz’il suo aiuto
non l’avrei, credo, anch’io così battuto.

83Ma sentii quel fanciul cieco et alato
che ’l braccio mi levava e spingea il brando,
e ’n pochi colpi lui gettò sul prato
e voi mi diede, e tolse al suo comando».
«Come» disse la donna «innamorato
adunque sète a quel ch’io vo pensando?».
«Sì (rispose Girone) e non per gioco
ch’altro non fugia mai più ardente foco.

84E vi assicuro ben che ’l più felice
mi tengo del mio amor ch’ogni altro mai,
perch’una luce angelica beatrice
tutta composta di celesti rai,
m’abbaglia e pasce, rende vincitrice
questa mia man da poi ch’io l’adorai,
e pur la pruova ancor ven ho dimostra
oggi, et ier prima al torneamento e ’n giostra.

85Onde Amor prima e la mia donna poi
di quanto acquisto onor ringrazio e lodo,
e pur ch’io sia davanti a gli occhi suoi
in tormento, in dolor, in morte godo;
né sento cosa in me che l’alma annoi
come io chiamo il suo nome o chiamar l’odo,
e non mi resta al mondo altro desire
che lei sempre amare e ben servire».

86La innamorata donna quando sente
quel ch’è suo sommo ben parlar cotale,
ben si pensa ella e crede veramente
d’esser colei per cui dice esser tale.
Pur far non può che nell’accesa mente
non passi a dentro alcun geloso strale,
ché se ben così bella esser si vede,
ciò che troppo si brama mal si crede.

87E tinta in volto di vergogna e tema,
con amoroso sguardo e dolce riso,
«Ben ha» disse «avventura e grazia e estrema
colei ch’è in terra il vostro paradiso,
e se vi dà cagion che duol vi prema
troppo d’ogni ragione ha il cor diviso,
e veramente uscir d tigre o d’orso
chi vi negasse mai pace o soccorso.

88E vi prego, signor, che non vi spiaccia
dirmi chi sia costei che sì pregiate».
«Quel ch’a voi piace a me convien che piaccia,
e vi rispondo a quel ch domandate,
ché costei che ad ognior m’arde e m’agghiaccia
di virtù fonte, specchio di beltate,
chiaro sol di bontà, d’onor colonna
è dea sopra le dèe, non mortal donna.

89Né fu mai cavalier che tanto amasse
com’io fo questa e l’amerò mai sempre»,
così dicea Giron, tenendo basse
le luci a terra in vergognosa tempre.
Poi con le voci assai tremanti e lasse,
come chi di timor e duol si stempre,
ma sciogliendo la lingua al fin soggiunse:
«Voi sète quella che mi punge e punse».

90E volea più seguir, ma non potea;
et ella di color fatta di foco,
con tanta gioia in cor che non capea
pur in se stessa e non ritruova loco,
dopo un alto sospir gli rispondea:
«Se non ch’io penso che ’l diciate in gioco
e per forse tentar i pensier miei,
so ben potendo quel ch’io vi direi;

91ma non so già perché a schernir prendete
chi vi onora, chi v’ama, adora e cole.
E che questo sia ver coi vel sapete
per le mie proprie e per l’altrui parole,
che s’io bevessi mille volte a Lete
vi vorrei sempre per mio duce e sole,
né vi potrei mai metter in oblio,
ché così vuole Amor e ’l destin mio.

92Per rifiutarme ancor la terza volta
questo mi dite, e torto ve ne assegno,
ché, se ben mostro aver la mente stolta
in amar uom che d’una dea sia degno,
sia la giusta ira vostra in pietà volta
vinca il mio buon voler il vostro sdegno,
riguardate il mio cor che aperto mostro
e non l’alto valor e ’l merto vostro.

93Lo schernir una inferma e semplicetta
e che viver non può non è gran lode,
al più gran cavalier ch’elmo si metta
e ch’ama il vero onor, fugge la frode.
Piove dal Ciel al fin giusta vendetta
sopra chi troppo d’altrui mal si gode;
or vi basti, vi prego, il duol ch’io sento
senza accrescer più l’esca al mio tormento.

94 E se prigion per altra vi sentite,
parlerò contro a me per vostro bene:
sien el voglie di voi tutte compite,
né vi possa mai dar travagli o pene;
sia tal qual io sarei, che mille vite
e mille poi s’al piacer vostro viene
spenderei certo, e per voi d’esse priva
mi terrei più che mai contenta e viva.

95Non potrei creder ben ch’a voi piacesse
sì forte quel che tanto già vi spiacque,
né che ’l cor vostro d’una fiamma ardesse
che di vederla in altri non vi nacque.
Pur se ’l proverbio qui suo luogo avesse,
che ’n alto vola il foco, in basso l’acque,
e ’n generoso spirto Amor fa stanza,
prender potrei di voi qualche speranza».

96Quando l’ode Giron, turbato tutto
alla donna chiarissima ha risposto:
«Io vi confesso e non co ’l volto asciutto
che io ho fallito e che venuta è tosto
la penitenza, che ’n dolore e lutto
converso m’have, e son più che disposto
di portarne or la pena ch’a voi piace
pur che perder non sia la vostra pace.

97E se per vostro umil buon cavaliero
mi volete accettar, vi do la fede
di sempre esser leal, puro e sincero
qual conviene a beltà ch’ogni altra escede.
Voi sola il freno e ’l soprastante impero
di me terrete, e d’altr mai mercede
non mi vedrete, o donna, esser avaro,
se non che ’l mio servir non sia discaro».

98Or se la innamorata di buon zelo
il prendesse in suo cor pensil chi brama;
ella non porta invidia a Giove in Cielo,
Amor ringrazia e sé beata chiama;
non cura or più chi mortal aggia il velo,
possedendo un guerrier di tanta fama.
Ella il riguarda fiso e dolcemente
con atti e con parole gli consente.

99Qui va tacendo l’una e l’altra parte,
godendo seco in sen la grazia avuta,
trova angusto il sentier che si diparte
dalla strada maggior e ’l cammin muta
Giron, che il riconosce con bell’arte;
s’invia per esso, e lei pensosa e muta,
che non conoscer finge, ad una fonte
conduce ove adombrava un picciol monte,

100ch’ad un prato verdissimo fa spalle
ma cinto intorno di frondose piante
che faceano amenissima una valle
che ’n Cipro avanzerebbe tutte quante.
Le violette perse, bianche e gialle
il più rozzo pastor farieno amante,
il vago cristallin delle fresche onde
fiamme amorose sotto il ghiaccio asconde.

101Lì comincia Giron: «Io son sì lasso
del travaglio di ier, donna gradita,
ch’io mi sento di forze vinto e casso
s’a sì bell’ombra, ch’a posar n’invita,
non fermo alquanto il faticato passo
per dar ristoro all’affannosa vita,
e con queste onde trar l’estiva sete
s’a voi non spiace, che patrona sète».

102Et ella, che pregato ne l’avrebbe
s’avesse avuto di pregarlo ardire,
disse ch’a lei gran commodo sarebbe
ch’egli adempiesse sempre ogni desire.
Dismonta tosto adunque e poi ch’egli ebbe
il corsier messo ove non può fuggire,
il caro incarco della donna prende
e sopra l’erba da caval la scende.

103Trattosi l’elmo, poi lo scudo, e quello
e la lancia vicino alla fontana
alluoga sopra un commodo arboscello;
ma la spada non vuol da sé lontana,
ch’Ettor il Brun ch’amò più che fratello,
gliel’avea data, e di tempra è sovrana,
e più cara gli fu che ’l core stesso:
in disparte la pon che sia più presso.

104E per adempir poi l’empio concetto
che illegittimo Amor gli ha posto all’alma,
alle gambe, alle braccia, a i fianchi, al petto
con fretta scarca la ferrata salma,
et a cercar non lecito diletto
per mare ontoso la barchetta spalma,
né del compagno, né del vero bene,
né del proprio dever più gli sovviene.

Girone si ravvede grazie a un’iscrizione sulla propria spada, e per il dispiacere tenta di suicidarsi, ferendosi gravemente (105-139)

105E mentre ch’è già tutto apparecchiato
per gir ove la donna ha volto il piede,
cader la lancia ch’era da quel lato
sopra il suo brando rovinosa vede,
ch’alle sponde del fonte era appoggiato;
il qual dal greve colpo che lo fiede
senza ritegno aver va giù nell’onde,
e nel profondo sen tutto s’asconde.

106Là corre il cavalier e quel ripesca,
il me’ che può dopo fatica molta,
del foder trarlo per veder s’egli esca
facile ancora, sotto sopra il volta;
l’asciuga e netta, che ’l suo mal non cresca,
dal capo al piede, e non pur una volta.
E ’n questo ch’ei l’esamina e procura
a lettre che vi son mette più cura.

107Avea fatto intagliar sopra la lama
l’invitto cavalier Ettore il Bruno:
LEALTÀ RECA ONOR, VITTORIA E FAMA,
FALSITADE ONTA E DUOL DONA A CIASCUNO.
Il buon guerrier, che ’l vero ben sol ama,
e ch’oltraggio ancor mai fece a nessuno,
e che in mille sventure era ricorso
all’onorato scritto per soccorso,

108come se non l’avesse lette o viste
le riguarda sovente e le rilegge,
e con parole sbigottite e triste
la mala intenzion sua ricorregge.
«Sconce voglie d’amor, come veniste
contra ogni mio dover, contra ogni legge
a macchiar questo cor ch’io son sicuro
ch’è stato in fino a qui candido e puro?»,

109dicea cruccioso, «e come potrò mai
tra i cavalieri erranti comparire,
s’a chi mi onora più d’ogni altro assai
or procaccio disnor co ’l mio fallire?
s’a chi cerca il mio bene io dono guai?
se chi sol crede a me penso tradire?
s’a chi m’è liberal sono empio ladro?
s’al più candido cor son scuro et adro?

110Come potrò più dritta sostenere
la spada in man dopo sì acerbo fallo?
Come potrò tra le nemiche schiere
bassar la lancia e spingere il cavallo?
Ben fur dolente augurio l’arme nere
ch’io portai nell’esercito norgallo,
che mostràr che per me sepulta sia,
spenta e dannata la cavalleria.

111Che poca occasion, che piacer breve
corrompe, ahi lasso, un’onorata vita?
Nessun fidarse in se medesmo deve
se da Dio non gli vien sicura aita?
Sol in un punto come al luglio neve
ogni gloria ch’avea veggio sparita,
ma così vuol il Ciel perch’io m’avveggia
ch’uom che non va con lui sogna e vaneggia».

112E con questi pensier lasso si asside
fra i verdi cespi e ben vicino all’onde.
La bella donna, che da lunge il vide,
però ch’Amor nulla i suoi servi asconde,
ben un nuovo accidente in lui s’avvide
ch’avea la mente disviata altronde,
ch’al tornar verso lei dove l’aspetta
or perde il tempo e prima avea tal fretta.

113E con quelle dolcissime parole
e più cari sembianti ch’ella puote
gli dice: «O signor mio, che cagion vuole
che cangiate così pensieri e note?
Perché lieto non sète come suole
chi sia più in alto all’amorose rote?
Non vi incresca, vi prego, il far risposta»;
e così più vicina se gli accosta.

114Ei s’allontana allora, e dice: «Come
mi domandate voi che duolo io sento?
che l’alma trema e s’arriccian le chiome
pensando meco al grave mancamento
ch’io m’apprestava a far, e l’empie some
d’onta, di mal voler, di tradimento
sopra il cor disleale io mi recava
s’al gran bisogno il Ciel non mi aiutava.

115Ma se ’l fatto non, ci è l’intenzione,
e ’l torto mio disegno mi condanna
ch’io non deggia più viver a ragione
se ’l già chiaro veder il senso appanna.
Io non son più quel già fedel Girone
che solo in dritto e ’n cortesia s’affanna;
io son un scelerato, c’ho ingannato
il miglior cavalier che vada armato.

116E quel che per non fare a me disnore
mille aspre morti sopportar vorria,
io per breve piacer ripien d’orrore
cerco a lui far gran danno e villania.
Io non viverò più, finischin l’ore
c’han qui condotta questa vita ria,
e di me prenderò quella vendetta
ch’a prender d’altri al mio dever s’aspetta».

117E mentre così parla a lei non guarda,
ma nella spada sua ferma la vista,
che luce come fiamma che a notte arda
la più bella e miglior che mai fu vista.
Poi, con voce tremante, all’uscir tarda,
roca, dogliosa, disdegnosa e trista
pensando al caso suo crudo e ’nfelice
con lei sfoga la colpa e così dice:

118«Cara mia spada, e mentre che ’l Ciel volse
celebrata fra l’altre in ogni parte,
quante vittorie e quante palme colse
teco il guerrier nomato in mille carte?,
quel che tanto valor in sé raccolse
che già fu detto il successor di Marte,
di bontà specchio e di fortezza torre,
più generoso e buon dell’alto Ettorre?

119Quanto più degna e più pregiata mano
fu quella che degnò darmiti in dono:
ma i non fece atto da guerrier villano,
né fu mai nel peccato ove oggi sono;
ché dal dritto cammin vo’ sì lontano,
ferro onorato, che d’aver perdono
da te non merto, ma giustizia intera
domando in questa selva e ’n questa sera.

120E se meco venisti in loco mai
onde tu riportassi onore e lode,
se mai le spalle in guerra non tornai
né difender ti feci inganni o frode,
se dal sangue innocente ti guardai
e se già cavalier famoso e prode
fui nel passato, or che ’l contrario vegno
di vendicar te e me non aggia a sdegno.

121Ché non si possa dir che in mano andasti
senza vendetta d’infedele e rio,
e che me tuo signor mai non lasciasti
impio restar di sì cortese e pio,
ma che mentre conforme mi trovasti
al buon voler del’immortale Dio,
fida compagna fussi e buona amica,
poi nell’opre diverse aspra nemica.

122Sicura adunque questo cor trapassa
ch’è principio e cagion de i falli miei,
questo che i miglio passi indietro lassa
e che l’orme ha seguito de i più rei.
trami ora mai di questa vita bassa
tal ch’ogni uom dica, spada, che tu sei
a i fidi cavalier benigna sorte
a chi sia disleal tormento e morte».

123Così dicendo il braccio innanzi stende
quanto più puote e slunga ben la spada;
poi con la punta se medesmo offende
e ne fa al petto sanguinosa strada.
Ella fra le due coste il cammin prende
infin che a dietro più che mezza vada.
Poi con più cuor che mai di fuor la tira
e l’altro colpo di donarsi aspira,

124ma la donna gentil, che ivi si truova,
e che vie più che lui ferita resta,
con voce orrenda sì dogliosa e nuova
ch’empie di pianto tutta la foresta,
sopra s’avventa e che la man non muova
il prega afflitta, lagrimosa e mesta.
Ei roverso è caduto, ella gli è sopra,
e quanto può che non si uccida adopra.

125La piaga era pur grande e molto il sangue
che già versava, ond’ei già fatto frale
non può ben contrastar; ma così esangue
cerca donarsi ancor colpo mortale.
Ella l’avvinchia intorno come l’angue
suol la cicogna a i fianchi, al collo, all’ale,
che l’ha trovata in arenoso lido
e la porta per esca a i figli al nido,

126dicendo: «O cortesissimo guerriero
che vi fa contra a voi sì discortese?
Chi contro a quel che vale il mondo intero
in così stran pensier, ohimè, v’accese?
De, se voi volete esser crudo e fero
siatelo sol contro a chi già v’offese,
siatelo contro a me, contro al mio core,
sfogate sopra noi l’ira e ’l furore.

127Io miserella merito, e ’l confesso,
la punizion che a voi donata avete.
Perdonate, signor, prego, a voi stesso
e della morte mia vi vegna sete.
Dalla vostra bontà mi sia concesso
ch’io vada innanzi a passar l’onda in Lete,
e poter dir di questo mi è cagione
la cortesia del mondo, il buon Girone.

128Voi pensate di fare in voi vendetta
e ’n me la fate, ché più sento doglia.
Che farà la mia vita se soletta
di voi riman che ’l mio peccato spoglia?
In me tutta la colpa si rimetta
che, per torta nel ciel, ma dritta voglia,
in amor, in virtude et in natura
m’ha data più di voi che d’altri cura.

129Se fuste sì pietoso e pien d’amore
verso il marito mio pregiandol tanto,
come aveste vêr me sì crudo il core
che in eterna onta, in sempiterno pianto
mi cercate lasciar? per qual errore?
per qual mio fallo? per amarvi quanto
più si conviene a dio che ad uom mortale?
Dritta cagion ch’io sia condotta a tale.

130Non vedete voi ben, signor mio caro,
che amor fu prima e la natura al mondo
che aspra legge facesse il nodo avaro
del sponsalizio duro et ingiocondo?
Che i padri empi e le madri a paro a paro
ne congiungesser lassi e non secondo
il natural desio che ne sospinge,
ma secondo che ’l commodo dipinge.

131Chi non sa che se voi vedeva il primo
o pur a canto al meno a Danaino
il qual onoro, in vero, e molto estimo,
poi che ’l Ciel così vuole e ’l mio destino,
sarei prima tornata polve e limo
che l’amico, il parente e ’l buon vicino
m’avesse in mille lustri persuasa
ch’io fussi senza voi di lui rimasa?

132E s’io m’accorsi poi de i danni miei
e dell’alte virtù c’hanno in voi regno,
perch’è ’l nostro desir posto tra i rei
ch’è di pietà più che d’altro odio degno?
E volentier con voi disputerei,
se voi non fuste in ciò qual piombo o legno,
che torto fate al buon compagno vostro,
se ’l Ciel di me bramar oggi vi ha mostro».

133Questo dice e molto altro, e ’ntanto piagne,
raccomanda se stessa e lui conforta,
non può far il guerrier ch’anco ei non bagne
il volto per pietà che di lei porta.
prega poi Dio che l’alma di scompagne
dal corpo che seguia la strada torta,
e con quel poco spirto che gli resta
le dice in voce sbigottita e mesta:

134«Deh, non vi sia noioso il morir mio,
onorata signora, e caro aggiate
ch’io sol la pena del peccato rio
paghi, com’è devere, e vi restate
dopo me in vita quanto piace a Dio,
la qual prego che sia per lunga etade.
Né vi dèe con ragion nascer timore
che ’l mio così passar vi dia disnore,

135perché nessun già mai pensar potrebbe
ch’io m’ancidessi per aver fallito,
né che voi ciò faceste creder debbe
uom che aggia senno, e men vostro marito.
So che mi amate, ma v’increscerebbe
di vedermi ad ognior tristo e smarrito,
peggio che morto, al duolo in abbandono,
però della mia fin mi fate dono;

136che da voi non potrei più dolce grazia
in questo punto aver, né poi né sempre.
E se non fuste mai stanca né sazia
d’adempier le mie voglie in ogni tempre,
lasciate il spirto uscir, che già ringrazia
la forte spada e par si strugga e stempre
di fuggir questi lacci e questo peso
che l’han legato e sì vilmente offeso.

137E torto avete a dir che ’l fallir nostro
più vostro sia che mio, perché vel nego;
fragile è per natura il sesso vostro
e durissimo è l’uomo, onde io vi prego
restate sola in questo mortal chiostro;
e s’al vostro desir nulla mi piego
maraviglia non sia, tanta gran doglia
m’ha portata la vostra anzi mia voglia».

138Più volea dir ancor ma il sangue versa
e gli fura le forze a poco a poco.
L’altra di pianto e di dolore aspersa
or è tutta di gelo or tutta foco;
vorrebbe in fin nel centro esser sommersa
né partirsi acconsente di quel loco
ove il suo sommo bene in stato vede
che d’averlo perduto al tutto crede.

139Resta pur ivi, e la sa destra mano
per parole o per preghi mai non lassa.
Vorria parlar ancor ma tenta in vano
tanto è già roca, sbigottita e lassa.
In questo arriva un cavalier villano
venuto espresso e non a sorte passa,
ch’era di Maloalto a lei vicino
ma non servo domestico o cugino.

Un cavaliere malvagio tenta di rubare la spada a Girone ma è scacciato (139-160)

140Costui sendo a cammin si trovò a caso
quando prima il re Laco e poi Girone
fèr l’alte pruove, e stupido rimaso
seguitò questi due co ’l cor fellone,
avendosi il malvagio persuaso
che già sendo scura la stagione
ei voglin sodisfar allor desire
e veder vuol per poi poterlo dire.

141Avea il caval lassato lunge al quanto
e postosi in un arbore frondoso,
e ’l tutto avea già visto d’ogni canto
tanto era presso e così bene ascoso.
Or poi che scorge lui ferito e ’l pianto
di questa miserella al fonte ombroso,
si rappresenta ove la coppia giace
e nel principio come amico face.

142Gli saluta e gli mostra aver pietade
dell’uno e l’altro nella prima vista;
riguarda poscia il fior dell’altre spade
e di ben riportarla seco stima.
ben sa com’ella punge e come rade
e che di quante son ritien la cima,
che la pruova ne vide nel re Laco
quando apparve Giron leone e draco.

143Vede lì tanto sangue e lui per terra
steso giacer ch’a pena il fiato muove,
pensasi averla senza molta guerra
ma con parole e poi null’altre pruove;
prender la vuol, ma il buon campion la serra
e gli occhi volge ch’avea dritti altrove:
è ’l guardo sì terribil nell’aspetto
che gli fece tremar il cor nel petto.

144Poi si leva a seder, quanto può meglio,
e con la voce quanto sa più forte
disse: «O vil assassin, io mi risveglio
forse che ciò sarà per la tua morte.
Non fu mai cavalier moderno o veglio
che mi toccasse l’arme di tal sorte
ch’io no ’l fessi dolente e proverai
che virtude e valor non moron mai».

145Quando ciò sente l’altro si ritira
quattro o sei passi spaventato indietro.
Si rigiace Girone e poi sospira
per la bocca versando sangue tetro.
L’innamorata donna lui rimira
piangendo più che mai, poi che di vetro
vede cader di mano ogni speranza,
e dice: «Poco spirto omai gli avanza».

146L’altro, ch’era ivi e che ’l medesmo avisa,
e che pur guadagnar la spada agogna,
a lui ritorna a quella istessa guisa
senza aver più che pria punto vergogna.
il buon campion, quantunque senta ancisa
al forza in lui, risorge ove bisogna,
e può sì l’ira in lui che in piè si leva,
che piaga il vero onor mai non aggreva.

147E gli dice cruccioso: «Or non si fide
nell’arme che si veste alcun codardo,
che ’l valoroso l’apre e le divide
non dirò con la spada ma co ’l guardo.
E se ben sanitade e ’l Ciel t’arride
et io d’infirmità son frale e tardo,
farò che innanzi a me nell’altra vita
porterai nuove della mia ferita».

148E con queste parole fa sembiante
di volergli cacciar la spada al fianco.
Quel, che avea conosciuto poco avante
quanto vaglia un suo colpo, divien bianco,
e si parte di là, tutto tremante,
e l’onorata donna nel prega anco
dicendo: «Ora lassate ch’egli è tale
ch’ogni colpo ch’ei dà sempre è mortale.

149Questo che ’l suo difetto scusar brama
dice che in carità tutto facea,
perché lassar sì bella e forte lama
perder allor gran danno gli parea:
«Ma poi ch’ad uom di sì sonora fama
ancor ci lascia la fortuna rea,
è ben dever che a lui si resti in mano
come al miglior che sia presso o lontano».

150Partesi adunque e ’l suo cammin riprende
verso ove fu la di sconfitta fera,
perché d’ingiusta collera s’accende
che lo scacci uom a cui la vita pèra,
e di là ritrovar che in vano attende
l’afflitto e gran re Laco seco spera
per dargli nuove e ’n animo gli metta
di far contro a Giron crudel vendetta.

151E come immaginava ivi ritrova
lo sventurato greco, ch’è risorto,
che alto lamento e lagrime rinuova
e non vuol più sentir pace o conforto;
ma si duol sol ch’alla primiera pruova
come franco guerrier non restò morto,
più tosto che cader per man di quello
che stimò vile e di virtù rubello.

152Quando esso il vede da caval dismonta,
saluta il cavalier: «Dio vi dia gioia»;
il greco in voce dispettosa e pronta
risponde: «Prima il Ciel faccia ch’io muoia
che ciò mi avvegna, perché danno et onta,
di sventura e disgrazia, doglia e noia,
son di ricever da qui innanzi degno
oltr’a tante miserie ch’io sostegno.

153Perché l’uom che fortuna tien pel crine
e la lassa fuggir non merta poi
che le fatiche sue trovin mai fine
ma sempre viva in esser che l’annoi,
come a me avvenne, che delle divine
grazie che ’l Ciel suol dare a tutti noi
m’avea fatto sì ricco che cangiato
non avrei il mio contento ad altro stato.

154Venne in un punto chi spogliato m’have
e fattomi c’ho invidia al basso inferno,
e così va colui che nulla pave
e che fuor di ragione ha gli altri a scherno.
Basta ch’io sol d’ogni mio danno grave
e che far mi dèe pianger in eterno
fui la cagion e di restar deluso
ond’or me stesso e nessun altro accuso».

155Allora in cavalier tosto risponde
«Or non sapete voi che un non può fare
perdita tanto grande che d’altronde
non ne possa altro tanto ricovrare?
La fortuna simiglia le salse onde,
ch’or bassissimo fanno or alto il mare.
Or sapete voi s’ella ha disposto
di ristorarvi doppiamente e tosto?».

156«Ah,» rispose il re Laco «a me non puote
questo avvenir di che mi date esempio,
né può fortuna e tutte le sue rote
levarmi l’onta e ’l vergognoso scempio,
ch’io lasciassi di me le selle vòte
davanti a quella onde l’ingiusto et empio
Amor m’ancide, e poi della mia diva
che guadagnata avea tosto mi priva.

157Or non mi confortate, io vi supplico,
lassa temi sfogar co ’l mio lamento».
L’altro va pur dicendo: «Io vi replico
che poco andrà ch’io vi vedrò contento,
e che direte che messaggio amico
c’ha Dio mandato con benigno vento,
ch’oggi punir potere il cavaliere
che vi ha fatta onta e la sua donna avere».

158Svegliasi l’alma al forte Laco allora,
e gli domanda: «Or come sarà questo?».
Quel gli racconta il modo, il loco e l’ora
di punto in punto e ’l caso suo funesto,
e come l’uno e l’altro ivi era ancora
ma che saria vantaggio il girne presto.
No ’l può credere il greco e l’altro giura,
tanto che a dargli fede si assicura.

159Trovatosi il caval, ch’a suo diporto
senza contrasto aver pasceva in briglia,
prende lo scudo d’un ch’ivi era morto
e la lancia d’un altro appresso piglia.
Cerca tanto l’elmo che l’ha scorto
lunge dove giaceva a maraviglia,
così come di tutto in punto stanno
per cercar di Giron dritti sen vanno.