Girone libera nuovamente Serso assieme a una donzella, battendo un cavaliere (1-42)
1Già vien la notte e le campagne intorno
il verde ascondon sotto fosco manto,
e scarco omai del luminoso giorno
il ciel, ratto imbrunito d’ogni canto,
si rivolgea di mille gemme adorno,
e già svegliava l’infelice canto,
dicendo oltraggio al dipartito sole
lo svergognato uccel ch’Atene cole,
2quando Girone, ove dimora fanno
santi religiosi a caso arriva.
Ivi, già vinto dal passato affanno,
scende e dell’arme le sue membra priva.
Poscia il destrier del ricevuto danno
di fien ristora e di fresca acqua viva,
e perch’al camminar più forte sia
si riposò due notti alla badia.
3All’apparir dell’alba il giorno terzo
soletto come suol in via si mette,
tristo in suo cor che non gli pare scherzo
d’esser privato di chi più dilette,
fra sé dicendo: – S’io non sprono e sferzo
per far d’oltraggio tal giuste vendette,
per cui far lo deggio io, che tradigione
non fu fatta già mai con men cagione? -.
4Così dicendo et altre cose assai
contro al buon Danain per la foresta.
Mezzo il dì va che non incontra mai
persona a lui piacevole o molesta;
poi quando Febo i suoi focosi rai
spiega più in alto dall’aurata testa
allor ritruova un cavalier armato
con due scudier che gli veniano a lato.
5L’uno è sopra un corsiero e porta in mano
l’asta e lo scudo del signor ch’è innanti,
l’altro pur a caval poco lontano
mena due ben dogliosi ne i sembianti.
una donzella ch’ivi piange in vano
discinta in treccia e nuda ambe le piante
a piede, e un cavalier con man legate
le facea compagnia con gran pietate.
6Era legata anch’essa ma le braccia
dietro el spalle avea, l’altro nel petto.
Giron da presso gli rimira in faccia
e di tal crudeltade avea dispetto;
di doglia e di pietade s’arde et agghiaccia,
ma saver la cagion vuole e l’effetto
di tutto il caso prima, e perciò sprona
verso il guerriero e lui saluti dona.
7L’altro le rende a lui cortesemente;
gli seguitò Giron: «Saper vorrei
perché avete legata questa gente
in quella guisa che si fanno i rei».
«La donna (rispose ei villanamente)
l’ha meritato, e più ch’io non direi.
Del cavalier non dico tanto innanti
pur è degno di questo e d’altri pianti».
8Giron guarda il guerrier ch’era prigione
e riconosce ben che quello è Serso,
che così discortese era e fellone
e ch’esser s’accordò tutto il riverso.
Per questo a lui s’appressa il buon Girone,
e gli domanda se cangiato ha verso
come ei promise, e se il contrario sia
non speri favor ch’ivi gli dia.
9Guardalo Serso allor come s’unquanco
non l’avesse veduto, e gli richiede:
«Chi sète voi, signor, che s’io vi manco
mi domandate della data fede?
Vi dico io ben che son di vita stanco
e che vorrei lassar la mortal sede,
poi che sendo io malvagio trovai bene
et or fatto miglior non ho che pene.
10Non son sei giorni ancor ch’io rincontrai
un cortese guerrier che par non have,
che mi scampò di crudi lacci e guai
ove incappai per mio peccato grave,
e perché nel mal far mi dilettai
più d’altro al mondo e m’era più soave,
il far danno altrui che ’l mio profitto
e ’l torto più che la ragione e ’l dritto,
11fui forzato a prometter a colui
che mi salvò di seguitar virtute.
E come io gli fe’ creder da poi fui,
ma mi sono sventure assai venute,
che son cagion ch’io brami i regni bui
o ch’io ritorni all’opre dissolute
ch’io solea far, perché in quel tempo al meno
mi mostrò sempre il Ciel volto sereno.
12E quanto or mi persegue aspra fortuna
tanto allor m’era ai miei desiri amica,
tal che di chi ci muove sole e luna
non so ben tra me stesso che mi dica,
perché quell’uom ch’ogni bontade aduna
e che ’n giovare altrui prende fatica
aver devrebbe in terra privilegi
ch’adeguasser fra noi signori e regi.
13E che sia ver udite che m’è nato
poi che di esser da ben presi partito,
e perch’io vo così preso e legato
com’un ch’abbia la patria e Dio tradito:
l’altr’ieri andando solo ho riscontrato
questo guerrier ch’è qui, prode et ardito,
che menava legata questa figlia
disonorata e vile a maraviglia.
14Io per la fede che donata avea
a chi m’avea scampato di esser tale,
domando il cavalier perché tenea
la giovinetta in guisa d’animale;
et ella verso me forte piangea
pregando m’increscesse del suo male,
e volessi per lei prender la spada
s’altra non ho di liberarla strada.
15Io richieggio costui, tutto cortese,
ch’ei la voglia lassar di questi lacci.
L’altro in corruccio le parole prese
e mi dice ch’io cerco troppo impacci.
Io gli protesto che ’nvêr me difese
prender tosto con l’arme si procacci
se non vagliono i preghi, et ei mi dice:
– Questa impresa per voi non fia felice.
16Or seguite, signor, vostro viaggio
e lassate costei come trovate,
che meco in arme troppo disvantaggio
avreste, e non si chiama caritate
difendere i nocenti, e non è saggio
colui che senza aver necessitate
prende guerra con un che non conosce
e ne deve aspettar dovute angosce.
17E vi prometto che movendo l’arme
pe queta disonesta damigella,
che s’al Ciel piace la vittoria darme
ch’io farò voi sì com’or faccio ad ella -.
Io gli rispondo allor: – Di spaventarme
non si pensi persona in su la sella,
avvegnami che può, ché in ogni modo
intendo trar costei di questo nodo -.
18Così venimmo insieme alla battaglia,
io fui gittato tostamente a terra.
O che il buon cavalier più di me vaglia
o che forse era ingiusta la mia guerra,
o che sia ch’a fortuna assai più caglia
de i più malvagi e di chi pecca et erra,
basta ch’io caddi, né giovò il pregare,
che così avvolto e nudo mi fa andare.
19Ond’io fo voto che s’io torno mai
per volontà del Cielo in libertade
voglio esser peggio ch’al principio assai
e lassar tutte di virtù le strade,
aiutare i peggiori e portar guai
a tutti quei che avran somma bontade».
Rise Giron in sé quando l’intese
e con chi l’ha legato a parlar prese,
20domandando: «È ben ver quel che costui
d’ogni peccato suo narrato m’have?
e che per questo sol seguita vui
sì nudo e vil sotto legame grave?».
Di sì rispose, e che non ha di lui
altra cagion che ’l suo corruccio aggrave.
«Ah,» Giron disse «troppo torto è il vostro
e troppo esser crudele avete mostro,
21di condurre una donna in cotal guisa
et un cavalier senza cagione.
ben è vera virtù da voi divisa
e fuggita del tutto la ragione.
Non dèe tanta vengianza esser commisa
se non vi avesser fatta tradigione;
questa la merta solo, et anco è vile,
oprar là in quel ch’è tuo prigione umile.
22Or tosto l’uno e l’altro disciogliete
se non ch’io purgherò vostro peccato».
L’altro torto il riguarda, e dice: «Avete
un vostro schiavo in loco mio trovato?
Meno ho di farlo che da prima sete,
e vedrete ogni laccio raddoppiato,
per ben farvi veder che nulla temo
le minaccie dell’uom c’ha il capo scemo».
23«Io non so quel ch’io sia, né voi conosco
se non per crudo, ingiusto et orgoglioso»
disse Giron «ma dentro a questo bosco
conoscer vi farò se furioso
e già del tutto d’intelletto losco
o se per la virtù sarò stato oso
di pigliar contro a voi sì giusta impresa
e per questi meschin la pia difesa.
24Prendete il campo pur, tornate il volto
e l’arme ci diran chi s’abbia il torto».
Disse il guerrier: «Voi v’affrettate molto,
come speraste avermi preso e morto.
Chi cerca in van quistione sciocco e stolto
e mal conduce la sua barca in porto».
Gli rispose Giron: «Tosto vedrassi
or mostriam pur ch’in arme non siam lassi».
25Replicò il cavalier: «Io non ho voglia
or di battaglia per cagione alcuna».
E l’altro: «Adunque il nodo si discioglia
senza tentar fra noi nuova fortuna.
Pur ch’io non giovi al mondo men ch’io soglia
né mia candida mente torni bruna
più che guerra amo pace, e che ’l ver dico
lassategli ire e sarò vostro amico».
26Soggiunge il cavalier: «Da poi ch’io veggio
ch’aver con voi quistion pur mi conviene,
voglio aver detto che se avrete il peggio
con lor porrovvi alle medesme pene».
E Giron: «Manco pena non ne chieggio
ma in ciò per male io vi vo render bene,
ch’avendo voi prigion vi darò a loro
con patti di non darvi altro martoro».
27Così detto fra lor all’arme viensi,
l’uno e l’altro è di lor forte guerriero,
ma d’aggualiarsi al par seco non pensi
al buon Giron quel crudo cavaliero;
il qual cadde all’incontro e tutti i sensi
dalle sue sedi in lui partenza fèro,
che giunto in terra fu tutto stordito;
pur si rileva assai tosto et ardito.
28Quando il vide Giron risurto in piede
gli fa domanda s’a novella pruova
vuol ritornar; et ei, che tal si vede
che rarissime volte si ritruova,
dice orgoglioso che per ciò non cede
infin che la sua palma non rinnuova:
«Ché molti nel giostrar caddero a terra
che con la spada poi vinser la guerra,
29il che ritenterò quanto più posso».
Questo accorda Giron cortesemente
e ’l dorso del cavallo ha di sé scosso,
e l’attacca ove stia sicuramente.
Poi con la spada in man vêr lui s’è mosso
ove non par che l’altro si spavente,
che co ’l scudo alla testa e ’l brando in alto
già presto è tutto a ritentar l’assalto.
30E va l’uno vêr l’altro in tal maniera
che ben mostran che sono ammaestrati.
Ma chi s’agguagli alla possanza altera
di chi vince i più grandi e i più lodati?
Parea Giron la più gagliarda fiera,
l’altro un monton perduto in selve o ’n prati,
e poi che pur avea durato alquanto
ben vide la vittoria all’altro canto.
31E ’ndietro cominciò tirare il passo
che aperto intende il suo disvantaggio.
Giron, che se ne accorge, e ’l truova lasso,
gli vuol paura far ma non dannaggio;
il gira intorno e mena or alto or basso,
temendo in sé di non gli fare oltraggio,
ma tanto l’ha condotto in questo verso
che di stanchezza al fin cadde riverso.
32Come il vide Girone a lui s’avventa
e gli trae tosto l’elmo dalla testa,
e con grida di morte lo spaventa
tanto che ’l miser sbigottito resta,
e già giudica in sé che, se non senta
la sua clemenza, l’ultima ora è questa,
e gli dice: «Mercé, signor, per Dio,
deh come valoroso siate pio».
33Gli risponde Giron: «S’io ho promessa
da voi di voler far quanto mi piace,
la vita vi sarà da me concessa,
et avrò sempre in amicizia e ’n pace».
L’altro il consente, e da la fede espressa
che quanto esser vorrà più non gli spiace.
Gli comanda egli adunque e dice: «Andate
e rendete a quei due la libertate.
34E di poi rimettete in la lor mano
la vita vostra e vostra morte».
Parve al vinto prigione il farlo strano,
pur si sommette alla dubbiosa sorte
dicendo: «Così va chi pruova in vano
la sua possanza con cui sia più forte».
E senza più parlar il primo scioglie
e si rende suggetto alle sue voglie.
35E Giron tutto aperto a Serso dice:
«Fate di lui quel che vi detta il cuore».
l’altro il ringrazia assai, che d’infelice
stato l’ha tratto e d’ignominia fuore:
«Ch’io stava peggio assai che la pernice
che ’n piè si truova d’affamato astore».
Gli domanda ei da poi s’opinione
cangiata avesse qual l’avea prigione,
36ciò è d’esser mai sempre discortese
ove trovata avea miglior natura.
«Non,» gli rispose Serso «anzi cortese
esser vo’ sempre e dolce oltr’a misura,
per ciò che cortesia certa e palese
m’ha due volte ritolto a sorte oscura,
e ben m’accerto che ’l più gran guadagno
e di sempre far bene al suo compagno.
37Ma sol disperazion giunta con ira
mi faceva parlar come m’udiste».
Giron soggiugne: «E vostra mente aspira
a render di costui le voglie triste?».
L’altro alquanto ripensa e poi ritira
dal core il vizio e «Nel bel far consiste
(rispondendo), io non voglio a cortesia
render per cambio lorda villania.
38Or se voi cortesissimo signore
m’avete per virtù fatto ben tale,
ragion mi mostra a creder che dolore
del suo n’avreste come del mio male,
et io c’ho il suo chiamato disonore
non vorrei farmi all’altrui copia eguale,
e l’alta esperienza chiamo sola,
di tutti quanti i buon maestra e scuola,
39sì ch’io perdono a lui, ma voglio innanti
che mi prometta al vostro gran cospetto
d’esser buon servo a i cavalieri erranti
né mai fare ad alcun onta e dispetto,
e quante donne son fide a gli amanti
e che d’onesto foco han caldo il petto
aggia in difesa sua, le scorga a porto
e doni aita lor e buon conforto».
40Allor sente Giron piacere interno
d’aver fatto un tal uom sì buono e prode
quando costui, che spirto era d’Inferno,
esser tal divenuto vede et ode.
Poi fa che l’altro senza danno o scherno
la perdonanza de i suoi falli gode,
data avendo la fede nel futuro
d’esser sempre leale, cortese e puro.
41Poi si volge Giron al guerrier vinto
e gli dice: «A me par che voi devreste
la donna che di lacci ha il corpo cinto
tòr da gli affanni in cui la riponeste».
Rispose ei, d’ira e di dolor dipinto:
«Al vostro dir son le mie voglie preste,
ma se sapeste i vizi ond’ella è piena
le vorreste più tosto accrescer pena.
42E s’io non vi pensassi infastidire
vi narrerei di questa opere orrende».
Giron, che di ascoltarlo avea desire,
disse: «Or seggiamo ove il sol poco offende,
che men voi grevi il dire e noi l’udire,
e ’ntanto passerem l’ora che incende
e caccerem la fame e poi la sete
co ’l vino e le vivande ch’ivi avete».
Il cavaliere battuto racconta gli inganni della donzella che conduceva prigione (43-128)
43Così dopo il mangiar comincia quello:
«Non che lei liberar io penso certo
che chi non sia d’ogni virtù rubello
se vorrà riguardar secondo il merto
la devria far gittar in Mongibello,
o se fuoco maggior gli fusse offerto,
più tosto che donare a lei perdono,
nata per onta e danno d’ogni buono.
44E ’n questa guisa disegnato avea
menar la disleale all’alta corte
ove Artus il magnanimo sedea
e ch’ei desse la fine alla sua sorte.
Ma sicuramente mi credea
che la men penitenza era la morte,
considerata in lui la gran bontate
e di costei le cose scellerate.
45E per contarvi il tutto, son due anni,
o quinci intorno, ch’io m’accompagnava
con un che sceso di reali scanni,
al re Ban di Benic aggiunto assai,
e de i suoi più temea che de’ miei danni,
sì fortemente e di buon cuor l’amai
pe le virtù che ’n lui trovai sì rare
ch’io tenni sempre e ’l tengo senza pare.
46Egli era sovra ogni altro ardito e franco,
valoroso oltr’a modo a lancia e spada,
ma sì cortese che non fu mai stanco
di compiacere altrui quando gli aggrada.
E s’io l’amava molto, esso non manco
con la vera amicizia fida e rada
mi teneva in suo cor, ch’io giureria
che compagno miglior non fu né fia.
47Poi che fummo così forse sei mesi
con la donna che qui dimenticato,
che la più bella fu di quei paesi,
non poteva esser senza in alcun lato,
io ’l dirò, ch’ella era tal ch’accesi
l’alma del volto chiaro e delicato,
e se ’l dever non era e ’l pio rispetto
servitor n’rea io fatto a mio dispetto.
48Ma Dio, che di sua grazia l’uomo infonde,
mi sostenne sì ben ch’io mi ritrassi.
Ma questa, a cui malizia non si asconde,
s’accorse in lei de i miei fuggenti passi,
e già non men che in fiamma arida fronde
avea incesi per me gli spirti lassi,
e quanto io più fuggiva et ella allora
più sentiva il desir che c’innamora.
49E m’era tutto il dì piangendo intorno
e pietà domandava del suo foco,
né mai poté col suo parlare adorno
muovere il mio pensier molto né poco,
che più tosto che fra sì brutto scorno
a quel che di fratello aveva in loco,
mille tormenti sostenuti avrei
e mille morti e mi fuggia da lei.
50Ond’ella, irata come serpe suole
c’ha la rabbia raccolta e ’l suo veneno,
nel polveroso luglio al caldo sole
che i fonti beve e fende ogni terreno,
m’assalì furiosa in tai parole:
– Poi che di crudeltà sète ripieno,
l’avermi rifiutata vi assicuro
vi darà tosto morte et io vel giuro -.
51Quando io l’udì parlar, e ben sapea
quanto in cor femminil possa lo sdegno,
e più che in altra in una donna rea
che già dell’onestà passato ha il segno,
l’arme mi vesto che vivine avea,
poscia al cavallo ascosamente vegno,
vi monto sopra e quella strada prendo
ch’all’occulto fuggir migliore intendo.
52Vien poco appresso il mio compagno caro
e truova lì la disleal donzella,
ch’umido il viso avea di pianto amaro
biasmando il fato e la sua sorte fella.
Ei, ch el’amava con la vita a paro,
domanda la cagion del tutto, et ella
mostrando di temere al quanto tace,
poi dice: – Io vel dirò, se pur vi piace.
53Sappiate, signor io, ch’io vi confesso
che non son degna più d’esser di voi,
nel quale ogni mio bene avea rimesso
come in superior de gli altri eroi,
e se dal terzo ciel m’era concesso
vole a mostrar al mondo e tutti i suoi
ch’a me forse non fu mai donna eguale,
suggetta, pura, umil, casta e leale.
54Ma il compagno di voi sotto la fede,
essendo io sola qui m’ha fatto forza,
ma non si può scusar donna che cede
se non si spoglia la terrena scorza,
ma che son viva e di tal onta erede
di chiamar degna la ragion mi sforza,
della vostra disgrazia, e della morte
e sia pur quando vuole e d’aspra sorte.
55Il disleale amico s’è fuggito
temendo il suo fallire e la vostra ira;
punite or prima me c’ho ben fallito,
dell’altro sia qualche ’l suo fato aspira -.
L’altro divien tremante e scolorito
e nel primo pensar piange e sospira,
che l’amò più che ’l core e le credea
più che a se stesso e a quel che innanzi avea.
56La riconforta molto e glie ne incresce
e loda e pregia la sua buona voglia.
Il dolore, lo sdegno irato mesce
contro a me solo e di pietà si spoglia.
Tosto monta a cavallo e di fuora esce
della mal nata e sventurata soglia,
e sprona in quella parte ove ha pensato
ch’io men sia gito, e non restò ingannato,
57che la furia e ’l desir lo spronò tale
che ’l giorno m’arrivò poco lontano.
Mi chiama ingannatore e disleale,
efferato e malvagio et inumano.
Io, ch’avea ben previsto tutto il male,
a lui mi volgo con sembiante umano,
e gli dico: – Signor e vero amico,
torto fia il vostro ad essermi nemico -.
58- Non giovan (risponde ei) buone parole
ove son più che triste state l’opre,
non bene ove splenda il chiaro sole
scurissima macchia si ricuopre -.
Io gli prometto e giuro che mi duole
ch’a torto in me l’aspro volere scuopre,
ma non so tanto dir ch’astretto fui
di venir a battaglia contro a lui.
59E, per dir tutto il vero, io sapea chiaro
che molto più di me valea nell’arme,
perché fu cavalier sì forte e raro
che non mi par di ciò troppo spregiarme.
Viensi alla giostra e non fu alcuno avaro
delle forze che avea, ch’io per salvarme
le misi tutte in opra, ei per lo sdegno
del solito poter trapassò il segno.
60Durò nostra quistion senza vantaggio
e tra dubbio e sperar passata una ora,
poi venne sopra me il primo dannaggio
ch’io fui ferito ove n’ho il segno ancora
sopra la testa; e non per questo caggio,
ma con più gran vigor raddoppio allora
i colpi, dubitando al fin che ’l sangue
ch’uscia mi rendesse al tutto esangue.
61Non devei molto perché a poco a poco
mi sentiva la forza venir manco,
e tanto più che appresso in altro loco
impiagata sentì la coscia e ’l fianco.
Così fine ebbe il doloroso gioco,
ch’io caddi a terra tramortito e stanco,
et ei disceso a piè l’elmo mi scioglie
dicendo: – Io vo’ di te l’ultime spoglie -.
62E per tormi la testa alzato ha il braccio;
io non mi aiuto più né parlo omai,
anzi aveva piacer d’uscir d’impaccio
e di dar fine a i non mertati guai,
quando ei s’accorge che sembiante faccio
di non curarlo; men crudele assai
mi disse: – A Dio non piaccia ch’io dia morte,
a sì buon cavalier ch’amai sì forte.
63Ma con altra maniera il tuo fallire
purgherò sì ch’a gli altri essempio sia -.
Una lettica tosto fa venire
mi vi pon dentro e fammi menar via
al suo castello, e senza nulla udire
vuol che ’n prigione eternamente sia.
Ma mi fa medicar e trattar bene
sì come a cor magnanimo conviene.
64Da poi che son guarito, eccoti un giorno
venir questa donzella alla prigione,
e con falso sembiante in vista adorno
torna a ridir sua torta intenzione.
Io, che con tutto il danno e tutto il scorno
non volli abbandonar mai la ragione,
pur con quei miglior detti che sapea
la riprendea della sua voglia rea.
65Né per promessa di mia libertade,
né per preghiera mai dissi altramente.
Ella, poi che non giovan queste strade,
in nuovi inganni rivolgea la mente,
dicendomi che in van tanta bontade
usava al mio compagno veramente,
poi che m’era sì crudo e sì villano
che ’n luogo mi tenea sì scuro e strano.
66- Or faccia que che vuol (rispondeva io),
ch’io farò quanto a me quel ch’è devere,
e mentre in vita sia fo voto a Dio
di non volervi in questo compiacere -.
Ella, ch’allor n’avea maggior desio,
stette alcun giorno e non mi vuol vedere;
poi dopo un mese la malvagia scorta
mostra d’avermi a dir cosa che importa.
67E finge una falsissima novella
d’un certo suo vicin, ch’arde per lei
e d’amor tutto giorno le favella
e gli promette ciò che puon gli dèi,
ma che quanto ama lei, tanto l’odia ella,
dicendo: – Mille volte il dì morrei
pria che far torto al mio compagno vero
che di me tiene in man lo scettro intero.
68Or quantunque io lo scacci ei torna pure
e mi dà mille assalti in un momento.
Insegnatemi or voi strade sicure
ove io tenga l’onore in salvamento -.
Io semplicetto con parole pure,
che mai pensato avrei tal tradimento,
la lodo interamente e la conforto
che ’l suo giusto desir conduca in porto.
69E che non voglia dar lunga udienza
di innamorata lingua alle parole,
perc’han troppa efficacia e violenza
ma far qual aspe a chi c’incanta suole,
e minacciosa in vista dia licenza
a i detti, alle ambasciate, all’altre fole
che san gli amanti dir, quando impiagati
d’amor senton gli spirti e ben legati.
70Comandogli appresso che non vegna
qui dentro mai se cara tien la vita,
che gli darete morte che sia degna
d’un ch’una casta a far peccati invita.
Ella, che delle ree port al’insegna,
pensa a malizia e da me fa partita,
e venti giorni a rivedermi a tende
e ’n questo mezzo al suo disegno intende.
71Ritorna più che mai trista e dogliosa
e mi dice che a peggio mai non fue
del suo vicin, che non la lassa in posa
con l’importune e spesse insidie sue,
e vien sovente in fronte minacciosa
in luogo dove sem soli ambe due.
Pensate s’io ne tremo e ’n quale stato
io mi ritruovi con tal peste a lato.
72E mi dice alla fin, voglia o non voglia,
che di me deve far quanto desia:
s’io ’l minaccio di morte o d’aspra doglia
dice che questo il suo contento sia,
ché s’ei non è più mio di quel che soglia
cerca dar fine alla sua sorte ria.
Così piangendo mi dicea la donna
di cui più micidial non porta gonna.
73Io per gli ’nganni suoi pietoso fatto,
di quanto io possa in ciò gli faccio offerta;
ella l’accetta, poi ch’a porre in atto
il suo disegno ha già la strada aperta,
e replica: – A me par che a questo matto
si mostri di ragion la via più certa,
e che noi l’uccidiamo ambe due insieme
per tòr di terra un sì malvagio seme.
74E se ’l marito mio, ch’ora è lontano,
andato ov’è il re Artus a Camelotto,
fusse qui in casa gli avrei fatto piano
il caso, et a far ciò l’avrei condotto;
ma non tornando, il cavalier villano
nessun di castigarlo fia più dotto
do voi, che benché siate ora in prigione
per me di farlo pur ci fia cagione.
75E quando altro non fusse per far chiaro
all’amico crudel vostra innocenza,
mostrando che ’l suo onor tenete caro
non men che ’l vostro in opre e ’n apparenza -.
Io, che di cortesie non sono avaro,
rimetto il tutto nella sua prudenza.
Così restiamo, et ella dice: – Quando
fia giunto il tempo a voi verrò volando -.
76Ritorna il dì medesmo su la sera,
che l’aria è fatta nuovamente scura,
e con lagrime assai questa Megera
sé maledice e sua disavventura,
dicendo: – Io non so dir come aperta era
o da lui pure o d’altrui poca cura
la porta della camera; esso entrato
oggi vi è dentro, e in letto s’è colcato.
77Delle mie damigelle per disgrazia
nessuna vi trovò che l’impedisse.
or se farete la promessa grazia
fien l’ore sue brevissime prefisse -.
E di ben confortarmi non si sazia
e mille volte poi mi benedisse.
Apremi la prigion, dammi una spada,
e con piè lento e cheto mi fa strada.
78Di verone in veron per man mi mena,
di sala in sala tanto ch’arriviamo
alla camera sua, che tosto piena
di giustissimo sangue, ohimè, facemo.
Io con la fronte allor lieta e serena
parendo farmi un beneficio estremo
al mio compagno, ch’anco allora amava
di costei le pedate seguitava.
79Mostrami il letto, ch’io riconoscea,
ove co ’l mio compagno giacer suole,
il qual ivi era, e la fortuna rea
che sa tutto condur quando ella vuole,
il feo dormir che molto altrui pareva.
Costei co i cenni e non con le parole
mi mostra il tutto, e quanto può mi caccia
che ’l più tosto che sia l’opera faccia.
80Io, che so che a tai cose ci bisogna
lo spirto pronto aver, ferma la mano,
mentre che ’l poverello in letto sogna
e si pensa ogni insidia aver lontano,
quando penso di torr’onta e vergogna
a quel ch’amava più che buon germano,
lasso, gli tolsi il fior de gli anni suoi,
sì che più lieto non mi fei da poi.
81L’uccisi, come ho detto, e ritornare
mi volea senza lei nella prigione,
e la sua spada in man le volea dare
per via levarle ogni suspicione,
quando io mi sento al collo circondare
le braccia infide, e dirmi: – Per ragione
e per vostra promessa or sète mio,
o che voi stesso ingannerete e Dio.
82Voi mi diceste, e sovvenir ven deve
che ma sareste mio mentre era vivo
il mio marito a voi compagno greve,
ch’esser pur vi devria nemico e schivo:
or son io de’ suoi lacci sciolta e leve,
poi che l’avete or voi di vita privo,
che quel ch’era in quel letto io vi fo certo
era egli stesso et ha dell’opre il merto.
83Né mi tegnate voi per ciò crudele
s’io ho fatta di voi giusta vendetta,
e se per donar fine alle querele,
alle voci e i sospir ch’Amor mi detta
ho levato del mondo un poco fele
ch’ogni dolcezza mi tenea disdetta,
voi di carcer traendo, me di duolo
per darmi a voi che solo adoro e colo.
84Per darmi a voi cui per esser serva
Clitennestra e Medea vincer vorrei.
Ogni buon cuor le sue promesse osserva,
et io so ben ch’avete in odio i rei -.
Ora io quando sentì questa proterva
nemica in tutto a gli uomini e gli dèi,
mi tremò in sen l’anima e ’l core,
e morir mi pensai del fero orrore.
85Io pensai di a me stesso donar morte,
ma prima uccider la spietata furia;
poi perdono al mio braccio, il qual la sorte
aspra condusse e non pensata ingiuria,
e perché il castello era chiuso e forte
sì che a punir la sua bestial lussuria
molto periglio aveva, a lei mi volto
di sdegno, d’ira e di pietade involto:
86- Come esser puote in voi, donzella acerba,
che sì lordo pensier trovasse loco? -.
Non mi lassò finir ch’aspra e superba
con parole alte e suon rabbioso e roco
mi disse: – In questo loco vi si serba
pena molto maggior che ferro e foco,
s’alla promessa vostra, al mio desire
vorrete oltr’a ragion contravvenire.
87Io alzerò di subito la voce
e darovvi ale guardie prigioniero -.
Io, che sapea per pruova quanto nuoce
lo sdegno suo più che d’un tigre fiero,
com’uom ch’un membro spesso taglia e cuoce
per aver san del corpo il resto intero,
massime avendo a mente la promessa
con lingua l’accordai tarda e sommessa.
88E mi fu forza il darle la fede
di mai non la lassar ovunque andassi.
Così di notte, quando alcun non vede,
drizzammo fuor di quel castello i passi
del cavallo, e dell’arme femmi erede
del morto amico che negletto stassi,
e prendemmo il cammin di compagnia
senza saper né qual né dove sia.
89E veramente che quando a lei piace
ha sì belle e cortesi le maniere
ch’io mi raccesi d’amorosa face
ch’altra più non potea che lei vedere.
Così durammo in dolce e buona pace
quanto una luna può di corso avere;
tosto poi ritornata al primo intento
mi fe’ più ch’ancor mai danno e tormento,
90ché poco appresso presi compagnia
d’un che Giretto il picciol si appellava,
di valor pieno e d’alta cortesia,
di lealtà tutti altra superava,
né da principio volontade avia
d’esser seco assai tempo e mi pensava
passar solo un viaggio perché accade
ch’un dolce amico agevola le strade.
91Ma poi ch’io l’ebbi conosciuto a pieno
di lui restai talmente innamorato
ch’io ’l pregai che senza venir meno
sempre andassimo insieme e ’n ogni lato,
et ei, che di bontà colmo have il seno,
non volse il mio desir fusse ingannato,
s’accordò di venire e fummo tali
fra noi ch’amici mai non vidi eguali.
92Così vivemmo in pace ricercando
le stran e nobilissime avventure
gran tempo poscia, et ei giva mostrando
le sue prodezze e le sue voglie pure,
talché per sua cagion dato avea bando
a tutte basse e fastidiose cure,
e d’esser seco mi pregiava tanto
ch’a Pilade et Oreste tolsi il vanto.
93Non passaron tre mesi che mi muove
un aspro et amichevole consiglio
dicendomi: – Vorrei lassaste altrove
questa donzella, che se ben ha il ciglio
da far arder in ciel Saturno e Giove,
e ’l gran lito troian rifar vermiglio,
la veggio tale in tutte l’opre sue
che ci farà gran danno ad ambe due.
94E credetemi pur, ch’io non vel dico
se non per dirvi quel ch’io stimo il vero -.
Io nel saggio parlar del caro amico
nella mente mi turbo e nel pensiero,
e come esser ciò possa gli replico,
che mi palesi il suo timore intero.
– Per or (mi rispose ei) bastivi questo,
discorreremo una altra volta il resto -,
95né per mio ripregar volse altro dire.
Pensate or voi se in dubbio mi restai:
combattea in me con l’obligo il desire
di non lassar questi amorosi rai.
A tal compagno mi pesò il disdire,
pur la fortuna, che più puote assai,
ne la nostra ragion mi fe’ sì cieco
ch’io seguitai condur tal fera meco.
96Per dir tutto il vero avea credenza,
come han tutti i suggetto dall’amore,
ch’ella m’amasse e non potesse senza
me star in vita per soverchio ardore
*** da poi per propria esperienza
*** non fusse di quel piagato il core
*** di lasciarla ei mi persuadesse
*** che senza me la possedesse.
97Or mentre irresoluto il caso resta
avvenne un dì, quando è maggior l’estate,
ch’essendo stanchi dentro una foresta
avean le membra all’ombra riposate
presso una fonte, che correndo desta
vaghe viole, fior, erbe odorate.
Ivi l’arme si spoglia il buon Giretto
per passar il calor con più diletto,
98et io lì presso un santo eremitoro
andai trovar per riportar vivande
ch’a tutti tre venissero a ristoro
della lassa stanchezza ch’era grande;
perché in quel tempo meco né con loro
ci trovammo scudiero in quelle bande
mi tocco questo uficio e, ritornato,
confortammo il digiun troppo durato.
99Già sen era ito il sole in Occidente
e tutte erano scure le campagne
quando vicin sentiam voce dolente
di damigella o cavalier che piagne.
Io corro verso quella incontinente
senza l’altro aspettar che mi accompagne,
il qual in riarmarsi perde tempo,
sì ch’io solo arrivati tutto e per tempo.
100Trovai presso uno stagno giacer morto
un povero guerrier quasi entro all’acque.
Pensate s’il veder sì crudo torto
come più si convien troppo mi spiacque,
e da poi che nessuno intorno ho scorto
truovo la spada sua, ch’assai mi piacque,
tal che poi che ebbe lui ridotto all’ombra
e disciolto da l’arme che l’ingombra,
101la portai meco, e ratto ritornato
al loco ove lassati gli altri avea,
lassai il cavallo all’arbore attaccato
ove a diporto suo lieto pascea.
Sì leggier vengo ch’io non son notato
d’alcun de i due, ch’altro pensier tenea,
mi fermo alquanto e sento ch’a quistione
insieme son, ne intendo la cagione.
102Se non che ascoso alquanto mi perviene
voce alle orecchie della donna mia,
la qual come a impudica si conviene
d’amor pregava assai la compagnia,
dicendo che per lui porta tai pene
ch’ella non sa talor ove si sia.
L’altro le rispondea che pria morire
vorrai ch’alle sue voglie consentire,
103perché sarebbe infido e disleale
se facesse questa onta al suo compagno.
Ella di me diceva tanto male
ch’a ricordarlo ancor troppo mi lagno,
e mi faceva al più vil uomo eguale
assicurandol che non è guadagno
contro una tal donzella esser crudele
per mostrarse a mio par troppo fedele.
104Ma non poteva in biasmo mio dir tanto
ch’esso non replicasse più in mia lode,
poi ch’io ebbi ascoltato cheto alquanto
d’aver sì vero amico il cor mi gode,
e ben gli diè la sera intero il vanto
di saggio cavalier, cortese e prode.
Indi torno al caval, sopra vi monto
e lo sprono vêr lor veloce e pronto,
105mostrando d’arrivar sola in quell’ora
senza aver pur udito il lor parlare.
Viemmi il mio compagno ad incontrar fuora
con bei saluti et accoglienze care.
Domanda il tutto, et io come dimora
il caso narro, ch’assai stran gli pare.
Così stemmo la notte, et io mostrai
miglior cera a costei ch’io fessi mai.
106Venuto il giorno d’indi ci partimo,
e perch’avea la spada di quel morto,
ad un ramo d’un arbore sublimo
la mia lassai che coste vide scorto,
la qual posto in oblio l’amor suo primo
sol il pensier avea di farmi torto.
Passiamo a canto al lago e solo il sangue
vi ritruoviam, ma non già il corpo essangue,
107che da i suoi cari amici e da i parenti
portato a sepellir fu lì vicino.
Più oltre andiam, né ’l cerchiamo altrimenti
e venuti del bosco al suo confino
veggiam un bel castel ove dolenti
stavano i popol tutti a capo chino.
Trovammo su l’entrata un vecchio antico
che ci saluta con sembiante amico.
108E tra la gente afflitta indi ci mena
ad un suo ricco e vago alloggiamento.
Dispogliam l’arme e la passata pena
ristoriamo, e il calor all’ombra e ’l vento.
Di poi, finita una soave cena,
ci muove il buon vecchion ragionamento,
e la disgrazia conta di colui
che ier fu anciso e non si sa da cui,
109dicendo ch’è fratel del signor loro,
e ne la divisa appuntamente il loco
ove fu giunto all’ultimo martoro
ch’or faceva il castel piangente e roco.
Il qual volea fatiche, argento et oro
quanto avea spender né si tòr dal gioco
fin che l’ucciditor trovin palese
e vendicar in lui l’ingiuste offese.
110Giretto et io, che ben veggiamo il caso
ch’era di quel ch’io ritrovai nel lago,
e sappiam come un popol persuaso,
contro a ragion ancor, peggio è che drago,
tacciamo, e, ’l suo narrar così rimaso,
ciascun si posa, di quiete vago;
sol di questa empia, infedel, piena d’inganni
sembiante fa di trarsi fuora i panni.
111Ma ci lascia in camera, e ritruova
il buon oste gentil ch’er partito,
e gli dice: – Il mal far già mai non giova
io son dogliosa di quel ch’è seguito
del vostro cavalier, che in ogni pruova
ho inteso quanto fu saggio e gradito,
che morto resta, ma il passato danno
non si può ricovrar con darsi affanno.
112Ben si può vendicar, et è ben dritto
per dare a i mal fattori eterno essempio,
e perc’ho gran pietà vedervi afflitto
vi vo’ narrar chi fe’ l’iniquo scempio,
così crudel ch’al caldo sol d’Egitto
crocodillo non fu tanto apro et empio
che di lagrime vere ritenesse
se quel c’ho veduto io veduto avesse.
113Perch’io ’l vidi cader di man de i due
ch’or son dormendo nell’albergo vostro;
a tradimento il primo colpo fue,
e per certificar che ’l ver vi mostro
posso portarvi qui dell’arme sue
senza muovere il piè di questo chiostro,
e vi metterò innanzi, se vi aggrada,
del morto cavalier l’istessa spada -.
114Ne la prega il vecchione, e poi gli dice
che la conosce e che l’ha vista spesso.
Da presso me la toe questa infelice,
a lui la porta e ne fa dono ad esso.
Ei non l’ha in mano a pena che felice
di ciò si tiene e ver si stima espresso
che di lei sia il parlar, et a ragione,
poi che ne dà sì chiaro testimone.
115Venne tosto al signor e ’l tutto conta,
poi dà la spada in manifesto segno.
Non si può dir se in lui ratto sormonta
di vendetta il desir, l’ira e lo sdegno,
Tosto con mille intorno a caval monta,
vienne all’albergo e qual ladrone indegno
fa che a ciascun di noi che dormiva anco
legati sieno i piè, le braccia e ’l fianco.
116Indi ci fece a lui menar davante
così la traditrice damigella,
e la domanda poi se ’l giorno innante
facemmo a tradigione opra sì fella
d’aver ucciso un cavaliere errante
de i valorosi che mai furo in sella,
suo fratel proprio, e degno a dire il verno
di tener sovra ogni altro eterno impero.
117Questa impia tigre con sicuro volto
da creder che mentir mai non porria
rispose: – Io non conosco poco o molto
vostro fratel, né saprei dir chi sia;
questo so ben: che dentro al bosco folto
in riva al stagno e ’n mezzo della riva
un cavalier ucciser quinci presso
e gli tolsero il brando, e questo è esso -.
118L’altro, ch’ascolta ciò, più non aspetta
d’intenderne da noi nuova risposta.
Dentro al carcer fa menarne in fretta
umida, scura e sotto terra posta.
la notte s’apparecchia alla vendetta
e come all’oriente il sol s’accosta
dà ordin di condurne ad un castello
ivi vicin che fu del suo fratello.
119Egli era armato et a ciascun di noi
pon quattro cavalier che guardia sieno,
e molti altri guerrier seguivan poi
del popol, contra a noi d’ira ripieno;
noi venivamo a piè tra tutti i suoi,
che due sozzi ladron n’avrebbon meno.
Così cacciati, ahi lassi, in questa sorte
n’andavam ratti a disonesta morte.
120Ma la giustizia e v buon voler divino
che mai non abbandona il dritto e ’l vero,
ne fa trovar in mezzo del cammino
un valoroso errante cavaliero,
ch’armato attraversava quel confino
e seco solo aveva uno scudiero,
che con gocciole di oro avea d’argento
lo scudo innanzi e ci rimira intento.
121Ne domanda chi semo e la cagione
dell’esser così male ivi arrivati,
e noi senza mentir nostra ragione
gli diciam tutta, e che fummo ingannati.
EI, punto l’alma di pietoso sprone,
dice a colui che ci tenea legati
o ch’ei ne lassi andar senza contesa
o di seco giostrar pigli l’impresa.
122L’altro, che si vedea con otto intorno
cavalier bene armati e d’alto affare,
risponde ch’ei n’avrà dannaggio e scorno
s’al proposto sentier non lascia andare.
Il cavalier d’ogni virtude adorno
non diè nuova risposta al suo parlare,
prende il scudo, la lancia e ’l caval muove
e mostrò ben che fu di tutte pruove,
123ch’egli il ferì di sì terribil urto
che come morto il getta assai ontano,
e lungamente poi non è risurto
né di tutto quello anno visse sano.
Indi volge il caval veloce e curto
e sopra gli altri va con l’asta in mano,
e ’l primo che trovò va morto in terra
e co i sette di poi si acconcia a guerra.
124Ma come due di lor caduti furo,
quelli altri in fuga si voltaro.
Restato il campo a lui vòto e sicuro
ci sciolse il buon guerrier ardito e raro.
io spoglio allor il mio nemico duro
che ’l lassò per far ben che gli fusse amaro,
ma ne fei forte intorno e ’l mio compagno
dell’arme dell’anciso fe’ guadagno.
125Lassonne il cavalier che n’avea tratti
di legami e di morte assai vicina.
il volevam seguire a tutti patti
come persona sacra e pellegrina,
ei ce lo vieta, e poi cortese in atti
n’abbraccia e sol con lo scudier s’inchina,
senza il suo nome dir, ma ne gli arnesi
che fusse il buon re Laco assai compresi.
126Il mio compagno contro a me sdegnoso
che prima abbandonar costei non volli,
volse a man dritta per un bosco ombroso.
Io soletto cercai diversi colli
e con l’anima trista e ’l cor doglioso,
con gli occhi spesso di troppa ira molli
molte giornate ricercando andai
questa crudel per darle eterni guai.
127E mi aiutò sì Dio ch’ad una fonte
la ritrovai con un guerrier a presso,
al qual con l’arme in man ruppi la fronte
e, guadagnata lei, penso in me stesso
come deo vendicar i danni e l’onte
e ’l gran periglio, in cui m’avea già messo.
Volsi la vita torle e poi, pentito,
avea preso di lei miglior partito,
128ch’io la menava all’onorata sede
di Artus il mio gran re dove dimora,
ché le facesse dar giusta mercede
in questa vita o trarnela di fuora.
Non è piaciuto a quel che tutto vede,
che forse a peggio la riserba ancora.
Io vi ho conto, signor, il tutto a punto,
senza aver nulla al ver levato o giunto».
Girone saluta Serso e gli rivela il proprio nome (129-147)
129Qui si tacque, e Giron, che ’ntento ascolta,
poi c’ha pensato alquanto gli risponde
che non fu mai tanta malizia accolta
ovunque scalda il sole o bagnam l’onde,
quanto in costei d’ogni bruttura involta,
che ci vien dall’Inferno e non d’altronde,
«E se prima io sapea sì atroci cose
non vi eran l’arme mie per lei noiose.
130Anzi pur era a i desir vostri aita
che le corte real la castigasse,
ma poi che la bisogna è così gita
onta sarebbe a chi la rilegasse.
Piacciavi che disciolta e che spedita
ove il suo fato vuole andar si lasse,
che i suoi peccati la merranno in loco
ove il manco ch’avrà sia laccio o foco».
131Poi si volge alla donne e: «Ben potete
libera andar omai, lieto disse
«ma se vita miglior non cangerete
l’impie voglie al mal tenendo fisse,
lo spietato Brevesso troverete
di cui nessun più gran nemico visse
q quante truova donne ma più a quelle
che di oneste virtù truova rubelle.
132Al parlar di Girone umilemente
la cruda damigella in piè si leva,
e lui ringrazia dolce e riverente
che da’ lacci penosi la disgreva,
e che se mai il rincontra largamente
farà che guiderdon da lei riceva,
e sì gran beneficio in care tempre
porterà dentro al core sculto sempre.
133Così diss’ella, e ’n vista sorridendo
le fe’ risposta il nobile Girone:
«Il buon vèr me voler in grando prendo
non già il promesso vostro guiderdone,
ma prego il Ciel che me ne guardi, avendo
in altrui vista vostra intenzione,
e ’n ogni stato più del vostro amore
che dell’odio d’ogni altra avrei timore».
134Sdegnosse ella in se stessa e si partio
tutta contro di lui di rabbia piena,
e fece voto mille volte a Dio
ch’altri ne porteria tosto la pena,
e d’aver sempre il cor malvagio e rio
verso ogni cosa e sia diva o terrena,
ma sopra a tutti a i cavalieri erranti
sempre andar procacciando morte e pianti.
135Giron, rimaso sol con gli altri duoi,
cortesissimamente lor ragiona:
«Da poi c’ho messa pace oggi fra voi,
non è più la dimora per me buona.
Adempia a ciascheduno i desir suoi
l’alto signor che in Ciel tien la corona».
Serso dolente allor il prende e dice
ch’avventurato sia sempre e felice.
136Ma che vorria d’avanti il suo partire
di dirgli il nome suo grazia gli faccia,
acciò che ’l possa a se medesmo dire
se pur poi con altrui vuol che si taccia.
E se non acconsente al gran desire
non potrà far che assai non gli dispiaccia
e che non dica che soverchio orgoglio
a tante sue virtù sia fatto scoglio,
137«E molto men cortese nel futuro
coi cavalieri erranti vi terrei».
«Ah,» gli disse Girone «io son sicuro
che no ’l fareste, et io me ne dorrei
perché d’essere a tutti amico e puro
mi prometteste il giorno ch’io vi fei
libero d’altri lacci, e ven sovviene
che servar l’impromessa si conviene.
138Il riconobbe allor più chiaro Serso,
e gli dice: «Signor, questo fu vero,
ma se voi, di cui par nell’universo
non si porria trovar mai cavaliero,
del mio giusto pregar fate il riverso,
s’io vi somiglierò perdono spero
trovar da tutti, e però non mi date
contrario essempio a quel che in me bramate.
139Ma se voi mi farete tanto onore
ch’io sappia chi voi sète, io vi prometto
che di quel ch’io pensai sarò migliore
e ’ngegnerommi al tutto esser perfetto».
Mossesi al buon parlar l’altero core
del buon Girone, e con benigno aspetto
gli disse: «Cavalier, per voi far voglio
quel che da molto in qua per pochi soglio.
140E vel dirò con questo convenente:
di non mai dirlo ad uom ch’al mondo viva».
il che l’altro gli giura veramente,
et ei sì basso che nessuno udiva,
nell’orecchia gli parla: «Tra la gente
che del gallo terren tengon la riva
nacqui, e Giron da lei chiamato sono
e ch’io sia morto omai volato è il suono.
141E quell’istesso son che pur l’altr’ieri
vi liberai d’un simigliante caso».
Quando udì Serso il fior de i cavalieri
e di somma virtù l’eletto vaso,
esser sì solo e ’n così stran sentieri,
che mai non se ’l sarebbe persuaso,
riverente il ginocchio e ’l capo inchina
e ’l bascia come cosa alta e divina,
142e dice: «Ben potea viver sicuro
poi che tal difensore il Ciel mi diede.
Or della vita mia più non mi curo
poi ch’io veggio colui cui il mondo cede,
e nuovamente vi prometto e giuro
con quella più divota e vera fede
ch’avendomi scampato il più cortese
ch’io ’l vorrei simigliar farò palese.
143E se così nell’arme e nel valore
vi potessi sembrar ben il farei,
che solo in rimirarve sento il core
spirato alzarse al regno de gli dèi.
E vi potrete dar vanto et onore
d’aver fatto migliore un de i più rei,
e scampata la vita e tolti pianti
a mille e mille cavalieri erranti.
144Perché se ben promesso già vi aveva
d’esser cotale, or mi si aggiunge sprone
tal che non più la morte greva
ch’a me faria l’andar contr’a ragione;
e ben la mia ventura il concedeva
avendo scontro il nobile Girone,
co ’l qual prego dal Ciel sia stabilita
sorte di consumar quanto ho di vita.
145E ben ringrazio Dio ch’a molti dire
sentito avea che ’l mondo di voi privo
era e gran tempo, onde n’avea martire
ogni spirto gentil ch’ancora è vivo».
Giron, che non vuol più sue lodi udire
e che del vano onor fu sempre schivo,
rompe il parlar, e dice: «Quale io sono
vi fo di me, signor, perpetuo dono,
146ma perché mi conviene andare altrove
con Dio vi lascio e seguo il mio cammino,
per voi pregando in Cielo il sommo Giove
che vi dia dolce e chiaro alto destino».
L’altro, tutto piangente, preghi muove
che seco il voglia aver sempre vicino;
rifiutalo il Cortese, e poi gli dice
che tosto il rivedrà lieto e felice.
147Poi senza altro parlar sopra il destriero
monta, e ’nvêr Forelese addrizza il passo.
Riman lì Serso e truova altro sentiero
co gli occhi lagrimosi e ’l capo basso,
lieto in sé d’aver visto il cavaliero
ch’onorò sovra tutti, e tristo e lasso
ch’a pena al sommo ben essendo giunto
che perduto l’avea solo in un punto.