Prosegue il racconto dell’abate: Il duello viene interrotto, il Vermiglio si scopre come il cavaliere norgallo, e spiega al re in che modo Nabone li costringa a servirlo (1-27)
1«Mentre stanno quieti, quei che sono
sopra i merli a mirar vari i pareri
han di ciascun di lor: molti il più buono
fanno il mio re di tutti i cavalieri,
molti il contrario, e sopra tutti il dono
di vittoria al Vermiglio par che speri
lo stuol delle donzelle ivi adunate
delle sue gran virtudi innamorate.
2Praticato l’avean già molti mesi
e leal conosciuto, accorto e saggio,
di costumi onorati, alti e cortesi,
convenevoli a regi e da vantaggio,
poi molti in lor presenza uccisi o presi
del suo chiaro valor mostrava saggio
tal che tutte i suoi fatti alzano al cielo,
per lui pregando con divoto zelo.
3Ma la sentenza diè Nabone il Nero,
ch’avea nell’arme somma conoscenza,
che mai duello fu tanto aspro e fero
in alcun luogo fatto in sua presenza.
Molto loda il Vermiglio, ma nel ero
commenda quanto può l’alta escellenza
del buon re d’Estrangorre, e certo dice
che della guerra il fine avrà felice.
4Così parlan costoro, e ’n questo tanto,
mentre i due gran guerrier si stanno in pace,
pensa ciascuno e dal suo canto
quanto esser possa l’uno a l’altro piace:
l’un dona a l’altro di fortezza il vanto,
e di quel ch’esser dèe dubbioso giace,
e nel fin l’uno e l’altro ha gran desire
del suo chiaro avversario il nome udire.
5Fu il primo il Cavalier Senza Paura
ch’al Vermiglio ragiona in atto umano:
– Chi di noi vincerà Dio n’aggia cura,
pur ch’io non faccia o mostri atto villano,
ben pria ch’io doni o prenda morte oscura
tenendo voi guerrier più che sovrano,
s’a coi non dispiacesse avermel mostro
volentier nuove avrei de l’esser vostro -.
6Il cortese Vermiglio a lui rispose
– Io non saprei negar l’istessa vita
ad un tal cavaliero, in cui ripose
il Ciel virtù rarissima e ’nfinita.
la mia fortuna prigionier m ascose
poi che Febo ha nel ciel la via compita
già la seconda volta in questa valle,
chiamomi Ludinas, nacqui in Norgalle -.
7Quando il re sente ciò, smarrito in viso
si tira indietro e dice: – Adunque sète
il cavalier norgallo che diviso
non fuste dal mio cor né mai sarete?
E che già sia finita omai vi avviso
la quistion nostra, come poi vedrete
ch’io non arrivai qui per farvi guerra
ma per trarvi del loco che vi serra.
8E maledico quel che m’avea detto
ch’a volervi qui trar di prigion fuora
battaglia aver con un guerrier perfetto
prima devea che a voi guardar dimora.
Or poi che sète voi, compagno eletto,
vinto mi rendo più ch’io fussi ancora,
e resterò serrato in questo chiostro,
o che voi rimerrò nel terren vostro -.
9Molto il ringrazia l’altro, e dice poi:
– Della prim’ora mai che l’arme porto
non trovai cavalier miglior di voi,
di più forza al ferir, né tanto accorto;
a voi, superior de gli altri eroi,
grazie deggio io se non son preso o morto,
a vostra cortesia che è tanta e tale
che non mi volse far onta né male.
10Per la qual anco prego che vogliate
il vostro chiaro nome rivelarmi -.
A ciò disse il mio re: – Poche fiate
l’anno mi avvien ch’io voglia nominarmi,
ma non posso negar quel che bramate,
ché comandar potete e non pregarmi,
dirollo adunque: il mondo oggi mi chiama
re di Estrangorre di assai bassa fama -.
11Il cavalier, che quel gran nome ascolta,
di riverenza quasi a terra cade.
– Alma gentil d’ogni virtude involta,
o spada onor di tutte l’altre spade,
non è questa (dice ei) la prima volta
ch’io so che sète il fior di nostra etade
in saver, in valor, in cortesia,
in tutto il ben che Dio nel mondo dio.
12Come ha condotto, ohimè, la ria fortuna
un uom sì degno al proprio danno e mio?
Oprar non può chi sia sotto la luna
ch’io non pervegna a fine ontoso e rio,
che delle sue disgrazie ne fia l’una,
né può giovar mostrarse o crudo o pio
l’uno invêr l’altro, ch’a chi vinto resta
forza è ch’al vincitor toglia la testa.
13Et io, che so che a voi non sarò pare,
nel forzato dar fine alla battaglia
certo omai son del mondo abbandonare,
né fia persona ch’a scampar mi vaglia.
Ben ho da maledir chi consigliare
vi volse, e ben può dir che non gli caglia
della vostra virtù, ch’in questo loco
sotterrata è per sempre e non per poco -.
14Replicagli il mio re ch’egli ha gran torto,
sendo egli venuto sol per fargli bene,
e che esser gli devria sommo conforto
e ’n lui risuscitar la morta spene.
– Ah (gli dice il Vermiglio), anzi più scorto
veggio per voi le mie perpetue pene,
e, quel che più mi duol, che certo veggio
che anco a voi n’avverrà l’istesso e peggio -.
15Dice il re di Estrangorre: – A me non duole
di me, che penso uscirne a salvamento,
ma di voi sì, come alla madre suole
dell’unico figliuol crudo tormento -.
E ’l buon Vermiglio: – Ohimè, vostre parole
e ’l vostro disegnar ne porta il vento,
e ’l ver sarà che né voi mai ned io
uscirem quindi di tal stato rio.
16Poi sappiate, signor, che noi qui semo
a condizion che l’un o l’altro pèra,
chi pria s’arrenderà nel punto estremo
deve arrivar d’avanti che sia sera.
L’un di noi resterà di vita scemo,
o per nostre arme o per la cruda fera,
che io vi dissi poco ha detto Nabone,
che del paese suo fatto ha prigione -.
17Qui gli ragione il re: – Quasi il mio fato,
signor, non potrà far che io mai vi offenda -.
E l’altro: – Voi sarete a ciò sforzato,
né ci sarà chi la ragione intenda -.
– Or chi fia mai colui tanto pregiato
(gli dice il mio signor) che impresa prenda
di farmi cosa far che non mi aggrada
mentre avrò in man la mia fedele spada? -.
18- Sarà il crudo Nabon con tutti i suoi
di Logre, di Norgalle e d’altri liti
(diss’ei), che mille semo e mille poi
cavalier tutti in arme assai graditi.
D’altri di men valor che non siam noi
numerar ci si possono infiniti,
e perché servi sono e fanno omaggio
detta questa è la Valle del Servaggio.
19Servo son io qual gli altri, e voi sarete
anzi pur sète già senza alcun fallo -.
Quando sente il mio re ch’è nella rete,
dice cruccioso al cavalier norgallo:
– Come esser può che tanti che voi sète
non vi accordiate a morte distinallo? -.
– Perché ciascun (diss’ei) giura in sua mano
ch’ei non comanderà mai cosa in vano.
20E voi sapete che a cavalleria
più che la vita assai cara è la fede,
la qual chi macchia a somma villania
vien, come essa virtù tutte altre escede,
e benché par che qui forzata sia
dal tiranno fuor cui tutto cede,
dritto è che un cavalier morte sostegna
pria che prometter quel che non attegna.
21S’un venisse di fuor, cui Dio donasse
grazia di uccider lui senza spergiuro,
allor ognun di noi che si trovasse
prigion, certo saria sciolto e sicuro
senza che l’onor suo punto macchiasse,
restando cavalier candido e puro,
e chi volesse andar per torte strade
compreria co ’l disnor la libertade -.
22A questo il mio buon re, ch’è tutto onore,
ch’è tutto nobiltà, tutto ragione,
dir non potrei se di più ardente amore
s’accese del norgallo a gran cagione;
mentre il loda e ’l conforta in grande orrore
d’alto lor grida il perfido Nabone:
– Aggia omai fin la guerra cominciata
che troppo lungamente è già durata -.
23Disse allora il norgallo: – Ben diss’io
che altro non vuol che d’un de i due la morte:
or veggio giunto il fin del viver mio,
non mi tenendo contro a voi sì forte -.
A ci risponde il re: – Non piaccia a Dio
che vi avvegna per me sì acerba sorte -.
– Anzi certo avverrà (l’altro gli dice),
e di quel ch’io non dico più infelice,
24perché a voi non starà darmi vita,
né a me donarla a voi, ché nel castello
di schiatta in arme pratica et ardita
di dugento guerrier vive un drappello
talché d’ogni altra età qual sia fiorita
non porrian cento star incontro a quello,
e sien gli Ettori, i Febi e Galealti
che on andasser vinti a i primi assalti -.
25Dopo alquanto pensar a ciò rispose
l’invitto Cavalier Senza Paura:
– Poi che sète colui per cui m’impose
il dever di qui trarvi onesta cura,
già ai non fia che l’armi mie noiose
vi possino apportar trista avventura.
Io vi lasso al palma, e farò in modo
che del vostro servir fuggirò il nodo.
26E chi vorrà sforzarmi avrà trovato
più chiaro difensor ch’ei non pensava -.
Poi mi fa cenno, che gli stava a lato,
gli meno il suo caval ch’ivi si stava,
si getta in sella, e qual leone irato
o se si può trovar fera più brava,
passo passo si muove, e dice prima
al cavalier di cui fe’ tanta stima:
27- Io vo cercando mia nuova fortuna,
pregando Dio che a voi miglior l’apporti.
Dite a Nabon che tanti vizi aduna
che mi vegna a trovar, e seco porti
arme a cui nuoca mai spada nessuna,
e de i giganti suoi dieci più forti
gli sieno aita, e se l’orribil testa
non gli farò lasciar, mi toglia questa -.
Partono per una foresta e si stanziano presso un eremita (28-63)
28Così parlato, seguendo io, cammina
verso una selva d’assai querce spesse
ch’avea veduta lì molto vicina,
e ’n poco d’ora si ritruova in essa.
Là sicuro si tien d’ogni rovina,
e d’ogni insidia che a lui fusse messa,
pensando: – Io son tra gli arbori difeso,
tal che da molti sarò tardi offeso,
29e se mi verran qui per assalire
ben darò lor de i frutti d’Estrangorre,
e ’n breve tempo farò fuori uscire
i servi della valle e della torre -.
Quando il vede Nabon così partire,
tutto pien di furor in basso corre,
dicendo irato al cavalier Vermiglio:
– Troppo a ragion di voi mi maraviglio.
30Or perché avete voi lassato andare
senza morte o prigion quel cavaliero? -.
Disse il Vermiglio: – Perché a lui mal pare
ritrovato mi sono a dirne il vero,
che se ogni suo poter voleva oprare
avrei di già trovato il cimitero;
ma cercato ha mostrar che in cortesia
val quanto in arme et in cavalleria -.
31- E chi dunque è costui (Nabon replica)
che voi fate compito oltr’a misura? -.
Diss’ei: – Poi che vi piace ch’io vel dica,
egli è il buon Cavalier Senza Paura,
che di Estrangorre la provincia aprica
sotto suo regno tien, sotto sua cura,
et è tal che per lui periglio porta
la vostra signoria d’esser ben corta.
32Non sol per sua virtù, ma perché ancora
ad Artus il gran re vive sì accetto
che se ’l sente prigion senza dimora
verrà con l’oste suo grande e perfetto,
né sarà contro a lui che duri un’ora
stretto calle, montagna, muro o tetto.
Non è basso guerrieri di poco conto
com’io, come molti altri ch’io non conto.
33Gran re, gran cavaliero e di gran fama,
tra i Franchi nato, et abita in Brettagna,
costui sol pregia, riverisce et ama
Gallia, Germania e l’una e l’altra Spagna.
Volentier più di tutti spesso il chiama
e più volentier seco s’accompagna
Artù, ch’io dissi, e quando il vede seco
l’oste troian non temerebbe e ’l greco -.
34Quando ascolta Nabon l’alte novelle,
ben teme in sé, ma fuor già no ’l dimostra,
e dice: – Artus vorrei con tutte quelle
genti chiuse tener in queste chiostra,
che ben lor mostrerei pruove più belle
che correr lance a torneamento o giostra,
altro gioco saria per questa valle
mille giganti aver sopra le spalle.
35E di costui ch’è qui t’assicuro io
che tosto in man l’avrò prigione e vinto,
e ’l potrebbe scampare a pena Dio
s’io non sono oggi per disgrazia estinto.
Non troverà poter simile al mio
ovunque aggia Nettuno il mondo cinto;
Nabone il Nero son, che sempre soglio
a maggior uom di lui batter l’orgoglio.
36Ancor voi vidi nel cominciamento
voler meco mostrar alta fierezza,
or sète servo al mio comandamento
come giovin caval suole a cavezza -.
E così minaccioso in mal talento
se stesso rode, e tutto il mondo sprezza.
Rimonta in alto e chiama un suo fratello,
superbo, iniquo e di pietà rubello.
37- Sapete ben (diss’ei) che quinci avemo
il miglior cavalier ch’al mondo vada,
il qual s’anciderem forte mi temo
che Artù subito venga a questa strada
per non lasciar di pia vendetta scemo
sì nobil re, né sì famosa spada.
Consigliatemi adunque, e veggiam bene
che non torni il suo male a nostre pene -.
38L’altro risponde: – Io loderei di molto
che quanto più possiam sia tosto preso,
perché stando ei così libero e sciolto
porria qualche un di noi trovarse offeso.
Quando con gli altri fia tra lacci avvolto
e che tutto il dì for’avrem compreso,
secondo estimerem utile e buono,
uccider il potrete o farne dono -.
39Piace questo a Nabone, e tosto assembra
della sua gente in arme chi più vale:
giganti son di smisurate membra
che non prendon piacer se non di male.
Dall’altra parte il mio gran re già sembra
che tutto il mondo a nuocergli non vale,
poi che si truova nel bel bosco entrato
forte stretto e difeso d’ogni lato.
40Et a me dice: – Se sarà gran gente,
si troverà tra gli arbori impedita,
s’ella fia poca io salto incontinente
fuor della selva, e torrò la mia vita -.
Io, che ’l sento parlar, resto dolente
e come cosa misera e smarrita,
lasso il domando, cerco pria con mano:
– Ditemi almen, signor, se sète sano -.
41- Dispostissimo son (tosto risponde)
ancor ch’assai piagato mi ritrove,
e vi prometto ben che queste fronde
saranno testimon delle mie pruove,
che verran, spero, al mio desir seconde
se già mi fur con vero onor altrove.
Non dubitate ch’io farò in maniera
che vita e libertà serverò intera -.
42Io gli rispondo allor: – Questo cred’io,
di voi sapendo la virtude invitta,
ma come, fuor che ’l voglia solo Dio,
potrete in questa selva derelitta
menar la vita in orbo stato e rio,
dall’asprissima fame e freddo afflitta?
or non sapete voi ch’a loro incontro
arme non val, né di cavallo incontro? -.
43Et esso: – Io vi vo’ dire il mio disegno,
che certo son che riuscir mi deve:
la notte infra le frondi e sopra legno
poserò il corpo per gli affanni greve,
il dì con l’arme e co ’l destrier ch’io tegno
seguirò delle damme il corso leve,
né per farne esca mancherà del foco,
che le pietre ci danno in ogni loco.
44Più tosto viverò con uom selvaggio
facendo mille danni al signor empio
ch’esser l’un della Valle del Servaggio
che onori qui Nabon qual Dio nel tempio.
E così tutto solo speranza aggio
di condur questa parte a tale scempio
che non ci resterà reliquia o forma
di tanto scellerata e brutta torma.
45Ma voi che delicato e debil sète,
ne potreste soffrir sì strani affanni:
con qualcun di qua entro viverete,
che ben saprà l’usanza per molti anni.
Ivi a vostro agio il tempo passerete
senza temer d’altrui dogliosi danni,
nutrito come be, come montone,
io starò in selva a guisa di leone.
46Tra i quai più tosto dimostrar consento
che farmi qui d’un tal gigante servo,
perché nullo è dolor, nullo è tormento
quando ben fusse inciso a nervo a nervo,
che cavalier di core e d’ardimento
non deggia sopportar dall’uom protervo
povertà, fame, gielo, peste e fiamma
pria che perder dono solo una dramma -.
47Io, che ciò sento, per pietà di lui
e per sdegno di me piango e sospiro,
poi dico: – Avanti che esser mai d’altrui
il ciel vedrem menar contrario giro:
non men parato son che siate vui
a stentar sempre, né di ciò m’adiro,
e vi giuro, signor, che con mia morte
vorrei di voi cangiar l’acerba sorte.
48Io sono un uom che dono impaccio al mondo,
e della vita mia nessuno ha cura,
voi sète un re ch’a null’altro è secondo,
e vero cavalier senza paura.
Fia la cavalleria più che in profondo,
di voi piangerà Marte e la natura:
questo doler mi face, e non viltade,
come il vedrete in queste rie contrade -.
49Mentre io dicea così, vid’io dolersi
molto il mio buon signor d’avermi offeso,
seguendo: – Or mostriam dunque che gli avversi
casi non premon chi d’onor sia acceso -.
Camminando così sentier diversi
troviamo, e ’l più segnato è da noi preso,
per discoprir il sito e la grandezza
e della selva la più folta asprezza.
50Da poi che giti siam due miglia forse
scendendo in basso al più profondo seno,
una picciola casa a gli occhi occorse
del mio buon re, che non ne vole ameno;
ch’un romitaggio sia tosto s’accorse,
al qual s’addrizza, di dolcezza pieno,
né cento passi innanzi a pena è gito
ch’alla chiusa ombra fuor vede il romito.
51Il qual, vecchio a veder, curvato e bianco,
dicea sue devotissime orazioni.
Noi d’improviso il salutiam dal fianco
con cortesi, amichevoli sermoni;
di maraviglia colmo e di tema anco,
dopo l’accôrci stando ginocchioni,
ci riguarda, e considera tacendo
come chi incontri nuovo caso orrendo.
52Che già perduta ogni memoria avea
di veder cavalier lì dentro armati,
dal dì che servo la sua sorte rea
il fe’ che molti lustri eran passati.
Poi ci invita al suo tetto, e ne dicea:
– Sarete come poveri alloggiati,
ma non è poco aver solo il coperto
quando la notte appare in tal diserto -.
53Lui ringraziamo, et accettiam l’invito;
entrando nella picciola casetta,
lì troviam d’ogni ben povero il sito,
senza pan, senza vin, sol dell’erbetta.
D’uno orto lì vicin facciam convito,
di castagne e di ghiande, che perfetta
esca ne parse più che in altro loco
non ci sole parer d’ottimo cuoco.
54Poi di acque chiare rinfrescati alquanto,
il mio re chiama il vecchio fraticello,
fassel seder acconciamente a canto,
poi gli domanda del paterno ostello.
Et egli: – Io non potrò mai senza pianto
raccontar l’esser mio passato e bello,
di Logre e del famoso Camelotto
a cui vicin da i fati fui prodotto.
55E vissi cavalier di mezza pregio
infin ch’io venni all’aspra servitute
di questo crudo mostro, ch’a dispregio
ha del mondo e del Cielo ogni virtute,
ch’avendo un figlio di valore egregio
venni per ricovrar la sua salute,
essendo io qui prigion, né potei farlo,
anzi sforzato fui d’accompagnarlo.
56Né molto tempo andò che acerba morte
per distruggermi al tutto anco me ’l tolse.
Piansi molti anni la mia cruda sorte,
infin che la santa aura in me s’accolse,
e mi disposi a star tra queste porte
sotto il nome di Dio, che così volse;
allora era un romito in questa valle,
un cavalier mio amico di Norgalle.
57Molto vivemmo insieme in divozione;
morto esso vecchio, io mi rimasi solo;
cerco di guadagnar l’alta magione
del nostro Salvator ch’eterno colo.
Or poi che di me avete cognizione
datemela di voi, ch’assai gran duolo
sento di vedervi oggi in tale stato
da starvi infino a morte rilegato -.
58Così diss’egli, e ’l mio signor cortese
gli contò l’esser suo, la patria e ’l regno,
e chi l’avea condotto in quel paese,
e tutto a parte a parte ogni disegno.
Non già il nome ch’avea gli fe’ palese,
che il raccontarlo giudicava indegno.
Mentre ascolta il buon uomo il bel parlare
seco il stima campion di grande affare.
59Loda i suoi bei pensier, ma dice al fine
che impossibili fien condursi a porto,
se già il Motor delle virtù divine
gran miracol per lui non faccia scorto.
– Dunque (dice il mio re) nostre rovine
non cesserien quando Nabon sia morto?
e perché no ’l può far un cavaliero
di quei ch’io saprei dir famoso e vero? -.
60Il consente il buon vecchio, e dice appresso:
– Quel ch’io ho letto già narrar vi voglio,
che dentro una colonna ch’è là presso
dell’entrata del tagliato scoglio
che guarda al mezzo giorno è scritto:
Qui sarà solo oppresso il crudo orgoglio
e mancherà l’impia costuma ria
quando di Leonese il fior ci fia.
61E se il franco gran re Meliadusse
vivesse, come fea quando il lassai,
avrei speranza che quel proprio fusse
che ne devesse trar tosto di guai,
ma inteso ho poi che a morte esso condusse
il buon re di Estrangorre, ornato assai
di quanto onorato uom aver procura,
chiamato il Cavalier Senza Paura -.
62Allora il mio signor: – Siate pur certo
che ’l re di Lionese vive ancora,
e crederò che quello scritto aperto
voglia intender: di lui che Marte adora;
né credo che guerrier di maggior merto
sia dal mar del Marocco all’aurora,
e s’io fussi di fuor tanto farei
ch’a sì lodata impresa il menerei -.
63Si rallegra il romito alle novelle,
fede prestando a quel che letto avea.
Or già mezzo il cammin compion le stelle,
posansi tutti, che mestier ne fea.
Poi che le cose colorite e belle
n’aperse il sol, ch’al Gange rilucea,
medica il buon romito il mio signore
e le piaghe assicura e toe il dolore.
sono raggiunti da una donzella che si offre di aiutarli ad eliminare Nabone, il re sconfigge Natan, figlio del tiranno, ma gli concede la vita (64-96)
64Stiam ragionando ancor quando venire
una donzella assai leggiadra in vista
veggiam soletta a piedi, e senza dire
parola né saluto, afflitta e trista,
come chi porte in cor noia e martire,
guarda il mio re, che a rimirarla acquista
maraviglia, e le dice: – Se troviate
quanto cercate aver, a che pensate?
65Ditemel, bella donna -. Et ella a lui:
– Io vi guardo per ben, né penso male
del qual tanto aggia quanto io voglio a vui,
ma ben sento per voi doglia mortale
che qui sète venuto in forza altrui,
onde fuggir né calcitrar non vale;
e ben dritta ho cagion di tal pietade,
tale in voi già trovai grazia e bontade
66nel bel regno di Logre, e men sovviene
e me ne sovverrà mentre avrò vita,
tal ch’io bramerò sempre il vostro bene,
come cosa ch’a me sia più gradita -.
Il mio buon re, che sempre ha verde spene
né mai l’anima bassa o sbigottita,
disse: – Se mal contenta or di me sète,
ben tosto e molto vi conforterete -.
67- Questo troppo bramo io (gli seguita ella)
e che tosto esser debba aggio fidanza,
perch’io procaccio in questa parte e ’n quella
con tutti i cavalier c’hanno qui stanza,
che salvi e più che mai gioiosi in sella,
rotta e disfatta l’impia dimoranza,
ei possin ritrovar le proprie case
e le care famiglie ivi rimase -.
68La ringrazia il mio re, poi la domanda
del suo nome pregando un’altra volta.
Il nega ella dicendo: – In altra banda
nota vi fia sulla campagna sciolta;
ma ditemi se quinci o in questa landa
vi troverò della gran selva folta,
sempre che fia mestier farvi sapere
del disegno per voi novelle vere -.
69Dicele il mio re liberamente
ch’ivi la notte fia, nel bosco il giorno,
né sa il meschin che disleal la mente
ascondea dentro al dolce viso adorno,
ch’amica di Nabon, assai sovente
a cavalier già fe’ più d’uno scorno,
come a noi fece, e con dolce atto onesto
poi si parte per tornarvi presto.
70Ritornata a Nabone e domandata
che cosa le parea del cavaliero,
disse: – Virtude in lui tanta ho trovata
che mai simil non fu forse in guerriero,
né penso oggi che forza o schiera armata
possa darvelo mai per prigioniero,
o farà tanta a voi vergogna e danno
che ve ne sentirete poi qualche anno.
71Ma se per tradimento il cercherete,
vi darò ben consiglio e meglio aita -.
Sen accorda egli, et essa, che n’ha sete,
a pena che l’aurora era apparita,
se ne vien con maniere finte e liete
là dove noi stavam con l’eremita,
truova tosto il mio re fuor della porta
che molto al suo venir si riconforta.
72E ricerca da lei se deve udire
nuova felice a sua liberazione.
Risponde ella di sì, ma che a lui dire
non la vuol fuor di debita stagione,
ma che faccia buon cuor, che tosto uscire
si potrà fuor della crudel prigione.
La ringrazia esso, e gli promette molto
se per l’aiuto suo si truova sciolto.
73Si parte allor l’iniqua traditrice,
e ’l mio caro signor pensando resta
se la fortuna gli farà felice
di rincontrar Nabone alla foresta.
Ma il buon romito confermando dice
ch’altra speranza gli convien che questa,
perché certo sapea che tutto il giorno
serrato è in casa, e mai non giva intorno.
74Stassi adunque tre dì nel romitaggio
quanto può il mio signor troppo scontento,
al quarto fare un picciol suo viaggio
per quella chiusa valle ha pur talento,
e per tutto domestico e ’l selvaggio
la sua ventura è ricercare intento;
monta a caval, lo scudo e l’asta prende,
e verso il rio castel il passo stende.
75Da poi che traversato ha il bosco alquanto
riconosce il sentier che fatto avea,
ch’era chiuso di querce in ogni canto
che a pena il sole ivi entro discendea.
Tra lor s’appiatta, e me fa gir intanto
a discoprir s’alcuno ivi vedea;
scuopro certi ch’appaian cacciatori,
che fan di corni e cani alti romori.
76Dicolo al mio signor, et ei mi manda
ch’io vada a ricercar che gente sia,
con chi sien, onde venghino e ’n qual banda
sieno addiritti, e quanti in compagnia.
Gli truovo tosto, e fo quanto comanda,
fammi risposta il primo che venìa:
– Servi siam di Nabone, e d’un suo figlio
che qui dietro ne viene un mezzo miglio,
77che si chiama Natan, molto possente,
e di cavallerie tutto ripieno -.
Gli domando se solo e con qual gente,
et ei: – Con venti cavalieri almeno,
bene a cavallo, armati doppiamente,
non perché tema alcun nel suo terreno
ma per mostrar grandezza e nobiltade
alle suggete sue larghe contrade.
78Là dove altro che lor portar non osa
ferro che possa far offesa altrui -.
Pregolo a dirmi allor come e ’n che cosa
potrei fra gli altri suoi conoscer lui,
e quel: – La faccia altera et orgogliosa
vel potrebbe mostrar e gli atti sui,
ma più vel mostrerà la sopravesta
verde, ove gli altri l’hanno nera e mesta -.
79Ritorno io tosto, e do del tutto avviso
al mio signor, che tal contento n’have
che gli apre esser vivo in Paradiso,
e di tutto il suo ben aver la chiave.
Poscia a me dic, in minacciante viso:
– Fusse pur seco quella orrenda e grave
peste del rio Nabon, che ’n un sol punto
saria così mal seme a morte giunto -.
80Così dicendo essamina il cavallo,
il piè, la briglia e tutto l’altro arnese,
ch’al gran bisogno poi non faccia fallo,
che troppo importa in sì crudel paese.
Celato stassi infin ch’al tristo ballo
giunga Natan, che impari alle sue spese.
Il qual già viene, e mena dieci innanti
de i cavalieri, e ’l seguono altri tanti.
81Allora esce il mio re dal chiuso agguato,
e quanto può volando il destrier muove,
gridando: – Morto sei, popol dannato,
che non vi scamperia Marte né Giove -.
ben già scorge Natan che l’ha notato,
a lui sol mira, e non si volge altrove,
ma il valoroso giovine che ’l vede
senza tema all’incontro il caval fiede
82Ma tanto è del mio re maggior la forza,
dal corruccio ch’avea cresciuta ancora,
che l’usbergo, la piastra e tutto sforza
tal che piagato il petto ne dimora,
e senza ivi alternar la poggia e l’orza,
stordito cade della sella fuora.
Lassalo come morto e innanzi spinge
contro al suo stuol, che ’nsieme si ristringe.
83Sì come il cacciator che cervi o lepri
o con reti o co i can cercando vada,
che veggia fuor de i pruni e de i ginepri
leone o lupo attraversar la strada,
che fuggir vuol tra sconosciuti vepri
e senza senno nel suo campo bada,
così di questi all’improvviso caso
è ciascun come marmo ivi rimaso.
84Pur, come io dissi, ben ristretti insieme
stanno a veder che faccia il cavaliero,
il qual di tal poter gli punge e preme
che due morti ne son sopra il sentiero
con un colpo di lancia ch’all’estreme
parti del ventre passa il ferro intero.
Poi, messo al brando man, grida più forte:
– Chi non fugge da me segue la morte -.
85E quattro in quattro colpi anco n’uccide,
tre poi ne caccia come morti a terra.
Gli altri fuggon tosto, ei meco ride
dicendo: – Tosto ha fin la nostra guerra -.
Poi che ciascun da lui sparito vide
e pel bosco più folto fugge et erra,
Natan riguarda, e truova ch’ei s’è dritto,
ma pur com’uom di grave febbre afflitto.
86Dammi dunque il caval, poi ch’egli è sceso
e nella fronte così forte il fère
che ne resta il cervel per modo offeso
ch’un’altra volta gli convien cadere.
A lui s’avventa, e con due mani ha preso
l’elmo, che ’l laccio non porria tenere
che del capo no ’l sveglia, e lunge il getta
ove a pena d’un arco andria saetta.
87Quando vede Natan, già rivenuto,
c’ha l’avversario sopra il fronte nudo,
e ch’è disfatto il suo fedele aiuto,
né forza avea di sostener lo scudo,
e scorge lui che co ’l gran brando acuto
morte minaccia disdegnoso e crudo,
gli grida: – Cavalier, poi ch’io son vinto
ragion non è che mi vogliate estinto.
88Piacciavi dell’etade aver mercede,
ch’è su ’l fiorir, e non vi offese mai -.
– Ah (gli dice il mio re), l’ira non cede
al tuo pregar, che a morte ti vedrai
per vendicar mille spietate prede
c’ha già fatte il tuo padre e tu tel sai -.
Allor disse Natan: – Ditemi innante
se sète o fuste cavalier errante -.
89- Sono e fui – , gli risponde il mio signore,
a l’altro: – Or come far onta vi piace
alla cavalleria, ch’è sommo onore
in guerra e cortesia suprema in pace?
come vi può dettar l’animo e ’l core
di tòr la vita a chi suggetto giace,
e che salute vi domanda umile,
contra l’usanza del lodato stile? -.
90Quando ciò sente il re, resta pensoso,
e riconosce in sé ch’ei dice il vero,
e, benché di vendetta assai bramoso
e d’odio pien contro a Nabone il Nero,
gli disse: – Io non fo il brando sanguinoso
che dicevol non venga a cavaliero,
e la vita vi do con questo patto
d’esser sempre cortese in detto e ’n fatto.
91Or gite a vostro padre, e da mia parte
gli dite che si guardi se ben puote,
ch’io gli dividerò in più d’una parte
l’orribil fronte e le lanose gote.
Non torre, non castel, non forza et arte
render porran le mie speranze vòte,
s’ei non lassasse già liberi andare
tutti i prigion che fa qui dentro stare -.
92Gli promette Natan di fare il tutto
e di far molto più promesso avria,
in così male mani esse condutto
e non senza cagion lì si vedia.
Partisse adunque, non co ’l volto asciutto,
come chi fugga sorte più che ria.
Allora va il re dove quegli altri stanno
abbattuti e feriti in grave affanno.
93I quai, vedendo a qual la spada in mano,
cominciano a gridar con gran temenza:
– Mercé, pietade, o cavalier sovrano,
di noi che siamo in vostra obbedienza -.
Allor il cavalier, con atto umano:
– Perché temete voi della presenza
di quel che non vi dèe né può far male
per la legge di guerra e naturale?
94Io vi do libertà, con la promessa
di dir, come Natan tutto a Nabone -.
Poi quel, che fu la caritade istessa,
mena loro i cavai, pongli in arcione.
A quei che morti son di sopra ha messa
quanta con man poteo terra e sabbione.
Poi dritto nel medesmo viaggio
ce ne tornammo al nostro eremitaggio.
95Ci domanda il santo uom nuove di noi,
dicendo che temuto n’avea molto
che ’l spietato Nabon tra i lacci suoi
lui non avesse nuovamente accolto.
Gli risponde il mio re: – Pensate voi
ch’io sia pomo sì facil d’esser colto?
Prima ch’ei m’abbia in man costerò tanto
che ne fia in questa valle eterno il pianto -.
96Replica il buon romito: – Io vi assicuro
che se vi prenderà ben morto sète,
e perché io ’l so mi troverà sì duro
che mai più non avrà d’avermi sete -.
– Non è tigre o leon così sicuro
come io sarò mai sempre, e voi ’l vedrete -,
così dice il mio re, che nulla cura
e non conobbe mai dubbia paura.
La donzella conduce il re ad una prigione fingendo di portarlo alle sale reali (97-122)
97Mentre noi siam così, già tosto arriva
la compagnia ferita e ’l giovanetto,
ch’a pena avea nel cor l’anima viva
di tema e di una piaga c’ha nel petto.
I suoi danni ciascun narrando giva,
il periglio passato e ’l gran sospetto,
e si accordan che ’l ciel può far a pena
un uom di tanta forza e di tal lena.
98 parlando così truovan l’albergo
del fer Nabon, c’ha di già il tutto inteso,
il qual, mirando loro il petto e ’l tergo
di sì gran colpi e sì profondi offeso,
– O Dio (diss’egli), a te le querele ergo:
onde è venuto un uom di tanto peso
per farmi una tal onta et un tal duolo
ne i ben, nella famiglia e nel figliuolo? -.
99Allor conta Natan tutto dolente
di motto in motto quanto gli è seguito,
poi gli fa l’imbasciata propriamente
come promesse al re quando è partito.
Tremogli il cor, turbossi assai la mente
al fero padre quando egli ha finito,
ma no ’l dimostra fuori, e dice pure:
– Non saran poi le cose così scure.
100L’onta e ’l danno mortal ch’io me ne sento
s’io non glie ’l fo tornar vie più che amaro
non possa io mai nel mondo aver contento
e ’l ciel mi sia d’ogni suo bene avaro.
Maggior cosa ho condotto a mio talento,
né mai disegni miei vòti restaro,
basta ch’io l’ho rinchiuso, e pria che n’esca
saprà che ’l folle augel l’ali s’invesca -.
101Già la fama immortal, che batte l’ali
velocissima sempre a i casi nuovi,
in un picciol momento scende e sale
parlando a ciaschedun ch’ivi si truovi
che tosto fine avrà d’ogni suo male
e che speranza in sé non dubbia innuovi,
perché giunto è colui che in grand’onore
della lor servitù sia redentore.
102Tal che fra lor ogni uom mostra allegrezza
la qual l’istessa fama a Nabon porta,
che tanto fe’ maggior la sua tristezza
che non può trovar luogo e si sconforta.
Truova la donna a i tradimenti avvezza
che d’ogni suo peccar fu fida scorta,
seco consiglia il modo di potere
senza danno costui prigion avere.
103Dice la disleal, poi c’ha pensato:
– Or che direte voi s’io ve l’arreco,
prima ch’un giorno sia, preso e legato
d’una vostra prigion nel fondo cieco? -.
Nabon risponde: – Il più felice stato
che mai consorte avesse avrete meco -.
Et ella: – Voi ’l vedrete -, indi si parte,
e vassi a riposar in altra parte.
104Come l’alba apparì prende la via
la fallace donzella sola a piede.
Truova il mio re, che ’l santo ufficio udia,
che tutto lieto vien quando al vede,
e le domanda allor che cosa sia
avvenuta di buon, poscia che riede.
Et ella: – Molti modi ho nel pensiero,
ma me ne piace un solo a dirne il vero.
105Certo è ch’ella saria di gran periglio,
ma se vi prometteste alto coraggio
tosto fareste il suo castel vermiglio
del sangue di quel mostro empio e selvaggio -.
Et egli a lei, con disdegnoso ciglio:
– Ben si truova di me più forte e saggio,
ma dell’ardir non cedo oggi ad alcuno,
e rinascesse pur Ettore il Bruno -.
106Allor comincia questa: – Io troppo intendo
tutto il castello ove si sta Nabone,
di notte e senza lume saglio e scendo
d’esso ogni scala et ogni abitazione,
e di mettervi in loco ivi intraprendo
che avrete il crudo in vostra discrezione,
che vi merrò per una ascosa sala
ove cena la sera alla gran sala.
107Ivi sarà con venticinque o trenta
dei domestici suoi per lui servire,
senza arme tutti, et han la vista intenta
nell’esca più che nell’altrui venire.
Or voi sapete ben come spaventa
chi vede arme insperata comparire:
di lui farete e di lor tutti poi
quel proprio che voler sarà di voi.
108Morto lui, voi signor di questa valle
senza contrasto alcun sarete certo.
Tutti i nemici vi daran le spalle,
e ’l passo a i prigionier fia tosto aperto,
e voi trionfator del tristo calle
n’avrete in terra e ’n ciel perpetuo merto -.
Così disse quell’empia, e ’l signor mio
della ventura già ringrazia Dio.
109e le domanda il modo, ella gli conta:
– Nessun puote entrar mai dentro alla porta
che persona non sia ben nota e conta
a chi di notte e dì sia guardia e scorta,
ma s’avrete al venir la voglia pronta
vi menerò per via secreta e corta
in sul far della sera, e sotto gonna
che vi possin tener come me donna.
110Io son là dentro in mood conosciuta
e son presso di tutti in tanta fede
che nessun mai la porta mi rifiuta
tosto ch’ivi arrivar sempre mi vede.
E poi l’ombra notturna molto aiuta
a chi va saggiamente e ben provede.
Voi porterete sol l’usbergo e ’l brando,
ch’agevolmente si verran celando.
111Come là dentro siamo in una stanza
vi metterò dove ho dormito spesso,
alla qual per mangiar la dimoranza
del spietato Nabon fia molto presso.
Di tutto il resto poi che a far avanza
con l’arme in man pensar lasso a voi stesso,
nel cui valor mi fido che faremo
di sì crudo tiranno il mondo scemo -.
112- Questo (rispose il re) come voi dite
tocca a me sol pur che là dentro sia -.
Et ella: – Incontinente che apparite
saran le stelle, prenderem la via,
sì che l’orme di noi mal sien seguite
ove più chiuso andar la selva dia.
Intanto me girò per ordin dare
a quel che fia mestiero al nostro affare -.
113Così detto si parte, e narra il tutto
al fer Nabon, che d’allegrezza è pieno.
Ivi gran stuol di genti hanno condutto
per meglio imporre al cavaliero il freno.
Già pressa è la stagion da còrre il frutto,
già vien la notte con le stelle in seno,
la disleal al tempo non si posa
torna ove siam, fingendo alla nascosa.
114Lieto il mio re domanda s’era l’ora,
et ella: – Esser non può per miglior certo -.
Partonsi tosto senza far dimora
in panni femminil tutto coperto,
i quali essa gli diede onde talora
vestir soleva, e vanno pel diserto
i sentier men segnati ritrovando,
pur con l’usbergo solo e solo il brando.
115Or io, che veggio ciò, dir non potrei
quanto piangendo, ohimè, seco mi dolsi,
che tradimenti certi e pensier rei
sol nello sguardo di quella impia accolsi,
e gli dicea: – Contento almen sarei
d’esser con voi, se mai piacervi volse;
lassatemi venir, ch’almeno io possa
con voi perder lo spirto e posar l’ossa -.
116Et ei cruccioso indietro mi ricaccia,
e mi dice: – All’albergo omai ti resta -.
Così la coppia il suo cammino spaccia
in poco d’ora fuor della foresta;
giunta al castel la guardia, che n’ha traccia,
e la conosce alla donnesca vesta,
tacita entro gli mette u’ piana e cheta
truova la donna camera secreta.
117Ella per una camera, ma in vero
ordinata così pure è prigione.
Come vi ha posto il miser cavaliero
il lassa, e dice: – Io vo verso Nabone,
e quando il tempo fia, quale io mi spero,
v’avvertirò ch’a tavola si pone,
e voi potrete allor donare effetto
al lodevol pensier ch’avete in petto -.
118Poi che l’ha chiuso ove partir non puote
e serrato di fuor l’uscio di acciaro,
vanne a Nabon, e del pensier gli scuote
di tanta impresa ogni timore amaro,
e gli racconta con ridenti note:
– Così n’aveste un altro centinaro,
con Artus proprio e quanti ne stan seco
come or è questo re nel carcer cieco -.
119E ’l tutto gli racconta a parte a parte
dell’abito, del modo e della strada,
fin quando seco dall’albergo parte
e come ha sol l’usbergo e la sua spada.
Loda il consiglio suo, celebra l’arte
qualche menzogna usando ove le aggrada,
sì come avvien che un traditor fallace
nel mentir con ogni uom poi si compiace.
120Quando assai ringraziata ha la donzella,
non si poté Nabon più contenere
che non dicesse a tutti la novella
che per guardia di lui suol sempre avere:
– Non ci bisognerà montare in sella,
né vestir arme o dispiegar bandiere
per prender il gran duce di Estrangorre,
ché prigion l’ho senza arme in questa torre -.
121Tutti gli amici suoi lieti si fanno,
perché del mio signor temevan forte.
Gli altri che son prigion gran doglia n’hanno,
che speravan per lui più dolce sorte,
ma, senza far sembiante, muti stanno
maladicendo quelle false scorte
c’han condotta in prigion tanta virtute
ch’ivi era sol per publica salute.
122Or il mio re, che d’ora in ora attende
la falsa damigella che gli vegna,
a narrar le novelle ch’ella intende
e della casa lì portargli insegna,
or contando i suoi passi l’ore spende,
or resta in dubbio, or di temer si sdegna,
or s’appressa alla porta e pargli udire
qualche persona che la voglia aprire.
Una donzella sente il prigioniero lamentarsi e decide di aiutarlo (123-142)
123Stassi in questi pensier, in questa pena
tutta la notte, e già ne vien l’aurora.
Guarda la stanza, et ivi truova a pena
picciola finestretta onde a tarda ora.
e quando la stagion sia ben serena.
di tenebrosa luce la colora,
et è ferrata fortemente e stretta
ch’a pena un fanciullin la man vi metta.
124Quando ciò vede, se dolor ne senta,
s’ei si vuol disperar pensatel pure,
e si cruccia egli, esclama e si tormenta,
accusa il cielo e le sue leggi oscure,
dicendo: – Or che ragione è che consenta
ch’io, che le voglie ogni or candide e pure
ebbi verso ciascun non dirò amico
ma quanto esser porria fero nemico,
125sia qui lasso tradito in tal maniera
che nessun più? ma per qual rio consiglio
D’una femmina, ohimè, che par la vera
giustizia istessa a rimirarle il ciglio,
che m’ha donata la sua fede intera
ch’io farei osto il suo terren vermiglio
del sangue di quel crudo ch’a gran torto
sì gran stuol di guerrieri ha preso o morto?
126Io pur fui sempre a tutte donne oneste
in quel che mai potei dolce e cortese,
mille fiate in ville et in foreste
ho condotto alla fin chi lor offese,
sempre ebbi a lor servir le voglie preste,
né mai per esse Amor indarno tese
la sua saetta in me, che sempre stato
sono in quelle ubbidir più che beato.
127E tu, sommo Signor, che ’l tutto vedi,
non consentir ch’io mora in tal fortuna,
non guardare a i miei falli, anzi provvedi
sia chiaro il fin se la mia vita è bruna,
fa’ che disciolte al men le mani e i piedi
mostri quella virtù che in me s’aduna,
sol per tua grazia, che da lei mi viene
non legato in prigion fuor d’ogni bene -.
128Mentre che questo dice et altre molte
parole il cavalier più dolorose,
una donzella che nell’alba ha colte
infinite vermiglie e bianche rose
dentro un giardin vicin, avvien che ascolte
le sue querele afflitte et angosciose,
guarda onde vien la voce e vede al fine
la sua finestra ascosa tra le spine.
129S’accosta a quella e bene ivi entro guarda,
e scorge il cavalier tutto pien d’ira,
che con la vista minacciosa e tarda
quasi acerbo nemico la rimira.
Ella il saluta, e par in vista ch’arda
di dolcezza e d’amor, e poi sospira,
dicendo: – Cavalier, perché sì fero
sète contro a chi v’ama e di cor vero?
130Se voi verso ogni donna fuste tale,
io potrei, credo, dir che ebbe ragione
quella che verso voi fu disleale,
sì che vi ha messo in così ria prigione.
Un discortese cavalier che vale
tutto odio e scherno alle gentil persone?
Ma vi assicuro che voi sète in loco
ove vi domeranno gli anni un poco -.
131- Non faran (gli risponde il re dolente),
che ben mal grado delle donne rie
di quinci spero uscir incontinente
e vendicar tutte le ingiurie mie.
E s’io fui servitor fido, e sovente
delle oneste donzelle fide e pie,
e per lor molto sangue largo ho sparso
ne sarò nel futuro assai più scarso.
132E se nell’altrui forze oggi mi truovo,
fia nella mia qualch’una un’altra volta,
e di vecchio peccato essempio nuovo
farò di lei che libertà m’ha tolta,
e tutta quella doglia che in cor pruovo
in lei vedrolla unitamente accolta,
e farò chiaro a chi no ’l pensa forse
che a torto in me tanta disgrazia corse -.
133Dice ella allor: – Udito ho ragionare
che voi fuste alle femmine sì crudo,
che Breusso di voi non fu mai pare
in aver il pensier d’amor ignudo -.
– S’io fussi stato tal assicurare
ben vi potreste a quel ch’io vi conchiudo,
ch’io non mi sarei mai messo in man di donna
o tutto armato o com’io venni in gonna
134(così diceva il re), ma perché sempre
fui già di mille e mille assai fedele,
pensai trovar in lor l’istesse tempre
e non in vece assenzio aver per mele -.
Poi, come quel che di dolor si stempre,
tacito pose fine alle querele,
e la donzella, ch’era fida e buona,
per non l’offender ratta l’abbandona.
135Pur con pensier di dargli a tempo aita,
che innamorata è già di sua prodezza,
e perché come nobile et ardita
vuol mostrargli virtude e gentilezza,
scoprendo che se l’altra era fallita
di quella lealtà che più s’apprezza,
che non era il medesimo ciascuna,
o, se ben rare, son ch’essa n’era una.
136Solo adunque restato e pien d’affanno
si dimora il mio re tutto quel giorno,
né quei là dentro da mangiar gli danno
ma che non si gli dia sta guardia intorno.
Pensate or voi s’ogni momento un anno
e più gli sembra, e s’ei si tiene a scorno,
sendo scampato mille spade e lance
d’ivi morir per le donnesche ciance.
137Pur, come quel che mai non ha paura
non può ceder al ciel non che alla sorte,
già libero s’immagina e misura
se la spada o se ’l braccio avrà sì forte
per far cose che sieno oltr’a natura,
e non pur a Nabon donar la morte,
ma far aspra rovina e gran flagello
della valle, de i monti e del castello.
138In questi stran disegni l’ore spende
senza riprender mai riposo d’esca,
tutto il secondo dì poi, quando scende
al notte in basso perché il sul fuor esca,
ecco la donna ancor che passi spende
come colei che del suo mal le incresca,
per avvisarlo sol di punto in punto
il bene o ’l mal che sopra lui sia giunto.
139Ella il chiama con gli occhi umidi e bassi,
dicendo: – Io porto a voi triste novelle,
che ’n corte di Nabon consiglio dassi
la vita tòrvi come a rio rubelle -.
Et egli irato: – Io prego il Ciel che i sassi
che reggon queste mura e reggon quelle
mi caggin tutti a questa testa sopra
pur che ’l mio vero onor macchia non cuopra.
140Ma s’ei vorrò con ferro uccider farme,
vi fo ben fede ch’io non morrò solo,
ché pria ch’a nessuno uomo in preda darme
vorrò meco ne venga un grande stuolo.
Questa spada ch’io porto e le poche arme
ne faran mille innanzi gir a volo.
Ditelo pur, vi prego, che in effetto
farò forse assai più ch’io non ho detto -.
141Ritornasi ella adunque assai dogliosa
né mancò l’altro dì tornarvi appresso,
al quanto nella vista pur gioiosa
che non han l’impio caso in opra messo.
Ma dice che un ch’ivi entr si riposa
al suo fero Nabone avea promesso
di tutto sol venir alla prigione
e menargli legato quel barone,
142soggiungendo ch’è ’l pregio de i giganti,
e che sol n’abbatteva venti insieme,
e di cinquanta cavalieri erranti
men che di pecorelle il lupo teme.
Udendo ciò s’allegra ne i sembianti
il mio buon re, che se gli accresce speme.
Rende a lei grazie, et essa indietro torna
per rivenirvi poi quando s’aggiorna».