commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro XVI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 14.09.15 17:56

Il cavaliere racconta la storia di Passo Periglioso e della sua legge: il signore locale ha istituito tale legge per impedire a un misterioso cavaliere di vincerlo di nuovo a duello (1-14,4)

1«Era di questa terra già signore
un cavalier che nessun par avea,
di bontà, d’ardimento e di valore
e di assai gran paese il fren tenea,
e s’aggiunse per sorte a tanto onore
ce sposa avea che vinse Citerea,
di beltade e di grazia sopra umana
e di casti pensier Palla e Diana.

2Fu il nome di costui Diodenasso,
il qual un dì, per onorar il sito,
e per dar a’ vicini onesto spasso
fece bandire un publico convito,
ove dopo il mangiar, su questo passo,
fu ricco torneamento stabilito,
né restò di venirci d’ogni intorno
donzella vaga o cavaliero adorno.

3Né sol per contemplare il dì festivo
tutti vien, ma per mirar in parte
di questa il volto grazioso e divo
ch’avria fatto ogni uom vil tornar un Marte,
e di basso pensier restava privo
ogni cor rozzo, e lassava in disparte
i suoi villan desir, e quella etade
d’accordo l’appellò passa Beltade.

4Ora il padron di qua con l’arme in mano
fece in quel dì maravigliose pruove,
qualunque uomo incontrò distese al piano,
e la vittoria in tutto ebbe da Giove.
Fu lì tra gli altri un cavaliero strano,
che mentre questo e quello il destrier muove
sempre stette a mirar la donna in volto,
tacito e fermo e ’n maraviglia avvolto.

5E tanto avea di tutto quel sentito
com’uom che fusse in ben lontan paese,
quando altri vien che dice esser finito
il torneamento, e ’l tutto fe’ palese,
rimase egli sdegnoso e sbigottito,
e ’n se medesmo alta vergogna prese,
dicendo: – Benché alcun non mi conosca
pur tenerò fortuna o chiara o fosca,

6né soffrirò che senza altrui vendetta
sian tanti cavalier caduti a terra -.
Prende il suo scudo, e con furor si getta
ove sta il vincitore, e ’l chiama a guerra,
e come soglia far vento o saetta
che gli arbori , capanne e case atterra,
ferì questo signor di tanta possa
che non sostenne ben l’aspra percossa.

7Anzi cadde lontan più di sei braccia,
né il cavaliero stran molto dimostra
va sopra gli altri e teste, gambe e braccia
rompe a quanti vi sono, e ’n poco d’ora
chi non era caduto avea la caccia,
e fuggito era già del campo fuora.
Ma il buon Diodenasso già risorto
non può trovar in sé pace o conforto,

8ma rimonta a cavallo e innanzi sprona
e vuol di nuovo ritentar la spada.
l’altro superbamente gli ragiona:
– La vita vostra omai poco vi aggrada -,
poi con un colpo tal l’elmo gli ’ntuona,
onde convien che ancor per terra vada
ferito nella testa in tal maniera
che giunse quasi a notte innanzi sera.

9Fu dentro al scudo suo qui riportato
e al non conosciuto dato il vanto,
il qual, pria che prendesse altro commiato
alla donna mandò ch’ei pregiò tanto,
dicendo che per lei s’era mostrato
cotal qual ella vide d’ogni canto,
e del suo faticar parea ragione
di riportarne un picciol guiderdone.

10E la pregava che gli desse un segno
di cortesia verso il suo gran valore.
Arse la donna di soverchio sdegno,
perché solo il suo sposo aveva in core,
e che ’l vedea caduto in loco indegno
ove sempre solea portar onore,
sì ch’irata rispose al messaggiero
– Fate risposta al signor vostro altero

11ch’assai vien guiderdone in nobil alma
e che pregia l’onor sovr’ogni bene
di riportar de’ suoi nemici palma,
e che più ricercar non si conviene,
e ch’ogni altro che brama e lorda salma,
ch’ingannato tien l’uom di lorda speme,
e sé contro al dever pur il volesse
in altra parte i passi suoi volgesse,

12ch’ella non era tal ch’a sconosciuto
e basso cavalier doni mercede,
ch’al suo marito sol non fa rifiuto,
il qual ha sempre in cor con somma fede.
Quell’è il signor e ’l suo campion dovuto,
né più chiaro tesor il sol non vede -.
Ritorna il messo a lui, le nuove conta,
che l’empièr d’ira e di dispetto et onta.

13E senza spene e tutto discontento
si ritornò lontano al suo paese,
pur co ’l cor sempre alla beltade intento
che in un sol guardo l’anima gli accese.
La donna verso lui di mal talento
al suo marito il tutto fe’ palese,
il qual della sua forza essendo esperto
viver non volse del rivale incerto,

14e fe’ là nel principio de lo stagno
far la barra e ’l passaggio saldo e forte,
sì che pochi o nessun fe’ poi guadagno
di quella impresa, e molti giro a morte.
Dopo alcun tempo poi con un compagnoIl signore locale ritrova il cavaliere ferito, lo cura, ma costui sembra pazzo: si dice tale perché follemente innamorato della moglie del signore (14,5-28,2)
andando un giorno a diportarsi a sorte,
trovò vicin ad una chiara fonte
il cavaliero stran ferito in fronte,

15che come morto in terra si giacea,
tutto aveva perduto sangue omai.
Pianse il signor di sua sventura rea,
ch’era di alma e di cor pietoso assai,
scende e l’altro anco seco discendea,
e lui confortan de gli avuti guai,
poscia il me’ che potero e con più agio
il riportò qui dentro al suo palagio.

16Ivi, alla bella sposa in guardia dato,
fu guarito da lei solennemente,
che ben di medicar avea imparato
piaghe e percosse dal suo gran parente,
che di quella arte fu più che dotato,
tanto che di lontan venia la gente
a lui, che senza ferro e senza impiastro
con l’incanto guaria, qual Zoroastro.

17San ritornato, sì grande era e bello
che tutto il mondo a lui veder venia,
né si pensava alcun che fusse quello
che l’alto pregio della giostra avia,
ma sì salvatico era e sì rubello
ch’a nessun che domandi rispondia,
e ricercato come nome avesse
parea che scioccamente si ridesse.

18Né mai volle parlare una sol volta,
tal che ogni uom si pensò che la ferita
gli avesse il senno e la memoria tolta,
e gli restasse l’anima impedita.
Or venne un giorno che gran gente accolta
fu in questa torre assai chiara e gradita,
ove ogni cavaliero et ogni dama
siede e ragiona, con cui pregia et ama,

19e ’l cavalier istran si pone innanti
alla donna gentil tutto pensoso,
senza far motto alcun, ma se i sembianti
ben si mostrò di lei più che amoroso.
Il signor nostro, che di mille amanti
più tosto che di lui saria geloso,
guarda ridendo la sua sposa e dice:
– Domandate, che vuol questo infelice? -.

20Ella risponde allor che volentieri,
e volta ad esso con soavi accenti
dice: – Signor, quai son gli alti pensieri
ch’al mirarmi così vi fanno intenti? -.
Disse ei: – Quei che dell’uom son santi e veri
soli o da morte e da viltade spenti -.
– Quai dunque son (soggiunse)? -, e quei: – Soli
ond’Amore empie il ciel, le stelle e i poli -.

21Et ella vergognosa dice: – Or come
sentite voi, signor, d’Amor la forza? -.
Et ei: – Gli occhi seren, le bionde chiome
vostre hanno fatto che quel dio mi sforza,
e mi han scarcato sì delle altre some
che non più sento la terrena scorza,
ma in ascoltarvi e rimirarvi fiso
lassato ho il mondo e sono in Paradiso.

22E ben per vostro mezzo maggiore opra
ha fatta in me che mai facesse giove,
che ’l senno mio rivolto sotto sopra
a concetti divini indrizza e muove.
Voi sète seco quella che l’adopra
con celesti fattezze altere e nuove,
e bene avete al mondo alta avantaggio
a far retore un muto, un folle saggio.

23Anzi, a dir meglio il ver, faceste muto
chi ben parlava e chi fu saggio stolto,
d’un prode un di valore sprovveduto,
di un troppo ardito un di timore involto,
tal ch’io posso oggi dir di aver veduto
cosa maggior che di Medusa il volto,
perch’io son da voi fatto, ohimè lasso,
d’un sasso un uomo e poi di uno uomo un sasso -.

24Qui s’ella e l’altre donne ch’avea seco
ridesser molto dir non si potrebbe,
e veramente della mente cieco
dicean tra lor che ’l mondo tal non ebbe.
Poi soggiuns’essa: – A biasmo assai mi reco
il vostro dir, come il maggior si debbe,
e voi forse per *** ciò mi dite,
onde nascer fra noi vedrassi lite -.

25- Deh non (disse ei), madonna, ch’io vorrei
morir più tosto che con voi quistione.
Ben affermo io che molti effetti rei
ch’io provo in me mi dan giusta cagione
di parlar tal, ma certo giurerei,
e di certo giurar avrei ragione,
che in me tutto i contrario far potreste
con le maniere altissime et oneste.

26Ma se al mal cominciaste, io cominciai
le parole di voi dal male ancora -.
Ella ridente, in amorosi rai,
disse: – Signor cortese, ditemi ora:
come potrei ricompensarvi mai
del mal che in voi per mio fallir dimora? -.
Et ei: – Perché il dirò, che aperto veggio
che no ’l vorreste e mi fareste peggio? -.

27Et ella: – No ’l farei; pur, se vi spiace,
ditemi al men il ben che in voi fu pria -.
Et esso: – Io vel dirò: mentre la face
per voi d’amor nell’alma non sentia,
fui sì forte guerrier, e sia con pace
detto di tutta la cavaleria,
che nessun contro a me durar potea,
or son fatto il contrario ch’io solea -.

28Prese ella il tutto pienamente in gioco,
e finì il suo parlar per quella sera.
Il signor di qua entro d’ivi a pocoPer provarlo partecipa a una giostra e fa chiaro il suo valore: il signore lo fa mettere il prigione (28,2-38,6)
fe’ bandir una giostra, ma non era,
come la prima, qui, ma in altro loco
fuor dello stagno, a canto alla riviera.
Là sen giro i miglior, e sol rimase
la donna e ’l forestiero in queste case.

29Quand’ella, ch’ancor pur teneva a mente
di quei giorni passato il suo vantarse,
lui domanda: – Signor, se sì valente
sète qual mi diceste, e perché scarse
le voglie avete a gir ove la gente
più fiorita che sia deve assembrase?
Vergogna par d’un uom così formoso
per codardigia sol cercar riposo -.

30- Ah (disse ei), donna, mai non mi biasmate
se non vedeste pur la pruova in prima.
Fate ch’arme e caval mi sian prestate,
e m’avrete poi forse in altra estima,
che mi vedrete far cose pregiate
e di molti de i buon restar in cima -.
Et ella: – Io vi prometto, o folle o saggio,
che per me non starà mostrarne il saggio -.

31E quantunque ella avesse poca fede
alle promesse sue, pur tutta ascosa
di buon cavallo e d’arme lui provvede,
et in simile affar d’ogni altra cosa,
e fa sì ben ch’alcun non se n’avvede;
indi con dolce voce et amorosa
disse: – O folle campion, gitene pure
ch’a i vostri par le strade son sicure -.

32Ei la ringrazia, e dice: – Queste arme
date dalla più cara e bella mano
che fusse al mondo mai penso mostrarme,
tal che ’l grido n’andrà presso e lontano,
sì che potrete poi credenza darme
ch’io divenni per voi stolto e villano,
e per voi parimente son tornato
più che viva oggi alcun prode e pregiato -.

33Vassene dunque, e l’arme avea vermiglie,
e coperto il caval di par colore,
e ’n poco d’ora fe’ tai meraviglie
ch’ebbe senza contrasto il primo onore,
braccia e spalle rompendo, fronti e ciglie,
ond’ogni uom si fuggì dal suo furore,
e, già vòta la piazza, cheto e solo
si tornò qui dall’abbattuto stuolo.

34Rende l’arme alla donna e domandato
come il fatto era gito, le risponde
che lodar se medesmo è gran peccato,
ma che la verità verrà d’altronde.
Vienne la notte, e ’l sposo, ritornato,
cerca novelle, et ei non gliel’asconde,
anzi le afferma: – Un cavaliero strano
fatt’oggi ha cose ch’io no ’l tengo umano.

35Io vi assicuro ben che ’l mondo tutto
oggi non ha, né mai forse ebbe pare.
Egli ha fatto a ciascun vergogna e lutto,
né poté mai nessun lui contro stare.
Io ’l pensava di abbatter, né fei frutto,
ma come gli altri mi convenne andare.
Vermiglia l’arme e senza fregio porta,
e mi cred’io che Marte gli sia scorta -.

36Ben conobbe la donna chi questo era,
e maraviglia n’have et allegrezza.
Quinci narra al marito ch’ella spera
tosto costui mostrar ch’ei tanto prezza.
Ei ne la prega, et essa a lui per vera
cosa gli disse: – Quel che ogni uomo sprezza
in casa vostra e tiene stolto e vile
è il cavalier che dite alto e gentile -.

37E gli racconta il tutto come era ito,
e gli mostra il cavallo e l’arme poi.
Già il ver conosce l’invido marito,
e rabbioso ne vien ne i pensier suoi,
dicendo: – Poi ch’un uom così gradito
abita simulato oggi fra noi,
più che per onor mio vien per vergogna
onde farne vendetta mi bisogna -.

38E senza altro parlar la notte istessa
quando più forte e più sicur dormiva,
legar il fece, e vita gli ha concessa
ma in oscura prigion di lume priva.
Il fe’ crudo serrar, dicendo: – D’essa
non uscirà mai più mentre che viva -.
La bella donna di sua dura sorteLa moglie del signore se ne innamora e lor libera, lui le svela di essere Galealto (38,7-55,2)
sentì tal doglia che minor è morte.

39E dove mai pensier non pose innanti
allor il pose e sì d’amor s’accese
che mille e mille i più focosi amanti
non ebber fiamma quale in lei s’apprese,
ma il celò ben ne gli atti e ne i sembianti,
perché danno saria l’esser palese.
Stette il miser così tra mille stenti
senza alcun mai veder da giorni venti,

40dopo i quai trovò pur la donna modo
d’ascosamente alquanto parlar seco,
e gli disse: – Signor, il torto frodo
che vi ha condotto in questo carcer cieco
corregger voglio, e dicovi che ’l nodo
d’Amor mai non sentito alloggia meco,
e m’avvegna che vuol, vedrete ch’io
ho di farvi ogni ben sommo desio -.

41Se le rendesse grazie e lieto stesse
il cavaliero stran non potrei dire,
né molto andò che ’l ciel nell’alma messe
voglia al signor di qui di altrove gire
ad un castel, per certo suo interesse
di una gran lite che volea finire.
Non lassa ella passar l’occasione
ma incontinente corre alla prigione,

42e dice: – Il tempo è giunto, o mio signore,
di ritornar in vostra libertade.
io v’apro l’uscio, e poi che di qui fuore
sarete, vi fien libere le strade -.
– Ahi (rispose egli), or non consenta Amore
che già mai senza speme io me ne vada
di rivedervi: or mi avvisare come
ritrovar possa il bel volto e le chiome

43vostre, ch’eternamente mi han legato,
senza le quai mia vita sarà morte- .
– Ben (rispose ella) ciò vi fia negato,
che subito vedrem tutte le porte
con diligenza chiuse, e ben guardato
questo castel ch’alcun non fia sì forte
che si possa appressar; ma che voi fia?
Basti ch’avrete ognor la grazia mia -.

44- Questo è molto (diss’ei), ma vi assicuro
ch’io vo’ qui rimaner s’esser ciò deve,
e d’esser prigionier manco mi curo
che di starvi lontan per tempo breve,
e pur ch’io stia dentro al medesmo muro,
ogni pena per voi mi sarà leve,
e ben sapete quanto tempo fui
stolto e muto e sol per vui.

45Meno avrò pena a star serrato eterno
ch’io non ho avuto a simularmi tale -.
Sentì la donna un alto foco interno
considerando seco a quanto male
s’era ei sommesso, e dice: – Io ben discerno
ch’amor forse non fu co ’l vostro eguale,
e poi che sì mi amate fate almeno
ch’io sappia il nome vostro e ’l tenga in seno -.

46Diss’egli: – Il nome mio sì basso e vile
vi parrà forse che vergogna avrete,
ma per servar il mio dovuto stile
di mai sempre ubbidirvi, voi ’l saprete:
son Galealto il Brun, che vostro umile
servo oggi son, come veder potete -.
Di quella al suon delle parole il volto
fu di vergogna e maraviglia involto,

47ché già per mille lingue udito avea
com’era cavalier vie più ch’umano,
e che ciascun d’altezza esso vincea
come il gran Pelio di Tessaglia il piano,
e somme riverenze gli facea
dicendo: – Ahi lassa, o mio signor sovrano,
come esser può che a sorte così bruna
metta un cavalier l’impia fortuna?

48Che s’io sapeva chi voi fuste prima
non vi lassava far dannaggio e scorno,
anzi v’avea d’ogni mia cura in cima
come il più gran guerrier che vada a torno,
degno ch’ogni alta piuma in prosa e ’n rima
volar vi faccia in ciel dall’Austro al Corno.
Pur s’io ne son dolente Dio se ’l vede,
e ne chieggio perdon, grido mercede.

49E tanto più di andarne vi consiglio,
ché se ’l mio sposo il risapesse mai,
del vostro sangue si faria vermiglio,
da voi temendo aver vergogna o guai -.
Ma il cavalier, con più turbato ciglio,
– Donna (risponde), più non dite omai,
ch’io non mi vo’ partir lassando voi,
ma ben devremmo gircene ambe duoi,

50ché s’ho l’arme e ’l caval del torneamento,
e voi montiate sovr’un palafreno,
di mezzo il mondo non avrò spavento
e sicuro ne fia tutto il terreno.
D’esser sempre con voi sarò contento
infin che ’l viver mio non venga meno,
voi sola avrò per mia signora e sposa,
cara e pregiata più d’ogni altra cosa -.

51La bella donna di desire accesa
ripensò alquanto, e poi rispose a lui:
– Se in ciò non fusse l’onestate offesa,
dolce assai mi seria non men ch’a voi.
Troppo fora per me biasmata impresa
et io vo’ ch’a me piacer altrui,
e più che suo diletto a noi bisogna
in cor aver la femminil vergogna -.

52A Galealto la risposta spiacque,
ma il pudico voler molto ebbe caro,
perché qual ei nell’arme unico nacque
tale in ogni virtù fu più che raro,
e dolcemente, poi ch’ella si tacque,
disse: – Io non son del mio piacer sì avaro
ch’io non preponga a lui le voglie caste
ch’ora e sempre madonna mi mostraste.

53Io me ne andrò di qui poi che a voi piace,
in Dio sperando prima e ’n questa mano
ch’amor ch’io sento in me puro e verace
non sarà lungo tempo a voi lontano,
ch’io vi racquisterò per guerra o pace
sì che l’onor di voi resterà sano,
o ch’almen fia che con lodata sorte
non potendo aver coi troverò morte -.

54Più detto avrebbe, ma i sospiri e ’l pianto
la lingua gli legàr, tolser il suono.
Il medesmo avvenia dall’altro canto
a lei, che al duol si lascia in abbandono.
Restansi muti entrambi, e ’n questo tanto
ascosamente un destrier bello e buono
fatto ha trovar, e d’arme l’ha vestito,
e gli ha mostrato il più sicuro lito

55onde ei possa passar senza contesa,
e senza esser lì dentro conosciuto.
Non ha quasi il guerrier la strada presaLa donna finisce in prigione, Galealto la libera battendo il signore e mantenendo la legge del passo, e con lei fa un figlio, Febo (55,3-88)
che ’l signor di qua entro era venuto.
La novella sentì ch’assai gli pesa
come il fero prigion avea perduto,
duolsene senza fin, e in ira monta
contro alla donna sua, che gliel racconta,

56dicendo: – Certo son che tutto è stato
il consiglio e l’aiuto e ’l voler vostro,
ma nella vece sua, per tal peccato,
starete, o infida, nell’oscuro chiostro,
infin ch’io non riveggia in questo lato
lui ritornar sotto l’arbitrio nostro -.
Né fu longe dal dir l’opra, ch’ei messe
subito lei nelle prigioni stesse.

57Volò la fama in breve per l’intorno
della non par sentita crudeltade,
che diede al cavalier più doglia e scorno
che s’avesse nel cor ben mille spade.
Chiama un compagno nel medesmo giorno
e dritto vien per l’imparate strade
infin là dove il passo serrato era,
e gli dimostra il mondo e la maniera

58ch’ei venga in questa terra imbasciadore,
e l’ammaestra ben ciò che dir dèe.
Vien disarmato, a piè, tutto in sudore,
perché a caval non ci poté venire;
giunge, e senza salute o fargli onore
comincia sì ch’ogni uom poteva udire:
– Gran vergogna è, crudel Diodenasso,
che tu d’ogni virtù sua privo e casso,

59e gran danno è che un sì codardo e vile
in dispregio de i buon rimanga in vita,
onta villana al sangue tuo gentile
d’ogni vizio mortal ria calamita,
che non saria nel dir sì grave stile
che non avesse la virtù smarrita
in narrar tutti i biasmi che tu merti
e negar non si pon tanto son certi -.

60Restò Diodenasso sbigottito
quando il superbo dir di costui intende,
ma poi che di parlar prese partito
a lui si volge, e di rossor si accende,
e dice: – Quello è stolto e non ardito
che in casa propria un cavalier offende,
e tanto più quanto egli ’l face a torto,
come voi fate leggiermente accorto -.

61Rispose il messaggier: – Chi dice il vero
può arditamente dir quanto gli aggrada.
Ben altra volta fusti cavaliero
de i miglior che cingesse allora spada,
or dice ogni uom che cangiato hai sentiero
e che nessuno innanzi è che ti vada
di codardigia e di pensier villani
tra i guerrier più vicini e tra gli strani.

62e che ciò sia per tema d’un uom solo
hai fatta imprigionar la propria moglie,
che non ha par d al’uno e l’altro polo
e la tien rilegata in pianti e ’n doglie.
Or come non vuoi tu che vada a volo
l’infamia tua, che di ogni onor ti spoglie,
poi ch’infra tante spade e ’n questa torre
ti temi che un guerrier la poss tòrre?

63Tutto il mondo ti scherne, e ’nfra gli altri uno
ch’io ho lassato qua fuor della porta
mia ha detto che ti tien così digiuno
d’ogni valor che sol si riconforta
te con venti altri armati, ben ciascuno
de i miglior cavalier de la tua scorta,
tutti o morti o feriti o por per terra
e ’n men d’un mezzo dì finir la guerra.

64E nessuno altro ha seco in compagnia,
fuor ch’una onesta e vaga damigella,
ch’egli ama più che cosa altra che sia,
e dritto è ben, tanto è leggiadra e belle,
e forse ch’appo lei vergogna avria
la donna tua, se ben par una stella,
et è contento farne il paragone
e farti confessare ch’egli ha ragione.

65Menala adunque teco, e questa pruova
prima far vuol delle costor bellezze,
quinci fra i venti poi l’arme si muova
e si vedrà se a torto ti disprezze -.
Qui si tacque egli, e l’altro si ritrova
per le parole sue primiere e sezze
sì fuor del già nativo sentimento
ch’ei rispose cruccioso e ’n mal talento:

66- Io vi prometto, o folle ambasciatore,
che chi vi manda qui di senno è privo,
ch’io non penso ch’uom sia di tal valore
ch’uscir potesse a tal impresa vivo.
Ma prender non saprei senza disnore
la fatta offerta, di cui sono schivo -.
– Ah (disse il messaggier), tanta vergogna
vi sarà ciò che più non ne bisogna

67a far creder di voi quel ch’ogni uom dice,
che nessun più codardo alberga in terra.
S’ei più di sé promette che non lice,
mostrate in arme ch’ei vaneggia et erra.
Quanto più agevol vien, tanto felice
viene, e sicura più l’avuta guerra,
e discuopre d’altrui la gran follia
come a voi contro a lui venir potria.

68Tanto è che ’l vostro peggio è rifiutare
che ’l mettersi oggi in sì sicura impresa -.
Diodenasso allor, dopo il pensare,
non trovando al suo dir giusta difesa,
risponde: – O bene o male io ’l vo’ provare,
poi che senza cagion mi fece offesa.
Venga adunque il guerriero, e meni seco
la sua donzella per combatter meco,

69che ben gli mostrerò ch’io non son tale
quale esso pensa, ma miglior assai -.
Ritorna il messaggier com’avesse ale
a Galealto, che sta troppo omai,
ond’ei veloce a far leone eguale
vicino a gregge cui minacce guai,
come armato attendeva salta in sella
e seco ha per compagna una donzella.

70Del cavalier messaggio amica cara,
ch’ella, virtù di lui, largo la diede,
che ben provato aveva tanto rara
che la maggior del mondo esser la crede,
vienne alla sbarra, et ivi si ripara
infin che giunto il suo nemico vede
con venti cavalier intorno armati,
e la bella mogliera in atti ornati.

71No ’l vide a pena che ’l cavallo sprona,
né il signor nostro all’incontrar fu tardo,
ma tale il colpo fu ch’egli abbandona
gli arcion per forza, e non come codardo.
Questo abbattuto, sopra gli altri dona
snello e veloce più che leopardo,
e senza romper l’asta due n’uccise,
poi la mano alla spada ardito mise.

72E sopra l’altra schiera di quei venti
fece cose mirabili in un’ora.
Gli ruppe, gli scacciò non altrimenti
che lievi piume la mattutina òra.
Al fin n’andò con atti riverenti
verso la sua vaga donna, che dimora
di dolcezza ripiena, e del periglio
del suo servo e di sé il viso ha vermiglio,

73e dice: – O mia signora, ora nostra sète,
anzi io son vostro -, et ella il consentio;
– e perché con ragion so che temete
il vostro sposo in voi fellone e rio,
in paese lontan meco verrete,
ove prometto a coi, prometto a Dio,
che vostra castità sicura fia
come proprio la vita e l’alma mia -.

74Così di qui partisse, e servò tutto
il giuramento fatto e la promessa.
Ma il signor nostro in cotal doglia e lutto
cadde, e poi in febbre così calda e spessa,
che medicina o fisico alcun frutto
fra non poteo, e in quella estate stessa
senza prender già mai speme o conforto
nelle braccia di noi vedemmo morto.

75Mandammo a Galealto le novelle
che nel regno di Logre era con lei.
Venne a noi tosto, e nozze vaghe e belle
fur fatte con legittimi imenei
dentro di questa torre, e tal le stelle
furo a lui favorite e gli altri dèi
che ne nacque il figliuol ch’oggi vedete
con cui la guerra aveste e forse avrete.

76MA perché cara avea la vaga moglie
e ch’una profezia trovò tra noi
ch’un altro cavalier per queste soglie
passar deveva a forza poco poi,
di molti buon guerrier la guardia toglie
de i più forti e miglior ch’eran de’ suoi,
e ne fece giurar a tutti insieme
d’esser fedeli insino all’ore estreme,

77dicendo: – E’ mi par ben ch’una tal donna
merti invitta difesa nel futuro.
Io sarò sempre a lei fida colonna,
con la man, co ’l consiglio e co ’l cor puro,
ma perché qual più voglia in arme o in gonna
possa il tempo menar lieto e sicuro,
sì come io ritrovai tutti altri voglio
ch’aggino al qui passar simile scoglio.

78Né qui mai possa entrar chi venti prima
non abbatta di voi con lancia e spada,
e se di questa impresa arrive in cima
sopra il corpo di me poi faccia strada,
e se fia cavalier di tanta stima
ch’ei vinca il tutto, a suo diporto vada
qui dentro ove vorrà, ch’è ben ragione
ch’egli aggia al fin dovuto guiderdone.

79E tanto più ch’un cavaliero strano
d’entrar per forza qui si dona vanto,
vedrem s’avrà così possente mano
contro a voi venti e me dall’altro canto.
Né vo’ che l’ordin mio ritorni vano
ma si mantenga intero infino a tanto
che tre altri com’io non sian passati,
e sien là fuori in marmo i nomi ornati -.

80Né molto stette che la pruova venne
ch’un forte cavalier detto Elizero
de i primi venti poco conto tenne,
che quattro ad uno ad un luogo gli fèro.
Grida egli ad alta voce, e dice: – Or viene
che ben ti attendo, o franco cavaliero;
te solo appello, e tutti gli altri lasso
poi che tu solo il primo apristi il passo -.

81Or Galealto, ch’era ivi assai presso,
al chiamar minaccioso a caval monta,
né dir gli vuol ch’a terra non ha messo
i venti ancor, che d’allegarlo have onta,
ma spronando il caval corre sovr’esso
e quel getta lontan dove si affronta,
il qual caduto in basso a terra scende,
imbraccia il scuro, e la sua spada prende.

82E ’n testa al cavalier, ch’era risurto,
con grandissima forza ripercuote,
e ’l colpo accompagnò di sì grand’urto
che gli fe’ far pria che cader due ruote.
Lassalo appresso star, che non di furto
ma mostrar vuol palese quel che puote.
Torna in piedi Elizero, e Galealto
già si apparecchia al terzo nuovo assalto,

83quand’ei gli parla: – O cavalier ardito,
prima che ritentar altra battaglia,
vi prego che da voi resti essaudito
d’una sol grazia che per mille vaglia:
ditemi il vostro nome, ch’uom compito
come voi non portò mai piastra e maglia -.
Et ei cortese a lui disse: – Ciascuno
oggi m’appella Galealto il Bruno -.

84Come udì il buon guerrier l’altero nome,
gettò ratto la spada e ’l forte scudo,
e disse: – Io tengo le mie forze dome,
mi arrendo in vostre mani umile e nudo;
son vostro prigioniero, e non so come
m’aggia condotto il rio mio fato e crudo
a combatter con voi, ch’adoro e colo,
poi ch’io vesto arme sopra ogni altro e solo -.

85Risponde Galealto: «E perché questo,
che fresco sète alla battaglia ancora?».
Et egli a lui: – Che sarà poi del resto
se ’l vostro nome pur mi discolora?
A voi mi dono, e sia dolce o molesto
il voler vostro, che ’n voi sol dimora.
Oggi ogni mia fortuna, ogni mia sorte,
mio ben, mio male e mia vita e mia morte -.

86Qui Galealto, ch’era più che umano,
gli disse: – O signor mio, mi spiace molto
ch’io ho giurato ogni guerriero strano
cui qui fallisca il suo disegno sciolto
far morir tosto, o in luogo sotterrano
tener mai sempre in tenebre sepolto,
pur voi non uccidrò, siatene certo,
perché sète campion di troppo merto.

87Ben vi farò cortese compagnia,
ma d’uscir mai di qui vi fugga spene
fin ch’uno altro guerrier sì forte sia
di me scacciar e voi cavar di pene -.
Così seco rimase , et il tenia
come proprio fratel al male e ’l bene,
ch’esso avea proprio e libero e sicuro
tal che ’l qui sempre star non gli era duro.

88Né andò molto che Galealto poi
il figliuol ch’io contai vide esser nato,
questo che fece ier guerra con voi,
e fu Febo al battesmo nominato.
Il qual cresciuto, avuti ha tutti noi
quali ebbe il padre e nel medesimo stato.
Or questo è tutto quel di cui desire
aveste udir e ch’io vi posso dire».

Girone all’alba riveste l’armatura e abbatte i venti (88-107)

89Qui finisce il buon vecchio, e ’l pio Girone,
che intentissimamante udito l’have,
gli disse: «Io vi ringrazio, alto barone,
del conto fatto a me troppo soave,
e tutta ho da voi presa la cagione
di così perigliosa e dura chiave
di questo passo e ’l nome del signore
mi fa ben lieto, et hogli grand’amore,

90ché Febo antico, a maraviglia forte,
grazioso, gentil, saggio e cortese,
fu cavalier al mondo di tal sorte
che di par a lui mai qui non s’intese,
e Galealto, poi che venne a morte
l’altro, un simile a quel farne palese
volle, e per quel ch’io pruovo direi bene
che giovin non fu mai di tanta spene.

91Così gli doni Dio buona avventura
come un dì fia si quello antico equale.
Or perché passa omai la notte oscura
mezzo il viaggio suo con le negre ale,
tempo mi par di porre ogni altra cura
sotto le piume, dove il sonno assale
l’umana gente, e fa co i pensier tregua
e le disagguaglianze nostre adegua».

92Vassene adunque il vecchio, e Giron posa
tutt ala notte, che n’avea mestiero.
L’alba apparita, fresca e rugiadosa,
entra, ch’ancor giaceva, uno scudiero,
porta una veste adorna e preziosa,
degna d’errante e raro cavaliero;
l’accetta egli e la veste, e poi domanda
l’arme, e se ne ricuopre d’ogni banda.

93Venne il signor di quel passaggio appresso,
dolce il saluta, e gli domanda quale
aggia la notte avuta, ch’egli stesso
s’era sentito pure alquanto male.
Giron risponde: «Come avviene spesso
a i miglior cavalier trovasi tale
il medesmo mi occorre, pur ho spene
di non far men che ier mio dever bene.

94E ’l sentiranno i vostri cavalieri,
i quai vi prego che facciate armare».
Disse il campione: «Ei son già su i sentieri
tutti in punto a caval per vi aspettare;
scendete pure»; e l’altro: «Volentieri
ch’a simil gioco non mi fo pregare».
Domanda l’elmo, e ’l cavalier che guarda
par che di sua virtù dentro al cor arda.

95Poi tutto dolce gli comincia a dire:
«Ben conosco io, signor, quanto valete,
che di combatter tutti avete ardire
così stanco e battuto come sète,
et io, che biasmo non vorrei venire,
anzi di vero onor sempre ebbi sete,
vorrei combatter solo, e gli altri venti
non vi donin fastidio oggi altrimenti.

96E se vincete me libero lasso
trionfator andar dove vi piace,
della torre signor, signor del passo
per mai sempre farovvi in buona pace».
«Ah (rispose Giron), non ho sì basso
il poter mio come il cor vostro face.
Vo’ la legge servar, e vo’ provarmi
di superar quei venti e voi con l’armi.

97Non accetto in battaglia cortesia,
ma in amor e ’n onor ben volentieri:
la vostra antica legge in piede stia,
venghino avanti i debiti guerrieri.
Non è quel ch’è di patto villania,
né a voi di vergognarse fia mestieri,
ben sarebbe onta a me s’altri dicesse
che per me tale usanza si rompesse.

98E vo’ dir tanto allo avantaggio vostro
che di venti, quai sien, mi curo poco,
ma vincer il valor ch’avete mostro
il meno agevol fia di questo gioco.
Or gimo adunque a far il dever nostro,
ch’io possa tosto uscir del chiuso bosco».
«Ah,» dice Febo a lui «cotal periglio
schivate, e vi attenete al mio consiglio.

99Ma se pur di far tutto non vi aggrada
facciamo oggi il contrario che si suole,
che la prima a provar sia la mia spada,
la qual, vinta da voi lucendo il sole,
sia sopra gli altri la seconda strada,
perché di avervi stanco assai mi duole».
«E questo anco» Giron disse «rifiuto»,
e s’invia vêr la piazza altero e muto.

100Ei montato a caval fuor della porta
la scudo ha al collo e la sua lancia in mano.
De i venti appar la trepidante scorta,
ch’avendo visto il suo poter sovrano
non muove passo, e tutta si sconforta,
e già stima vêr lui lo sforzo vano.
Tien li occhi fissi in alto e stretta insieme
si raccomanda al Ciel, attende e teme.

101Ma il guerrier valoroso, com’è in punto
a lor si volge in minacciosi detti:
«Più che mai per voi fusse il tempo è giunto
di mostrar come sète oggi perfetti,
ch’io di vergogna mi terrò compunto
se la terza ora un di voi solo aspetti
che non resti prigion, morto o fuggito,
sì ch’io parta signor di questo lito.

102Difendetevi adunque», e detto questo
con estremo furor punge il destriero.
Tre ne abbatte i primieri, e contro al resto,
rotta la lancia, va più che mai fero
co ’l brando nudo, e gli sbaraglia presto,
sì che molti di lor le spalle diero.
Pur di tutti una parte e la migliore
rifecer testa, e assicuraro il cuore.

103Era fra i cavalieri allor vergogna
di correr sopra un sol insieme due,
sol quando era importante la bisogna
ferir ad un ad un lecito fue
da grande squadra ch’atterrar agogna
qualcun noioso alle compagne sue,
pur tanto han di Giron questi paura
che di biasmo o di lode han nulla cura,

104e quattro ratti insieme s’accordaro
di andar sopra di lui con l’aste basse.
Aspettò tutto, e lui tanto crollaro
quanto un monte fa l’aura che ’l mar passe.
Ben ciò fece egli a lor costar più caro,
che nessun fu ch’a terra non andasse,
perché con due riversi e due man dritti
due morte ne gettò, due troppo afflitti.

105E perche vide ch’ogni cortesia
nel combatterli seco hanno lassata,
fa come lioncel ch’in mezzo sia
giuocandosi tra i can qualche fiata
in casa del signor che ’l tolse pria
di nascoso alla madre allontanata,
che, domestico fatto, la nativa
fierezza spoglia, e di mal far si priva,

106che poi c’ha visto di un di questi il dente
che gli ha passato il petto e fatto rosso,
tutto altero e cruccioso a lor si avvente,
squarciando ratto in una la carne e l’osso,
tale il prode Giron subitamente
crudel fatto a ragion da i quattro, scosso
di maniera fra gli altri ripercuote
ch’in un momento dieci selle ha vòte.

107Chi va supin, chi verso terra ha il volto,
chi ha manco la man, ch’il braccio rotto;
lì di sangue e di polve resta involto
chi fuggito non è più che di trotto.
Ben allor dimostrò che in lui raccolto
fu il valor tutto che la luna ha sotto,
e che a lui prima e poi non vide pare
quanto sostien la terra e cinge il mare.

Abbatte Febo, poi gli svela la sua identità e si riconcilia con lui: riparte (108-132)

108Già restato ei signor di quel passaggio
poi ch’avea cominciato in men d’un’ora,
ferma il caval, ch’all’altro suo paraggio
non sia del tutto della lena fuora,
che ben vedea quale ha maggior vantaggio
chi fresco e ’ntero alla battaglia fora
contra un destrier non pur lasso e ’mpedito
ma che forte in due luoghi sia ferito.

109In questa un cavalier ch’è disarmato
dice a Giron: «Signor, io vi prometto
ch’oggi gran maraviglia avete oprato,
sì come alto guerrier più che perfetto,
ma ci resta il più a far, poi che smontato
fia della torre il buon campion eletto».
«Voi dite il ver,» dice Giron «ma Dio,
forse se lui fe’ buon, me non fe’ rio,

110ch’in lui sol giace ogni virtù mortale,
e quanto qui facciam da lui ci viene:
chi va sen’esso indarno spiega l’ale,
e gli torna sovente in mal il bene;
chi più si affida in lui più sempre sale,
come il contrario nel contrario avviene.
Vedrem adunque quel ch’Egli ha disposto,
quando il fine della guerra avremo imposto.

111Confesso, sì, che ’l giovine conosco
tal che di contro andargli assai mi doglio,
né mi saria più grave il bever tosco
o con vento gravoso dar in scoglio,
e sarei sempre seco al chiaro e ’l fosco
quel che co i miei frategli esser mai soglio»,
e ciò dicea perché anco aveva in core
di Galealto il padre il vero amore.

112Ma colui, che pensò che per viltade
ciò gli dicesse, a raccontarlo corre
a Febo armato, ch’è già su le strade
pe venirlo a trovar fuor della torre.
Ma il giovin, che sapea l’alta bontade
di Giron, ciò non vuol per vero tòrre,
e risponde: «Io no ’l credo, perch’ei solo
non temeria de i nostri pari un stuolo».

113Così detto va innanzi, e Giron truova,
il qual con molto amor il guarda fiso,
e la memoria di suo padre innuova
con cui non ebbe mai proprio o diviso,
ch’amicissimi fur di tutta pruova
e quasi alme congiunte in Paradiso,
che dentro a cavalier di tal virtude
infinita bontà sempre si chiude.

114E dicea pur fra sé: – Come potrei
combatter contro ad un ch’amo qual figlio?
Più volentier prigion me gli darei
che far il brando mio di lui vermiglio -.
Così pensando, a quel dice: «Io vorrei,
signor, che vi appigliaste al mio consiglio,
che non fusse fra noi nuova quistione,
e si lasciasse eguale il paragone.

115Voi potete veder qual sia la fine
de i vostri cavalier che io ho disfatti».
Rispose Febo: «Ciò che ’l Ciel destine
romper non si porria co i nostri fatti:
a lui convien che tutto il mondo inchine
che ne condusse qui con questi patti.
Ben vi afferm’io che cavalier migliore
di voi non vive, né *** gran cuore».

116«Se conoscete ciò,» Giron risponde,
«che vi muove da me non voler pace?
Deh, rivolgete l’arme vostre altronde,
e lassa temi andar dove mi piace,
che se l’alto valor che in voi s’asconde
ier conoscea com’or, spegnea la face
d’ira vêr voi, né mai traeva spada
contro un tal cavalier che sì mi aggrada».

117L’altro, che crede al fin che per temenza
il cortese parlar di Giron sia,
più s’accende a quistione, e dice: «Senza
battaglia non sarà la lancia mia.
Or prendete il futuro in pazienza
sol ch’oggi dritta questa legge stia».
Duolsi di ciò Giron, e sta pensoso
di quel che ne divien più coraggioso.

118E replica: «Ora in van vi affaticate
ch’un di noi vincitor restar conviene,
sen avrete il miglior vittoria aggiate,
se non, sarete in vergognose pene».
L’altro: «E se pur in voi son ostinate
le voglie, Dio, che sa chi ’l torto tiene,
giudice sia», ma più niente ascolta
Febo, e già s’è slungato e dato volta.

119Fa il medesmo Giron, quasi sdegnato,
e tornansi a incontrar terribilmente.
Percosso il giovin fu dal destro lato
d’un colpo ch’a lui par troppo possente,
perché tosto riverso sopra il prato
cadde stordito, e più non si risente.
Giron, che ’l vede, mal contento resta,
né mai vide vittoria più molesta,

120dubitando che ’l mal fusse mortale,
il che gli duol quanto la istessa morte.
Scende subito a terra, e se aggi amale
ratto ricerca, e piange la sua sorte.
Chiamalo, e muovel poi, ma nulla vale,
che la sua stordigione è troppo forte.
Pur dopo alquanto tempo risentito,
aperse gli occhi al ciel, tutto smarrito.

121E, rinvenuto in sé poscia del tutto,
più che fusse già mai terribil torna,
e disse: «A voi sarà dannaggio e lutto
la palma che di me troppo v’adorna,
che se fuor di stagion l’arbor fa frutto
viene a suo danno, e poco tal soggiorna,
e vi farò veder che la fortuna
vi ha fatto tale e non virtude alcuna».

122non l’ascolta Giron, ma tutto pio
come si sente gli domanda umile.
Et ei, superbo: «Duolmi il caso rio
ch’oggi mi avvien fuor dell’usato stile,
ma vie più mi duol l’onta, e sallo Dio,
che sola offende l’animo gentile.
Difendetevi pur, di voi vi caglia,
che più mortal l’avrete la battaglia».

123Or Giron, che la guerra aperta vede,
e null’altro che pace aver vorria,
quanto più puote or treguea or patti chiede,
e vuol ch’amico l’uno a l’altro sia;
e Febo giura a lui sopra la fede
ch’ogn istrada chiusa è di cortesia,
«Né partirem di qui, che non sia certo
chi di noi di vittoria acquiste merto».

124Quando scorge Giron l’alta durezza
tutto di lagrimar bagnato il seno,
supplica e prega per la gentilezza
che in chiaro cavalier non vien mai meno,
che non voglia quistion con chi lui prezza
più che se stesso e ch’è d’amor ripieno
vêr lui, come del figlio il padre deve,
e che per lui morir non avria greve.

125Febo, che n’ha veduto tante pruove
ch’omai che sia timor creder non puote,
dal suo dolce pregar al fin si muove,
e gli offerisce con meno aspre note:
«Se ’l nome vostro dite e dite dove
nasceste, in parti prossime o remote,
salvata del passaggio ogni ragione,
di far quanto vorrete avrò cagione».

126Giron gli dice allor, tutto cortese:
«Io son, signor, un cavalier errante
nato assai lunge in gallico paese,
guerrier mal fortunato e peggio amante,
d’oscura condizion, sì che palese
non è il suon basso che va poco avante.
Giron mi chiamo, e questo nome forse
tal qual io vi racconto qui non corse».

127Come udì quel gran nome il giovinetto,
che già noto gli fu mille anni prima,
gettò lo scudo via, gettò l’elmetto,
gettò la spada che già nulla estima,
e ’nginocchiato dice: «O solo eletto
campion dal Ciel per ottener la cima
di valor, di bontà, di cortesia,
essempio e specchio di cavaleria,

128voi quel Giron Cortese adunque sète
che ’l mondo tutto sopra ogn’altri adora?».
«Cotal già ma’appellò, credo il sapete,
Galealto il miglior che fusse allora,»
disse Giron piangendo, e per la sete
che di abbracciarlo avea muto dimora.
Il solleva da terra, e mille e mille
volte baciollo qual Patroclo Achille.

129Or qual fu il lagrimar, quai le parole
no ’l porrebber narrar le lingue umane.
L’uno e l’altro di lor troppo si duole
d’aver le mani avute impie e villane
per offender colui ch’egli ama e cole,
ma più dell’altro in voci umili e piane
ne piangeva Girone, e lui domanda
se si truova ferito in qualche banda.

130«Ben son» Febo dicea «piagato alquanto,
ma mi è poco costato un tal guadagno,
che in molti doppi avrei sangue altro tanto
speso per un tal padre e tal compagno,
e tanto più ch’invero io non mi vanto
d’esser privo per me su questo stagno,
che troppo amica avuta avrei la sorte
s’io poteva fuggir braccio sì forte.

131Anzi voi sol ringrazio di esta vita,
la vostra cortesia salvata l’have.
Ma nulla è questo a lei, che più gradita
opra ha già fatta, più lodata e grave:
ben mille volte onde nel ciel salita
n’è immortal fama che ’l morir non pave».
Ma il cortese Giron, pien di vergogna
impon silenzio, e di altro dir agogna.

132Però che dispiacer maggior non sente
che di udirsi lodar in parte alcuna.
Or qui finisce Febo, e dolcemente
seguita: «O cavalier, l’aria s’imbruna,
rimontiamo a caval e ’ncontinente
cerchiam l’albergo, io con miglior fortuna
ch’avea quando n’uscì, voi con più gloria,
poi che via ha dato Dio doppia vittoria».