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Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro XVIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 14.09.15 18:58

Girone si allontana, quindi libera un cavaliere e lo stesso Danaino rapiti da un gigante (1-38)

1Il pietoso Giron piangendo mira
le crudei piaghe di sua stessa mano,
che, passato il furor, quetata l’ira,
vorria tal esser per veder lui sano;
ma cela il tutto, e ’n dietro si ritira
mostrando il volto crudo et inumano,
come colui che a sé sol nota sia
vuol sua nativa e rara cortesia.

2Fagli il sangue stagnar con sacri detti
che Galealto il Brun gli avea mostrato,
poi quegli impiastri e medicami eletti
che necessari son gli have applicati,
e già d’altrui morir tolti i sospetti
ritorna a sé ferito in molti lati,
fassi il medesmo, e già la notte oscura
lui ciba e sé, poi di dormir procura.

3Già viene il giorno, et ei levato in piede,
che di lungo riposo era nemico,
soletto va dove più folto vede
d’arbori e spini il santo bosco antico,
in cui, mentre a diporto all’ombra siede,
sente venir, donde è più il loco aprico,
una voce che par di doglia piena
d’un che si truove in gran temenza o pena,

4Di cui mosso a pietà, senza arme avere,
fuor che la spada sola ivi s’invia.
Non molto va ch’ei può presso vedere
una donzella che sua sorte ria
lamentando accusava e l’alte spere
del mal che indegnamente sostenia.
A lei s’appressa, e la domanda donde
vien il suo danno e le piangevoli onde.

5Ella cortese a lui risposta rende
ch’aveva un cavaliero ivi perduto,
miglior che veggia il sole ovunque splende;
di lui pruove infinite ha già veduto,
e per amor di lui partito prende
di pianger sempre il mal caso avvenuto,
«E perché io penso che ’l vorreste udire,
signor, se forza avrò vel muovo a dire.

6Noi ci eravam discesi a rinfrescare
alla bella fontana che vedete;
ecco un fero gigante ivi arrivare,
tratto dal destin nostro e dalla sete;
tosto veduti noi, senza parlare,
come bracco un uccel preso alla rete
prende il mio dolce amico, e su le spalle
il portò via correndo in questa valle.

7Non penso che mai fusse maggior mostro
e portava per arme un tal troncone,
che quattro uomin, cred’io, dell’esser vostro
no ’l porrien sostener lunga stagione.
or questa è, cavalier, del pianger nostro
la propria e ben degnissima cagione».
Destati al buon Giron udendo questo
il generoso suo desir onesto.

8E si fece informar proprio in qual parte
sperar più deggia che trovar il possa,
et ella ad esso, lagrimando in parte:
«Ciò saria ricercar l’ultima fossa,
ch’io stimo e certo so che ingegno od arte,
o quanta fu mai qui terrena possa
sarien contro a lui vane, e bene a vui
verrà quel che avvenir vidi ora altrui».

9«Sarà» disse Giron «quel ch’a Dio piace,
so ben che l’avventura provar voglio,
senza la quale il cor non avrei in pace
né d’esser mi parria più quel ch’io soglio.
Non ha virtù, non ha bontà verace
chi lascia il navigar temendo scoglio,
ma dove è più periglio è maggior gloria,
né si deve stimar facil vittoria».

10Et ella: «Poi che ’l cor a ciò v’invita,
prenderete il cammin della man destra»,
et ei con la cortese anima ardita,
a cui sovente la fortuna è destra,
cerca or il bosco chiuso or la via trita,
or la più dritta banda or la sinestra,
e no ’l trovando al fine il passo torna
ove lassata avea la donna adorna.

11La qual domanda se di poi novelle
avea del cavaliero o del gigante.
Le dice essa che no, se non pur quella
che gli avea detto poco tempo innante.
Mentre parlan così, fino alle stelle
sentono un grida andar che par sembiante
a gente addolorata, che si truove
sorpresa e cinta da miserie nuove.

12E gli par ciò venir di verso il loco
là dove è la sua donna e Danaino.
Già il passo affretta, e poi c’ha corso un poco
vede fuggirsi incontra a capo chino
i pover fraticei, ch’in pianto roco
nuove gli dan che ’l misero e meschino
che nel letto lassò ferito e nudo
ne l’ha portato un fer gigante crudo.

13Che sbattuta ha la porta, ch’a forza viva
quel tolse solo, e non fece altra offesa.
Or se in Giron l’alta virtù s’avviva
e s’ei s’accinga all’onorata impresa
pensilo ogni alma che si truovi priva
di pensier vili alle grandi opre intesa,
ch’or più faria per tal nemico solo
che per padre altri fesse o per figliuolo.

14E Dio ringrazia, che mostrar qui puote
ch’egli amò Danaino, odiò il suo fallo.
Dice al scudiero in affrettanti note
che tosto in punto li meno il cavallo.
Sopra vi monta, e ’n guisa il punge e scuote
ne i fianchi, che in brevissimo intervallo
truova il gigante che si posa all’ombra
con Danain che par fantastica ombra.

15Quando vede il crudel presso Girone
comincia a minacciar in alte grida:
«Qualunque tu sia rozzo campione,
più tua follia che tuo saver ti guida,
che senza mio voler la regione
calchi, che è sola a me suggetta e fida,
ma il mio baston gastigator di matti
ti punirà de gli oltraggiosi fatti».

16Non risponde Girone a i detti suoi,
né vêr lui, ma sopra un picciol monte
sprona il destriero, e ne discende poi,
e tutto a piè viene al nemico a fronte.
Allor gli dice quel: «Che fate voi,
che mortal danno vi cercate et onte?».
Gli risponde il Cortese: «E tu ’l vedrai,
che mai vivo di qui non partirai».

17Allor l’impio gigante ripien d’ira
gli corre incontro, et alza il gran bastone;
quando ciò scorge, in alto si ritira
nel collicello il provido Girone,
indi, ché più vicin venuto il mira,
ratto come destrier punto da sprone
si spinge innanzi, e l’ha d’un colpo giunto
che gli arrivò nelle ginocchie a punto.

18A punto alle ginocchia gli dà l’urto
quanto più il può di tutta la persona.
L’altro, c’ha in aria il piè colto di furto
per forza e per dolor già si abandona,
riverso cadde, e della botta è surto
romor che ’l bosco e quella valle intuona.
Il suo duro baston gli uscì di mano,
e ’n terra si posò molto lontano.

19Non vuole il cavalier saltargli addosso,
che della forza altrui pur ha paura,
ma prende il suo baston pesante e grosso
oltr’a umana credenza, oltra misura,
che molti insieme non l’avrebber mosso
di quei ch’oggi produce la natura,
et egli il maneggiò così leggiero
come fa il brando ogni altro cavaliero.

20E ricorre vêr lui ch’era già dritto
e che del suo cader troppo si lagna,
alza il baston a dargli un man diritto,
ma l’altro, che mostrate ha le calcagna,
fuggendo il schiva, onde che in terra è fitto
cadendo a vòto in mezzo la campagna.
Il rileva Girone e ’n pochi passi
raggiunsel che fuggia tra sterpi e sassi.

21E lui ferisce in mezzo della schiena,
sì che di nuovo in terra anco il ricaccia,
ove co ’l dente morder può l’arena
poi gli va sopra e quanto può il minaccia,
che se non vuol sentir l’ultima pena
al suo desir convien che satisfaccia
di rendergli il campion ch’avea furato
quel giorno stesso ad una donna a lato.

22Il gigante per tema gliel promesse,
poi dice: «Come vuoi ch’io faccia questo,
c’ho sì le membra debili e oppresse
che per la forza tua stroppiato resto?».
Allor tema maggior Giron gli messe,
dicendo: «A me sarà adunque più onesto
e più pietoso ucciderti oggi affatto,
che qui lassarti inutile e rattratto?»,

23e trae fuor tosto la famosa spada;
quando ’l vede il gigante, grida forte:
«Alto signor, per quel che più vi aggrada,
fatemi grazia ch’io non corra a morte,
e vi dimostrerò la vera strada
per trar di lacci e di noiosa sorte
il cavalier che dite», e poi gl’insegna
in che parte rivolgersi convegna.

24«Passato» dice «il colle troverete
liti arenosi e da’ miei piè stampati,
e quegli un miglio e mezzo seguirete,
infin che spechi a dentro assai cavati
sotto a sassose grotte vederete,
ma da mole gravissime serrati:
levate quelle, e ben n’avrete possa,
per quel che giudicarne in me ne possa,

25lì scorgerete il cavalier ch’ancora
ha legate le man, ferrati i piedi».
Dicegli allor Giron: «Resta in buonora,
et allo stato tuo tosto provedi».
Poi verso Danain, ch’ivi dimora
dice: «Libero sei, come tu vedi,
ma dimmi se ti senti forte in tanto
che potessi a caval reggerti alquanto

26per adietro tornar nel santo loco
onde questo crudel t’aveva tolto».
Rispose il cavalier: «Vigore ho poco,
e debil sono e faticoso molto,
pur la necessità vince ogni gioco
e convien sempre al mal mostrar il volto,
ma non le spalle mai: chi si conforta
a maggior suo dannaggio apre la porta».

27Così detto, Girone il suo destriero
gli adduce, e ’l me’ che può montarlo aita,
indi l’addrizza verso il ministero
infin che gli ha scoperta la via trita,
poi dice: «Io vo’ pigliare altro sentiero,
tanto che la mia impresa sia finita
di liberar quel cavalier dolente,
per tornare a trovarvi incontinente».

28Danain dice allor: «Diletto amico,
tal vi tegno e terrovvi sempre mai,
guardate ove voi gite, ch’io vi dico
che potreste trovar dannosi guai.
Il seme de i giganti è gran nemico
d tutti buon guerrieri, e più d’assai
de i cavalieri erranti, ond’aggio tema
che vi mande il fellone all’ora estrema.

29Poi, sendo ancor ferito e rotto e stanco,
non devreste cerca nuovo periglio».
Disse Girone: «Io spero così anco
di poter camminar vie più ch’un miglio;
io merrò il cavaliero o verrò manco,
né si deve stimar già mai consiglio
che ’l profitto all’onor preponga. Or voi
gite a posarvi, et io verrò da poi».

30Vassene Danain non ben contento
che pur del suo Giron gran cura avea,
poi loda il suo buon cuore e l’ardimento
ch’al ciel non cede non che a sorte rea.
Arriva in poco d’ora al suo convento
e nel letto medesmo ch’ei solea
si mettea a riposar, e tutti ha intorno
i frati lieti assai del suo ritorno.

31Ma il gran Giron, per la mostrata via
cerca a quel cavalier donar salute,
truova quanto il gigante detto avia,
ha le pedate sue riconosciute,
vede la cava, e, i massi tolti via,
sta su la porta, e benché aggia vedute
tutte vere dell’altro le parole
pur dubbio è alquanto, come il dritto vuole.

32Poi con la spada in man s’arrischia al fine
e truova nell’entrar quel poverello,
condannato a più crude discipline
che s’a Giove o Giunon fusse rubello.
Quando scorge Giron a lui confine
tanto alto il vede, sì formoso e bello
ch’egli il stima un gigante, e seco pensa
ch’ad ucciderlo vegna e farsen mensa.

33E come alto guerrier famoso e prode
gli comincia a gridar: «Vienne, spietato,
tomi la vita omai, ch’a te sia lode
l’uccider l’uom che sia nudo e legato,
ma poco tempo si rallegra e gode
che si essalta e so gloria in suo peccato».
Ride Giron che ’l sente, e poi gli dice:
«Non oltraggiate chi voi vuol felice.

34Io son venuto qui per vostro bene,
come vedrete», e parte lui discioglie,
tronca le corde e snoda le catene,
e dalle membra ogni legame toglie.
L’altro il riguarda, e per angelo il tiene,
e cangiate vêr lui parole e voglie
s’inchina, abbraccia, baccialo e ’l ringrazia,
e di tenerlo stretto non si sazia.

35Tra lietissimo pianto mischia il riso,
né sa più quel che dica o quel che faccia.
Giron, poi che da sé l’ha pur diviso,
di ritrovar la donna sua procaccia.
Scendono il monte, e ’l gran gigante intriso
di polve e sangue la terribil faccia
trovano in terra ancor, onde il guerriero
si maraviglia al gran spettacol fero.

36E poi che da Girone ha il tutto inteso,
«Deh, tagliategli» disse «l’impia testa,
che come ha me dislealmente offeso
farà gran gente ancor dogliosa e mesta».
Non vuol Giron, dicendo: «Lordo peso
viva a se stesso il tempo che gli resta,
ma s’io ’l ritruovo in fallo un’altra volta
gli sarà con ragion la vita tolta».

37Così dicendo l’uno a l’altro vanno
al munister là dove la donzella
con Danain tornata era in affanno,
bramando di ambe due fresca novella.
Come scorge il campion fuor d’ogni danno
perde i sensi di gioia e la favella;
stretto l’abbraccia, il bacia, e sopra il petto
qual morta resta al subito diletto.

38Or dopo il ringraziar e l’alte offerte
e l’adorar Giron per proprio Dio,
le sfortunate ad essa e le diserte
selve lassando, tosto si partio
la lieta coppia, e alle campagne aperte
di Camelotto tosto riuscio,
là dove del re Artus era la corte,
et ivi ebber più posa e miglior sorte.

Torna al monastero per farsi curare, viene riconosciuto dall’abate (39-48)

39Il buon Giron, che poca cura tenne
delle sue piaghe troppo travagliate,
tutto spogliato subito che venne
le truova acerbamente insanguinate.
Messesi in piume agiate ove convenne
con altri suoi compagni il santo abate,
che con amor grandissimo ha la cura
e che nulla gli manchi assai procura.

40Né maraviglia sia, perciò ch’egli era
nutrito ognor tra i cavalier erranti,
e ritenea di lor l’alta maniera
e le patrie sapea di tutti quanti,
e di Giron avea notizia intera,
il qual conobbe subito a i sembianti,
ma perché sa che volentier si cela
ad alcun ch’ivi sia mai no ’l rivela.

41Ma poi che l’ha curato e di dolce esca,
le più sane che può, dato ristoro,
ordina che ciascun di camera esca,
et ei soletto torna senza loro;
poi, come quel cui di sua sorte incresca,
a lui s’accosta, e dice: «Ampio tesoro
or non avrò di morte dispiacere,
poi che qui vi ho potuto rivedere.

42So che sète Giron, colui che solo
vale assai più che tutto il mondo insieme,
che par non ha dall’uno all’altro polo
vera gloria immortal del mortal seme,
colui che non pur io l’adoro e colo
ma qualunque ami le virtù suppreme,
di bontà, di valor colmo e di fede,
et a cui cortesia cognome diede».

43E dicendo così stretto lo stringe,
e di lagrime liete ingombra il petto.
Girone il volto di rossor dipinge,
e gli par riconoscerlo all’aspetto,
ma quello a discoprirse non s’infinge,
che già d’ogni sua cosa il tutto ha detto,
sì che il può riconoscere e raccorre
che nudrito era al regno di Estrangorre.

44Del qual il re, che fu chiamato poi
il Cavalier Senza Paura al mondo,
l’avea tra gli scudier primi de i suoi
tenuto sì che a nullo era secondo.
Or gli dice Giron: «Come è che voi,
lasciando un tal signor, nel basso fondo
venuto sète di tanto aspra selva
in preda di ladroni e d’ogni belva?».

45Gli risponde l’abate: «Io dirò il vero:
qui m’ha condotto certo divozione,
e la gran fama d’esto munistero,
ch’è da i buon onorato a gran ragione.
Ma d’accendermi a ciò prima il pensiero
grandissimo timor fu la cagione,
che mi condusse a tal ch’io feci voto
di vestirmi questo abito divoto».

46«Come,» disse Giron «voi sendo stato
con un tal cavaliero in compagnia
creduto avrei che fuste assicurato
più d’ogni altro guerrier ch’armato sia?».
«Questo è ben ver» diss’ei «ma se narrato
vi fusse il caso et ogni ragion mia,
non vo’ dir voi, che non temeste mai,
ma che mi scuserien sarieno assai».

47«Deh,» gli disse Giron «se non vi spiace
e non siate impacciato in altro affare,
raccontatemi il caso; e maggior pace
al mal ch’io sento non potreste dare,
ch’oltre ch’al buon guerrier mai sempre piace
d’arme, di cortesia, d’amor parlare,
ascolterei da terza a notte oscura
fatti del Cavalier Senza Paura.

48il qual più che me stesso veramente
amo, e poi riverisco senza fine.
Mi son seco trovato assai sovente,
e ben gustate sue virtù divine
seco già in molta e belicosa gente
che de l’arme sapean tutte dottrine,
e sopra me talor provate l’aggio,
e, ’l dirò pur, con poco mio vantaggio».

L’abate racconta le proprie vicende come cavaliere al seguito del Cavaliere Senza Paura: si sono recati al regno di Nabone il Nero, che teneva prigionieri un gran numero di cavalieri e il cavaliere norgallo (49-73)

49Ivi il buon padre, che non manco brama
di ragionar che ’l suo Giron d’udire,
comincia: «O cavalier d’eterna fama,
da poi ch’avete di ascoltar desire,
sì come quel che di servirvi brama,
e ch’al vostro voler non può disdire,
narrerò il tutto, e se sì ben no ’l dico
perdonate al fallir con cor amico.

50Il gran re valoroso di Estrangorre
essendo per passaggio in Sorolese
rincontra un cavalier che ratto corre,
cui domandò novelle del paese;
diss’ei piangendo ch’entro oscura torre
prigion lasciava tra mortali offese
il cavalier perfetto di Norgalle,
in una dispietata e chiusa valle.

51Non si truova il mio signore allora
se non me per compagno e servidore,
dir non potrei se dentro gli lavora
desio di trarlo di tal loco fuore,
che in verità l’amava et ama ancora,
per quel che io saccia, assai più che ’l suo core.
Domanda lo scudier qual sia il cammino,
e s’ei fusse di lì molto vicino.

52Gli fa risposta che non è lontano,
e gli mostra la via di passo in passo;
poi gli soggiunge che sarebbe vano,
più che ’l voler tirar sangue d’un sasso,
ogni soccorso, ogni argomento umano
a trarlo d’indi, ove di spene casso
può conto far intra infiniti affanni
seppellito menar la vita e gli anni.

53Non replica il mio re, ma tutto cheto
s’invia dove gli ha mostro e lassa lui.
Or io di questo fatto poco lieto,
ma ben doglioso e sbigottito fui,
me gli appresso, e gli dico: – Mal discreto
è chi non crede a i buon consigli altrui:
voi seguite una impresa che esso dice
ch’esser a duo mortal non può felice -.

54Crucciossi meco, e disse: – Se tu temi,
lassami solo andar, ritorna indietro -.
Io, che no ’l vo’ lassar ne i casi estremi,
tacitamente e con timor m’arretro,
seguendo i passi suoi, ben ch’io ne tremi,
e mi sembri tra scogli esser di vetro.
Non più che quattro miglia camminiamo
ch’un strettissimo calle ritroviamo,

55fatto per arte tra sassose grotte
che altissime pendean da ciascun lato,
da taglienti scarpei ricise e rotte
ove solo un caval saria passato.
ivi riluce il sol come la notte
quando a l’ultimo vespro fia corcato,
fatte due leghe del sentiero oscuro
ritroviamo un perron di marmo duro,

56ove di sangue orribilmente è scritto:
Questo è il passaggio rio senza ritorno,
qualunque il varchi il rivenir disditto
gli sarà sempre, infin che venga il giorno
che meni il cavalier che deve afflitto
d’Amor morir per un bel viso adorno.
leggiamo e rileggiam più d’una volta,
né l’aria il contendea, di nebbia avvolta.

57S’io me ne spaventai pensar potete,
ch’io caddi quasi più che morto a terra,
e dico al cavalier: «Or che farete?
volete contro a i fati prender guerra? -.
Et ei, ridendo: – Adunque voi ’l credete?
e non sapete che vaneggia et erra,
fuor che Dio sol, chi parla del futuro?
Però di sue minacce io non mi curo.

58Anzi ora ho voglia di passare avante
e dimostrar al mondo che mai deve
nulla temer un cavaliero errante,
e ciascun greve peso aver per leve.
Conoscer vo’ chi sia questo arrogante
che la fora d’altrui stima sì breve,
vorrò co ’l mio compagno di Norgalle
morir là dentro o trarlo d’esta valle -.

59Non mi acqueto io per questo, e gli replico:
– Deh cangiate, signor, la stolta voglia,
deh non fate oggi il secolo mendico
del miglior cavalier ch’aver si soglia,
crediate a chi vi è servo, a chi vi è amico,
a chi di voi più che di sé s’addoglia,
e che conosce ben che torto fate
a voi medesmo, a i vostri, a questa etate.

60Lassate questa via, che di dolore,
d’ira, di crudeltà, d’odio è ripiena.
Considerate là, or sendone fuore,
che ’l pentersi là entro è stolta pena.
Mostrate in altra impresa qual valore
che ’l vostro nome tra le stelle mena.
Combattete con gli uomin, non co ’l Cielo,
ch’or v’ammunisce con paterno zelo -.

61Et egli a me ridente: – Or sei sì stolto
che tu pensi che qui restar mi voglia?
che s’io vedessi mille morti in volto
vorrei passar avanti questa soglia -.
Or io, quantunque di gran tema involto,
e tutto colmo il cor di certa doglia,
dissi: – Poi che ostinato sète pure
seguiamo adunque l’impie strade oscure,

62ch’io non vi lasserò mentre avrò vita -.
Così dicendo innanzi a lui mi metto;
quanto più camminiam tanto impedita
più la via ritroviamo e ’l calle stretto;
una gran torre al fine alta e spedita
veggiam, ch’a me rinnovellò il sospetto,
ch’era fra le due grotte fabricata
e facea porta alla fatale entrata.

63Gimo appressando, e ci accorgiam ch’ell’era
senza aver guardia alcuna tutta aperta;
maravigliamci che tal casa altera
resti di abitator così diserta.
lì di porte non par forma o maniera,
fermianci alquanto, e leviam gli occhi all’erta,
l’andiamo essaminando a parte a parte
di lei lodando la fortezza e l’arte,

64e poi che al tutto vedova n’appare,
dopo alquanto restar passiamo avanti.
A pena a dietro ci lassiam restare
la crudel soglia che altrui mena in pianti,
che con orribil suono udiam calare
fatta di ferri altissimi e pesanti
una gran porta e certo mi pensai
che ’l fulgore dal ciel sia meno assai.

65Questo so ben che ’l cor entro si scosse
più che mai fesse per celeste tuono.
L’ardito cavalier tanto si mosse,
quanto voi fate a quel ch’io vi ragiono,
a pena a riguardar che sia fermosse,
poi mi disse: – Compagno, questo suono
vuol dir ch’è chiusa al ritornar la strada,
ma più saldi usci aprì già questa spada -.

66Et io, tutto affannato: – Tardi omai,
signor, trovate mie parole vere.
Il darmi fede pria migliore assai
fora, e più saggio certo il mio parere.
Io non so più sperar che morte e guai,
o qui perpetuamente rimanere -,
e parlando così riguardo in alto
onde il peso mortal fece il gran salto.

67E veggio alle finestre e sopra i tetti
una infinita e fastidiosa gente,
che ci scherniva con nemici detti:
– Or prigion nostri sète veramente,
com’or vedete a troppi chiari effetti
ove di star pensate eternamente,
e ponete i cor sicuri e ’n pace
perché al nostro signor et al Ciel piace -.

68Se ne ride il buon re, poi muove i passi
verso una piccolissima montagna,
ch’era di spin coperta e d’aspri sassi
tanto ch’ogni caval di lei si lagna.
Montati in cima, ove assai tosto vassi,
scopriamo una amenissima campagna,
be fruttata, fiorita, vaga e bella,
tutta di ville piena e di castella.

69Ma chiusa e circondata d’ogni intorno
di monti inaccessibili e tagliati,
onde ponno sperar solo il ritorno
l’aquile e i lor congiunti bene alati.
Mentre io contemplo quel paese adorno,
il mio buon cavalier dice: – Che guati?
Io t’ho menato (e si riversa in riso)
contro a tua voglia in questo paradiso -.

70Et io, che avea desir di ogni altra cosa
che seco motteggiar, nulla risposta
do, se non: – La provincia par gioiosa,
se potessim lasciarla a nostra posta -.
E perché duramente era noiosa
al discender in basso quella costa,
smontiamo da cavallo, e giunti al piano
torniamo in sella e ce n’andiam pian piano.

71Nell’aperta campagna non semo anco
giunti, ma in una chiusa e dolce valle,
alla cui foce face fronte e fianco
pur una torre e ne fermava il calle.
Noi passammo oltre con l’animo franco,
né l’aviam date a pena ancor le spalle,
che co ’l medesmo suon, nel modo istesso
altra nuova prigion ci serra appresso.

72Poco ce ne curiam, che a quella prima
la speranza e ’l timore era lassato.
nel piano entriamo, e più di nostra estima
il veggiam tutto ricco e delicato.
Troviamo un fonte che dall’alta cima
sceso dal monte va rigando un prato
d’arbor ricinto, sì vago e gentile
ch’ei pareva figliuol del proprio aprile.

73Lodalo il Cavalier Senza Paura,
dicendo che ’l più bel non vide mai.
Et io, cruccioso, a lui: – Questa verdura
vi potrebbe portar eterni guai -.
Se ne ride esso, e di mio dir non cura,
ma d’animo miglior che innanzi assai
va camminando per l’erbosa via
fin che scorgiam novella compagnia.

Qui, da molti sconsigliati, si sono diretti verso il castello di Lotano dove il norgallo era prigioniero (74-104)

74Troviam lungo il corrente e fresco rivo
due cavalier di valoroso aspetto,
ma l’uno e l’altro di tutte arme privo,
come chi in pace sia senza sospetto.
Noi discendemmo al bel cristallo vivo
per rinfrescarci con setoso affetto;
salutiam quei compagni et essi noi,
e ’l cavalier con lor ragiona poi:

75- Ditemi se vi aggrada, signor miei,
se sète cavalier, come mostrate -.
Risposer quei: – Noi fummo, e non de i rei
per quel che già facemmo altre fiate – .
Et egli ad essi: – Volentier saprei
se in questa parti sempre dimorate -.
– Sì ben (rispose l’un di quelli allora),
e molto più che non vorremmo ancora.

76Ma di Norgalle nati nel paese
qui siam rinchiusi per disgrazia nostra -.
Segue il buon cavalier: – Siemi palese
chi sia signor di queste apriche chiostra -.
Risposero essi: – Un uom che in tutte imprese
d’esser il più forte uom del mondo mostra,
chiamato da ciascun Nabone il Nero,
discortese, superbo, crudo e fero -.

77Dimandagli il mio re se nuove sanno
del cavalier che di Norgalle ha nome,
et ei rispondon che veduto l’hanno
là dentro, raccontando il quando e ’l come,
e ch’ei si truova nel medesmo affanno
che loro, e carco delle istesse some,
dentro un forte castello, detto Lotano,
che di quivi non è molto lontano.

78Ma che a girvi quel giorno è l’ora tarda,
ma in un altro castel saran la sera
dove egli alloggerà colui che ’l giarda
secondo pur l’antica sua maniera.
Il mio re, questo inteso, non ritarda
rimontato a caval, là dove spera
trovarlo addrizza il piede e a notte viene
ove quei gli mostràr la strada bene.

79Giunto noi del castel presso alla porta
veggiam che dentro torna e l’uscio serra
colui che n’era assai fidata scorta,
va sopra i merli, e ne riguarda in terra,
dicendo non vi entrar chi ferro porta
che vi si vive in pace e non in guerra,
e se vogliam lasciar l’arme di fuore
ci lasserieno entrar di vero amore.

80Il cavalier, che lasso assai si truova
e non sa che dispor, meco ragiona:
– Che deggiam noi qui fare? -, e mi rinnuova
lo sdegnoso dolor che l’alma sprona,
ond’io rispondo: – Il consigliar che giova,
ch’omai far non possiam più cosa buona?
Ma so che disarmato in esso entrando
forse uscirete un dì, ma Dio sa quando -.

81Tardi avveduto, pur al parer mio
diè piena fede, e fuor se ne rimase.
Ivi tosto smontati quegli et io
fra certi arbor vicini all’alte case
demmo le stanche membra al dolce oblio,
come necessità ci persuase,
senza gustato aver vino o vivande
di cui nostro bisogno era pur grande.

82Già venuto il mattino, ecco venire
del castello una vaga damigella,
che piangendo al mio re comincia a dire:
– Ben aveste una notte e dura e fella,
ma fia l’altra peggior, ch’oltraggio et ire
portar vi deve, e ria doglia novella -.
– Non sarà, s’a Dio piace (allor le dice
il cavaliero a cui temer non lice),

83ma certo ch’al parlar, donna gentile ,
nasceste in la provincia camelotta -.
Rispose ella di sì, con atto umile:
– Ma il mio crudo destin m’ha qui condotta,
là dove piango e mai non cangio stile,
né di mai ripassar questa aspra grotta
ho più speranza, e credo che l’istesso
a voi deggia avvenir nel tempo appresso -.

84Allor, se la paura ardir avea
d’entrar nel cavaliero, entrata fora;
ma pur sicuramente rispondea:
– Come esser può che io mai non esca fuora? -.
Et ella: – Ogni uom che sua fortuna rea
qui dentro adduce, eterno ci dimora,
e mille cavalieri o più ci sono
c’hanno messa la speme in abbandono,

85senza infiniti poi di manco stato,
che ci menò la lor disavventura.
Io con un cavalier ci venni a lato
di cui forse miglior non ha natura,
né seppi poi dove si sia legato,
o chiuso o morto in questa sorte dura,
sì che siate, signor, sicuro e certo
di star qui sempre, e vel predico aperto -.

86Or io, che ascolto quel ch’io temei sempre,
dir non potrei com’io mi lamentassi;
io mi doleva in così amare tempre
ch’avrei fatti di duol pianger i sassi.
Il cavalier, cui par ch’io mi distempre,
tutto sdegnato e furioso fassi,
mi riprende, m’oltraggia, mi minaccia,
e ’n somma quanto puote opra ch’io taccia.

87Mi fa tosto armar e a caval monta,
dicendo: «Se non scontro in tradimento,
a i nemici farò tal danno et onta
che ogni uom mi fuggirà di buon talento;
e s’io morrò, fia di maniera conta
la morte mia ch’io ne sarò contento -.
Poi ringrazia la donna, e dice: – Andiamo,
e la nostra aventura omai proviamo -.

88Partendo, un cavalier troviamo in via
senza arme, e due levrier gli vanno a canto;
dicegli il re: – Se ’l Ciel pace vi dia,
ove ir potrei per rinfrescarmi alquanto? -.
Et egli: – Io no ’l sarei, ma tosto fia
che sarete prigione, et ivi tanto
potrete ristorarvi, e tanti giorni
che non sarà mai più che vi distorni -.

89- E chi prender mi deve? – il re domanda,
e quel: – Nabone il Nero, o l’un de i suoi,
ch’all’ingiusto paese oggi comanda
e tiene imprigionati tutti noi – .
replicò l’altro: – Or ditemi in che banda
trovar potrei, se ciò sapete voi,
il cavalier Norgallo, perché trarlo
di qui procaccio e ’n casa rimenarlo -.

90Ridendo quel guerrier risponde: – Lui
ben troverete in un castel qui presso,
ma pria ch’aver la libertà d’altrui
pensate a liberar voi, signor, voi stesso.
Anch’io già cavaliero errante fui,
or mi truovo avvilito e sì dimesso
che in vece di corsieri ho cani intorno,
e di lancia e di spada ho lassa e corno -.

91- Ah (dice il mio buon re), pur non son io
così fatto prigion che io non isperi,
se non m’è più che avverso il destin mio,
d’abbatter mille e mille cavalieri,
e d’uccider Nabone e ’l popol rio
che così tiranneggia i bei sentieri,
e mostrerò che un buon guerriero e solo
de i tristi vale uno infinito stuolo -.

92- Voi potete pensar come a voi piace
(risponde il prigionier seco ridendo),
ma pur detto vi sia con buona pace
che non per molto saggio ve ne prendo -.
Il buon re d’Estrangorre come face
dentro di furia e di desire ardendo
pur con dolce saluto si diparte,
muovendo il passo alla mostrata parte.

93Passammo un fiumicel poco profondo,
ma di pesci assai pieno e d’acque chiare,
che sì bel ne portava l’occhio al fondo
che si potean l’arene annoverare,
e tenendo il cammino a lui secondo
veggiam sopra la riva lieti stare
quattro che a pescatori hanno sembiante
con dolci vini e con vivande innante.

94E sopra la verde erba a lor diporto
ragionando gustavan la dolce esca.
Come il nostro arrivar da quegli è scorto,
con vie più cortesia che l’uom che pesca
si drizza l’uno, e con parlare accorto
come a cui molto il nostro mal rincresca,
ci invita, che qual mensa ella si sia,
non ci gravi mangiarvi in compagnia.

95Accettò il cavaliero, e tosto sceso
dà luogo al suo cavallo, e poi dell’arme
si leva dalle membra il maggior peso,
mangia gioioso, e dice: – Rincontrarme
non potea meglio -, e poi fra lor disteso
mi appella, e da i compagni fra chiamarme,
ma io era sì carco di paura
che di cibo né d’altro avea più cura.

96Come han finito, i cari pescatori
domandan come semo ivi arrivati.
Risponde il cavalier: – Per trar di fuori
tutti che son lì dentro incarcerati,
ma più che ogni altro quel che mille onori
avea già ne i suoi giorni guadagnati,
il quale come il core ama senza fallo
che si nomava il cavalier Norgallo -.

97Quando udiron l’impresa parimente
come gli altri d’avanti il biasimaro,
dicendo che non pensi per niente
di riveder il suo terre più caro.
Lo risponde il mio re ch’assai sovente
molti in bassa miseria si trovaro,
a cui mandato alcun fu poi da Dio
che gli ha cavati del lor stato rio.

98- Chi sa se sarò quello; e s’io non sono,
con bella compagnia finirò gli anni -.
Poi si rivolge a quel ch’al viso e al suono
gli parea d’alto affar, se non s’inganni,
e gli dice: – Se quel dell’alto trono
vi tragga di miserie e toglie i danni,
ditemi il nome vostro, che io mi stimo
che non fu questo il vostro mestier primo -.

99Allor getta un sospiro, e gli risponde:
– Veramente ebbi un tempo altro mestiero
ma mi vo trastullando per queste onde
per obliar me stesso e ’l mio pensiero;
ma mentre io già potei viver altronde,
non fui, cred’io, malvagio cavaliero:
questo so ben, ché ’l mo maggior tesoro
fu sempre al mondo il marzial lavoro -.

100«Io vi ho veduto (il mio buon re gli dice)
ma non so ricordar il tempo e ’l dove -.
Et ei: – Mentre ch’io fui sciolto e felice
fui sempre ove erano onorate pruove;
parente fui d’un re, del qual mi lice
dir che maggior di lui non visse altrove,
del gran Meliadusse di Leone,
e seco arme vestî lunga stagione.

101E con lui fui nella famosa guerra
che gli mosse il re Artusse in suo paese,
ove in un pian che l’Armorico serra
feci già gran corruccio e gravi offese
al buon re d’Estrangorre, ch’ora in terra
si fa stimar guerrier d’altere imprese,
e Cavalier Senza Paura è detto,
ma gli fei ben veder che era io perfetto -.

102Alle parole l’ha riconosciuto
il mio buon re, che tosto gli ragiona:
– Alano, Alan, s’altrove oggi veduto
vi avessi e in libertà della persona
co ’l ferro intorno a buon guerrier dovuto
vi mostrerei se feste opra buona -.
Risponde Alano a lui: – Ditemi or voi
il vostro nome, e ragioniam da poi -.

103- No ’l saprete per or (disse il re mio),
un’altra volta poi per avventura
in modo vel dirò che solo Dio
vi potrà liberar da morte oscura -.
Et ei: – Come voi me, voi conosco io,
che sète il Cavalier Senza Paura,
e non vi posso dir qui d’avantaggio
che già vi fusse in Logre accorto e saggio.

104Né di vostre minacce temo punto,
quando io mi trovi l’arme e ’l mio destriero;
ma ben in luogo l’uno e l’altro giunto
veggio che ci bisogna altro pensiero,
che nessun mai di qui sarà disgiunto
mentre il corpo sarà con l’alma intero -.
Non replica il mio re, ma l’elmo prende,
monta a cavallo e a camminar intende.

Il Cavaliere Senza Paura si era battuto con il Cavaliere Vermiglio, che difendeva la legge del posto, in un duello aspro ed incerto (105-132)

105Gimo oltre, e ’n breve tempo al gran castello
presso arriviam che Lotano è chiamato.
Veggiam quattro a cavallo in un drappello
ma ciaschedun di tutto disarmato;
il mio re gli saluta, et essi quello,
lui domandano poscia ove è inviato.
Diss’ei: – Per liberar dal giogo antico
il cavalier Norgallo ottimo amico -.

106Rispose l’un: – In quella aspra muraglia
il troverete, ove prigion dimora,
ma prima converravvi aver battaglia
con un guerrier che l’have in guardia ognora,
e se mostrate che di ciò vi caglia,
solo al vostro chiamare uscirà fuora.
L’arme tutte vermiglie intorno porta
e la quistion farà presso alla porta.

107E se di vincer lui la forza avrete,
fia liberato il vostro buon Norgallo,
ma prigion seco eterno rimarrete
se di vostra persona avvegna fallo -.
Partesi allora il re, ch’aveva sete
di tosto entrar nel periglioso ballo.
Arrivati al castel, sì come s’usa,
tosto avanti ci fu la porta chiusa.

108Chiama la guardia il re, pregal che faccia
del domandar la guerra l’imbasciata,
et essa: – Voi l’avrete, ancor ch’io taccia,
sì bene è qui la cosa destinata -.
Non guari sta ch’un corno alto procaccia
che s’aduni d’intorno la brigata
per veder guerra ch’ivi s’apparecchia,
e lieto di ciascun viene all’orecchia.

109Tal che in un punto i merli tutti e ’l tetto
furon di spettatori intorno pieni;
cavalieri e donzelle a lor diletto
lassati i ragionar dolci e sereni
per veder della guerra il dubbio effetto
e qual fortuna alla vittoria meni,
e il lor crudo signor Nabone il Nero
si sedeva tra lor superbo e fero.

110Perch’ei pensava ben che l’uom vermiglio
avea già fatte sì mirabil pruove
che se l’altro scappar puote il suo artiglio
ben avrà più che amico in alto Giove.
Or mentre era fra lor vario il consiglio,
riguardando il mio re chi guerra muove,
ecco abbassar la porta, e fuor uscire
il cavalier del porporin vestire.

111Egli era oltr’a misura alto e formoso,
e sopra un gran destrier pare un gigante,
né sembra il suo valor esser ascoso
a chi ’l riguarda ben fino alle piante.
Accoglie il mio signor tutto pensoso
dicendo: – E che cagion vi mena avante? -.
A lui risponde il re dopo il saluto:
– Per combatter con voi son io venuto.

112E veggio ben con la medesma voglia,
poi che armato vi veggio, venite anco -.
– Sì (rispose ei), ma veramente spoglia
di voi non bramo, o che vegnate manco,
ma la necessità di quel ch’io soglia
più crudel farmi e nel far bene stanco
poi ch’al signor qui dentro diei la fede
di combatter ogn’uom ch’a lui non cede.

113E chi riman da me per forza vinto
eternamente a lui resta prigione
di quelle mura e di queste acque cinto,
o chiuso almeno in questa regione.
Dio sa se di pietade il core avinto
con voi né con altrui prendo quistione,
fui cavaliero errante in mio paese,
né studiai men che forte esser cortese -.

114Non ha seco il mio re più pazienza,
– Lassiam (disse) il parlar, vegnamo all’opre,
che ben vi mostrerò l’alta eccellenza
che questo ferro che mi veste cuopre,
e l’un di noi due danno o temenza
avrà prima che ’l sol ci si ricuopre -.
– Ben so poi che qui son che nullo mai
mi fe’ cadere, e n’ho provati assai -.

115- Noi il vedrem – disse il re, poi s’allontana
quanto al correr fra lor chiede il devere;
così fa l’altro, e con virtù sovrana
l’uno e l’altro di lor s’incontra e fère.
Ruppe la lancia come fusse vana
sopra il mio re il Vermiglio Cavaliere,
né della sella pur alquanto il mosse
ma il contrario è di quel dell’arme rosse.

116Che sì forte è percosso che si smaglia
dell’usbergo di acciar la maggior parte.
Avria gittato giù, se Dio mi vaglia,
quanti ha monti Tessaglia e ’l proprio Marte.
Cadde ferito, e tutta si abbarbaglia
la vista, e perde ogni sua forza et arte,
e con piaga nel petto stette alquanto
prima che risentirse tanto o quanto.

117Come vide il nemico ch’era in terra,
scende il re del destriero, e mel consegna,
e schivando il vantaggio e nuova guerra
s’apparecchiò come virtù gl’insegna.
Va verso il vinto, che già il brando afferra,
perché più danno all’avversario avvegna,
e quando ha visto usar tal cortesia
il destin biasma e la fortuna ria.

118Domandato dal re perché ciò dica,
risponde: «Perché mai guerrier fu tale
nella moderna istoria o nell’antica
ch’a voi di forza dir si possa eguale;
poscia la cortesia vi veggio amica
più che d’alcuno dirò quasi immortale,
e penso quanto danno il mondo porte
d’avervi oggi perduto in questa sorte -.

119Ben l’intese ei, ma non a questo vuole
risposta dar, e dice: – O cavaliero,
e’ mi par d’altro qui che di parole
secondo il tempo ci sarà mestiero,
e poi che già discende in basso il sole
facciam che, pria ch’oscuri l’emisfero,
che la nostra battaglia fin ritruove,
perché tosto vorrei girmene altrove -.

120- A ciò (dice il Vermiglio) poi che ’l Cielo
ordinato ha così, così si faccia -.
Già l’uno e l’altro con focoso zelo
tratta l’aguta spada il scudo imbraccia.
Razzi lucenti del signor di Delo
a cui nube né vel scuri la faccia
paiono i brandi lor, che in alto stanno
minacciando al nemico ontoso danno.

121Il Vermiglio fu il primo che alla fronte
un gravissimo colpo al mio re dona,
il qual avria, credo io, partito il monte
là dove è più sassoso di Elicona.
L’altro il riceve con tai forze pronte
che non punto ha crollata la persona,
ma lo scudo ch’ei truova in modo parte
che ne cadde per terra una gran parte.

122Ma gli rispose ben di tal possanza
che intormentita assai n’ebbe la spalla,
che simil colpo aver non ebbe usanza
fino a quel punto in duca di Norgalla.
Pur ben s’aiuta, ben mostra sembianza
che in lui vigor ne l’animo non falla,
e ’l mantien sì fornito di gran botte
che in più d’un luogo gli ha le piastre rotte.

123Pur quei ch’a veder son sopra le mura
danno segno fra lor di far più stima
del fero Cavalier Senza Paura,
che ’n ve della bilancia è sempre in cima.
il buon Vermiglio, ch’al nemico ha cura,
l’onora più che mai non facea prima,
e di scherma, di forza e di destrezza
più ch’altro assai nel suo pensier lo apprezza.

124Pur mette ogni arte di restar vincente,
perché sa che perdendo il signor crudo
gli torrebbe la vita incontinente
come tiranno d’ogni onore ignudo.
Mena colpi gravissimi e sovente,
ma i più riceve il già troncato scudo,
che ’l mio re così ben si cuopre tutto
che l’avversario suo fa poco frutto.

125Non già il medesmo del Vermiglio avviene,
che disarmato appare in più d’un loco,
in più d’un loco le impiagate vene
versan molto di sangue a poco a poco.
Sceman le forze sue, crescon le pene,
sì che troppo il peggior avea del gioco.
Ciò conosce il mio re, che troppo intende
e seco nel suo cor doglia ne prende.

126E come cortesissimo e gentile
indietro si tirò quattro o sei passi.
L’altro, che pensa il faccia come vile,
e che senta gli spirti e i membri lassi,
riprende alto vigore e ’n nuovo stile
più che mai furiando innanzi fassi,
raddoppia i colpi e mena di più forza
e di atterrarlo quanto può si sforza,

127dicendo: – Alto guerriero, ancor non lice
cercar riposo, ma di oprar la mano;
chi non ha il fin della quistion felice
se ’l principio fu buon, si loda in vano -.
E mentre che così minaccia e dice,
dal gran nemico non si tien lontano,
anzi sì gravemente all’elmo il fère
ch’ogni altro che esso sol potea cadere.

128Allor che ’l mio signor la cortesia
usata verso quel perduta vede,
risponde: – Or non devreste villania
dirmi cotal, se ben ritiro il piede,
ch’assai miglior guerrier questo faria
se danno inevitabile prevede,
e se ciò fu con mia vergogna molta
me ne guarderò forse un’altra volta -.

129E per far sopra quello aspra vendetta
delle sue ingiurie e delle avute offese,
come a fugace mai damma o cervetta
famelico leone il corso prese,
a lui con giusta collera si getta,
dagli un gran colpo, ch’alla test ascese
con tal gravezza che in ginocchie cade,
lassando il segno all’arenose strade.

130Pur si drizzò, che forte era e leggiero,
ma trovandosi sconcio si ritira.
– Ahi franco e valoroso cavaliero
(disse il mio re, quando ciò far rimira),
se voi sète quel prode, ardito e fero
ch’a magnanime palme solo aspira,
perché biasmaste me di quel ch’io veggio
farvi il medesmo, che io non vo’ dir di peggio? -.

131Il discreto Norgallo, che lo udio,
di purpurea vergogna il viso tinse,
dicendo: – Io vi confesso il fallir mio,
ch’a sì gran torto dirvi mi sospinse.
Io vi scherniva ingiusto, e ’l giusto Dio
la mia vana superbia tosto estinse,
e fa veder che l’uom non dèe biasmare
cosa ch’ancora a lui possa incontrare -.

132Or così divisando si ritrovava
sì l’uno e l’altro lasso e sì ferito
ch’a voler cominciar battaglia nuova
dopo alquanto posar prendon partito.
Ciascun pensa alla seconda pruova
d’esser tanto più forte e tanto ardito
ch’al di sopra dimori della guerra,
vinto al tutto il compagno o morto in terra».