L’abate prosegue il racconto: il Cavaliere Senza Paura ammazza un gigante inviato a prenderlo, Nabone decide di lasciarlo in prigione per sempre (1-10)
1«Tosto che ’l suo color rende alle cose
Febo, spargendo i crini all’Oriente,
ecco la donna a lui che ’n grembo ascose
porta vivande e vin celatamente,
e sopra la finestra le ripose
dicendo: – Con lieta mente
prendete buon ristoro, a ciò che poi
non riporte il gigante onor di voi.
2Però che certamente dèe venire
per portarvi del crudo alla presenza.
Io gli ho sentito tutto l’ordin dire
del fatto intero, et ha tanta eccellenza
che senza spada vi vuole assalire,
né stima che facciate resistenza;
non so quel che avverrà, questo so bene:
che ’l più forte uom che sia contro vi viene -.
3Il mio re non risponde altro a colei,
ma la man porge alla vivanda e ’l vino,
ch’era stato de i giorni presso a sei
senza quasi mangiar ivi e ’n cammino.
– Poi ch’è più forte (dice), io non avrei
timor, se quanto ha popol qui vicino
mi venisse a combatter tutto armato
non avendo io se non queste arme a lato -.
4Poco dopo il mangiar alto romore
sente dentro il castello, e poi la porta
della prigione aprir ode di fuore
e ’l fer Nabon con infinita scorta
alla finestra scorge, pien d’orrore,
per vede ben come il guerrier si porta.
Metton dentro il gigante, e ’ncontinente
fu l’uscio riserrato fortemente.
5Avea questo un baston sì greve in mano
ch’ad ogni buon caval soma saria.
Riguarda il cavalier, che queto e piano
sedea sul letto, e molto sdegno avia
ch’un gigante bestiale, impio e villano
venga a tentar la sua cavalleria,
il qual superbo subito gli grida:
– Morto già sète -, et a quistion lo sfida.
6Non l’ascolta il mio re, né il guarda a pena,
pur dice al fine: – Uom rio, tu non sei saggio,
la vita vuoi finir con troppa pena
e con soverchio tuo disavantaggio.
Qual tuo fallo o peccato oggi ti mena
a far con onta l’ultimo passaggio? -.
Risponde l’altro: – Il fin ne dirà il tutto,
e farà il tuo cianciar di poco frutto -.
7E ’n questa alza il baston per lui ferire,
ma il mio buon cavalier salta del letto,
e lassa il colpo a vòto in basso gire,
poi senza spada se gli avventa al petto,
e gli face il troncon del pugno uscire,
il qual ripiglia, e con due mani stretto
gli dona in modo tal sopra al testa
ch’ivi tutto disteso e morto resta.
8Poi chiama quei di fuor: – Venite or voi,
e provatevi meco in questa guisa.
Venga il crudo Nabone, e tutti i suoi
e la fronte in due parti avrà divisa -.
Nabon, che ’l tutto vide, ebbe da poi
sempre di tema l’anima conquisa,
e disse: – Veramente io tengo e stimo
che d’ogni cavalier costui sia il primo -.
9E con tutti ivi i suoi consiglio prende
che mai lassarlo andar mal fatto fora,
ma che ancor non l’uccide e non l’offende;
più timor che pietà gliel vieta allora,
pensando in sé: – Di sangue tal discende
e tanto il suo valor gli altri innamora
che non vorrei però che la sua morte
fusse cagione a’ miei di simil sorte -.
10Fa dunque che ’l guardian chieggia la fede
da lui di non uscir mentre che quello
tragga il morto gigante fuor pel piede
per più netto lassar lo scuro ostello.
Così fu fatto, e ’l misero gliel cede
per non sentirne odor né più vedello.
Così il re di Estrangorre si ritruova,
né da sei mesi in qua n’ebbi mai nuova.
Intanto lui si è fatto monaco ed è fuggito, ha cercato invano qualcuno che liberasse l’amico (11-17,4)
11Perché io, poi che perdei tutta speranza
di poterlo indi trar, mi stetti ascoso
co ’l buon romito alla sua bassa stanza,
tutto pien di spavento e ben doglioso.
A Dio mi volsi, a Dio che solo avanza
di chi si truova tal speme e riposo,
e feci voto a lui ch’uscendo fuore
spenderei in suo servigio l’ultime ore.
12Né molto andò che quel romito santo
mi menò un giorno, mosso da pietade,
per altissime grotte in certo canto
ove non furon mai gente né strade.
Ivi io, che di destrezza ebbi già vanto,
mi gettai fuori, e penso in veritade
che nel cader che io fei soave e piano
mi sostenne il Signor con al sua mano.
13Libero adunque andai cercando un pezzo
de i più famosi cavalieri erranti,
che per un sì gran re di tanto prezzo
mi parea degno andasser tutti quanti,
e vi assicuro che non fuste il sezzo
tra quei che ricercava, e fuste innanti
da me preposto all’onorata impresa,
ma il Cielo al mio desir fece contesa.
14Non vi seppi trovar, e fummi detto
da molti ch’eravate al tutto morto,
altri prigione, ond’io lassai imperfetto
il voi cercar con molto disconforto.
Il gran Meliadusse, il re perfetto
trovai, ch’era oltr’al mar per suo diporto,
il buon re Faramonte era prigione
co ’l chiaro Laco insieme di Nabone.
15Che me ’l disse il romito, e gli tenea
che nessun gli vedea dentro una torre,
in cui raggio di sol non discendea;
ove adunque devea mia speme porre?
E poi mi tolse la mia sorte rea
o pur quella del capo d’Estrangorre,
che a Maloalto o in luogo a lui vicino
trovar non seppi il Rosso Danaino.
16Or tutto stanco e senza speme alcuna
venni a lassar il mondo in questo bosco,
ove or mi fu sì larga la fortuna
che voi riveggio, ascolto e riconosco,
e per quella virtù ch’in voi si aduna,
per quella carità ch’esser dèe nosco,
per la cavalleria, pel nostro Dio
che vi accingiate a tal viaggio pio
17vi prego, e se no ’l fate nullo è al mondo
che ’l possa far in alcuna altra etate.
So che ’l mio re non vi tenea secondo
alle virtù moderne o le passate».
Più volea dir ancor, ma dal profondoGirone aspetta di risanarsi per intervenire (17,5-23)
duol gli fur le parole perturbate.
Qui adunque tacque, e ’n lagrime e sospiri
mostrò gli onesti suoi chiari desiri.
18Se mai pietoso fu, se desioso
di cose far a maraviglia altere
allor il fu Giron, che lagrimoso
non si può a pena un punto sostenete,
che senza sanità, senza riposo
non corra ov’è prigione il cavaliere.
Pur, temprato dal frate e da se stesso,
al suo troppo voler regola ha messo.
19E disse: «Io vi assicuro che sì tosto
ch’a vestir arme assai mi senta forte,
di liberarlo al tutto son disposto,
o d’esser seco alla medesma sorte».
Fassi informar ove il castel sia posto,
e quai sien all’andar le vie più corte,
né lassa indietro cosa a domandare
ch’aiuto rechi al periglioso affare.
20Perché (quantunque avesse invitto il core
e da tutto condur con l’arme in mano)
ben misura l’imprese dentro e fuore,
mentre all’effetto ancor si sta lontano,
va saggiamente compensando l’ore
non si promette mai gran cose in vano;
vole pappa ne i consigli, quando è giunto
all’opra aspro leon torna in un punto.
21Usava dir che nel pigliar partito
sia l’uom considerato , tardo e greve,
nello essequirlo poi tutto espedito,
tutto pien di speranza, pronto e leve.
Il parlar timoroso, il fatto ardito
ne i miglior cavalier bramar si deve;
da tutto in mondo ricercar consiglio,
sol l’aiuto da sé dov’è il periglio.
22Or poi che alquanto presa ebbe quiete
e risaldate fur le piaghe alquanto,
vago di trarsi l’onorata sete
di tòrre il cavalier di estremo pianto,
l’arme vestite, con maniere liete
ringrazia e loda molto il padre santo,
e quanto puote in più gioconde tempre
figliuol si chiama et obligato sempre.
23Poi truova Danain, ch’ancor nel letto
ma fuor d’ogni periglio era malato,
quanto più far potea con dolce aspetto
da lui per dipartir prese commiato,
«Maraviglia non fia s’io non vi aspetto»
dicendo «poi che or sète in buono stato».
L’altro vuol seco andar, e molto il prega,
ma Girone ostinato al tutto il nega.
Parte con una donzella, ferma un cavaliere che sta per uccidere un suo amico traditore (Elino) e ottiene per quest’ultimo la libertà (24-65)
24Vassene adunque, e seco soli mena
uno scudiero e quella damigella,
per cui sofferto avea travaglio e pena
e che fida gli par non men che bella,
e pensa ove sicura e d’agio piena
lassar la possa infin ch’ei torni ad ella,
perché seco condurla a tal viaggio
non gli parse pensier di guerrier saggio.
25Ma molto lì lontano ad un castello
d’una vedova donna e molto onesta
lassarla pensa nel cortese ostello,
ove sia ricevuta con gran festa,
e ’n modo far, con parlar dolce e bello,
che la sua donna a lei non fia molesta,
ma resti accarezzata a maraviglia
sì come cara sua nipote o figlia.
26Con essa adunque e lo scudiero insieme
per foltissima selva addrizza il piede,
e mentre alto pensier l’alma gli preme,
e nulla cosa né se stesso vede,
molto non va che voce di un che geme
due volte e tre l’orecchia omai gli fiede.
Alza la testa al suono, e certo scerne
voce che mossa par da doglie interne.
27Drizza il passo pietoso ove la sente
e lontan poco sopra un lago truova
due cavalieri armati riccamente
come devesser far di forze pruova.
Dinanzi lor, legata, assai piangente
una donzella, cui beltà non giova,
ch’ancor che vaga fusse senza pare
non ha forza quei due cortesi fare.
28Ch’ella era scalza, e senza velo in fronte,
carchi i capei di pioggia o di rugiada.
Dall’altra parte se gli vede a fronte
un cavalier senza arme e senza spada,
che ben mostrava alle fattezze conte
d’esser un de i miglior che errando vada,
ma con le man legate ad un troncone
pensoso stava, e ben n’avea ragione.
29Il qual, come ivi di Giron s’accorge,
e lo stima guerrier di gran valore,
a lui si volge, e mille preghi porge
che gli venga pietà del suo dolore,
perch’a gran torto sua ventura il scorge
a tanto mal per man d’un traditore,
d’un traditor che lì davante vuole
quella meschina e me privar del sole.
30Non l’ascolta Giron, ma il parlar volto
alla donzella: «Qual peccato sia»
domanda «che abbia sì ne i lacci avvolto
l’uno e l’altra di loro? per qual via?»,
Et ella a lui: «Non poco fallo o molto,
ma l’altrui colpa e nostra sorte ria
n’ha qui, lassi, condotti a tanto torto
come un picciol fanciul che in cuna è morto».
31Un de i guerrieri armato, quando l’ode
a Giron volto dice: «O cavaliero,
non l’ascoltate, che la infidia gode
nelle menzogne e sempre fugge il vero.
Non fu mai più crudel né sozza frode
in questo (penso) e nell’altro emisfero,
né mai più disleal, fallace e doppia
che fatta m’ha la scellerata coppia».
32Richiesto da Giron, narra cortese:
«Questa è mia moglie, un tempo a me più cara
che ’l proprio cor, mentre non fu palese
ch’ell’era sol di mia vergogna avara.
Nessun’alma già mai d’amor s’accese
per cagion nobilissima e per rara
come io per lei, che al fin donna e regina
di me fu sempre come il ciel n’inchina.
33Quell’altro disleal non pur amico,
ma fratel congiuntissimo mi fei,
ch’io pensava avanzar del tempo antico
tutti i Patrocli, i Pialdi e i Tidei;
me l’ho trovato poi vie più nemico
che ’l giudicio del Ciel non sono i rei,
e s’amaste mai donna o sposa avete
spero che la ragion me ne darete.
34Ier me n’andai per qualche proprio affare
ad un castello ov’io mi sto vicino,
né potendo ier sera ritornare
arrivai questo dì, chiuso il mattino.
Entro pian nella camera a posare,
le cortine alzo, e per corcar m’inchino,
e truovo questi due dormienti insieme,
e giunti in guisa che l’un l’altro preme.
35Quel ch’io divenni allor non saprei dire,
ch’io restai senza cor, senza intelletto.
Pensai di fargli di mia man morire
dentro il macchiato e sfortunato letto;
poi di far peggio loro ebbi desire,
che morte è poca pena a tal difetto.
Chiamati de i miei servi, gli legai
prima che alcun si risvegliasse mai.
36E gli ho menati qui per fargli un pezzo
languir così legati al caldo e ’l gielo,
e farne giusto essempio in questo mezzo
a chi non pregia gli uomini né il Cielo:
ben gli anciderò poi, ma fia da sezzo.
Or questo è il fallo lor ch’io non vi celo,
giudicherete voi se ragione aggio,
e se mai fatto fu sì grave oltraggio».
37Quando sente Giron la cosa intera
e vede ben ch’ella non è menzogna,
gli risovvien che ’n simile maniera
sofferse ingiuria che stimò vergogna.
Non gli par troppo agevole matera
per dar sentenza, e ’n guisa d’uom che sogna
sta queto alquanto, e poscia risoluto
si volge a chi l’oltraggio ha ricevuto,
38dicendo a lui: «Se voi, signor, aveste
vendicato la fatta villania
mentre il caso era pronto e l’ire preste,
ch’aveste bene oprato ogni uom diria,
ma l’usar crudeltà per le foreste
pensatamente è pur di scortesia,
e par ch’a cavalier mal si convegna
che ’n contro a due legati odio ritegna.
39Però giudicherei che ’l dever vostro
fusse di perdonar a i peccatori,
poi che lor tutto aperto avete mostro
che li potete trar del mondo fuori.
de i torti fatti a noi l’incarco nostro
non è, ma d’essi, che ne son fattori,
ma chi fa disdicevoli vendette
le vergogne d’altri sopra se mette.
40Chi non sa ben che questa ria donzella,
lassa, vie più che voi se stessa offese,
e ’l disleal che visse mal con essa
de i traditor per sé corona prese?
La vostra fama pur integra e bella
fia sempre in questo e ’n ogni buon paese,
perché il proprio fallir altrui non danna
et a sé nuoce al fin chi altri inganna».
41Non vuol l’altro così, ma in ogni guisa
cerca condurgli a meritata morte,
e poi ch’avrà la infedel coppia ancisa
parlerà seco forse d’altra sorte,
e la mano alla spada avea già misa
per far l’ore di lor fugaci e corte,
e ben fatte le avria, se Giron presto
non fusse stato al suo voler molesto.
42Entra tra quei dicendo: «Non ardite
di far lor male alcun send’io presente,
ch’a me convien difender questa lite,
della qual forse ne sarò vincente.
L’onta mia fora s’al signor di Dite
faceste tal orribile presente,
né voglia ho di battaglia, ben vi dico
che chi gli offenderà fia mio nemico».
43«Dunque prendete voi l’impia difesa?»,
gli disse il cavalier cruccioso molto,
«Dir non saprei che in così torta impresa
non fuste men che giusto e più che stolto».
E ’l buon Giron, che fino al cor gli pesa
di fargli dispiacer, con dolce volto
risponde: «S’io non son saggio né buono
sì voglio io mi facciate di lor dono.
44E ve ne avrò perpetua obbligazione,
e di sempre esser vostro vi prometto;
se no ’l vorrete far al paragone
sarò con l’arme, e ben n’avrò dispetto,
perché mal volentier vengo a quistione
se dal debito mio non son constretto,
che senza senno è l’uom cui sempre piace
aver per guerra ciò ch’avria per pace».
45«Per pace non l’avrete, e men con l’arme,
per quanto io speri,» il cavalier gli dice,
«ma s’egli avvien che ’l Ciel per più noiarme
della guerra mi dia fine infelice,
voglio a voi per prigione eterno darme
se questo, cui mal far non altro lice,
non vi dà in ricompensa tradimento
per cui morte avrete o lungo stento.
46Pur poi che ’l vostro mal volete o il mio
e ’l ben d’un pien di vizi e disleale,
vengasi all’arme tosto, e faccia Dio
quel ch’a lui piacerà, che non men cale,
ch’io so ch’un tempo prospera l’uom rio,
ma tanto cade più quanto più sale,
e so ch’entro al mio core io son disposto
che di scampar costui morir più tosto».
47monta adunque a caval, la lancia prende,
guadagna il campo, e Giron fa l’istesso,
come folgore torna che aria fende
spronando il buon destrier ben forte e spesso.
l’altro sopra Giron il colpo stende
e si pensa d’averlo a terra messo,
ma l’asta è rotta, e non l’ha mosso tanto
ch’un scoglio il fiume che gli corra a canto.
48Ben lui truova Giron d’un ‘altra forma,
che ’n mezzo il scudo in modo lo percuote
che di sé nel terren segnata ha l’orma,
sì che di un pezzo rilevar non puote.
Resta il misero peggio ch’uom che dorma,
perché ha ferma la lena e ’l cuor non scuote,
quando il compagno suo questo rimira
verso Giron per l’onor suo si tira.
49Per l’onor suo, però che ben sapea
a quel che visto avea che era già vinto.
Dicegli poi che ricovrar devea
del suo caro signor l’onore estinto.
«Ah,» Giron sorridendo rispondea
«come non sète di vergogna pinto
a far ch’un sol pruovi le forze sue
in un punto medesimo con due?».
50L’altro tacito allor da canto il fère,
senza ch’aggia Giron la lancia in resta,
il qual vede sì saldo rimanere
che non che sbigottito morto resta.
Giron la lancia sua lascia cadere,
pon mano al brando, e dagli nella testa
d’un riverso sì fatto ch’ei lo manda
tutto stordito alla sinistra banda.
51Mentre che ciò seguia, già il primo è in piede,
e montato a caval; senza contesa
vanne verso Giron là dove il vede,
pensando vendicar l’avuta offesa,
ma truova forza ch’a niente cede
e che contro a tre mondi avria difesa;
pur quanto può co ’l buon voler s’aita,
ma il pio Girone a pace aver l’invita,
52dicendo lui: «Signor, io vi consiglio
che senza più contrasto mi doniate
i miserei, che ’n lagrimoso ciglio
chieggion mercé dell’opre rie passate».
E l’altro: «Pria di me sarà vermiglio
il campo, e queste membra lacerate
ch’io l’acconsenta, or fate il dever vostro
che non è spento ancora il valor nostro.
53Ben vi stimo guerrier che non ha pare,
ma quando fuste ben più forte ancora
non vo, se non costretto, abbandonare
l’impresa pia che ria coppia mora».
Così dicendo, come lupa appare
a cui tolse il pastor i figli allora,
e comincia a ferir sì duramente
che ’l Cortese Giron ne batte il dente.
54E pensava tra sé: – Costui per certo
è cavaliero errante e de i migliori,
nel batter fero , nel coprirsi esperto,
indegno de gli avuti suoi disnori -.
Sentesi risonar tutto il diserto,
tutta la valle a i marzial romori.
Stette un pezzo di par con l’arme in mano
verso il nemico il cavaliero strano,
55ma dopo alquanto il misero si stanca,
si sente tutto frale e fuor di lena.
Vede il forte Giron che non gli manca
la virtù prima di vigor ripiena,
anzi nel faticar più si rinfranca,
più vien ardito e maggior colpi mena,
sì che ’n se stesso all’ultimo risolve
che men sia contro a lui ch’al vento polve.
56Già perduto ha del sangue, già si duole
delle salde percosse in più d’un loco.
Fermasi adunque, e con cotai parole
si rivolge a Giron, doglioso e roco:
«Sia fatto, cavalier, poi che ’l Ciel vuole
poi che a voi contro star vaglio sì poco,
di questi disleal quel che volete,
come miglior di me che ’n arme siete.
57Ben di nuovo dirò, per mio discarco,
per l’onor vostro e vostra securtade,
che di leciti lacci avrete scarco
il più gran traditor di alcuna etade,
di tanti vizi e tante colpe carco
che dispietata far devria pietade.
Vi annunzio ancor che danno a molti sia
et a voi, se l’avrete in compagnia».
58Mal contento è Giron dell’avventura,
pur di camparlo omai gli par ragione.
Ringrazia il cavaliero, et ogni cura,
perché gli resti amico ogni opra pone,
dicendo: «Un uom talor cangia natura,
ogni frutto matura alla stagione».
Dice l’altro: «Egli è ver, ma certo veggio
ch’egli è pomo da gir di male in peggio».
59Dice Girone allora a quel legato:
«Come ardite a mirar del sol il lume,
sì scellerato, dispietato, ingrato,
contra ogni legge armato e buon costume,
duolmi assai che per me sia liberato
che degnissimo sia di foco e fiume,
pur il farò, poi che l’eterna gloria
m’ha concessa per voi chiara vittoria».
60Poi rivolto ala donna la riprende
del grave oltraggio in così degno sposo,
in cosa ove più sé ch’altrui s’offende
e nol può ricovrar l’esser doglioso.
Il lume d’onestà non si raccende
sol ch’una volta sia spento e fumoso,
ma per sozzo e brevissimo piacere
vergogna eterna ne conviene avere.
61Pur la discioglie, e la domanda poi
in che paese gir sarà contenta,
et ella: «Là dove vorrete voi,
pur che sicura e che già mai non senta
nuove del sposo mio, non che m’annoi,
ma perché conscienza mi tormenta
ch’io so quanto ho fallito contro a lui,
ma Dio sa ben come ingannata fui».
62E lì piangendo lor racconta come
venne quello impio sconosciuto al letto:
«Mi batté il volto, mi strappò le chiome,
rapì per forza l’ultimo diletto,
et io, temendo di macchiar il nome
del mio marito e ’l mio non gliel’ho detto,
ma sia pur come vuol, ch’io vi confesso
che gravissimo error aggio commesso».
63Quando l’ode Girone, e parte mira
le dolcissime lagrime cadenti,
guarda il marito, e vede ch’ei sospira,
e che i primi furor già sono spenti.
Il prega umil che si dispogli l’ira,
né vendetta maggior cerchi altrimenti
di quella che Dio fa nel peccatore,
ch’è sol pentirse con divoto core.
64«Datemi voi, da cavaliero errante,
la fede vostra di non darle morte,
e dentro un munister di donne sante
serrata stia tra le ben chiuse porte».
Se ne accorda ella, e ’l dolce sposo amante
glielo acconsente alla medesma sorte.
La menò adunque, e secco al fin rimase
più che mai cara nelle antiche case.
65Sciolt’è anco il traditore e, rivestito,
il mena al cavalliero, e prende fede
che di quel c’ha verso di lui fallito
altra vengianza per già mai non chiede.
Forza è che ’l faccia, perché stabilito
nella cavalleria questo si vede,
che chi perde per arme alcuna pruova
non ne può far mai più querela nuova.
Riparte e giunge al castello del cavaliere, che gli dà ricetto e lo mette in guardia su colui per il quale ha ottenuto la salvezza (66-80)
66Or partendo Girone addrizza il passo
verso la valle; un castel ritruova
che d’acque cinto e nel fondo più basso
non ha bisogno che l’estate piova.
Un vecchio cavalier, dell’arme lasso,
incontra al primo entrar, cui troppo giova
d’accarezzarlo, e seco vegna il prega
ad albergar, e ’l buon Giron no ’l nega.
67Ivi quanto si può maggior onore
gli fa il buon vecchio, che conosce in esso
alta prodezza e generoso core,
che pratichi n’avea prima che adesso;
non manca intorno d’un servitore
ch’al servir pronto se gli truovi appresso,
chi ’l disarma, chi ’l netta, chi la mensa
che tosto in ordin sia ratto dispensa.
68Venute le vivande allegri stanno
a rinfrescarsi e ragionar intanto;
domandato il guerrier che signor hanno,
gli conta il nome e narra come e ’n quanto
si truovi il miserel novello affanno,
di che molto in futuro sarà pianto.
E gli racconta il tutto, onde Girone
comprender può chi fusse il suo padrone,
69e truova ch’egli è quel che la sua moglie
trovata ha in fallo e che abbattuto avea,
e come ciò più certo in lui raccoglie,
tutto quel ch’era occorso gli dicea,
e che scampati son da mortai doglie
il peccatore e l’impia donna rea,
e di tutto gli dice a punto il vero
fuor ch’ei dà il vanto ad altro cavaliero.
70Allor colui risponde: «Sia chi vuole
quel che l’ha fatto, che assai fu cortese,
ma ben dich’io che sotto questo sole
mai tempo in comun danno non si spese
come a scampar colui di cui si duole
il mondo, ohimè, non pur questo paese,
il qual tal danno apporta la sua vita
ch’ogni gente n’è trista e sbigottita.
71Chi di lui fu pietoso oprata ha certo
la più gran crudeltà che fusse mai,
proprio è nutrir un lupo nel diserto
per fabbricar a gregge eterni guai
l’aver lui tolto a morte, ch’oggi aperto
a tutto il seme uman si mostra assai
più nemico ch’a i cervi un leon crudo
già per lungo digiun di mercé nudo».
72Quanto si dolse il pio Girone allora
udendo il mal che fe’ per oprar bene?
ma più se ne dorrà quando fia l’ora
che sopra lui ne torneran le pene.
Or mentre ragionando ivi dimora,
ecco il proprio signor che fra lor viene,
il signor della terra, e quel che volse
la coppia uccider che Giron gli tolse.
73Levasi il buon vecchione, e fargli onore
domanda la cagion del suo venire.
Et ei ridendo: «Io vengo per amore
di questo cavalier ch’io ho desire
d’accarezzar mai sempre, che ’l valore
suo merta più ch’io non vi potrei dire,
e per pruova già il so con l’arme in mano
non è gran tempo né di qui lontano».
74E così detto il buon Girone abbraccia
tutto amoroso e quanto può più stretto,
e benché al primiero oste oltraggio faccia
il conduce a dormir sotto il suo tetto.
D’ogni sorte piacer li si procaccia
infin che l’ora sia di girne al letto,
ove a grand’agio quella notte posa
fino al tornar dell’alba rugiadosa.
75Vol partirse al mattin, ma glielo vieta
il cortese signor, che ben vorria
seco esser sempre, et onorata e lieta
vita seconda al suo voler saria,
tal che Giron quella anima discreta
per non offender tanta cortesia
tutto quel giorno intero seco resta
del ricevuto onor mostrando festa.
76E scusandosi molto dell’oltraggio
che senza conoscenza aveva fatto
a cavalier così compito e saggio
quanto mai ne trovasse in ciascun atto,
a lui domanda come e ’n qual viaggio
ne mandò il disleal, e con qual patto.
Ei gli risponde che gli avea donato
un buon castello, e via l’avea mandato
77bandito fuor di tutto il territorio,
che grande è pur, dove egli avea possanza,
dicendo: – Se in un anno o men non moro
di vederti in miseria aggio speranza,
ch’io so che di donar egual ristoro
a gli altri merti è di giustizia usanza -.
Così partisse, e nella villa è gito
ch’io gli ho donata in assai ricco sito.
78Né sta molto lontan ove per sorte
sarà il vostro cammin di qui partendo,
ma di seco alloggiar più che di morte
vi discioglio, ohimè, per quel ch’io intendo,
però ch’io vi so dir che le sue porte
ricetto fien d’ogni peccato orrendo,
tra i quai l’esser ingrato e ’l tradimento
fieno i minor dell’impio reggimento.
79E più caro gli fia far danno a voi
quanto conosce più ch’assai vi deve,
per gloriarse co i seguaci suoi
che ’l suo duro fallir non è mai leve,
però fuggitel, che ’l pentirse poi
in accorto guerrier è colpa greve.
Crediatemi, signor, ch’io vi assicuro
che animo mai non fu più torto e ’mpuro».
80Il ringrazia Giron del suo consiglio,
e ben che ’l mostri fuor, dentro no ’l cede.
Già vien la notte, e ’l sonno aggreva il ciglio,
già ciascun torna all’assegnata fede;
poi, rimontato il ciel d’oro e vermiglio,
Giron d’andarne al fin licenza chiede;
gliele dona esso, e compagnia gli face
quattro o sei miglia, e poscia il lassa in pace.
Girone sconfigge un cavaliere a duello: è Elino, che a tradimento lo imprigiona (81-99)
81Non era ancora il giorno giunto a mezzo
che di lontano un cavaliero scorge,
che si stava giacendo al fresco rezzo
e come Giron vede in piè risorge.
Monta sopra un caval di largo prezzo
e la mano alla lancia ratto porge,
spingesi innanzi, e dice: «Alto guerriero,
di meco oggi giostrar vi fa mestiero».
82«Questo non vi credo io » dice Girone,
«per ch’io non ho per or di farlo voglia».
E l’altro: «Adunque indietro vuol ragione
che vi torniate, o che l’armata spoglia
e ’l caval mi lasciata, e poi pedone
correndo andiate dove amor vi invoglia».
E ’l buon Giron domanda: «E questa legge
chi l’ha creata quinci e chi la regge?».
83Risponde egli: «Io medesmo, e mai mancare
non dèe fin ch’io non truovi chi mi abbatta».
«Agevol fia, perché non vorria fare
un di valore impresa così matta:
voi la faceste, adunque è da pensare
che non siate persona in arme adatta,
tal che d’aver quistion desio mi viene
per trar voi di follie, gli altri di pene».
84Così detto Giron volta il cavallo
e vien contro a costui che par un vento,
né di quattro promisse gli fe’ fallo
che ’l gettò sulla terra in un momento,
ove qual morto fu lungo intervalllo,
poi si levò doglioso e ’n gran tormento.
Girone il suo destrier che fuggia prende,
e ridendo al guerriero in man il rende,
85dicendo: «Or rimontate, e vi conforto
a lassar questa via libera omai,
perché, oltr’a ciò che far saria gran torto,
ve ne porria venir vergogna e guai,
e quel valor che ’n voi per oggi ho scorto
bisogno fora che crescesse assai,
ch’a voler mantener la trista usanza
si converebbe aver maggior possanza».
86Ben si crucciò l’offeso cavaliero
vie più delle parole che del male,
pur dice: «Io vi confesso ch’egli è vero
che non è il mio valor al vostro eguale,
però libero lascio ora il sentiero
a qualunque verrà, che non men cale,
ma ben vorrei da voi questo favore,
che voleste al mio albergo far onore.
87Già si appropinqua il sol verso l’Occaso,
la selva è scura e forse lasso sète,
e della mia vergogna e del mio caso
ricompensato poi tutto m’avrete».
Non gli seppe negar colui, ch’è vaso
d’ogni virtude e resta nella rete.
Menalo ad un castel che vicino era,
a men d’un miglio appresso una riviera.
88E nel cammin Giron va dimandando
s’era sua possession questo castello,
dicendo ei sì, già il vien raffigurando
e gli ricerca poi s’ei fusse quello
che fu legato, e gli racconta quando
da chi l’amava già come fratello,
e che poi fu scampato dalla morte
da quel guerrier che sopraggiunse a sorte.
89Gli confessa ch’è quello, e domandato
se chi l’ha liberato consocea,
risponde: «Poi che voi mi fuste a lato
quasi, che voi quel fuste mi parea.
Vero è che questo scudo covertato
il di ciò farmi certo mi togliea».
Comanda allor Girone al suo scudiero
che quel discuopra, e che gli mostri il vero.
90Come il guarda il fellon tosto s’avvede
che egli è quel proprio, e più che mai desia
di farlo tosto di miseria erede
e ristorarlo sol di villania.
Quasi piangendo vuol baciargli il piede,
il va lodando più d’altr’uom che sia,
si domanda felice di potere
il suo gran redentore in casa avere.
91Va innanzi alquanto, e mostragli il cammino,
sempre di lui dicendo altere lodi,
il fa più che mortal, più che divino,
chiamal novello Dio per mille modi.
Già scorgono il castello ivi vicino
ove dèe fabricar l’ingiuste frodi;
già son dentro arrivati et intorno hanno
servi infiniti che gran festa fanno.
92Son disarmati entrambe, et han ristoro
donato al ventre e posa all’altre membra.
Il disleal, che sol di altrui martoro
si pasce, e tigre nelle voglie sembra,
il misero Giron dormente e soro
e la sua donan che Ciprigna assembra
sul primo sonno suo legato stretto
si ritruova in camicia sopra il letto.
93Che alme cinquanta e più de gli empi servi
lo avean di mille lacci intorno avvolto,
che gli incidevan sì le polpe e i nervi
che ’l sangue tutto in uno era raccolto.
Di lui facean come farieno i cervi
ch’avesser un leon in rete accolto,
che legato com’era n’avean tema
e ’l disleal signor quasi ne trema.
94Con men fatica poi, con men riguardo
han la sua damigella anco prigione.
Qui no nsi porria dir che fero sguardo
volga verso costoro il buon Girone.
Chiama quell’impio Elin tristo e codardo,
senza fé, senza onor, senza ragione,
dicendo questo e peggio merito io
vita avendo donata ad uom sì rio.
95Allora il Rosso Elin senza vergogna
gli risponde: «Io non so se vi sovviene
come voi givi tardo alla bisogna
mentre io portava insopportabil pene?
Anzi, ascoltavi a guisa d’uom che sogna
mentre umil supplicava per mio bene,
ogni fallo di me sentir voleste
dicendomi parole aspre e moleste.
96E del vostro penar poco mi cale,
sì ben come del mio vi fea l’altr’ieri.
Non basta sol campar d’ingegno male
quei che sono onorati cavalieri,
ch’esser convien cortese e liberale,
usar dolci aprole e volentieri,
scusargli, aver pietà de i loro errori,
non far lor onte ingiuste e gran romori».
97Poi seguita: «Doman meglio starete,
se caldo fia, signor, alla campagna,
ove non può fallirvi e fame e sete
con l’onorata vostra alma compagna».
Quindi si parte, e lascia nella rete
il cavalieri, che sol di sé si lagna.
Così la notte sta, poi nel mattino
a lui ritorna lo spietato Elino.
98Con dieci cavalier, con altri armati
come se lì vicin fusse la guerra,
menano esso, e colei cinti e serrati
un miglio o poco più fuor della terra,
e su la strada ove arbori sfrondati
son dal gran freddo, che di fuor gli serra,
al troncon d’un gli attaccano, e poi intorno
stanno a schernirgli quanto è lungo il giorno.
99E per mostrar che nobile e di pregio
era quel prigionier, l’arme e ’l destriero
e ’l forte scudo dell’aurato fregio
posero assai vicini al cavaliero.
Poi ch’ogni vil parola, ogni dispregio
che dir si possa del peggior guerriero
ebbe sopra il suo volto detto e fatto,
per riposar da canto era ritratto,
Un cavaliere interviene e mette in fuga Elino e la sua masnada (100-109,4)
100quando un di lor, che più facea la scorta,
viene ad Elin, e dice: «Uno a cavallo
armato tutto e che la lancia porta
qui s’avvicina molto e senza fallo
temo che quistion nuova sia risorta,
e che vegnamo a periglioso ballo,
che s’egli è cavalier per sorte errante
vorrà punir sì fatte ingiurie e tante».
101«Ah,» gli risponde Elin «venga pur tosto,
che questo a punto è quel ch’io cerco e chieggio,
e ben vedrà se gli sarà risposto
o s’io mi son di lui migliore o peggio».
Sprona il cavallo, e grida da discosto:
«O qual uom tutti sia ch’armato veggio,
o tu lassi a calcar la strada nostra
o t’apparecchia meco a passar giostra».
102Il cavaliero stran, ch’assai pensoso
veniva, e che di lui non s’era accorto,
alza il capo, in suo cor maraviglioso
del minaccioso dir che in esso ha scorto.
Poi gli risponde: «Io cerco di riposo
e di far il medesmo ti conforto,
che ’l vantaggio mi par viver in pace
mentre l’onor no ’l vieta e ch’a Dio piace».
103«E se voi no ’l volete» Elin replìca,
«ritornatevi indietro ad altra strada,
che questa si guadagna con fatica
con la punta di lancia e fil di spada».
«Sievi, signor, la mia quiete amica,
e datemi agio ch’a mia posta vada»,
dice egli, e quel, che umil vede lo strano,
più divien minaccioso et inumano,
104e dice: «Finalmente vi conchiudo
che voi torniate indietro o combattiate».
E quel: «Se di ragion sète sì nudo,
ferza sarà ch’un dì vi ripentiate,
ch’anch’io come voi porto e lancia e scudo,
e non ho piùù di voi le man legate,
e là dove i partiti sono scarsi
fu per melto salute il disperarsi.
105E di passar in ogni modo intendo,
o come amico o contra il voler vistro,
perché il poco valor ch’in voi comprendo
non è da porre in paraon co ’l nostro,
e vie più che sicuro zco mi rendo
di trapassar a forza questo chiostro,
non sol chiuso da voi, ma poi da quanti
son qui de i vostri, e fussero altri tanti».
106Così dicendo innanzi il passo muove,
ma lo scortese Elin se gli attraversa,
e dice: «Ei non riesce alle altre pruove
chi troppi detti temerari versa».
Poi che vede l’estran che nulla giove,
la pazienza in ira si è conversa,
guarda il scudier pre farsi dar la lancia,
poi non degna pigliarla in simil ciancia,
107gridando: «Non sarà che contro un vile
abbietto cavalier di Serolese
voglia usar oggi quello istesso stile
ch’a i più nobil guerrier di buon paese».
Poi, come volpe suol levrier gentile,
spronando il collo ad ambe man gli prese,
e ’n terra l’abbatté di tal furore
che non sentiì già mai simil dolore.
108E restò quasi morto lungamente,
ma il cavaliero estran non bada a questo,
che, tratto ilbrando, corre fieramente
con asprissime grida appresso il resto.
Chi morto e chi ferito, ogni uom si pente
d’esser al peregrin stato molesto,
e più di tutti Elin che, risentito,
di fuggir quanto può prese partito.
109E tanto più ch’ei vede tutti i suoi
che innanzi sono a far l’alloggiamento
giunti tutti al castel; le porte poi
fanno serrar, sì grand’hanno spavento.
Ma il cavalier estran, che vede i duoiÈ Danaino, che finge di uccidere Girone per ottenerne il perdono: si riappacificano (109,5-132)
che visti ancor non ha con tale stento,
rest amaravigliato, e ’n tanto porge
la vista, sì che quei che sien s’accorge.
110Riconosce Giron, conosce lei,
che gli ha veduti in altra parte spesso,
pietà gli vien de gli accidenti rei
di lor, come avria fatto per se stesso.
Ringrazia il Cielo e tutti i sacri dèi
che ivi sì grand’onor gli hanno concesso
di poter al grand’uopo a quei mostrare
che gli amò di buon core e senza apre.
111Pur si risolve di tentar un poco
l’animo di ciascun per suo diletto.
Appressato a Giron, ch’era di foco
per dolor, per bergogna e per dispetto,
dice: «O franco Girone, in questo loco
chi vi ha donato così stran ricetto?
e come vi condusse la fortuna
in così strana sorte, orrida e bruna?».
112Come sente il parlar il pio Girone
tosto la voce udita raffigura,
e dice: «Danain, per qual cagione
di saper l’esser mio ti prendi cura?
Ch’io stimo mal non ha lunga stagione
ch’anch’io te vidi per disavventura
dal gigante portato a peggior sorte
e ben il sa chi ti scampò da morte.
113Ma così dona il Cielo a noi mortali,
perché ci misuriamo, or male or bene:
talor un sopra Olimpo stende l’ali,
talor cade nel centro in mille pene.
Le venture qua giù son brevi e frali,
pur quali elle ci sono usar conviene,
che partito ha il tirmo con la speranza,
credo io, di senso tutti gli altri avanza».
114«Che bisogna il gigante ricordarmi»
risponde Danain «che non amore
ma l’onor tuo ti spinse a dimostrarmi
quanto abbia più di me roza e valore?
Or sia pur come vuol che se scamparmi
oggi pensi di man vivi in errore,
che la tua stessa spada ch’ivi veggio
sarà la morte tua, ch’io sola chieggio.
115Ch’allor sarà finita ogni quistione
mortal fra noi, ch’ancor mi fa paura,
ch’io l’ho provato e visto paragone
che la mia forza con la tua mal dura,
e ti confesso, perché vuol ragione,
che più di me sei prode oltr’a misura,
ma incontinente ch’io ti senta morto
di non aver poi par mi riconforto.
116E tanto più che in queste selve sole
senza alcun testimon io potrò dire
d’averti ucciso armato, come suole
quel che ha più gran virtù, più grand’ardire.
Potrà creder ogni uom la mia parola
tal che sopra ciascuno udrò salire
il mio gran nome, ond’io sarò stimato
un nuovo Achille che sia qui rinato».
117Poi che ha inteso Girone il suo discorso,
che molto verisimile gli apre,
non fa mai da timor sì ben rimorso
pur minaccioso e qual lione appare,
e dice: «Danain, se l’uman corso
mi fia forza in tal guisa a fin menare
cie più perderai tu, quanto più vale
il viver infinito che ’l mortale.
118E se il tuo fallo al mondo fia nscoso
il saprai tu medesmo, il saprà Dio.
Come aver mai potrai pace e riposo
rimembrando nel core atto sì rio?
Più val parer di fuor grave e noioso
conoscendosi dentro e puro e pio,
ch’esser in sommo onor di ciascheduno
e l’anim osentir macchiato e bruni».
119«Non varran tue sentenze né tue ciance»
risponde Danaino «a questa volta,
né così ponderar con dritta lance
il bene e ’l mal con eloquenza molta,
ch’io non potrei con mille spade e lance
così rara avventura aver raccolta
com’or di poter far senza periglio
ch’un al nemico il brando suo vermiglio».
120Ben vede certo allora quel che credea
l’intrepido Girone, e tutto altero
«Or metti in opra la tua impresa rea,
che di te nulla temo e manco spero,
e veggio ven che ’l mio destin volea
dar vita a questo ingrato cavaliero,
che se ben mi salvò dall’impio Elino
mi fa morir per man di Danaino».
121Allor, senza altro dire, in man si prende
Danain di Giron l’invitta spada,
sprona il caval contro a chi il fine attende,
come un altro faria cosa ch’aggrada;
ma la donzella pia, che vede e ’ntende
l’opre e l’alte minacce, di rugiada
empie i begli occhi, e grida: «A Dio non piaccia
ch’un sì buon cavalier tal morte faccia.
122Ahi fero Danain, tu pur sai bene
con tuo danno e profitto quel ch’ei vaglia,
tu sai se tratto t’ha di eterne ene
con suo periglio in più d’una battaglia,
tu sai quel che a guerrier far si conviene
perché l’onor dell’arme in alto saglia,
e sai se ben devresti con tuo danno
trar lui di questo e di maggiore affanno.
123Ma se pur sei sì forte incrudelito,
che sangue oggi veder del tutto voglia,
togli a me l’alma, e lui farai smarrito
più che morte non che d’altra doglia.
Né il secol alscerai sì sbigottito
come uom che lasso d’ogni ben si spoglia,
che nulla o poco a questo mondo importa
s’una tal femminella è viva o morta».
124«Poi che il volete adunque, io son content»
rispose Danaino alla donzella,
e per mostrar di ciò fermo talento
mostra volger il ferro contro a quella.
Ma il Cortese Giron, pen di tormento,
esclama: «O Danain, no fia rubella
l’alma tua di pietà che ’l brando mio
di sangue imbratti femminile e pio.
125Ella non ti fe’ mai, ch’io sappia, offesa,
io te n’ho molte fatte e tel confesso;
sia l’innocenza sua da te difesa,
e punito il mio fallo in te commesso.
No ’l vuol l’altra, e si chiama vilipesa
dal suo signor, e dice oltraggio ad esso.
Così stanno in contesa per disporre
chi dèe la vita per l’amante esporre.
126Quando ciò vede il Rosso Danaino,
tener non può di tenerezza il pianto,
cavasi l’elmo, e trallo ivi vicino
e le due spade getta d’altro canto.
Tiensi, tacendo, il volto a terra chino,
ma poi che rispirar pur puote alquanto,
comincia: «Or dite, nobil cavaliero,
credeste voi ch’io ragionassi il vero,
127e ch’io pensassi mai di tòrre, ahi lasso,
ogni tesoro alla cavaleria,
e che si fia nella mia mente casso
il valor vostro e l’alta cortesia?
La qual fu tal in questo ultimo passo
quando io lasciai con voi la vera via
ch’io posso dir che più deggio a voi solo
ch’a dolce madre l’unico figliuolo.
128Prima fia scco il mar, umido il foco,
il viel sotto a i piè nostri, il centro sopra
che mi faccia obliar mai tempo e loco
la virtù vostra, che in ben far s’adopra;
ma s’io v’offesi mai da senno o in gioco
non è d’ingratitudine stata opra,
ma l’ignoranza sola, è solo amore
principio e fin d’ogni mortale errore».
129Così parlando e lagrimando parte
l’uno, e l’altra discioglie e poi riveste
Giron dell’arme sue, che in terra sparte
avea l’autor dell’opere inoneste.
Poi, posto genuflesso a parte a parte
perdon gli chiede con parole meste,
dagli il suo brando in man, dice: «Punite
l’aspre colpe di me gravi e ’nfinite.
130E sappiate di certo che mai lieto
non sarò se di voi non torno amico,
comun conoscitor d’ogni segreto,
qual io già fui nel miglior tempo antico,
né mi sia dato più crudo divieto
di vostra compagnia, come a nemico,
ma che ovunque sarete io venga vosco
in pace, in guerra, in corte, al chiaro, al fosco».
131Il Cortese Giron, pien di dolcezza
l’abbraccia, il bacia, e come lui si inchina,
dicendo: «Più di voi sento vaghezza
che piacer sia della virtù divina,
che con quela medesima allegrezza
in ogni nostra patria o peregrina
insieme ci viviam fino all’estremo
giorno che faccia il viver nostro scemo».
132Così levati e di voler congiunti
addrizzano il cammin verso Ponente.
Non molto andati, si ritruovan giunti
in una casa ornata riccamente,
di fuor di marmi e dentro di trapunti,
di sete e d’oro si vedea lucente,
Questa era d’una vedova cortese
ch’assai piacer di raccettargli prese.