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Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro XXI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 16.09.15 16:43

Girone e Danaino si separano, quest’ultimo prende la via per il regno di Nabone (1-16)

1Ivi posando e ragionando insieme
Giron dice al compagno il suo disegno,
di liberar dal gioco che lo preme
colui che di Estrangorre ha in mano il regno.
Cantagli il tutto, e che di farlo ha speme
come per quel ch’è di ogni aita degno,
e che non pur ei solo ha le inique onte
ma ’l buon re Laco ancora e Faramonte.

2Di ciò quanto il più può tanto gli dona loda
il franco Danaino, e poscia il prega
che con lui il frutto della impresa goda;
ma il buon Giron con tai ragion glien nega
che vergogna sarà ch’al mondo s’oda
che di due cavalier bisogni lega
per condur solo a fine una avventura
che forse è men che non si pensa dura.

3E che giudica il meglio ad ambe duoi
ch’ei resti fuori, e se il passato mese
non so truovi Giron ne i confin suoi
di Maloanco o del vicin paese,
ch’ei là si addrizzi, assicurato poi
che ’l spietato Nabon l’uccise o ’l prese,
e che questo a lui sembra assai migliore
per profitto comune e per onore.

4S’accorda Danain, che scorge il vero,
poi di lassar la cara sua donzella
Giron in quella stanza fa pensiero
con la onesta e sincera vedovella
Piange ella molto, e ’n sen del cavaliero
s’abbandonò l’afflitta miserella
dicendo: «Or come fia che me lasciate
serva per dar altrui la libertate?

5E se vi piace pur, perché non deggio
accompagnarvi anch’io per ogni caso?
che mi puote avvenir di questo peggio,
se bene il giorno mio fusse all’Occaso?
Se mai vi piacque, in ricompensa chieggio
ch’io qui non resti di miseria vaso,
preda d’amare lagrime e di tema,
ch’or morbo or morte or carcere vi prema.

6S’io son con voi non temerò già mai
se non quel ch’io vedrò, quel ch’allor fia;
s’io son lontana avrò dubbiosi guai,
di tutto il danno mai ch’esser potria,
mentre il sol sopra noi spieghi i suoi rai
tristi pensieri e d’aspra sorte ria
crudeli auguri, e poi le notti tutte
di sogni infesti avrò dogliose e brutte».

7Il misero Giron la riconforta,
e Danain con lui l’istesso face,
mostrando in simil cose come importa
non aver compagnia che troppo piace,
in cui convegna aver la vista accorta
più che in quel proprio ove il disegno giace,
che chi mena in cammin seco donzella
mille quistioni il dì convien per ella.

8Ma s’ei si parte sol, tutto spedito,
non avrà chi in cammin gli doni impaccio,
in poco tempo avrà tutto finito
e tratti i buon guerrier dell’impio laccio,
tosto trionfatore in questo lito
sarà tornato pria che parta il ghiaccio
ch’or cuopre il mondo, e come brama e spera
vi arrecherà se stesso e primavera.

9Acconsente ella al fin, Dio sa in qual guisa,
partesi adunque quella coppia rada
che Danain con lui certo divisa
ch’un pezzo avranno al medesma strada.
Cavalcan la foresta ove recisa
non han la via, né san come si vada,
né cercan di trovarla dritta o trita
e guida han come in mar la calamita.

10Truovano il terzo giorno una colonna
in capo di due vie, dove intagliate
lettere son che dicono: Uomo o donna
che dove io son il passo indirizzate,
vi annunzio certo che la mortal gonna
convien che qui vicin vi dispogliate,
né porrete tornar per forza od arte
alla vostra natia bramata parte.

11Falso solazzo da la via ché destra,
che si risolve in angoscioso pianto,
doglia e corruccio quella che sinestra,
di pensier tristi colma d’ogni canto.
Quando han ben letto il marmo ch’ammaestra
gli arditi cavalier restano alquanto,
poi comincia Giron: «Qui certo è dove
partir conviene, e seguir varie pruove».

12Risponde Danain: «Così mi pare,
che nel falso sollazzo io muova il piede,
voi per quell’altra ne potrete andare
ch’è più battuta a quel che qui si vede,
e del patto fra noi ben ricordare
si deva il primo il cui desir succede
d’esser a Maloanco il dì promesso
ove non sendo l’altro il cerchi appresso.

13Ma di grazia, signor, se già mia cosa
per me faceste, che infinite sono,
a tentar l’impresa e perigliosa
che io sia primiero a gir fatemi dono,
e s’ella a me sarà sì faticosa
che per condurla a fin non fussi buono,
verrete poi per liberar me anco
se non mi ritrovate a Maloanco.

14Di quella di Nabon vi parlo il Nero,
che in la valle al servaggio chiusi tiene
Senza Paura il franco cavaliero,
Faramonte il re gallo in eguai pene,
il re Laco, il norgallo, alti guerrieri
e molti altri da poi che non han spene
di tal carcer uscir: non mel negate,
o possente baron, se voi mi amate».

15Duol ciò forte a Giron, ma perché nacque
di vera cortesia l’istesso essempio,
benché mal volentier, gliene compiacque,
ch’andasse il primo a conquistar quell’empio.
Poi bene ammaestrandol non gli tacque
che venir ne porria maggiore scempio
ch’ei non pensava, poi ch’eran restati
quei tre gran cavalier ch’egli ha contati.

16Pur che non men di lui faceva stima
che di tutti altri, e ben ne sa la pruova,
ch’ei vada adunque a tale inchiesta prima,
ei verrà poi se al mese no ’l ritruova
in Maloanco, e pregan Dio che in cima
il ponga ai suoi desiri e ’l passo mova,
con felice principio e fin migliore,
riportando vittoria, vita e onore.

Danaino giunge ad una valle amena abitata di sole donne: si offre di ritrovare il cagnolino di una di loro, fuggito oltre il fiume (17-32)

17Così partendo il Rosso Danaino,
seguendo va la chiesta sua ventura,
che, lassato Giron, destro cammino
prese scendendo, e dopo una strettura
da due gran monti l’un l’altro vicino;
scuopre una valle, a cui con acqua pura
il mezzo irriga un vago fiumicello,
che rendeva il terren fiorito e bello.

18Lì d’ogn’intorno vaghi augelli e gai
facean l’aer sonar sì dolcemente
che di simile a quel nono udì mai
Cipro ove Citerea vada sovente.
Il sol sì dolci e tepidi i suoi rai
spiega lor sopra, che mai morte sente
erba o fior ch’ivi nasca o pianta verde,
ma come allor amai foglia non perde.

19Lungo il piacevol rio, sopra le rive
da destra e da sinistra era una torre,
la qual potean delle chiare acque vive
il vago, il lieto e le fresche aure accorre;
tosto ch’avvien che lor vicino arrive
nell’orecchie al guerrier terribil corre
romor di molti corni insieme aggiunto,
che di nuovo sospetto l’ha compunto.

20E ben s’accorge che non è di pace
ma di quistion predir questo segnale,
pur, come quello in cui timor non giace,
e che a lui spaventar niente vale,
va innanzi sempre, e troppo si compiace
in rimirar la torre, ch’era tale
che divina gli par, dico la prima
da man sinistra e di maggiore stima.

21Ella era oltr’a mille altri adornamenti
tutta pinta di fuor di bei colori,
d’oro e d’argento ombrato e rilucenti,
e di gemme a pregiar molti tesori,
ma fra tutte le vaghe e ricche genti
ritratte ivi in ricchissimi lavori
non vi si vede un uom, che son donzelle,
tutte quante so possa oneste e belle.

22Mentre ch’el cavalier riguarda fiso
sente dolce e chiarissima armonia,
che par che scenda lì dal Paradiso
da innamorar il più villan che sia.
Distende il guardo, e lì poco diviso
vede un gran naviglio lungo la via,
d’onde esce il suono, a lui s’appressa e vede
una ninfa bellissima che siede.

23Disceso, al suo scudier lascia il cavallo,
e con dolce saluto s’appresenta
a lei, che gli pareva senza fallo
Diana o chi più quella rappresenta.
Un’altra schiera in amoroso ballo
al suon della maggiore scerne intenta
di donzelle, a mirar quasi divine,
non pur degne fra noi d’esser regine.

24Altre non belle meno in dolci note
fanno al suo n compagnia molto soave,
ma nel venir di Danain si scuote
a tutte il cuor e ciascheduna pave,
quai timide cervette che in remote
ombre si stien quando più il sole aggrave
all’apparir di un cane o d’altra fera
che la fame di lor cacciare spera.

25Non eran molto di vedere usate
armati cavalieri ivi d’intorno,
pur dal suo bel parlar rassicurante
in atto umano e di vaghezza adorno
l’accoglion liete, e songli presentate
sedie per più quieto suo soggiorno,
in cui posato, et esse seguitaro
il cantar, il sonar, il danzar raro.

26Or mentre così fanno et egli ascolta
e parte mira le bellezze oneste,
una bianca levriera, che ravvolta
della donna maggior era in le veste,
ratta svegliata, con destrezza molta,
vien che da loro a via fuggir s’appreste,
esce dal padiglione, e quella allora
comanda all’altre che la seguin fuora,

27dicendo che gran cura aggian di oprare
che non passe di là dalla riviera.
Corre una, la più snella, e ritornare
tosto si vede ove è la vaga schiera,
ripiena il volto di lagrime amare,
e dice che la veltra passata era
il fiume, e che ella per timor dell’onde
non s’ardì di seguir, ch’eran profonde.

28Al parlar di costei la lor reina
a pianger cominciò tutta dogliosa,
muta diviene, e gli occhi a terra china
come chi perda una ben cara cosa,
e Danain, che qual alla pruina
si suol mostrar sul dì vermiglia rosa
a lei vede d’umor piene le gote,
la riconforta con discrete note.

29Poi segue: «S’io saprò dove sia gita,
vi prometto d’averla incontinente,
pur ch’io la truovi che sia ancora in vita,
fusse anco in guardia d’infinita gente».
Risponde allor la donna sbigottita:
«Cortese cavalier, benché possente,
ardito e prode mi sembriate assai,
dubito alfin che non l’avreste mai.

30Perciò che quel signor che l’ha in balia,
per quel ch’io creda è tal ch’a voi non fora
possibil mai di far che torni mia
tale e tanto valor in lui dimora,
e mi parrebbe usar di scortesia
d’esser cagion che per amor mio mora
un sì nobil guerrier come voi sète,
né già mai più n’avrei le voglie liete».

31Or se ’l buon Danain n’avea gran voglia
in mille doppi a quel parlargli cresce,
e dice: «S’io non son peggio ch’io soglia
e se in me il Cielo il suo furor non mesce,
spero tosto di trarvi oggi di doglia
della qual gravemente mi rincresce.
Mandate seco sol un che la strada
mi mostri, sì ch’a ritrovarla vada».

32Esce ella fuori allora, e di lontano
oltr’al fiume gli mostra un bel boschetto,
«Ivi sta» dice «il cavalier villano
che di oltraggiar le donne ha gran diletto».
Monta allora a cavallo e prende in mano
la lancia e ’l grave scudo adatta al petto,
e lascia lo scudier ch’ivi l’attende
e già del fiumicel le rive scende.

Viene a duello con un cavaliere, recupera il cane ma gli è negato accesso alla torre delle donne e si ricovera in una stamberga (33-50)

33Fa saltar dentro a l’acque il suo corsiero
il qual tante onde avea ch’ei passa a nuoto.
Va dritto al loco dove il cavaliero
la levriera have in man di cure vòto,
ma quando vicin vede al suo sentiero
Danaino arrivar, che non gli è noto,
domanda a lui: «Signor, qual cagion face
che vegnate a sturbar la nostra pace?».

34«Per menarne la veltra son venuto»
risponde Danaino «in questa parte».
«L’alto pensier che vi conduce avuto
l’avrebbe a pena chi simiglia Marte,»
gli replica il guerriero «e mal compiuto
sarà per vostra forza o per vostra arte.
Ritornatevi pur quando vorrete
s’ei non vi vien de i vostri danni sete.

35E crediate di certo che colei
vi ha mandato qui sol per vostro male,
perché a gli uomini tutti, o buoni o rei
porta odio la crudel più che mortale».
«Non so» fa Danain «che sia di lei,
ben so che ’l vostro dir poco vi vale,
che io menerò la veltra alla donzella
o che mel vieterete armato in sella».

36«Poi che sète sì folle io son contento
difenderla da voi con l’arme in mano»,
dice il guerriero, e poscia in un momento
lega la veltra là poco lontano,
monta a cavallo, e mentre a l’arme è intento
si sente un suono orribilmente strano
di più di venti corni, e sopra i merli
si metton già gli uomini a vederli.

37Perché era assai vicina ivi la torre
ove soli alloggiavan cavalieri,
sopra l’altra a rincontro a mirar corre
schiera di donne che fuggian gl’imperi
di mariti e d’amanti, né vuol còrre
frutto de gli amorosi desideri.
Così stan queste, e quelli assisi in alto
per rimirar quell’ordinato assalto.

38I rari cavalier già spazio han preso
e tornansi a trovar con fero core,
ma il franco Danain, per modo offeso
ha l’altro che di sella il getta fuore.
Allor fu dalle donne vilipeso
con alte risa e femminil romore,
dicendo: «In terra giace il campion vostro,
e come vuol ragion l’onore è nostro».

39Tutti, perch’egli è ver, taciti stanno,
ma in questo il cavaliero è già risorto,
e dice a Danain: «Con mio gran danno
m’avete mostro il valor vostro scorto,
ma con la spada in man s’io on m’inganno
dell’onta vendicar mi riconforto».
Danain non risponde, e drizza il piede
per tòr la veltra ove legata siede.

40Ma l’altro il vieta, e giura senza spada
che d’indi no ’l torrà se Dio lo vaglia.
«Ah,» disse Danain «poi che vi aggrada
di perder meco ancora una battaglia
far si convien, ma troppo è frale e rada
al forte braccio mio la vostra maglia».
E dicendo così da caval scende,
lo scudo tosto imbraccia e ’l brando prende.

41E fu il primo a menargli, e nella testa
il truova sì che lo distende a terra,
ov’ei qual cieco e senza spirto resta;
ma Danain par dar fine alla guerra
l’elmo gli ha tratto, e poi tanto il molesta
co ’l pome della spada e ’l stringe e ’l serra
sì che di buono accordo la levriera
gli acconsente ch’ei meni dove ch’era.

42Mentre la scioglie allor, vede venire
fuor della torre un semplice varletto,
con un scudo vermiglio et a lui dire:
«Chi porta questa è cavalier perfetto,
e se vorrete al dritto fin venire
della avventura, a lui condurvi a petto
doman si converrà». Poi quello appese
all’arbor proprio onde la veltra prese.

43Danain non risponde, ma s’invia
al naviglio medesmo onde era mosso,
né cosa alcuna che vi fusse pria
vi ritruova or, che d’ogni bene è scosso:
gita se n’era l’alma compagnia
dentro alla torre, che di largo fosso
e d’acque profondissime era cinta
da non esser per forza o inganno vinta,

44Solo una damigella incontro viene
a chi domanda della lor signora.
Dicegli: «In luogo sta che non conviene
ad uom qualunque di vederla ora».
Ei, mostrando il presente che ivi tiene,
la prega che la meni ove dimora,
et ella: «Io ’l menerò, con l’imbasciata
che da voi fare a lei fia comandata.

45Ché dentro andar ad uom già mai non lice
poi che fondate fur l’altere mura,
et ei: «Se Dio vi faccia alta e felice,
narratemi perché è la legge dura».
Pensa ella alquanto, e poi ridendo dice:
«Bene il saprei, ma pormi in avventura
di raccontarlo ardir non prenderei
ch’al giuramento mio contra farei».

46«Poi che non si può dir, ditemi almeno
della vostra regina il proprio nome».
Et ella: «Perché il volto ha sì sereno
gli occhi lucenti e le dorate chiome,
ogni bello atto di chiarezza pieno
di dolcezza e di gioia, proprio come
ha nel mattin il dì quando s’innalba
è per publica voce appellata Alba».

47«E ben fu con ragion tal nome posto»
conferma Danaino, e dice appresso:
«Poi che tra voi le leggi hanno disposto
ch’io non possala mirar più presso,
prendete la levriera voi, cui tosto
il veder tanta luce fia concesso,
dategliela in mio nome, et io sul giorno
doman per dirgli a dio farò ritorno».

48Rimontato a caval per la più trita
strada con lo scudier d’alloggiamento
carca e picciola casa e mal fornita
truova alla fin, doppo assai lungo stento,
d’una vedova afflitta e sbigottita,
che d’ogni cosa avea gran mancamento;
ma con sì chiaro volto entro il riceve
ch’ogni mal che soffrisse avria per leve.

49Truvavansi a i lor destrier commoda stanza,
che di paglia e di fien pur vi era molto,
secondo poi la villanesca usanza
fu co ’l scudiero a i grossi cibi accolto,
dopo i quai domanda essa a che speranza
et a che fin l’avea l’animo volto
in quella parte dove de i mille uno
scampato è a pena, e forse mai nessuno.

50Et ei: «Per provar cose mai non state
e ch’io penso saran, piacendo a Dio.
Ma lassiam questo, e dite in veritate
quel che troppo d’intender ho desio:
perché furon le torri fabbricate
l’una di qua, di là l’altra del rio?
e perché in questa sola donzelle stanno,
uomin nell’altra, e perché in odio s’hanno?».

La sua oste gli racconta la storia delle quindici sorelle e della lotta contro i quindici fratelli della fronte che sta di là dal fiume (51-69)

51Et ella che ’l sapea comincia: «Et ei furo
non ha guari signor di questa terra
due cavalier di sangue non oscuro,
arditi e d’alta fama nella guerra;
ebber fra lor confino e fosso e muro
il fiume che in la valle scende et erra,
e fur sì pari in arme et in valore
che ciascun si tenea d’esser migliore.

52E per invidia nata e per sospetto
fèr le due torri l’una e l’altra presso,
perché più agevol fusse aver disdetto
l’un l’altro a i danni che si fèro spesso.
Quel che il di qua tenea, Liante detto
il Grande, e quasi fu gigante stesso,
il Sicuro Elion l’altro chiamaro
perché perigli mai no ’l spaventaro.

53Ebbe Liante quindici figliuole,
tutte belle di pari oltr’a misura,
e di maschi altri tanti ardita prole
al sicuro Elion donò natura.
Or come alcuna volta avvenir suole
ch’alla fin l’odio passa o si matura,
manda Liante a l’altro imbasciadore
e le sue figlie gli offera per nuore.

54Elion, che de i figli insuperbito
pensava esse di lui più che signore,
risponde che ineguale era il partito
perché i suoi stima di sì gran valore
che tosto sotto lor questo e quel sito
avria del fiume, e che di tanto onore
avrebber moglie un dì ch’a pena quelle
degne d’esser sarieno esser donzelle.

55Quanto sdegno di ciò Liante prese
non si porria contar, che del legnaggio
d’Ettore il Bruno anticamente scese,
e si tenea di sangue aver vantaggio.
Or venne un dì, passato forse un mese,
che tornando ambe due di stran viaggio
si furo in questa selva rincontrati
di par tutti a cavallo e ben armati.

56E dopo assai minacce ingiuriose
a giostra et a quistion vennero insieme,
e come cavalieri in cui ripose
natura alto ardimento e forze estreme,
fèro in arme di par mirabil cose;
ma tanto l’uno e l’altro punge e preme
ch’ei restàr alla fin quasi che morti,
né senza aiuto altrui foran risorti.

57Pur gli scudieri et altra compagnia
ch’erano ivi a veder fèr due lettiche;
porta ciascuno il suo per altra via
dentro alle torri sì tra lor nemiche.
Liante, il dì che sente che moria,
la moglie appella, e con parole amiche
le dice che le figlie meni seco
d’avanti a lui, che già per morte è cieco.

58Venute elle, comincia: – Io son vicino,
come veder potete, all’ultima ora,
e poi che così vuole il mio destino
non voglio uscir di questo mondo fuora
che non mi promettiate su ’l divino
nome di quel che sopra i Ciel dimora
che come io morto sia di qui scacciare
deggiate ogni uomo, e sol donne restare.

59E che nessun mai di tutte voi
si deggia maritare, infin che viva
Elion fero e tutti i figli suoi,
e di lor fia più che di tutti schiva;
né quinci entri nessun prima, ma poi
ch’al giogo marital ciascuna arriva,
vi dono libertà qual più vi aggrade -;
così detto finì l’umana etade.

60Dall’altra parte il misero Elione
chiamati i suoi figliuoi prometter fasse
che mai per qual nascesse occasione
nessun di tutti lor donna sposasse
infin che non han messa a perdizione
a disonor, e fatte triste e lasse
le figlie di Liante, e poco appresso
l’abbandonò la luce e ’l spirto stesso.

61Dopo il cui render l’alma i figli irati
per ubbidire e vendicar il padre
tutti quella riviera son passati
con altre assai di cavalieri squadre,
ma truovan ben disposti e ben guardati
gli usci e le mura saggia madre
la qual di vettovaglie era fornita
da mantenersi per uno anno in vita.

62Ma Galealto il Brun, che lontano era
poco di qui, quando l’assedio intende
delle cugine sue, ben tosto spera
di liberarle, e sol l’impresa prende.
Giunge con un scudiero alla riviera
e ’l passo irato verso quelli stende,
e lor dice: – Signor, che grave errore
commette or mai che mai non fu maggiore?

63Or non avete voi qualche vergogna
d’assediar queste donne in una torre?
ov’è l’onor ch’un cavalier agogna
e che si deve innanzi al viver porre?
Se non lassate andar l’impia bisogna,
peggio che mal ve ne potrebbe corre -.
Gli altri orgogliosi dicon che per lui
d’indi non muoveran, né per altrui.

64Quando ciò ascolta il chiaro Galealto,
la lancia abbassa e ’l suo destriero sprona,
e ’n modo fu che nel primiero assalto
il terzo e ’l quarto morto s’abbandona.
Dà mano al brando e fa rosso lo smalto
e tutta l’aria de i suoi colpi suona.
Di quaranta ch’ei fur parte feriti,
parte fur morti, il resto poi fuggiti.

65I quai passaro il fiume e si serraro
dentro alla torre, ma il possente Bruno
gli minaccia di assedio troppo amaro
ove morir potrebbe pel digiuno,
che non han vettovaglie, e non pensaro
d’esser così sorpresi da solo uno,
tal ch’ei gli domandaron patto e pace,
e ’l cortese signor pregato il face,

66con questa condizion: ch’alcun già mai
possa di lor di qua passare il fiume,
né le donne oltraggiar o portar guai,
né disturbar di lor legge o costume,
ma di là starsi ove han terreno assai
per quanto al nutrir d’esse si consume,
e se mai cavalier passa queste acque
a ciò servito fia s’a quelle piacque.

67- Che non possiate fargli villania,
ma sempre gir un sol contro ad un solo,
e se più d’uno o maggior schiera sia,
gir di numero pari a stuolo a stuolo -.
Prometton tutti che servato fia
quanto ei comanda, e per chi regge il polo
giuran di non mancar. Or vi ho contato
quanto, signor, mi avete domandato-

68E poi che cominciaste l’avventura
vi converrà finirla in ogni patto,
ma che non vi succeda ho gran paura,
perché mai da nessun ancor fu fatto.
Son molti cavalier in quelle mura
e ciascuno al combatter forte et atto,
e di tanti un sol uomo aver vittoria
pochi trovai nella moderna istoria.

69E ’n fra gli altri ora a punto ha il sesto mese
passò per quinci un cavaliero errante,
che dieci in dieci giorni uccise e prese
di quei ch’armati a lui vennero avante;
nell’undecimo dì mal si difese
sì che abbattuto al ciel mostrò le piante,
e qui venne ferito in mezzo il petto
dove il spirto lassò su questo letto».

Sconfigge tutti e quindici i fratelli e toglie la legge alle donne che impediva loro di maritarsi (70-87)

70Non perde Danain per ciò la spene
che invitta avea nel cor con l’arme intorno;
in questa del posar già il tempo viene,
li truova un loco rozzamente adorno
in cui come a buon guerrier conviene
dà ristoro alle membra infino al giorno,
il qual venuto, a caval drizza il piede,
là dove il naviglio su ’l fiume assiede.

71Come ieri il trovò, lo vede or pieno
di belle damigelle, che cantando
facean sonar l’aer sereno
ch’alla vaga armonia le nubi ha in bando.
Entra la riverente, ove non meno
cortesissimamente è accolto, quando
riconosciuto l’hanno e ’n piè levate
gli fan carezze colme d’onestate,

72scusandosi se ier mal ricevuto
nella onorata torre fu da loro,
perché convien guardar ben lo statuto
a cui per giuramento astrette foro.
«Ma sarà, se altra volta combattuto
contro al nostro avversario consistoro
avrete, e quello scudo a noi condotto
ch’all’arbor pende, ove voi fuste sotto».

73«Io ’l farò,» lor risponde Danaino,
«e d’altri ancor se mi verranno in pruov».
Indi partendo il fiume ch’è vicino
passa, et armato su ’l destrier ritruova
chi grida: «Cavalier, premi il cammino
con più gran passo, ch’a battaglia nuova
esser convienti, e ti parrà più forte
di quella che fu ieri e d’altra sorte ».

74Dice allor Danain: «Forse ch’appresso
chi provato m’avrete penitenza
vi prenderà di farmi fretta adesso,
che dannosa vi fia la mia presenza».
E l’altro: «Da chiamar è folle espresso
chi mi crede in parole dar temenza,
ch’io credo solo all’opre, e quelle ancora
non mi spaventeranno infin ch’io mora».

75Dopo questo parlar si vanno incontro,
ma il cavalier, benché onorato e fero,
non poté sostener il grave scontro
del suo nemico, e cade su ’l sentiero.
Scende il buon Danaino, e vagli incontro
co ’l brando in mano e l’altro, tutto altero,
già si rimette in piede, e si promette
di far non che una in lui, mille vendette.

76Ma poco innanzi va che tal riceve
ferita in fronte che in ginocchia cade,
e mentre pensa ogn’uom che si rilieve,
tutto steso convien ch’a terra vade.
Cotal colpo raddoppia e così greve
Danain c’have il fior dell’altre spade:
poi corre sopra e l’elmo gli dislaccia,
e lo scudo gli toe, che male imbraccia.

77Risentito ei, di poi giurar gli fece,
minacciandol di morte, ch’ei non prenda
guerra mai più, ma viva in buona pace
con quelle donne, e mai nessuna offenda.
Et ei, quantunque molto gli dispiace,
forza è ch’al suo voler vinto si renda.
Danain con lo scudo indietro torna,
e ne fa dono a quella schiera adorna.

78Elle con maggior festa e maggior gioia
che mai fusse alla torre l’attacaro,
perché era d’un di quei che maggior noia
lor sempre fece e fu più loro amaro.
Non si può dir se di dispetto muoia
ciascun di quei che quivi si trovaro,
e se sdegnoso il core e molle il ciglio
di ciò portasse il cavalier Vermiglio.

79Vien l’altro giorno, et ei ritorna armato
di là dal fiume, e di vermiglio pure
truova un c’ha il scudo, e tosto l’ha sfidato
né di altro ragionar par che si cure.
Sembra ciascun falcon ben affamato
sopra una schiera di colombe pure,
fe’ questo a Danain più danno molto
che tutto quel de gli altri insieme accolto.

80Ma non senza vendetta, perché il Rosso
Danain lui ferì proprio nel petto.
Ruppegli la corazza e più d’un osso,
per ciò che nulla al greve incontro ha retto.
Cadde il meschin, del proprio sangue rosso,
traendo i piedi, e pallido in aspetto
e senza dir parola o far sembiante
rendé lo spirto al suo nemico innante.

81Ne dolse a Danain, pur ivi preso
lo scudo come suol tosto l’apporta
ove il drappel delle sue donne sceso
al padiglione e ’ntorno alla lor porta.
Ivi ha ciascuna il cor d’amore acceso
verso il campione, e troppo si conforta
e spera in breve per sua mano avere
la palma intera delle ingiuste schiere.

82La venerabil madre, ch’era sopra,
di accarezzarlo assai non si contenne,
e così vecchia le sue forze adopra
tal che con l’altre a ringraziarlo venne,
dicendo: «Cavalier, per la vostra opra
degna di mille lingue e mille penne,
aspetto di veder ben maritate
queste mie figlie e ben che in tarda etate.

83Perché sapete ben che infin che viva
un sol di quei la perfidi nemici,
non posso in questa, ohimè, né in altra riva
maritar queste misere e ’nfelici.
Così mi sto d’ogni dolcezza priva
nel Ciel sperando e ne i fedeli amici,
tra i quai veggio che voi sarete il primo,
e che ’l tutto farà, per quanto io stimo.

84Perché in due giorni due tolti n’avete
per giuramento l’un, l’altro per morte,
in mezzo mese il resto compirete
con lor seguendo alla medesma sorte.
Così con vostra gloria insegnerete
che si deggian lassa le strade torte,
da noi n’avrete sol parole e lode
di che il spirto gentil più d’altro gode».

85Risponde Danain: «Se il sommo Dio
secondo il buon voler mi porge aita,
spero, altissima donna, che ’l desio
vostro e la lor miseria sia compita».
Qui tacque et ella con affetto pio
tra le sue figlie a diportar l’invita,
il che fe’ volentieri e ’n lieta festa
nel naviglio la notte a dormir resta.

86L’altra mattina alla maniera usata
che far soleva abbatte un cavaliero,
riporta alla bellissima brigata
il scudo di color dorato e nero,
poi seguitando altra et altra fiata
in venti dì chi diede al cimitero,
chi vinto si rende, tanto che ’n breve
tolse alle donne il giogo duro e greve.

87Sì ch’elle come a sommo redentore
renderon grazie a lui grande e ’nfinite,
mostrando che ciascuna più l’adore
che Tebe l’inventor dell’alme vite,
e per rendergli poi dovuto onore
a lettre d’oro fur tutte scolpite
le sue prodezze in mezzo l’alta torre
ove il nome e ’l suo scudo fèr riporre.

Giunge al regno di Nabone, viene a duello con il Cavaliere Senza Paura, che ora difende la fede data al malvagio signore: si feriscono gravemente a vicenda (88-116)

88Non ebbe appresso il fero Danaino
d’uscir di quella valle altra fatica,
perché ogni paesano, ogni vicino,
ogni castello e villa trovò amica.
Passa adunque volando al suo cammino
ove trovò la sorte assai nemica,
vanne verso il paese di Nabone
per il re di Estrangor trar di prigione.

89Non consumò ben tutte due giornate
ch’arriva a quel sentier che vien sì stretto.
Passa oltre ove le porte fur serrate,
poi ch’è passato co ’l scudier soletto
segue oltre, e truova tosto le mal nate
mura de i cavalieri onta e dispetto.
Tosto ch’è visto un corno suona e ’n questo
esce fuora un campione a guerra presto.

90Domanda Danain come s’appella,
e quello: «Io ho giurato di nol dire;
son cavaliero, e fui nutrito in quella
corte ove sta d’onor vero desire,
del magno Artus, in cui si rinovella
quanta virtude in uom possa venire.
Ma voi chi sète? poi c’essendo sciolto
non vi fia come a me nomarvi tolto».

91Rispose l’altro a lui cortesemente:
«Il Rosso Danain mi chiama il mondo,
e poi che fiate di sì nobil gente
vi voglio in riverenza esser secondo,
né vo’ con voi battaglia, che dolente
sarei perdendo, e non sarei giocondo
di vincer quei per cui la vita arrischio,
per trar di questo sì spietato rischio.

92Sol mi ha mosso pietà di tutti voi,
ma più del Cavalier Senza Paura,
perché intendendo i tristi casi suoi
disposi di tentar questa avventura,
sì che non tenterem l’arme fra noi
ch’aviamo il par voler, l’istessa cura,
ch’io penso pur che voi vorreste meco
per gir in Logre uscir di carcer cieco».

93Il cavalier, che ’l nome conoscea
gran tempo innanzi e che provato l’have,
estremo onor ne gli atti gli facea,
poi comincia, dopo un sospir grave:
«Temo, signor, che vostra sorte rea
vi farà di uscir qui perder la chiave,
ch’io so che o sia per forza o per inganno
resterete compagno al nostro danno.

94Di me vi dico io ben, ch’a viva forza
combatter mi convien per servar fede,
perché assai più ch’ogni mortale scorza
amo l’onore e la divina sede,
e più peccato avrei che chi mi sforza
se dal promesso fin tirassi il piede.
Pensi pria che ’l giurar l’uom dritto e saggio,
giurato il faccia, e sia con disvantaggio.

95Però, caro signor, perdon vi chieggio,
e sappiate ch’adoro il vostro nome,
né poteva fortuna farmi peggio,
né pormi addosso più dogliose some
che, non quel ch’io vorrei, ma quel ch’io deggio
farò con l’arme infin che morte o dome
d’un di noi fien le forze, e faccia il Cielo
quel che vorrà del mio terrestre velo».

96Quando ha detto così più non attende,
ma di lagrime amare il viso molle,
per la pietà che di sua sorte prende
e dannando il destin che così volle,
si acconcia a guerra, e Danain, che intende
che bisogna giostrar, del campo tolle,
e tornasi a ferir di forza tale
che l’uno a l’altro fe’ colpo mortale.

97L’uno e l’altro di lor cadde riverso
come se morto fusse su l’arena,
e i cavai sopra lor tutti a traverso
che mai forse sentìr sì fatta pena.
Ma, ritornato il spirito dispero
a l’uno e l’altro e la smarrita lena,
disciolti da i destrier co i brandi in alto,
tornar a ritentar nuovo altro assalto.

98Non porria dirsi se Nabone il Nero
le dame e i cavalier che stanno a i merli
a mirar il duel crudele e fero
estrema maraviglia hanno a vederli,
e che vincer devrebbe il mondo intero
chi seco in compagnia potesse averli,
e de i colpi ch’ei fanno avean paura
quasi a mirargli sol dall’alte mura.

99L’incognito guerrier già maraviglia
non ha, che Danain conosce a punto,
ma Danaino al cielo alza le ciglia,
stupido chi sia quel ch’a tal l’ha giunto.
Poi con ira e co ’l duol si riconsiglia
di vendicarsi e vincerlo, compunto
da vergogna infinita, e ratto il fère
nel scudo sì che mezzo il fe’ cadere.

100Ma ben fu tosto e doppio vendicato
dal gran combattitor lo scudo rotto,
che su la spalla dal sinistro lato
ferisce Danaino e smaglia sotto
la camicia di ferro, e l’ha impiagato
com’uom che è forte a tal mestier e dotto.
Diè d’un ginocchio in terra, ma più snello
si rilevò che spaventato uccello.

101E cruccioso va pur chi sia colui
pensando che valor cotal dimostra,
dicendo: – Mal trattato mai non fui
com’or da spada o dalla lancia in giostra
fuor che dal gran Giron l’altr’ieri, in cui
giace l’alta virtù dell’età nostra -,
e mentre in mente sua così discorre
si immagina che sia il re di Estrangorre.

102E si conferma a rimirar il brando
che l’avria conosciuto anco fra mille,
a gli atti, alla destrezza, al porre in bando
la tema più che l’ostinato Achille,
a guardar i gran colpi che addoppiando
l’uno in su l’altro l’aria di faville
empion fine alle nubi e fino al cielo,
tal che a lui grida in amichevol zelo:

103«Ahi Cavalier Senza Paura, è questo
il merto che si deve al vero amico,
che per trarvi di loco aspro e funesto
vien offeso da voi più che nemico?
Per voi vengo io di lunge al tutto presto
di voi salvare o di restar mendico
d’alma o di libertà, restando vosco
in carcer qual si sia spietato e fosco.

104E ’l primo ch’io rincontro sète voi,
per difendere i torti di Nabone?».
Allora il cavaliero a i detti suoi
risponde: «Veramente ch’a ragione
non potete dolervi mai di noi,
ben della sorte mia, che n’è cagione,
la qual vuol ch’oggi l’impia servitude
nostra difenda, e me ne affanni e sude.

105Tanto più contro a quel che sempre amai
e farò sempre con questi occhi al paro,
contro a chi per trar noi di estremi guai
si dispone al periglio e stato amaro.
Ma pensando voi ben come d’assai
il mantener la fede esser dèe caro
a i cavalier più che la vita istessa,
perdonanza so ben ne fia concessa».

106In quel che fra lor dura il parlamento,
grida Nabon crudele: «Ov’è la fede
data da voi? ne l’ha portata il vento,
ch’a cavaliero errante si richiede?
Ben si può dir estremo tradimento
fatto da donna vil com’ogni uom vede
se in vece di adoprar le promesse armi
ti accordate con gli altri a danno farmi».

107Quando ascolta il parlar rosso diviene
il buon re di Estrangorre, e forte teme
di non far quel ch’ad alto cor conviene,
poi di offender tal uom sospira e geme,
pur dice a Danaino: «Udite bene,
a quanto far il proprio onor mi preme;
difendetevi adunque, e pregio Dio
che se l’un dèe morir che sia quello io».

108Così si van l’un dall’uno all’altro canto
apparecchiando alla crudel battaglia.
Van da principio con riguardo alquanto,
non sel perché come il compagno vaglia
sa l’uno e l’altro, ma perché duol tanto
a ciascun la querela ond’ei travaglia,
che vorria ritrovarsi e vile e frale
per non fare al nemico oltraggio e male.

109Pur tra questi pensier durando avvenne
ch’essendo il Cavalier tutto scoperto,
Danain mena un colpo e ’n fronte venne
più grave assai che non pensò di certo,
come bene il sentì quel che ’l sostenne,
che dicendo in suo cor: – Questo non merto -,
posto l’amor da canto, alla vendetta
con quanta ira si può vêr lui si getta.

110Come tra due leon giovini ancora
sovente accade che scherzando vanno
dolcemente da prima, e ’n poco d’ora
ne viene a l’un qualche impensato affanno,
in guisa che chi offeso ne dimora
rende il medesmo, sì che in breve fanno
guerra di più crudele e dura tempre
che s’ei fusser nemici stati sempre,

111così avvenne fra quei, che ’l cavaliero
ch’è sdegnoso oltr’a modo e sensitivo,
sentendo il colpo altrui poco leggiero
anch’ei di carità si fece privo,
e disse: «or l’uno e l’altro da guerriero
le forze adopre infin che sarà vivo,
et io per fede e voi per caritade
facciam veder se taglian queste spade».

112E con un dritto all’elmo gli discende
che di foco e romor empie la valle,
il cimier tutto per lo lungo fende
e gli fa il capo andar verso le spalle.
Pur la cuffia d’acciaro lo difende
che per gire al cervel gli serra il calle,
ma fu l’osso ammaccato e gli occhi sono
posti quasi di luce inabbandono.

113Ma il gran valore e quello invitto ardire
ch’alle necessità divien maggiore,
tosto on pur l’ha fatto risentire,
ma crescer il poter come il furore;
mena una punta che ’l potea finire
e passato l’avria d’un palmo fuore,
ma il trovò con un piede alto sospeso
sì che il cader riverso l’ha difeso.

114Pur sopra il destro braccio ov’ei lo colse
fece assai larga piaga e sanguinosa,
ma non per questo il buon voler gli tolse
ch’egli è subito in piede e non si posa,
e quanta ira fu mai tutta raccolse,
la testa abbassa e qual tigre rabbiosa
poggiando al petto il pome a lui s’avventa,
e di far lui cadere o morir tenta.

115No ’l teme Danaino e non si scosta,
ma fa il medesmo, e ’n la maniera istessa
fecersi insieme in la sinistra costa
ben profonda ferita, che si appressa
al cor, ma perché ancor non è disposta
l’ora di lor mortal da Dio promessa,
non fu tocco ad alcun, ma come morto
l’un cadde e l’altro, e poi non è risorto.

116Non è risorto pria che fusse sceso
Nabon con gli altri suoi ch’a veder sono,
il qual dicea, di maraviglia acceso,
che mai non vide un par di quel più buono.
Poi di sopra un tappeto acconcia steso
ciascun di lor, che ancor in abbandono
vede non hanno il spirto, e tosto ha speme
di avergli sani e suoi prigioni insieme.