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Girone il Cortese

di Luigi Alamanni

Libro XXII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 16.09.15 17:08

Girone giunge a una torre, viene insultato da un cavaliere scortese (Galinante) e lo batte a duello; rifiuta di pernottare presso a lui e lo convince così della sua saggezza, spingendolo a convertirsi al bene (1-26,4)

1Ma il buon Giron, ch’alla sinistra parte
lassando Danain s’era inviato,
non molte miglia andò che in alta parte
vede un castel ché d’acque circondato.
Nel mezzo un’alta rocca con grand’arte
al ciel si eleva, e ’l tetto aveva aurato,
il resto marmo appar sì ben commesso
che sembrava a vederlo un pezzo istesso.

2Era molto a veder ornata e forte
e si mostrava lunge assai novella.
Due guardie sempre stan sopra le porte
quando il sol luce o l’alma sua sorella.
Come veggion Girone di altera sorte
oltr’a l’usanza lor armato in sella,
han giudicato subito al sembiante
ch’ei fusse un fero cavaliero errante,

3e gridano altamente: «O cavaliero,
per mille volte siate il mal venuto.
La ria fortuna a voi scorga il sentiero,
menivi a danno per cammin battuto».
Giron si volge, e dice allo scudiero:
«Che cortese chiamar, che bel saluto!».
Pur tacito va innanzi, e vede uscire
d’indi un guerriero, e verso lui venire.

4Era sopra un destriero alto e possente,
e gli grida da lunge: «Ei vi conviene
meco aver giostra, e s’io sarò vincente
vi darò molte e meritate pene».
Giron, che la quistion vede presente,
la lancia e ’l scudo che ’l compagno tiene
s’adattò tosto, e poi presto alla giostra
a quel domanda: «Questa torre è vostra?».

5Di sì risponde l’altro, et ei soggionge:
«Come sofferite voi che chi la guarda
i guerrier peregrin co ’l parlar punge,
né quel che vuol la cortesia riguarda?».
«Ah,» gli dice il signor, «se andrete lunge
per questa valle io temo ben che vi arda
la collera entro il cor, se tal dispetto
d’ogni oltraggio averete che fia detto.

6E ’l peggio fia che ne fian fatti ancora;
ma voi sète oggi a queste usanze nuovo,
e per far quel ch’io deggio conviene ora
che con voi giostri, poi che qui mi truovo,
e ben mi peserà se a me dimora
la palma della guerra ch’io vi muovo».
E Giron, per tentar ciò ch’ei diria
dice: «Io non vo’ giostrar con uom che sia».

7E l’altro: «Egli è mestier che voi giostriate,
e s’io v’abbatto il destrier vostro e l’arme
per forza converrà che mi lassiate,
né varrà discortese poi chiamarme:
la spada vuol l’usanza che portiate,
e camminando a piè; di sentir parme
venir per tutto il popolo a vedere
e di coi dispregiar prender piacere».

8Risponde a lui Girone: «E s’egli occorre
ch’io vinca voi, non mi tenete vile,
s’io vi rimando ignudo nella torre,
che qui mi par vergogna esser gentile.
E ben poss’io sopra la cima porre
d’ogni bruttura il vostro iniquo stile».
Poi tutto disdegnoso il destrier volta
e va sopra il campione a briglia sciolta.

9Il medesmo fa l’altro, e rincontrati
la lancia di colui va in pezzi in alto.
Giron irato contro ai suoi peccati
non fu mai crudo più che ’n questo assalto:
gli ha lo scudo e l’usbergo trapassati,
e ben piagato il fa gire allo smalto,
ove fu tramortito di tal sorte
che Giron si pensò ch’ei fusse a morte,

10e dice: «Or non pensate per un colpo
d’aver sì chiara la vittoria in mano.
La sorte e ’l mio caval di tutto incolpo,
non lodo voi, che meco opraste in vano,
e se co ’l brando qual battuto polpo
non vi disosso, io voglio esser villano,
e non più cavalier esser mai detto
qual io mi tengo, nobile e perfetto.

11Non spende altre parole il pio Girone,
smonta e ’l destriero allo scudier consegna.
Va incontro al discortese impio barone,
tenendo in alto quella spada degna,
che non ha mai trovato paragone,
né mai cosa operò che fusse indegna.
L’altro di mal talento a lui s’invia,
da cui vie più che onor sangue vorria.

12E quanto può sopra lo scudo il fère,
con ira più che con ragione assai,
che si pensò di farglielo cadere
come a garzon che non vide arme mai.
Ma il buon Giron, usato a sostenere
colpi maggior, e non gli sente omai,
ridendo dice a lui: «Vedrem se questo
colpo a te fia come a me il tuo molesto».

13E nella testa in guisa lui percuote
che mille stelle in ciel veder gli face.
Treman i denti e le lanose gote
tal che di già l’impresa gli dispiace,
pur come quel che vuol più che non puote
scaldato il cor come affocata brace.
Con la spalla, co ’l scudo e con la spada
l’urta, e ben crede in van ch’a terra vada.

14Ma più che scoglio saldo il truova e duro,
sì ch’ei ritorna indietro almen due passi.
Allora il buon Giron, che già sicuro
il vede suo prigion, non lunge stassi
con più furor che all’inimico muro
non avventa cannon pallotte o sassi,
raddoppia in capo il colpo e lo distende
qual morto in basso, e più non si difende.

15Non lo lassa per questo, anzi si getta
sopra esso, e l’elmo a forza gli dislaccia,
e della villania fa tal vendetta
che can ferito sopra lupo in caccia.
Il miserel, che vede alta l’eletta
spada crudel che ’l suo morir procaccia,
grida forte: «Signor, non mi uccidete
per quella cortesia che voi sapete.

16Per quella cortesia che vi è sì cara
la quale io tardi riconosco e bramo
non sia vostra ira di mia morte avara,
poi ch’in tal grado omai mercé vi chiamo».
«Così fa quel che con suo danno impara
come stolto augelletto al visco in ramo,»
gli risponde Giron «ma credi certo
ch’io ti vorrò punir secondo il merto.

17O che tu mi darai al fede in pegno
di levar del passaggio il mal costume,
e ch’atto non farai che torni indegno
ad uom che passi tra la torre e ’l fiume,
e che non tenga in questa valle il regno
di scortesia, ma ci si accenda il lume
di virtù vera e di cavalleria,
deposta in bando ogni altra villania.

18E sopra gli altri cavalieri erranti
si ritruova in carezze e sicurtade,
lealtà le donzelle, onor gli amanti,
qual si convien nelle reali strade».
Et egli allor, doglioso ne i sembianti,
come a chi cosa assai contraria accade,
gli risponde di sì, danne la fede,
et ei così la vita gli concede,

19dicendo: «Et io, signor, a voi perdono
ogni parola, ogni atto discortese,
che ho ricevuto, e sempre pronto sono
per voi, per tutto il vostro bel paese».
Drizzato, il cavalier domanda un dono
che voglia fare a lui Giron cortese,
questo è ch’ei vegna ad onorar la torre
e con lui dolce posa e cibo tòrre.

20Pensa un pezzo Giron, poi si ricorda
di quei detti che in marmo letti avea,
e però al compiacer non ben s’accorda
al cavalier che per suo danno il fea.
L’altro, poi che non può la mente ingorda
d’ogni vil cosa e d’ogni impresa rea
saziar, poi che ha pregato lungamente
a lui si volge al fin tutto ridente:

21«Io sapea, cavalier, ch’eri il più forte
guerrier che viva, e vista b’ho la pruova,
or saggio vi conosco, e di tal sorte
ch’anco nel senno a voi par non si truova.
S’io vi poneva dentro a quelle porte
ov’ogni tradimento e vizio cova,
non ve n’avria se non la morte tratto,
che non si osserva lì fede né patto.

22Anzi, sì come voi l’opre onorate
seguite sole e sole avete in pregio,
tal io fo tutte l’impie e scellerate
e le miglior virtù tengo in dispregio,
e consumai tutta mia verde etate
in aver sol de i traditori il fregio,
ma ringrazio oggi Dio che ’l valor vostro
altro nuovo cammin certo m’ha mostro.

23E ’n questo punto istesso ch’io vi parlo
m’è sì nuovo desir di virtù nato
che ’ntorno al cor mi rode come tarlo
ch’io prenda altro sentier dritto e lodato,
et ho ferma speranza omai di farl
e del tutto cangiar volere e stato,
e, per principio dar, io vi ammonisco
che ’n questa chiusa valle è più d’un visco.

24Più d’un visco è per questa valle teso
di crudi cavalier simile al mio,
da i quai non sarete in arme offeso,
vi vorranno alloggiar come ho fatt’io,
ove sareste incontinente preso
e se poi n’uscireste sallo Dio.
Or seguite il cammino e vi sovvegna
che nessun ci ha che la sua fede tegna.

25Il nome ond’io m’appello è Galinante,
stato infin qui come di sopra ho detto,
ma spero per vostra opra di qui innante
divenir più che buon, più che perfetto,
e qui mi resto per eterno amante
della chiara bontà ch’avete in petto,
pregando Dio che dia fortuna eguale
alla vostra virtù, che tanto vale».

26Il Cortese Giron quanto più puote
loda il suo buon desire, e lo consiglio
che le parole sue d’effetto vòte
non lasse indarno, e poi congedo piglia.
Febo all’occaso le infiammate ruoteIncontra e batte il fratello di Galintante, e nello stesso modo lo converte al bene (26,5-62,6)
rivolte avea, e già scotea la briglia
a’ suoi corsier sopra l’atlantiche onde
in parte ch’al nostro occhio si nasconde.

27Non vede il cavaliero alloggiamento,
e se ’l vedesse ancor no ’l prenderebbe,
che ben si affisse nell’intendimento
i buon ricordi che dell’altro n’ebbe.
Sotto un gran sasso, che la pioggia e ’l vento
potea coprir, la notte non gli ’ncrebbe
di riposarsi, e ’l suo caval pascea
ch’a simil notti accostumato avea.

28La mattina sul dì d’indi partito
truova due pescator che tese avieno
le reti, e si posavan sopra il lito
d’un fiumicel d’assai profondo seno.
Vede che fan salvatico convito
di pane e d’erbe che ivi colte avieno,
ove esso e ’l suo scudier per fame scesi
gli trovaron del lor molto cortesi.

29Poi con quei ragionando dell’usanza
di quella valle e della villania
gli dicon quei quanto è malvagia stanza
per cavalier che virtuoso sia,
e lui confortan ch’ivi dimoranza
non faccia, e tosto dia fine alla via,
ch’un’altra torre alla sua fin si truova
ove far gli convien battaglia nuova.

30E se per virtù d’arme può scampare
si guardi appresso ancor di tradigione.
Quando sente il medesmo confermare
da quei che sembran semplici persone,
comincia a tutto maggior fede dare
che non fe’ al discortese altro campione,
e ringrazia quei del cibo avuto,
segue il cammin ch’ei vede più battuto.

31Quando è poco passato il mezzo giorno,
scorge una torre simile alla prima,
onde scoperto un minaccioso corno
sente sonar dalla più alta cima,
dalla guardia, che ’l vede d’arme adorno
e che ’l tien per guerrier di grande stima,
che mai più cavalier non vi è arrivato
che non venisse a piedi o disarmato.

32Perché nel ver colui che Giron vinse
era franco guerrier d’alto valore,
tal che chi prima il vide non s’infinse
ma tosto corse a dirlo al suo signore:
«Qui viene un cavalier che non si scinse
l’arme, né lasciò indietro il corridore
alla torre di là di Galinante,
anzi ha il cavallo e l’arme tutte quante».

33Questo di qui dell’altro era germano
e giudicato da i miglior più forte,
ma ben più discortese e più villano
che quel dell’altra, e di più iniqua sorte.
Non si potrebbe dir se l’inumano
si corruccia e si duole infino a morte
di veder un che forza è ch’aggia vinto
il suo fratel, e forse ancora estinto.

34Armasi in fretta, e vien fuor della porta
sopra un corsier ch’è grande a maraviglia,
lo scudo al collo e ’n man la lancia porta,
ch’allo dio della guerra s’assimiglia,
ma vedendo Giron si di sconforta,
che già verso di lui volge la briglia,
perché vedendol sol dice a se stesso:
– O la mia morte o l’onta vedo appresso -.

35Pur tenta con minacce se ’l potessi
o con fere parole sbigottire,
e dice: «Cavalier, se tu sapessi
quanto sia duro altrui di quinci uscire,
da te non foran questi campi pressi
ove si truova sol morte o martire,
ma ti staresti come i saggi fanno
ove viver si può con meno affanno.

36Ma vorrei ben saper in qual maniera
ingannate hai le guardie del passaggio.
Credo perché dormivan dopo sera
ti fu sicuro l’orrido viaggio.
Ma qui ristorerai la frode intera
e lasserai la vita d’avantaggio,
se ’l Ciel che mi diè non mi ritoglia
e la mia spada sia quel ch’ella soglia».

37Giron, che scerne in sé ch’egli ha paura,
che ’l conosce al suo dire e ben l’intende,
di dimostrarse vil pone ogni cura,
dicendo che la via per ivi prende
perché gli era narrata più sicura
e che nessun nel camminar offende,
né incontrato avea alcun che mai gli dica
parola che non sia dolce et amica,

38se non da lui, ch’al riguardar di fuore
gli par alto guerriero e valoroso,
da non averne mai se non onore
cortesia somma e debito riposo;
e che lui prega e chiede di buon core
ch’esser non voglia a i suoi desir noioso,
i quali altro non son che andar innanti
per gire appresso a i cavalier erranti.

39E che ’l prega, che ’l supplica e lo stringe
che s’ha fallito al men truove perdono,
e se pur contro a lui l’ira lo spinge
che se gli rende tutto in abbandono,
e tale insomma se medesmo finge
ch’ei lo stima guerrier vie men che buono,
e si pensa tra sé che val sì poco
ch’ei ne possa ritrar vittoria o gioco,

40e risponde: «Perdon ti concedo io,
con questa condizion: che ti disarmi,
doni il cavallo e resti servo mio,
per nettar e ripor le mie care armi,
e quando anco talor avrò desio
d’andar lontano alquanto diportarmi,
per queste piagge della aprica valle
stanco ch’io son mi porti su le spalle».

41Disse Girone: «A questo son contento
ma di romper con voi solo una lancia
per darvi gioco prima avrei talento,
ch’a voi penso sarà gioiosa ciancia,
poi di tutto esser vostro vi acconsento,
e lassarmi ad ognor batter la guancia».
E l’altro: «Io farò ben, ma tu sei matto,
perché sarà con più dannoso patto,

42ché come io t’ho battuto vorrò appresso
che sempre venga al mio servigio nudo,
e che non manchi mai d’essermi presso
con la mia lancia in pugno e co ’l mio scudo,
né là dove io sarò ti sia concesso
cibo mangiar che non fia vivo o crudo,
e ben ragion sarà se co ’l padrone
avrai voluto aver torta quistione».

43Glielo accorda Giron, e ’n tanto volta
per prender campo il suo caval possente;
l’altro, che ’l vede aver destrezza molta,
quasi de i fatti scherni si ripente,
pur fa l’istesso, e poi che strada ha tolta
quanto alla giostra par conveniente,
ritorna a dietro, e ’l destrier forte punge
fin che Girone al mezzo coro giunge.

44Il signor della torre ruppe l’asta
da guerrier valoroso, come egli era,
ma ’l suo poter per atterrar non basta
del Cortese Giron la forza altera,
e l’usbergo e lo scudo le contrasta
sì che gli nocque men ch’essendo cera,
bene il contrario al discortese avvenne
che ’l furioso colpo mal sostenne.

45Perché Giron, con lui cruccioso alquanto,
vi mise a quella volta ogni sua possa,
tal che si truova in basso lunge tanto
quanto gran pietra di buon braccio scossa.
Truovasi il miserello a terra infranco
tutti i nervi ch’avea, le polpe e l’ossa,
talché per dolor, ira e maraviglia
al ciel rivolta le superbe ciglia,

46dicendo: «Or come può crudo far questo
colui ch’io mi stimava il più codardo
che portasse arme e ch’al servirmi presto
avea renduto sol con uno sguardo?».
E più che tutto ancor gli vien molesto
che la percossa il fa impedito e tardo,
sì che del rimanente ha più dottanza
che di vendetta far verde speranza.

47Pur, quanto meglio il può, tosto si leva,
pon mano al brando e dice ch’egli scenda.
Gli fa segno Giron che non gli greva
che altra nuova battaglia seco prenda,
da caval salta, e poscia gli diceva:
«Perché volete coi ch’ancor vi offenda?
Non sète bon per questo colpo chiaro:
ch’ancor di nuovo mal vi fate avaro?».

48«Se io cerco nuovo mal tosto vedrassi
quando stolto io t’avrò nudo e prigione,
e farotti portar travi, acqua e sassi
e some che ’l villano all’asin pone,
ch’essempio a gli altri sia privati e cassi
di senno, di veder, di discrezione,
che di pigliar l’imprese avranno ardire
né poi sanno il cammin d’esse finire».

49E, così detto, più crudel s’avventa
verso Giron, ch’un’orsa provocata
dal cacciator che i figliuoi tòr le tenta
che rabbiosa ne vien non che adirata,
e con un colpo il folle s’argomenta
d’aver quella battaglia terminata,
giungelo al scudo, e ’n ver quanto ne prese
vittoriosamente a terra stese.

50Ma il buon Giron con altra forza et arte
nel scudo pur sì duramente il colse
che a punto in mezzo tutto esso diparte,
stordigli il braccio e di vigor lo sciolse
sì che inchinasse alla contraria parte,
né più in guardia del capo si raccolse.
Giron, che ’l vede, allor raddoppia tosto
in fronte, tal ch’ei l’ha riverso posto.

51Riverso posto in guisa ch’a gran pena
si poté risentir d’una mezza ora,
l’elmo gli slaccia e ’l getta su la rena,
poi senza fargli mal così dimora.
L’altro, ripreso il spirto e la lena,
misero, di timor si discolora,
vedendo il suo nemico irato sopra
et ei senza arme in testa che ’l ricuopra.

52E sì come il villano e l’impio suole,
ch’essendo al suo vantaggio vien sì fero
che di mercede o patto udir non vuole,
ma infino a morte essercita l’impero
quando è di sotto si lamenta e duole,
chiede perdon, si fa suggetto intero,
contrario al nobil cor ch’oppresso cresce,
e fatto vincitor umil riesce,

53e dice: «O cavalier, ch’al mondo pare
non have, et io ’l so ben per doppia pruova,
di voler a i miei falli perdonare
no ’l merto mio ma cortesia vi muova;
la qual fia più per quanto il mio mal oprare
discortese fu sì che egual non truova,
e ringraziate Dio d’aver suggetto
che vi possa mostrar raro e perfetto».

54Quando l’ode Giron, pensa in se stesso
se di lui deggia alquanto prender gioco;
poi si risolve non voler con esso
mostrarsi altro che sia niente o poco,
ch’altrui beffar in simil modo è messo
che di far villania ritenga loco;
la vera cortesia deve esser porta
semplice, dolce, tosta, chiara e scorta.

55E chi non così fa cara al vende
sì che a chi al riceve troppo costa,
però il miser guerrier pel braccio prende,
il drizza, e sotto un albero l’accosta,
il medica, il conforta, e da lui intende
come sia rotta una sinistra costa,
la qual vedendo ch’ei gli dà la vita
della allegrezza sol gli par guarita.

56Lui ringrazia, e l’essalta sopra il cielo
di quante un cavalier può parti avere,
poi il prega ch’a fuggir la notte e ’l gielo
nel suo palazzo voglia rimanere.
Giron, c’ha discoperto il chiuso velo
de i loro inganni, né mangiar né bere
non vuol gli dice, né posarsi punto
infin che sia fuor della valle giunto.

57Ben s’accorge il villan che tanto saggio
era il buon cavalier come era prode,
più l’ama e riverisce, e d’avantaggio
gli dona eterne e memorabil lode,
e gli dice: «Signor, poi ch’io non aggio
potutovi acquistar con forza o frode,
vo’ confessarvi ch’a me nullo eguale
si trovò già villano e disleale.

58Ma l’intera virtù che in voi riluce
mi farà tutto un altro in questo punto,
e se mi voleste esser capo e duce
al sommo del mio ben mi terrei giunto,
e ’nfino all’ora ch’a morir conduce
di non vi abbandonar desio m’ha punto,
e vi prego umilmente ch’ei vi piaccia
ch’a sì giusta mia voglia satisfaccia».

59Il Cortese Giron lieto l’accetta,
l’abbraccia e ’l prende per suo caro amico,
confortalo a seguir la via perfetta
e lassare il costume tristo antico,
e se non c’ha desio di far vendetta
tosto ivi lunge sopra un suo nemico
che ’l meneria il dì seco, ma di breve
il rivedrà, ché ritornar lì deve.

60Ma ben che ’l prega in questo mezzo assai
che ’l passaggio a ciascun libero sia,
e che a i buon cavalier non faccia mai
se non dovuto onore e cortesia,
che guadagno o ricchezza in altrui guai
non può trovarse o nella villania,
e ch’oltre che in bell’anima conviene
non è cosa più dolce che ’l far bene.

61E seppe in modo dir che ’l peccatore,
ch’era giovine ancora e poco esperto,
s’accese di virtude in tanto amore
che trovato il fratel giuran di certo
ch’a tutti i peregrin farieno onore
e che lor fosse il forte ostello aperto,
e cavalieri erranti diventaro
e l’uno e l’altro fu pregiato e raro.

62Così mostraro al mondo che sovente
fallisce un giovin che non ha chi mostri
quel che si deve oprar, né sa la mente
volger ch’aprino il vero a i saggi inchiostri,
ma seguitando sol l’ignobil gente
credendosi ben far divengon mostri.
Or qui dunque Giron, dopo il saluto,Torna a Maloalto, non trova Danaino e riparte (62,7-68)
segue il cammino al suo valor dovuto.

63Che in verso Maloanco volge il piede
per vere nuove aver di Danaino.
Un buon uom truova, a cui soccorso chiede
e gli mostra un brevissimo cammino,
per cui due giorni segue, il terzo vede
il castel ch’ei cercò molto vicino.
Al vespro arriva ove ne fa gran festa
di Danain la bella donna onesta.

64Le domand’ei dove il suo sposo sia,
et ella ch’è gran tempo gli risponde
che novelle non ha d’alcuna via,
perché sovente lagrime diffonde,
e ’n più d’un loco avea mandato spia,
ma che no ’l sa persona o che l’asconde,
ché impossibil le par che un tal guerriero
possa aver sì celato il suo sentiero.

65E che dubita certo qualche danno,
perché ha sempre la notte i sogni oscuri,
poi mille tristi auguri il dì le danno
cornici e corvi et altri uccelli impuri,
«E tanto più mi accresce oggi l’affanno
saper ch’è senza voi, perché sicuri
essendo in compagnia vi stimerei
come quei che per guida aggin gli dèi».

66Così parlato piange, e ’l pio Girone
ha per doppia cagion doppio dolore,
che l’uno e l’altra amò con gran ragione
perché a lui tutti due portaro amore
da figlio e da fratel lunga stagione,
e gli facean più cha se stessi onore,
ma per non giunger male al mal che preme
la riconforta e dalle ottima speme.

67Non mostrando saper in che contrada
si fusse, ma le afferma che vuol gire
tanto per una o per un’altra strada
ch’ei possa il ver d’ogni suo stato udire,
e che a lei scriverà dovunque vada,
ma che sia di buon cor né sbigottire
si voglia in alcun modo, e resti sempre
quale ella è stata di animose tempre.

68Così, poi che riposo ha di due giorni,
dalla donna che amò congedo prende,
la qual, bagnando i due bei lumi adorni,
infino al basso della scala scende,
poi, pregandol umil che tosto torni
co ’l suo marito o scriva che ne intende,
il lassa sconsolata, et ei dolente
piglia il cammin con molta dubbia mente.

Arrivato in prossimità del passo incontra un vecchio che lo mette in guardia (69-80,4)

69Più giorni va per una alpestre valle
ove bel truova e spazioso piano,
che sì largo have e sì spedito calle
che si vede d’intorno e ben lontano.
A questo il terzo dì dona le spalle
e scuopre un monte, il più sassoso e strano
che mai vedesse, e sì riciso et alto
ch’una muraglia par di proprio smalto.

70Ivi si addrizza, e poi che l’ha vicina
la riconosce a i contrasegni dati,
e mentre assai sollecito cammina
ritruova in certi campi lavorati
un bifolco sì vecchio che già inchina
gli omeri da i lunghi anni affaticati,
ma sì bene ha condotto i giorni suoi
ch’ancor può maneggiar l’aratro e i buoi.

71Va in verso lui Girone e gli domanda
che montagna sia quella e come detta,
e se si può passar per quella banda
su l’alto giogo o in qualche valle stretta.
Il vecchio, pronto a ciò che gli comanda
lascia il lavoro, et a lui corre in fretta,
dicendogli: «Signor, quello aspro monte
al terren del servaggio è muro e fronte.

72Quello è il paese ove Nabone il Nero
ch’è di tutti altri il più crudel tiranno,
fa ciascun che vi passa prigioniero
e ritiene in eterno e ’n grave affanno,
e chi sia come voi gran cavaliero
doppiamente riceve l’onta e ’l danno,
perché quei chiusi son sempre all’oscuro,
ogni altro per la valle sta sicuro.

73La porta per entrarvi non si vede
in fin che sotto andiate alla montagna,
la qual chi passa un tratto mai non riede,
e molto a starne lunge si guadagna.
Tornate, cavaliero, in dietro il piede,
e schivate per voi la tesa ragna,
e se bramate onor, gitene altrove
dietro a men dure e più lodate pruove.

74Che chi scampa da lui con lancia o spada
da mille inganni poi fuggir non vale,
che infiniti vi son per ogni strada
sotto a quel peccator più che mortale.
Ogni uomo, ogni donzella intenta bada
a tesser tradimenti, a condur male,
a far in somma cerca in ogni verso
d’oprar di cortesia tutto il riverso.

75E come entraste là non potrei dire
come tutti vi fien gioiosi intorno,
per farvi in una carcere morire
in mille aspri tormenti, in onta e scorno,
e tanto più che di supremo ardire
al rimirarvi pur parete adorno,
sì che gran maraviglia certo fia
che non vi aggian fra i lor per qualche via».

76Allora il pio Giron per ritentarlo
soggiugne: «Or non saria possibil cosa
vincer ogni sua guardia e discacciarlo
e tornar con la man vittoriosa?».
E ’l buon bifolco a lui: «Disdegnarlo
schiera di tanti cavalieri è già stata osa,
che mille entrar ne vidi ad uno ad uno
e ritornar non ho veduto alcuno.

77Guardate pur che a voi l’istesso avvegna
benché aggiate valore e gran prodezza,
sovvenendovi ben che ivi non regna
di virtù mai favilla o gentilezza,
e gran mal fia ch’una persona degna
sola in bell’opre e in giovare avvezza,
come io stimo voi, si truove privo
di libertate e sotterrato vivo.

78Non si deve stimar colui perfetto
che, ancor ch’ogni altro di valore avanzi,
non pensa ben s’al destinato effetto
può giungere il disegno seco innanzi.
L’ardir senza discorso è follia detto
da quei che intendono altro che romanzi,
e vien comune alle selvagge fere
ma l’intelletto Dio fa l’uom parere.

79Pensatel pria, signor, non vi sdegnate
ch’un bifolco vi mostri il desir vostro
che fra le zolle ancor molte fiate
sì saggi son come tra ’l chiaro inchiostro.
Molto insegna la pratica e l’etate,
oltr’a che vien dal Cielo il saver nostro:
non riguardate i panni o ’l mio mestiero,
pensate pur s’io dico falso o vero».

80Quando ascolta Girone il parlar saggio
e i ricordi discreti del buon vecchio,
benché aggia sempre intrepido coraggio
pur dona alle parole alquanto orecchio;
poi si rivolse: «Ogni disvantaggio,Varca la soglia e chiede al norgallo, che gli si fa incontro, di portare un’ambasciata a Nabone (80,5-94,4)
ogni danno portar io m’apparecchio,
e quando io ciò non faccia altro guadagno,
voglio io di lor sfortuna esser compagno».

81E ringraziato lui, tutto s’informa
dell’entrar della valle e del castello,
del fer Nabon la regola e la norma,
come il possa trovar, come vedello,
e se potesse tanto seguirne orma
che ’l conducesse a singular duello.
Disse tutto il bifolco a parte a parte
e di ciò che sapea gl’insegna l’arte.

82E quando il vede pur tanto ostinato
all’alta impresa, che stornar no ’l puote,
rimette ardir onde l’avea levato,
e poi ’l conforta con villesche note,
dicendo: «Cavalier, l’istesso stato
non servan sempre le volubil ruote
della fortuna, ch’a ben nostro forse
la chiara intenzion oggi vi porse.

83Quel che molti non fèr per avventura
fu riservato per la vostra mano,
e la bontà celeste a voi la cura
diè di punir il crudel mostro e strano,
ch’è di lei gran nemico e di natura,
di sangue e morte pien, fero, inumano,
e ’l difender il giusto è di tal forza
che ’l più sovente co ’l minor s’ammorza.

84Aggiate pur primieramente in Dio
poi nella vostra man l’intera spene,
né crediate ad alcun del popol rio
che cerca sol l’altrui travagli e pene,
e come core avere invitto e pio
così vi doni onore a gli altri bene
l’alto Motor, che di sua grazia suole
esser cortese a chi l’adora e cole.

85Ma perché nella valle mal si truova
chi doni da mangiar, io vi conforto
di rinfrescarvi meco, ch’assai giova
quando dal corpo forte il spirto è scorto,
sì che alla prima e la seconda pruova
fin che siate o perito o giunto in porto
non vi manche il vigore, che nel digiuno
suol alla fine abbandonar ciascuno».

86L’obbedisce Giron, che n’avea voglia,
scende co ’l suo scudiero e mangia e beve,
di miglior gusto ch’alle mense soglia
de i gran signori e più piacer riceve.
Poi, Dio pregando, che in favor l’accoglia
rimontato a caval tira al più breve
sentier che porta alla funebre valle
e tosto scende nell’angusto calle.

87Il qual passato a quella torre arriva
che del crudo terreno il passo serra,
sotto varcando e rimirando giva
quando sente là su che si diserra
la greve porta che dall’alta riva
con orribil romor si caccia interra.
Non si turba Giron, ma lieto dice:
«Ora ho in mia mano il popolo infelice

88e ’l tiranno crudel, ch’or non porria
scampar di qui ch’io non l’uccida e prenda».
Cotal parlando, alla più breve via
va del castel che da chi truova intenda,
e pervenuto al fine ove desia
un suon che par che minacciando scenda
sente dall’alto e poi di fuor venire
un cavaliero in punto di ferire.

89E sopra i merli d’ogni ’ntorno scuopre
infinite donzelle e cavalieri,
che vengono a vede chi meglio adopre
nella battaglia di quei due guerrieri.
Girone allora il suo desio non cuopre,
e dice: «Io non calcai questi sentieri
per dar piacer a donne et a tiranni,
ma per trar questa valle de i suoi danni,

90e dar morte a Nabone e tutti suoi,
o che lassi i prigioni in libertade,
che ci son de i miglior ch’oggi fra noi
corrin le lance e cinghinsi le spade.
or torna, cavaliero, e dir gli puoi
ch’ei non potrà salvar le sue contrade
se mille in guerra a me non pone
e s’ei cerca ch’io sia digli: è Girone».

91Colui, che il cavaliero era norgallo,
che co ’l re di Estrangorre ebbe battaglia,
quando ode quel gran nome senza fallo
«Non men gente convien, men ferro e maglia»
diss’ei ridendo «e questo mio cavallo
confesso io ben che men del vostro vaglia;
ma qual sorte conduce il fior del mondo
a morir qui d’una prigione in fondo?

92Che s’ei ci combattesse la virtude
la prodezza e l’ardir quale a noi suole,
so che al vostro martel tenera incude
sarebbe questa e poca neve al sole,
ma crudeltade e fellonia si chiude
sola in Nabone e nella iniqua prole:
non domerà con l’arme il valor vostro
ma con le insidie, come ha fatto il nostro».

93Gli domanda Girone cortese allora:
«Ditemi il nome vostro acciò ch’io saccia
in cui tanta pietà di me dimora
e che al debito mio ne satisfaccia».
Ei glielo disse, e l’antro: «Anzi ch’io mora
contento son pur ch’io vi veggia in faccia».
Alzò quel la visiera, a lui s’accosta,
e di lagrime sol gli dà risposta.

94Fa il medesmo Giron, poi gli replica
ch’ei porti al fer Nabon la sua ambasciata;
appruova quel che ’l nome suo gli dica
per metter tema all’aspra sua brigata.
Dismonta adunque, e non gli par faticaNabone a consiglia ascolta pareri contrastanti, si risolve per l’inganno (94,5-112)
risalir nella sala ove lassata
avea la schiera, e ’l suo signore in mezzo
per veder la battaglia al fresco rezzo,

95e gli dice: «Signor, quel cavaliero
vuol che sappiate il suo famoso nome,
per combatter non degna un sol guerriero
ma vuol di mille aver le forze dome,
e di voi prima, et io, per dirvi il vero,
gliel credo, e voi gliel crederete come
vi avrò detto ch’egli è Giron Cortese,
in cui Marte e Nettuno tutto intese.

96Ha rifiutato aver la guerra meco,
et io ne son contento, ché so certo
ch’io non durerei tanto a quistion seco
quanto con un leon can male esperto».
Allor del fer Nabon l’animo bieco
si conturbò non men che in un diserto
faria zoppo monton che sol rimaso
sia dal pastor e ’l lupo incontri a caso.

97Ma come spesso avviene a i gran signori,
mentre ch’ei pensa e tacito si resta,
molti avea intorno de gli adulatori
ch’assai più per piacer la lingua han presta
ch’a dar consiglio che lor porti onori
o che gli addrizzin per la strada onesta,
e cominciano intorno a mormorare
ch’ei si devria di lui vendetta fare,

98per apprender al mondo qual si deggia
rispetto aver a principe cotale,
e chi così superbo in fren vaneggia
è degno veramente d’ogni male,
e che tosto l’essercito si veggia
de i suoi guerrieri, e sceglia chi più vale,
e se ne prenda tanti che prigioni
sian bastati a menar molti Gironi.

99Ma il cavalier norgallo, che non have
la grandezza del cor punto smarrita,
ben che si truovi sotto al giogo grave
di servitù la verde età fiorita,
e come quel che di niente pave
se non d’aver la nobiltà fallita
dice: «Signor, se ’l mio parer vi dico,
pigliate, prego, che sarà d’amico.

100Non ebbe mai gran re modo migliore
di farsi di alta fama e grande in terra:
se per tal cavalier di tanto onore,
senza voler tentar ingiusta guerra,
vorrete trarre in questo giorno fuore
della oscura muraglia che gli serra
i molti alti signori e valorosi
ch’a sì gran torto ritenete ascosi,

101e far ch’esso con lor vi dien la fede,
d’avervi sol per suo signore e duce,
e con le forze lor venire erede
di quanta gloria sotto il sol riluce,
non porria contrastar al vostro piede
quanto il terren britannico conduce;
e qual maggior guadagno e maggior gloria
che in compagnia de i buoni aver vittoria?

102Voi farete ire al ciel l’alta bontade
più che Artù mai non fe’ né Pandragone,
ove or per vostra man sotterra cade
e d’averne voi l’onta è ben ragione.
Già per voi s’accompagna all’altre spade
quella dell’invittissimo Girone;
spieghiam di libertà le sacre insegne
e facciamo opre che di voi sian degne».

103Tra per la tema e per le ragion vere
del cavalier norgallo s’accordava
il fer Nabon di pietà intera avere
di quei che ivi dentro così mal trattava,
quando un de i capi dell’ingiuste schiere
cotal, fattosi avanti, gli parlava:
«Chi brama onta trovar, danno e periglio
da gli inimici suoi prenda consiglio.

104Pria che dar fede alle parole altrui
convien dell’orator bene informarsi,
s’amore, odio o timor han sede in lui,
o speranza o desir di migliorarsi,
e chi crede leggier né guarda a cui
solo ha di sé cagion di lamentarsi.
Poi bene essaminar a parte a parte
se le ragion sian vere o finte ad arte.

105Il cavalier norgallo esser sospetto
vi dèe, come avversario e come schiavo,
e pensar vi convien ch’ogni suo detto
venga d’animo in noi macchiato e pravo,
mosso, cred’io, per dar bramato effetto
a gli altri e sé di uscir del luogo cavo
e della servitù di questa valle,
a cui ben volentier darian le spalle.

106Guardate poi se la ragion consente
che fra tanti nemici andando intorno
venga ciascun con fede obbediente
inalzar quei ch’egli odia e con suo scorno,
abbassar quello amico e quel parente
per far di palma un peregrino adorno,
abbandonar Artus e Pandragone
per illustrar lo scettro di Nabone.

107Or non sapete voi che la natura
non si può rimutar per grazia alcuna?
Quella ha più forza e maggior tempo dura
che l’insegnata legge o la fortuna,
ma quando pur ciascun la fede pura
per voi servasse in chiara sorte e bruna,
delle imprese non fia l’onor di voi
ma di Girone e de i compagni suoi.

108E, per ciò non tacer, poi che voi sète
infino a questo tempo accostumato
in mantener con ragne, insidie e rete
con mille tradimenti il vostro stato,
non così ben la guerra intenderete
né il cammin di virtù da loro usato,
più ch’al vecchio mestier, quantunque vile,
che con danno il miglior cangiare stile.

109Or attendiam, signore, a gire innanti
pel sentier primo e per le frodi antiche,
a spegner tutti i cavalieri erranti
che non vi portin poi danni e fatiche,
e se di aver il fior di tutti quanti
vi faran grazia ancor le stelle amiche,
di Giron parlo, non avrete appresso
da dubitar mai più del mondo istesso.

110E benché dica ogni uom tai meraviglie
di Girone il Cortese e di sua possa,
poi che a mortal veggiam che s’assimiglie
creder deviam ch’ei sia di carne e d’ossa,
e si possin di lui render vermiglie
le piagge, e farlo entrar in poca fossa,
sì come aviam veduto ad uno ad uno
Ettore e Galealto e Febo il Bruno.

111E quantunque io pensassi tutto solo
di poterlo atterra con l’arme in mano
per non recar a voi vantaggio e duolo
di torgli un fedelissimo germano,
qual io vi son, avrò meco stuolo
ch’ei folle chiede essend’io capitano,
e vi prometto farvelo legato
o del tutto dal mondo abbandonato».

112Le ragion dette e l’ultima speranza
e la natura più ch’al mal l’inchina,
fan che Nabone alla sua prima usanza
et alla antica sua natal dottrina
tosto ritorni, e per la tracotanza
ch’usa Giron di offenderlo destina
e dice al suo fratel ch’armato saglia
con cento de i migliori alla battaglia.

Gli manda contro un esercito di cento uomini alla guida del fratello: Girone sconfigge tutti e quasi uccide il capitano (113-132)

113Presto a i comandi suoi vien esso fuore
co ’l numero c’ha detto, e si appresenta
ove del troppo indugio avea dolore
il buon Girone, e seco sen tormenta.
Quanti ne vede più tanto ha più core
e l’alma più di travagliare intenta,
ma poi ch’ei gli ha ben conti e che si avvede
che ’l numero di cento non escede,

114si volge al duce loro, e sorridendo
dice: «Pochi son questi alle mie voglie,
ma pur quanti si sien certo comprendo
che mai non rivedran quell’impie soglie
e ben mal volentieri impresa prendo
d’affaticarmi per sì brevi spoglie.
Or ditemi, signor, se dopo voi
mi renderà Nabone i prigion suoi,

115o s’ei vorrà combatter meco ancora
e provar contro a me quanto esso vale».
Risponde il capitan: «Prima ch’io mora
penso che voi starete tanto male,
altero cavalier, che forse fuora
sarete d’ogni cura o fatto eguale
a quei che son sotto il mio re là entro,
ciò è tra le catene o sotto al centro».

116Quando l’ode Giron, più non soggiunge,
ma di spazio a bastanza al correr piglia,
poi con tanto furore il caval punge
ch’empiea ciascun di tema e maraviglia.
A mezzo il scudo quel feroce giunge
sì che tosto abbandona sella e briglia,
e ’l terren della tosta in guisa stampa
che ben ch’ei viva de i mille un non scampa.

117Come il fero Nabon quel colpo vide,
tremò nel cor, benché sicuro sia;
chiama crudele il Ciel, le stelle infide,
sé maladice e l’impia sorte ria
ch’un tal fratello e tal guerrier gli ancide
in mezzo a tale e tanta compagnia.
Ma il Cortese Giron qui non si arresta,
che incontro a gli altri va con l’asta in resta.

118Il primo tutto nel traverso passa
e morto in terra subito lo getta,
cinque dopo quelle e via trapassa,
rotta la lancia ha in man la spada stretta,
ma la turba de i molti gir no ’l lassa
troppo lontan, che cerca far vendetta
del capitan perduto e de i compagni,
ma nessuno è di lor ch’assai guadagni.

119Che quantunque assai lance intorno gli hanno
dritti chi nelle spalle e chi nel petto,
gli fan tanto timore o tanto danno
quanto a gran toro un giovine capretto.
Et esso in guisa che crucciosi fanno
gl’istrici a quei de i quali odian l’aspetto,
ch’al primo intorno che vicin gli venne
scotendo avventan le pungenti penne,

120tal crollando Girone o spalla o braccia
facea dell’aste in verso quelli stessi
che ’l percotevano, e tanti a terra caccia
che non si truova più chi se gli appresso,
e tutti messi già sariensi in caccia
per poco più che il duce lor ristessi
a dar soccorso, il qual, già risentito,
con l’aiuto de i suoi fu risalito.

121E, confortando, quei veloce sprona
ove Giron ne ancide quanti truova,
fa ritornar chi in fuga s’abbandona
e la già spenta guerra ivi rinnuova.
Già di più liete grida l’aria suona
che ’l riprendere speme a tutti giova,
già son co ’l capitan ristretti insieme
e ’l possente nemico ogni uom ripreme.

122Ma il buon Giron, che scorge esser risorto
più che mai sano il crudo capitano,
il qual creduto avea per terra morto,
più s’apparecchia a bene oprar la mano;
non ha sbigottimento o disconforto,
anzi n’è lieto, giudicando strano
e meno onor per lui se finita era
in sì poca ora una quistion sì fera.

123E s’addrizza vêr lui che a corso viene
ben cerchiato da i suoi per vendicarse,
dicendogli: «All’antiche nuove pene
raggiugnerai, s’elle non fien più scarse
le forze mie, che non potèr sì bene
per un sol colpo intere palesarse,
come or faran con questa chiara spada
che ti farà trovar l’ultima strada».

124E ’n questa il vuol ferir sopra la fronte
ma lo scudo ch’alzò ne lo difese,
e come fatto avria, credo io, d’un monte
ne mandò in basso quanto in alto prese.
L’altro, con voglie riscaldate e pronte
d’un gran riverso a suo poter l’offese,
e ’l venne a ritrovar sopra le spalle
ove l’usbergo par che alquanto avvalle.

125Quando il sente Giron, e ’ntorno scorge
più che mai forti gli avversari suoi,
e se non si risveglia ben s’accorge
che tardo fora il suo valor da poi,
e con questo pensiero un colpo porge
al capitan che val per più di duoi
sopra la testa, e lo stordisce in guisa
che l’anima è da lui quasi divisa.

126Abbandona la briglia e poi la spada,
ben che attaccata sia dalla catena,
e ’l buon Giron, che non vuol più ch’ei vada
come andò prima, e cerca uscir di pena,
lascia gli altri così, solo a lui bada,
per guardar ben ch’ei non ritorni in lena;
s’appressa, e con la destra all’elmo il prende,
ma la sua turba quanto può il difende.

127Non si cura ei di loro, e tutto inteso
in costui sol quanto più può si crolla,
di lupo in guisa che ’l giovenco ha preso
per far di lui la fame sua satolla,
sopra cui grande stuol sia poi disceso
di pastor giovinetti, e chi la zolla,
chi la pietra gli avventa, chi ’l bastone,
e chi sola in gridar sua speme pone,

128et ei, senza di quei cura tenere,
nella presenza lor tutto divora:
cotal Giron poteva ivi parere,
in mezzo a tanti e con un solo allora,
e tanto in qua e là scuote il cimiere
ch’al fin gli ha tratto della testa fuora
il possente elmo, e da lui il tira lunge,
poi contr’a gli altri il caval ratto punge.

129Lì ne pose alla terra quattro o sei
solo in due botte, e cinque nella terza.
Scerner non si poteano i buoni o i rei
tale è la tema egual che tutti sferza.
Ride in suo cor quel re de i semidei
e tra costor nella maniera scherza
che domestico e giovin lioncello
se di piccioli can truova un drappello.

130Quando s’accorge al fin che fugge ogni uomo,
ritien fero il caval e guarda in alto,
quasi dicendo: «Poi che ’l primo e domo,
chi vien secondo al periglioso assalto?».
Diventa del color d’acerbo pomo
Nabone il Nero, e gli occhi nello smalto
tal fissi tien qual il villan che vede
le gregge e i frutti suoi dell’onde prede.

131Stan gli altri intorno, e già consiglio danno
che si cerchi d’aver per altra via,
dicendo che ’l fratello ha co ’l suo danno
pagato il fio dell’alta sua follia,
ma s’ei si torna a fabbricargli inganno
che scampar possa a pena il Ciel faria,
e la falsa donzella s’era offerta
di farlo prigionier per cosa certa.

132Giunta è la notte, e ’l buon Girone stanco
si tira ove sapea nella foresta.
Là truova il buon romito afflitto e bianco
che ’l poco albergo volentier gli presta.
Tratto l’elmo, al vigor che venìa manco
di povera vivanda ch’avea presta
dona ristoro, e con l’altre arme intorno
dà riposo alle membra infino al giorno.