Alla serenissima madama Margherita di Francia, duchessa di Savoia e di Berrì
Madama, tale fu sempre la divozione e riverenza di mio padre buona memoria verso l’Altezza Vostra da che il Cielo gli fece grazia di conoscerla e mentre egli visse, e tali furono parimente i benefici che dalla reale cortesia di lei ricevette, che egli niente più in questo mondo (doppo la grazia di Dio) desiderava che di poter commendare e lodare le celesti virtù onde ella è divinamente ornata, acciò che, in un medesimo tempo, mostrandosi in qualche parte riconoscente e grato potesse ancora dar vita per molti e molti secoli, in quanto possibile gli fosse, al raro, infinito e divino valore di Vostra Altezza.
Aggiugnevasi a questo, che essendo la maestà cristianissima della regina seco, con istrettezza di real sangue, con nodo indissolubile di perfetto amore e con legame chiarissimo di nobilissime virtù congiunta talmente che non due ma una sola anima paressero, anzi veramente fossero, le vostre, gli pareva, mentre ch’ei s’ingegnava con la sua penna d’onorar l’una, che ambedue il medesimo onore ricevessero. E nel vero non si possono la bontà, la liberalità, la clemenza, la pietà, la prudenza, la religione e mille altre reali e altissime virtù dell’una lodare che dell’altra parimente non si lodino, con ciò sia cosa che ambedue sete di esse valorose posseditrici. O veramente celeste e divina coppia!, la quale, mentre che Dio al mondo concederà, questo cieco et errante secolo potrà sempre scorger la strada, onde sicuramente si poggia ad acquistarsi la gloria chiara quaggiù et eterna poi nell’altro regno.
Ma dove mi trasporta la mia umilissima divozione verso di loro e il desiderio ardente di onorarle, s’io potessi, co’ miei scritti? Troppo basso è il mio intelletto a dovere di così alto soggetto ragionare, benché a pena lingua umana sia degna di parlare della divina loro eccellenza. Perché ritornando là, onde per devotissima affezione mi era dipartito, dico, Madama, che avendo mio padre buona memoria desiderio, come ho detto, e di mostrarsi grato all’Altezza Vostra e di aggiungere, quanto ei potesse, splendore alla luce delle sue virtù, tolse a comporre un’opera per dedicarla al real nome di Vostra Altezza. Nella quale egli ha voluto imitare, in quanto gli è stato possibile, l’Iliade del grande Omero, perciò che dove in quella l’assedio di Troia si descrive, in questa l’assedio di Borges si dimostra; la qual città per molti si crede che anticamente fosse Avarico detta, onde egli ha poi la presente opera AVARCHIDE cognominata. E questa città scelse per soggetto perciò che ella è capo della ducea di Berrì, della quale l’Altezza Vostra è degnamente duchessa. Come Vostra Altezza vedrà degnandosi di leggere questo libro, sì come so che per sua reale cortesia farà volentieri, egli ne gli assediati ha dipinta la superstizione che anticamente, avanti che la venuta del nostro Signore Giesù Cristo avesse il cieco mondo illuminato, osservavano gli uomini verso gli dèi falsi e bugiardi; et in quelli che oppugnavano la città era la vera, santa e diritta nostra religione, i quali giustamente fece egli nel fine vittoriosi. E riconoscerà Vostra Altezza a i nomi antichi de’ valorosi cavalieri, degli alti principi, e de’ potenti re, così del regno cristianissimo onde ella è uscita, come della gran Brettagna (oggi Inghilterra detta) e di molte altre nobili e famose provincie, et in somma vedrà che egli con ogni studio e diligenza si è ingegnato di volere quasi una toscana Iliade formare, il che se gli è venuto fatto, me ne rimetto al giudicio de’ benigni e più scienziati uomini, perciò che io per poco sapere e per molta affezione potrei esser ripreso che, o con animosità o come poco intendente giudicio ne facessi, come che io non voglio negare ch’io non mi reputi a grande onore e gloria che tale opra dall’ingegno del mio riverito et amato padre e signore uscita sia.
Il quale, Madama, pochi giorni avanti alla sua morte, tra molte altre cose d’importanza, questo suo libro caldamente mi raccomandò, con paterno affetto pregandomi che, facendolo stampare, sotto il chiarissimo e real nome di lei in luce il dovessi mandare, poi che la morte, che gli soprastava (e che in men di due giorni poi da questo basso mondo il separò) gli toglieva il mandare ad esecuzione questo suo desiderio ardentissimo. Né mi poteva egli per lo ultimo più chiaro né più caro farmi comandamento che di eleggermi perch’io dovessi a nome suo a Vostra Altezza della presente opera fare umilissimo dono. Il quale mi assicuro che le doverrà essere non mediocremente grato, poi che le viene da chi fu divotissimo e caro servidore del grandissimo Francesco suo padre, e che non con minor fedeltà e favore servì lo infittissimo re Arrigo suo fratello, e che ha forniti i suoi giorni nell’umilissimo servigio della maestà della regina cristianissima e dell’Altezza Vostra, la quale riverentemente supplico che acquisti qualche poco di favore a quest’opera il mandargliele io, che niuna cosa ebbi più vivamente già mai scolpita nel cuore (doppo il servigio di Dio) che il servire con ogni dirittura e lealtà alla cristianissima regina e a Vostra Altezza, alla quale, et al serenissimo signor suo consorte, et al signor principe lor figliuolo, riverentemente inchinato, con ogni umiltà e divozione baciando le reali e serenissime mani, prego nostro Signore Dio che come ha fatte l’Altezze Vostre in ogni divina virtù singolari, così sempre più con la sua grandissima grazia e favore le accresca et esalti.
Di Parigi, alli 20 di settembre, 1570.