A i dotti e giudiciosi lettori
Solevano anticamente gli abitatori della provincia di Babilonia esponere in publico i loro infermi, acciò che da quegli che passavano fosse loro insegnato rimedio onde potessero consolarsi. Il medesimo ancor io mi sono risoluto di fare, perché trovandomi questo mio parto colmo di mille infirmità e di mille imperfezioni, ho voluto esporlo in publico, acciò che da voi mi sia insegnato rimedio per ridurlo, se non in tutto, a sanità e perfezione, cosa ch’io veggio ben non esser possibile, almeno a tal termine ch’egli possa comparir fra la gente. Vi prego adunque, per la benignità e cortesia vostra, che non vogliate né in publico né in provato lacerarlo, come usano di far molti per mostrarsi intelligenti e galant’uomini, ma i difetti che troverete in questo mio povero infermo vi prego a volerli scoprire amorevolmente a me, o a bocca o in scritto, cosa che non solo mi sarà sopramodo grata, ma ve ne avrò obligo perpetuo e vi prometto nell’altra edizione di corregermi.
E state sani.
Di Bologna, a i 24 di dicembre 1565.
Tavola storica
Nella CCLVIII Olimpiade, l’anno dalla edificazione di Roma 1006, e dalla natività di Cristo nostro salvatore 266, con grandissima speranza e desiderio non pur del Senato e del popolo romano, ma quasi di tutto il mondo, fu da i soldati di Germania eletto imperator Cornelio Licinio Valeriano, uomo e per nobiltà di sangue e per costumi lodevoli e per infinite altre virtù, in quella età sopra tutti gli altri chiarissimo. E perché in breve spazio di tempo molti suoi predecessori nell’imperio erano stati uccisi di morte violenta, mentre la repubblica romana sotto il governo di così saggio e moderato principe tenea maggior speranza di riposarsi e di prender ristoro de gli avuti danni, incorse nel più grave pericolo ch’ella facesse giamai per tempo alcuno, perciocché il re di Persia, antico emulo de l’Imperio romano, veduto quello per la occisione di tanti principi posto in grandissimo disordine, divenuto insolente e temerario, ragunò un grande e poderoso essercito, e passato il Tigre facea gravissimi danni nella Mesopotamia; alla qual cosa volendo riparare Valeriano: con grandissimo numero di soldati anch’egli, per raffrenar l’impeto del re barbaro, si mosse contra di lui. Ma, tradito da i suoi familiari medesimi, con perdita di quasi tutto l’essercito, divenne prigione del re di Persia, appresso del quale visse qualche tempo in servitù crudelissimamente trattato.
Tra gli altri nobili romani in questo conflitto si trovò presente Ceionio Albino, nobilissimo sopra tutti gli altri, imperoché della stirpe sua, parte innanzi a lui e parte dopo, sono stati sette imperatori augusti, e tre che solo ebbero il nome di Cesare, oltra tanti altri dotati di somma ricchezza e di sommo valore. Et egli fu figliuolo di quel Ceionio Albino che, essendo prefetto di Roma, era chiamato padre da Valeriano Augusto; costui, per la felicità sua, che sempre tutte le cose gli riuscirono in bene, fu addimandato Eutropio. Finalmente, di poi, questo Ceionio Albino suo figliuolo, dal quale il presente poema riceve e nome e materia, fu onorato di diversi nomi: i gentili furono Nummio Ceionio Albino; ereditò anco dal padre il nome d’Eutropio; e per la bellissima forma del corpo e venustà del volto suo fu detto Calisto; per la pietà usata in diverse maniere verso di Valeriano Augusto suo signor prigione e per la costanza e fortezza contra tanti e diversi assalti della fortuna avversa fu addimandato e Pio e Costante, il qual nome passò ne’ suoi posteri, essendo tutti gli altri quasi posti del tutto in disuetudine.
Egli lasciò un figliuolo unico, il qual fu addimandato Nummio Ceionio Albino Eutropio Costante, ma il nome d’Eutropio fu il più frequentato di tutti gli altri, così in bocca delle genti al tempo suo come poi da gli scrittori. Similmente, avendo questo Eutropio lasciato un figliuolo unico, fu addimandato Costante, overo Costantino Cloro; e, dall’avo suo, da alcuni fu detto Pio, tacendo tutti gli altri nomi; e questo fu imperatore augusto e padre di Costantino Magno, che portò la fede de l’Imperio in Tracia dentro da Bisanzio, e la nomino da lui. Da Costantino discesero poi Costante e Costanzo e Costantino, che dopo lui tutti furono imperatori augusti.
Costante Pio, adunque, lasciando ogni altro nome da parte, come si può vedere per autorità da molti storici autentici discese per linea retta da Enea, e per conseguente da Venere, parlando poeticamente. E ritrovatosi presente al fatto d’arme quando Valeriano Augusto suo signore fu fatto prigione, dopo ch’egli ebbe operato tutto ciò che per lui si poteva, vedendo non esser bastante a poter riparare che non seguisse il caso, dolente sopra modo, ancor che fosse alquanto ferito nel volto, se n’andò a Roma con sì gran velocità che prevenne la fama di questo caso; e, fattone in secreto consapevole Galeno, figliuolo di Valeriano, gli diè aiuto e consiglio in stabilir l’Imperio. E fatto questo lo dispose a voler con grandissimo essercito mandare alla ricuperazione del padre; del quale essercito costituì Costante capitano in suo loco, non gli parendo cosa sicura ch’egli in quei frangenti abbandonasse Roma.
E mentre Costante adunava l’essercito per andar con gran celerità all’impresa, secondo che la necessità ricercava, Galeno, che infino allora si era mostrato savio e modesto e pietoso verso suo patre, come agitato dalle Furie in un subito si mutò di volere, e preso gran sospetto di Costante, per vederlo così grato al popolo romano et alle provincie, non pur non volse più ch’egli andasse alla ricuperazione del padre imperator dell’essercito in Oriente ma disciolse l’essercito e cercò con inganno di uccider lui; del che avedutosi, Costante fu constretto a fuggirsene.
Galeno rimase in Roma, e datosi in preda ad ogni sorta di vizi fu peggior di Caligula, di Nerone, di Domiziano, di Comodo e d’Eliogabalo, talché tutti quegli ch’erano stati posti da Valeriano suo patre al governo delle provincie si ribellarono a lui; e, gridati da i loro esserciti imperatori et augusti, Roma si trovò in un tempo medesimo in diversi lochi aver trenta imperatori, tra i quali furono due donne, ciascuna di loro illustre quanto altra antica e moderna di cui si abbia memoria, cioè Zenobia e Vittoria: quella fu imperatrice d’Oriente, e Vittoria dominò tutte le parti settentrionali, come Francia, Fiandra, Scozia, Ibernia e Inghilterra, con altri lochi et isole adiacenti; questa divenne moglie di Costante, come si vedrà nel poema di parte in parte.
L’autore intende allegoricamente di mostrare che Dio privò gli imperatori gentili dell’Imperio di Roma per la impietà loro e per molti altri vizi ne i quali erano del tutto immersi, e in vece loro vi pose i pontefici cristiani adorni d’altrettanta pietà e d’ogni altra virtù.