Proemio (1-3)
1D’Austria l’invitto e glorioso duce
di barbariche spoglie adorno io canto,
vero splendor d’Esperia e vera luce
di Roma, e gloria del monarca santo,
mentre i satrapi avinti e servi adduce
de l’empio Turco e temerario tanto,
che non satollo ancor di sangue giusto
por volea il giogo a l’Adria, al grande Augusto.
2Ne la più verde età questi e ne gli anni
acerbi suoi rende la gloria oscura
di quegli eroi che al Ciel spiegaro i vanni,
già d’anni carchi e già d’età matura;
dal Ciel mandato a noi dunque, o Giovanni,
deposta alquanto ogni più grave cura,
per la mia lingua ascolta intento, a gloria
del Padre Eterno, la tua gran vittoria.
3Ma tu, vero uomo e Dio, che da la frode
del serpe hai col morir salvati noi,
apri la bocca mia, fa’ che si snode
la rozza lingua, ché sol far lo puoi,
ond’io possa cantar la vera lode
del gran Giovanni e de i moderni eroi;
fa’ che il mio dir sia dal primier diverso,
alzando a par del gran soggetto il verso.
Riassunto dell’avanzata ottomana verso Occidente (4-10)
4L’empio infernal Satan, perverso e rio,
che a danni sempre de i mortali attende,
trionfar visto il gran Figliuol di Dio,
il cui poter nel centro ancor si estende,
e che dal sangue sparso, ond’ei morio,
vigore ogni nostr’opra e merto prende,
non resta mai di rabbia e d’ira ardente
d’assalir, d’ingannar l’umana gente.
5E suscitando ognor vari e diversi
eresiarchi e nuovi e falsi dèi,
tra gli Africani e i Frigi e i Siri e i Persi,
Donatisti, Arriani e Manichei,
fe’ sì che molti al fin restàr sommersi
tra le procelle de i costumi rei,
tra l’onde e tra gli scogli de le false
dottrine, ond’ei l’ignara plebe assalse.
6D’uno idiota ne la lingua infuse
d’Eraclio primo al tempo atro veneno,
e sì per tutta Arabia lo diffuse
che ne rimase ogni alma, ogni cor pieno;
lasciò le menti ancor dubbie e confuse
d’errori dentro a l’africano seno;
poi macchiò di dottrina iniqua e rea
l’Eusino e il mar di Licia e l’onda Egea.
7Né di ciò sazio, né di ciò contento,
già si avicina il trecentesim’anno,
perché di Cristo il vero lume spento
restasse, suscitò l’empio Otomanno;
che, a guisa d’uno austral torbido vento,
parte con forza e parte con inganno,
non pur di nostra fé le cime eccelse
quivi atterrò, ma le radici svelse.
8Non ti bastò, Satan, rio mostro atroce,
già chiusa in tutto aver fuor de le porte
d’Africa e d’Asia l’onorata Croce
di Cristo, onde scampar si può da morte,
scudo vero de l’uom contra il feroce
colpir de la mondana instabil sorte,
ch’anco in Europa l’odiata insegna
spiega il rio Turco e in Occidente regna?
9Non pur l’Emonio e il Geta e il Trace sente
l’ottomano giogo, e il Miso afflitto,
ma l’Epirota e il Greco ognor dolente,
piange col segno d’Alessandro invitto,
Dacia e Pannonia in guerra già sì ardente,
che alcun termine a quel non è prescritto,
Dalmazia, Illiria, e l’esca accesa e il zolfo
portando, abbrucian d’Adria il vicin Golfo.
10Di Rodi ancor dirò, ch’alto sostegno
de la candida Croce esser solea,
contra cui Soliman l’arte e l’ingegno
volse a i dì nostri, e ciò ch’ei far potea,
con quel sì nobil, sì pregiato regno
dond’ebbe il nome la ciprigna dea,
posto in periglio e tolto già con arte
del bel regno di Pelope gran parte.
Gesù rincuora la Madonna e le pronostica l’avvento di un grande capitano (11-21)
11Ma l’alta Dea, che del gran Padre Eterno
siede al conspetto umile e gloriosa,
del Dio che vive e regna in sempiterno
pia matre, cara figlia, unica sposa,
visto per tal cagion nel cieco Averno
tanti cader, per nostro ben pensosa,
con fosco sì, ma con stellante ciglio,
s’inginocchiò davanti al suo gran figlio,
12cui disse a capo chino: «O Re del Cielo,
che libri e la giustizia e la pietade,
con pari lance, e che il corporeo velo
prendesti, d’amor colmo e d’umiltade,
non vedi suscitar l’antico Belo,
che priva ogni mortal di libertade
per forza, e ch’empie a quei le menti e i cori
d’idolatria, di falsità, d’errori?».
13Poi seguitò dolente, e sospirando:
«Per questo ventre, ove ti dei ricetto,
e per quel latte che suggesti, quando
degnasti d’essaltar quest’umil petto,
il miser seme uman ti raccomando,
che del tiranno oriental soggetto
non sia, ché il Padre avria permesso a torto
che stato fosti e crocefisso e morto.
14Se del perfido Scita e crudo, in mano
conchiuso hai pur che tutto cada il mondo,
l’infernal serpe il fragil seme umano
rapirà tutto nel tartareo fondo,
tal che avrai spesa ogni fatica in vano,
e dal sublime tuo regno giocondo
sarai disceso in van, ché per scamparne
sol da quel mostro hai presa umana carne».
15Seguir volea molt’altre cose ancora
del gran Rettor del Ciel l’afflitta Madre,
ma tra le braccia sue senza dimora
l’accolse il figlio del superno Padre,
dicendo: «O dea del Ciel, vicina è l’ora
che un divin duce, d’alte e di leggiadre
maniere adorno, vinca il crudel Trace,
dando e salute a l’universo e pace.
16Del seme illustre d’Austria un giovanetto
solo a trofei, solo a trionfi nato,
di maturo pensier l’animo e il petto
in quella acerba età colmo e dotato,
fin da principio in mente nostra eletto
fu duce a l’alta impresa e prorogato
tanto il termine abbiam per cagion nota
solo al secreto nostro, a gli altri ignota.
17Questi dal nascer suo, diece e diece anni
non conosciuto ancor, tosto risorto
d’aurea corona adorno e d’aurei panni,
d’Europa afflitta fia speme e conforto.
Ma pria, messo divin, novel Giovanni,
forte, prudente, grazioso, accorto,
veder farassi a Naupato, a Corinto
ben degno germe del gran Carlo quinto.
18Ch’ivi le navi tutte e i duci accolti,
del Trace mostro da l’adunco artiglio,
volgendo arditi quei d’Esperia i volti,
con la forza del duce e col consiglio,
parte sian presi e parte in fuga volti,
e parte il golfo renderan vermiglio
del sangue lor barbarico, e memoria
non fu né fia giamai d’egual vittoria.
19Tra quanti nel mar vari e diversi
conflitti furo, a Mila, a Lilibeo,
tra i Fenici e i Romani, e i Greci e i Persi,
nel Tirren, ne l’Ionio e ne l’Egeo,
con quel già tanto celebrato in versi,
che monarca del mondo Augusto feo,
questo sol passarà d’ogn’altro il segno,
e più di gloria il vincitor fia degno.
20E sol per tal cagione un padre santo
m’ho serbato che nasca in questa etade,
che di tre mitre e d’aureo sacro manto
adorno, e di prudenza e di pietade,
destro farà, con pazienza tanto,
che unito a tempo insanguinar le spade
vedrassi ogni buon principe a difesa
e d’Adria e d’Austria e de la santa Chiesa.
21Questi, d’ogni altro affetto in tutto privo,
che sì d’ogni mortal l’animo ingombra,
sol quello apprezza, onde il mio nome divo
si onora, il resto tien qual fumo et ombra:
l’argento e l’oro ha tanto e i regni a schivo,
e da sé tanto ogni altra cura sgombra,
ch’ogni dissegno van dal suo cor tolto,
sol tutto è sempre a la mia gloria volto».
Michele viene inviato dal Papa a dare conto del progetto divino (22-35)
22E così detto l’incarnato verbo,
chiamato a sé quell’Angel glorioso,
che in discacciar dal Ciel l’angel superbo
carco di palme ritornò pomposo,
gli disse: «O fedel mio, cui sol riserbo
a rare imprese, va’ dove in riposo
siede quel pio Pastor, ch’ei giusto regge
tutte in vece di noi l’umane gregge,
23e gli dirai che ognor la notte e il giorno
vegghiando attenda sol per ogni via
fuor d’Italia e di Gallia e d’ogn’intorno
a spianar la già nata empia eresia,
che al fin di palme e di trionfi adorno
l’accoglierò con questa destra mia;
ma pria del rio Selim, non mai satollo
del cristian sangue, vincitor farollo».
24E, così detto il gran Rettor sovrano,
l’Angelo pronto ad ubidirlo, tosto
chiamato avendo Zefiro, quel vano
passò che fra la terra e il Ciel fu posto,
e giunto al Tebro e quindi al Vaticano,
l’alto splendor divin prima nascosto,
mostrossi a quel gran Pio che il Ciel superno
ha d’aprir forza, e di serrar l’Inferno.
25Come d’alto veggiam scender veloce
canoro cigno, che l’amata sponda
già del Meandro ha vista, o l’ampia foce
del bel Caistro, o del Sangario l’onde,
che senza mandar fuori o canto o voce,
perché al desio l’effetto ancor risponda,
se stesso accusa d’esser tardo, e tende
le bianche penne, e l’aria e l’aura fende,
26così quella suprema illustre stanza,
calando in fretta, il divin nuncio lassa,
e pien d’ardente zelo e di baldanza,
le nubi e l’aria in un momento passa.
Sul Tebro poi, d’un frate la sembianza
già presa, con la fronte crespa e bassa,
col manto oscuro, al Pio gran Padre Quinto
dritto sen gìo, di bianca toga cinto.
27Benché d’ogni fallir puro e innocente
quel sommo Padre fosse, per mostrarsi
a la divina legge obediente,
e per l’essempio nostro confessarsi,
da questo fraticel solea sovente,
e prostrato umilmente inginocchiarsi,
come stato egli fosse e colmo e carco
di colpe, e non com’era e vòto e scarco.
28Dunque del venerabil sacerdote
presa la forma il messaggier di Dio,
con lunghi panni e con pallide gote,
compare innanzi al Pastor sommo Pio,
che tra persone semplici e devote,
posto ogni altro pensier tutto in oblio,
di Pietro si dolea veder, da grave
procella scossa, la già stanca nave.
29Per quel giugner che fece a l’improviso
l’Angelo beato, conturbossi alquanto
prima il sommo Pastor, ma poi con viso
lieto l’accolse, che ʼl conobbe intanto;
a cui sorto dal seggio ov’era assiso,
l’Angelo disse riverente: «O Santo
Padre, per grande e necessario effetto
da Dio per suo vicario in terra eletto,
30saper ti fo per nome suo che posta
da parte ogni altra, e sia pur grave, cura,
solo abbi a discacciar l’alma disposta
l’eresia, ch’or sen va lieta e sicura.
E se pur dianzi star solea nascosta
ne gli antri e ne le selve per paura,
non pur lunge in Britannia oggi dimora,
ma fra l’Adria e il Tirreno e l’Alpe ancora.
31E diligente ciò, cauto e severo
facendo, ti assicuro e t’imprometto
che ogni tuo santo, ogni tuo bel pensiero
giugnerà tosto al desiato effetto;
e il mostro oriental rigido e fero,
che sì ti cruccia e sì t’affligge il petto,
fia rotto, e i duci suoi sian parte estinti,
parte avrai sotto i piè di lacci avinti».
32Ciò detto il divin messo un vaso aperse,
ch’era pien di celeste almo liquore,
e la stanza di quel tutta consperse,
spirando al suo partir soave odore.
Solo rimasto, il Pastor Pio diverse
cose tra se volgea, lieto nel core,
che al suo ratto apparir la data noia
l’Angel partendo al fin converse in gioia.
33Cauto e severo poi sempr’ebbe intenta
la mente a ciò di Roma il pio monarca,
tal che l’ampia eresia pe tutto spenta
fu, d’abuso e d’error l’Ausonia scarca;
perciò, con l’alma ognor lieta e contenta,
reggea tranquilla la già scossa barca,
cessati gli Euri e quei Vulturni in tanto
che l’agitaron con periglio tanto.
34E con l’essempio de i costumi suoi,
quel Pastor giusto, ch’ogni mandra regge,
fe’ sì gran frutto che d’intorno poi
molti pastori di private gregge,
Veneti, Insubri, e Cenomanni e Boi,
con gran prudenza la divina legge,
languida et egra pria, sanaro in guisa
ch’ogni ria pianta al fin restò recisa.
35Giochi e furti e bestemmie e liti e risse
cessaro almen, se non in tutto, in parte;
cessàr le false opinioni fisse
ne i vani petti da Satan con arte,
con quel che tanto già l’Italia afflisse
crudel furor del furibondo Marte;
e de i passati danni ampio ristoro
prendendo ogni un, surgea l’età de l’oro.
Satana sotto mentite spoglie consiglia Selim a muovere guerra alla cristianità (36-62)
36Belzebù rio, per ciò vinto e conquiso,
star non potendo impaziente al segno,
da tanto essempio visto il Paradiso
già ricco farsi e povero il suo regno,
la forma si vestì, l’abito e il viso
d’un gran turca Bassà colmo d’ingegno,
che nome avea di saggio e di prudente,
se prudenza può star fra quella gente.
37Con l’autorità sua, col suo sapere,
con l’astuzia, con l’arte e con l’inganno
l’Oriente reggea, mentre in piacere
stava la notte e il dì Selim tiranno,
le torme de i cavalli e l’ampie schiere,
che sempre al gran signor la guardia fanno,
reggendo; avea per moglie la sorella
d’esso gran turca, e figlia assai di quella.
38Purpurea fino al piede avea la vesta,
di fregi adorna e di ricami d’oro
d’un sottil velo; col turbante in testa,
per le gemme stimato un gran tesoro,
con arte tal ciascuna in quel contesta,
che cedea la materia la bel lavoro,
e quel finto Bassà, benché già bianco
di pelo, era però gagliardo e franco.
39Con forma tal de l’infernal Baldacco,
Belzebù re si mostra al crudo Trace,
che ancor non sazio di piacer, ma stracco
di sua natura, volto era a la pace.
Devoto sol di Venere e di Bacco,
d’altra religion non si compiace,
ma nel serraglio i giorni suoi dispensa
tra meretrici, e tra cinedi a mensa.
40E sotto i panni ascoso il fero artiglio
riverente gli disse in tal maniera:
«Signor, cui dir potrei con ragion figlio
per l’amor grande e per la fede vera,
oltra l’età c’ho spesa in gran periglio
gran parte, e tutta in gran disagio intera,
per accrescer l’impero al tuo gran padre
contra i Cristiani et altre genti ladre,
41vengo teco a parlar sicuramente,
e come padre e come fido servo,
che tal mia fedeltà, mia retta mente
tutta in servigio tuo pronta conservo,
ancor che per l’età siano in me spente
le forze, il vivo ardor, l’antico nervo;
pur qual fia l’uno e l’altro, come io soglio
per te la vita espor mai sempre voglio.
42Io, ch’altro pensier mai non tengo in core
mentre risplende il sol, mentr’è sotterra,
che a l’immortal tua gloria, al vero onore,
ch’altro apprezzar più non si deve in terra,
giudico necessario, alto Signore,
per conservarlo che tu facci guerra,
ch’oltra le palme de i maggiori tuoi
ornarti ancor de le tue proprie puoi.
43E nel principio del tuo impero tanto
più necessario che ciò facci parmi,
acciò che chiaro il mondo veggia quanto
tu sei possente e valoroso in armi.
Perciò gli antichi tuoi riportan vanto
fra i duci alteri, e son scolpiti in marmi,
e i nomi loro eternamente illustri
saran, non pur mill’anni o mille lustri.
44Per starsi in ozio quel gran duce altero,
avolo tuo, Selim, più ch’altri invitto,
non acquistò sì glorioso impero
in Siria, in Media, in Persia et in Egitto;
ma che dirò di quel gran nume vero
che andò morendo al Ciel per camin dritto?
Quel caro mio signor, tuo padre dico,
che sì del guerreggiar fu sempre amico.
45Del tuo star pigro e neghittoso, uscire
molti danni potrian, scandali molti,
perché prendendo i tuoi nemici ardire,
dal freno del timor liberi e sciolti,
varie provincie tue veggio assalire,
e sottosopra i popoli rivolti,
che in tante parti a pena ora acquetarsi
veggiam, potriano a te poi ribellarsi.
46Dir ti potrei molte altre cose ancora
per dimostrarti ciò, pur mi confido
ch’avendomi provato in prima d’ora
già tante volte per leale e fido,
crederai che il mio dir tutto esca fuora
dal cor, dove la fede mia fa nido;
e quel c’ho già veduto a mille prove,
l’esperienza oggi a dirti mi move».
47Ciò dicendo un raggio dentro al petto
per gli occhi a quel mandò, d’atro veneno,
che fascinollo con mirando effetto
nel cor già pria di rabbia e d’ardor pieno,
tal che il tiranno fu spinto e constretto,
qual desir facil da voltar col freno,
a lasciarsi guidar là dove vuole
quel mentitor di faccia e di parole.
48E gli rispose: «O saggio amico mio,
di cui non ho più fido e più sincero,
altro non posso, né vuo’ dir, perch’io
tutto confermo il tuo parlar per vero;
ma questo ancor da te saper desio,
ch’altro oggetto non hai dentro al pensiero,
che del tuo re l’onor, l’util, la gloria,
dove io possa sperar maggior vittoria:
49tu sai ch’essendo il nostro imperio grande,
egli ha confini ancor molti e diversi,
tal ch’io posso assalir da varie bande
Latini, Arabi e Moschi e Sciti e Persi,
dunque dove ti par che pria si mande
l’armata nostra? Che se mai ti apersi
il core, oggi tel mostro, e pronto sono
a seguir sempre il tuo consiglio buono».
50Col capo chino e con la destra al petto,
rispose il rio demonio riverente:
«Signor, più non devrei quel c’ho già detto
ridir, ma pur dirò questo umilmente:
che a la corona tua non hai soggetto
che a par di me sincero abbia la mente;
ma ben potria l’età, com’è costume,
forse offuscarmi del giudicio il lume.
51Non mi par contra il re di Persia ch’ora
di gir sia tempo, che tra i suoi confini
ben forte e ben munito fa dimora,
fra i lochi alpestri a i regni tuoi vicini,
e tra voi dura e tregua e pace ancora,
giurata in su gli altari alti e divini;
ma nascerà ben tosto occasione
d’aver l’Armenia almen tua di ragione.
52Tartari o Sciti ancor giudico bene
non provocar, non romper lor la fede,
ché talor quando in mente mi soviene
del Tammerlan, tremo dal capo al piede;
ma che più tosto a quei soldo e mercede
largamente si dia, con questa spene,
che ti porgano a loco e tempo aita
contra il re Perso e contra il Moscovita.
53Che in tanto anch’ei non sia con nuove offese
provocato mi par, perché de i Moschi
aperto essendo e pian l’ampio paese,
pien di paludi e di fangosi boschi,
queste poco sarian lodate imprese,
come ancor penso che tu ciò conoschi;
perché con l’arme il gir contra costoro
saria come il pescar con gli ami d’oro.
54Così dirò de gli Arabi, persone
fallaci, e che scorrendo ognor sen vanno,
senza giudicio alcun, senza ragione,
privi di forza e colmi sol d’inganno.
Ciascun tuo duce quella regione
che regge guardar può dal costor danno;
parmi che sia questa vil gente indegna
contra cui l’armi volga o spieghi insegna.
55Ma che lo sforzo tuo debba esser volto
parmi contra i cristiani in Occidente,
contra il Veneto prima, e quando tolto
gli avrai di Cipro il regno in Oriente,
che ti succederà facil, con molto
scorno di tutta la cristiana gente,
Corcira ancor vuo’ che gli togli, e Creta
col rimanente, che nessun tel vieta.
56Né temer punto che i cristiani uniti
ti dian contrasto in terra, o con l’armata
vengan per depredar gli ampi tuoi liti,
e men contra di te per far giornata,
che mai non fur, né mai son tanto arditi,
gente sol per delicie al mondo nata.
E co i Belgi e co i Mori a tutte l’ore
quel re contrasta, ch’è tra quei maggiore.
57Che Cesar anco unir seco si possa
non dubitar, che la Germania piena
d’odio e di sdegno, e d’eresia commossa
si guarda ogni un dal suo vicino a pena;
e sì d’Augusto è già debole e scossa
la forza, che i vassalli suoi non frena,
e teco starsi avrà di grazia in pace
tra se stesso confuso e poco audace.
58Non sai ne la città d’Adria regina
che molti ancor difendon la tua parte,
tal che sperar sen può certa ruina
per le voglie tra lor divise e sparte?
Nessuno a l’util publico camina,
ciascun dal giusto, ingordo, si diparte,
non mai d’aver satollo e non mai stanco,
d’ingiuriare altrui già crespo e bianco.
59E quando pur s’unisser tutti insieme
Germania, Italia e di Filippo i regni,
il re de’ Galli, con le gente estreme
de l’Anglia romperà gli alti dissegni,
e rotta in tutto la già presa speme,
susciterai tra lor novelli sdegni,
e scoprendosi quei ch’erano occulti,
per tutto nasceran risse e tumulti.
60Ma posto ancor ch’uniti fosser, questo
più ch’altra cosa grato a me sarebbe,
poi che la palma e trionfo manifesto
d’essi con più facilità si avrebbe;
l’Ispano al Gallo, e l’Italo molesto,
l’uno a l’altro ubidir mai non vorrebbe,
tal che per le discordie lor palesi
sarian tutti sconfitti e morti e presi.
61E se pur dianzi t’ho, signor mio, detto
ch’a i Persi romper non si dèe la pace,
co i Veneti non ho simil rispetto,
anzi di violarla a lor mi piace;
non sai che del gran padre Macometto,
più d’un discepol morto in Cipro giace?
E proprio fassi tutto il giorno in quello
loco, dove quei son, sangue e macello.
62E di religion dove interviene
scropolo alcuno e de l’onor di Dio,
gettar da banda ogni altro si conviene
per giudicio commun, non sol per mio.
Tu dunque prendi le dovute pene
da quei profani, e da quel sangue rio
placa il sangue innocente, il sangue santo,
contaminato con dispregio tanto».
Selim ordina di radunare la flotta e prendere Cipro (63-67,6)
63Mentre il serpe infernal colmo d’orrore
verso l’empio Selim così dicea,
giunto era in tanto al misero nel core
quel tosco ch’entro al sen sparso gli avea,
ond’ei, già colmo d’infernal furore,
paziente ascoltar più non potea,
or mordendosi l’unghie et or le labbia,
fremea di sdegno, di furor, di rabbia.
64E di colui che un suo Bassà fedele
credea, rotto il parlar, fece un editto:
sotto pena gravissima e crudele,
fra il termine da lui breve prescritto,
vuol che a i venti dian gonfie le vele
che da l’Eusino a i termini d’Egitto,
da l’Ionio al mar d’Isso ogni pirata
si debba unir con tutta l’altra armata.
65E che pur tra l’Eusin tutte le genti,
tra l’Egeo, tra l’Eufrate e il mar di Licia,
trovar si debban tutti ubidienti
con l’armi lor ne i porti di Cilicia;
che i soldati non sian di Siria lenti
con l’armi anch’essi a gir verso Fenicia:
dove poi giunto ogni un l’empio dissegna
che in Cipro porti l’inalzata insegna.
66E che si ponga il tutto a ferro, a foco;
perché del viril sesso alcun non scampi,
che non si prenda alcun, ma in ciascun loco
s’empian di sangue e fiumi e laghi e campi;
e che il bel regno tutto in tempo poco,
scorso in tal guisa, il duce lor s’accampi
a la città che idioma greco
porta il bel nome di vittoria seco.
67E quella presa et arsa, a Famagosta,
vincitor poi l’essercito conduca
dove l’istessa diligenza posta
prigioni a lui i fanciulli e donne adduca,
d’Adria a i rettori maggior pena imposta:
sian scorzati dal piè fino a la nuca.
E Selim stando in tal furor, MicheoSu consiglio del perfido ebreo Micheo, Selim progetta una spedizione contro Venezia stessa (67,7-74,4)
sen venne a lui, ch’era di stirpe ebreo.
68Del re costui per disonesta via
giunto era in grazia, e più che ogni altro il vero
da lui creder faceasi ogni bugia,
malvagio, astuto e fraudolente e fero;
duo pani a quel mostrò con mente ria,
che l’uno e l’altro era qual pece nero,
e gli disse: «O Signor, convien con questi
che in Adria sazio a pena il nobil resti.
69Tra il popol come poi si faccia pensa
stando la nobiltà priva di pane:
oh che gentil, che delicata mensa!
Di cibo tal non gustarebbe un cane!
Ma se abbastanza pur n’avesse, immensa
turba non caderia di genti umane
di fame, e notte e giorno, per le strade,
ch’orsi e tigri e leon n’avrian pietade.
70Un altro ancor più rio novo accidente
la città tutta sottosopra volve,
in guisa tal che ogni un tristo e dolente
qual rimedio sia buon non si risolve:
da l’aria un foco subito e repente
disceso, e zolfo e pece e nitro e polve
ne l’Arsenal con sì gran furia accese
ch’un picciol loco pur non si difese.
71Per la gran fame adunque e per tal caso,
che questo e quel bastar potrebbe solo
a trar quella republica a l’occaso,
ciascun già dato in preda a i pianti, al duolo,
e di confusion sì pien rimaso,
ch’una spiegata insegna, un picciol stuolo,
che fia da lunge visto ivi apparire,
senza ritegno si vedran fuggire.
72Tu dunque chiaro, o mio signor, comprendi
ch’Adria nel conservar la sua salute
non ha rimedio; adunque audace prendi
subito l’armi, e mostra tua virtute.
Prudente essendo, al mio consiglio attendi:
l’occasioni già sono venute
fuor d’ogni tua speranza, e nuove porte
di gloria t’apre, e mostra il crin, la sorte».
73Queste, e molte altre simili ragioni,
del perfido Selim fecero in mente
quel che soglion talor pungenti sproni,
aggiunti a i fianchi del destrier corrente.
E rispose a Micheo: «Quanto proponi
ho già di far conchiuso, e la mia gente,
passando in Cipro, assalirà quel regno
per darlo a noi, come a signor più degno».
74Tacque ciò detto; e ritirossi poi
del gran serraglio suo fra l’alte mura,
lasciando a i duci, a i purpurati suoi
tutta de i regni e de la guerra cura.
La vaga Fama, fuor da i regni eoiLa fama porta a Venezia notizie dei piani di Selim, il Senato rafforza le guarnigioni nelle terre di Levante (74,5-79)
partita in tanto, se n’andò sicura,
battendo in aria le veloci penne,
e verso il Golfo d’Adria il camin tenne.
75E quivi giunta subito una voce
con secreto bisbiglio intorno sparse,
che d’Oriente il mostro empio e feroce,
per la rabbia infernal che dentro l’arse,
volea Cipro assalir tanto veloce
che tarde omai sarian le forze e scarse,
d’Adria non pur, ma de i cristiani tutti,
con ciò che far potrian quivi ridutti.
76Né qui fermossi, che il medesmo grido
sparse per le città tutte d’intorno,
dove Cristo si adora in ciascun lido
scorrendo, senza aver posa o soggiorno;
e giunta dove il suo vicario fido
siede superbo di tre mitre adorno,
quei si adoprò, l’alto periglio visto,
per conservar sì nobil regno a Cristo.
77Nunci e legati, a quei cui diede il freno
de gli altri regni il Padre Eterno in mano,
tosto mandò, di cure il petto pieno,
preghi porgendo al gran Rettor soprano;
quei saggi padri ancor d’Adria nel seno,
benché sia tanto a lor Cipro lontano,
lo soccorrean però pronti di gente,
e di ciò ch’era d’uopo arditamente.
78Così Creta, e Corcira anco e Giadera,
con Cefalonia e Cattaro e Zacinto
forniro, e di Dalmazia la riviera,
ch’ivi alcun loco non rimase vinto;
per tutto di soldati era una schiera,
e si sperò di ricovrar Corinto,
e Rodi e Tessalonica e l’Eubea,
sì grande armata quel senato avea.
79E con prudenza e con giudicio, in tutte
le navi posti fur saggi prefetti,
de la nobiltà loro; e già ridutte
insieme, e piene di soldati eletti.
E fur le ciurme dentro a quelle instrutte,
tal che da i più sublimi alti intelletti
teneasi, che il pensier de l’empio Trace
dovesse in tutto riuscir fallace.
Satana manda i suoi messi a infettare i patrizi veneziani (80-87)
80Ma per troncar Satan l’alta speranza
ch’ogni fedel s’avea tra sé concetta,
consiglio fe’ ne l’infernal sua stanza
tra quella iniqua e sì malvagia setta;
e perch’egli ha di nuocer sempre usanza,
tra mille torme la più falsa eletta,
nel Golfo d’Adria subito mandolla,
dando in mano a ciascun, l’empio, un’ampolla,
81che facean, piene di tartareo tosco,
meraviglioso e sopra umano effetto.
Deposto adunque il guardo e bieco e losco,
e vario tutti preso umano aspetto,
lasciaron l’aer giù, torbido e fosco,
di spora usciti a l’aer chiaro e schietto;
e tra l’armata e in queste navi e in quelle
saliro, intenti ad eccitar procelle.
82Chi secretario appar, chi servitore,
paggio, amico o fratel di chi rimaso
per ciascun legno capo era e signore;
poi tosto ruppe ogni demonio il vaso,
e quivi sparser l’infernal licore
sopra ogni duce, oh miserabil caso!
Quei, ch’eran saggi e d’intelletto raro,
voglia e natura e stil tutti cangiaro.
83Se prima eran magnanimi e cortesi,
giusti, prudenti, affabili e benigni,
fur poi constretti a dimostrar palesi
furor, superbia, e cori empi e maligni,
rapaci, avari e d’ingordigia accesi,
parean proprio in Arpie cangiati i cigni;
d’agnelli diventàr tigri arrabbiati
contra i sudditi lor, contra i soldati.
84Come si legge che l’antica figlia
del sole, in vari mostri et in diverse
belve, con incredibil meraviglia,
i compagni d’Ulisse empia converse,
che i piè, le man, la candida e vermiglia
faccia di vario pelo a quei coperse,
e con l’usata lor forma e figura
cangiar costumi ancor, voce e natura,
85de i cibi tanto a lor grati pur dianzi
prendon fastidio, e pascon ghiande o fieno,
chi sangue brama, e pensa ove si stanzi,
e come fugga il ciel chiaro e sereno,
e come ogni altro di furore avanzi,
di denti e d’unghie armati e di veneno,
così cangiati d’Adria i saggi figli,
zanne scoprian, scoprian veneno, artigli.
86Né da le ampolle da i demoni sparte,
il maggior duce e l’armata ancora
valse a fuggir, di non ricever parte
del rio velen, che immantinente accora,
e sol per tal cagion chiuso in disparte,
già lungo tempo in servitù dimora;
così molti altri ancor, con mani piene
di sangue, han rese le dovute pene.
87Ma l’alto Iddio, che dal suo regno scorse
tanti enormi delitti e in tante guise,
gli occhi di pieta colmo indietro torse
da loro, in cui le luci avea pria fise;
e quanto in Cipro allora avenne, forse
per loro castigo il Re del Ciel permise,
che la regia città dal Trace vinta
tutta d’Esperia fu la gente estinta.
Il Papa manda l’armata cristiana verso Cipro per portare soccorsi, lungo il viaggio giunge notizia che l’isola è persa (88-97)
88Di Roma l’alto e Pio monarca in tanto,
pien d’alta doglia e di travaglio grave,
che di Pietro portando il sacro manto,
e reggendo l’afflitta e stanca nave,
di Cipro visto il nobil regno in tanto
manifesto periglio, afflitto pave
che sia questa sua cura, e pensa e crede
per ciò fissa nel cor sempre gli siede.
89E le dificultà, gli impedimenti,
ch’emergean di continuo eran tanti
ch’ei traffitto da cure aspre e pungenti
sempre a gli occhi quel regno avea davanti.
E d’Adria i padri nobili e prudenti,
fra la speme e il timor saldi e tremanti,
come i collegi numerosi fanno
gran tema sempre avean d’occulto inganno.
90Filippo ancor, che regge il gran paese
d’Esperia, era essortato a collegarsi
da molti, che tenean giuste l’imprese,
da molti era essortato a ritirarsi;
onde fra tante d’animo contese,
stava dubbioso, e non sapea che farsi.
Il pio Pastore ora minaccie or prieghi
pon caldo in opra, onde ciascun si pieghi.
91Ma visto non poter farsi altro allora,
che l’anno tutto quasi era già scorso,
perché di vettovaglie a tempo ancora
dar si potesse a Nicosia soccorso,
conchiuser che mandar senza dimora
dovesse il gran Filippo a dritto corso
l’armata in Creta, ove le navi tutte
d’Adria, in porto aspettando, eran ridutte.
92E ch’ei per impedir l’empio e feroce
tiranno, e le sue voglie ingorde e ree,
farebbe il gran Colonna uscir veloce
con le romane dodeci galee;
e che il gran Mastro de la bianca Croce,
condur farebbe anch’ei le melitee,
perché si unisser tutte a Creta in schiera
col Doria, duce de l’armata ibera.
93E dato effetto a ciò ch’essi ordinaro,
e ridotte le navi a Creta in porto,
di nuovo quivi ancor si consigliaro
tra loro i duci, che il periglio scorto,
di dar soccorso a Cipro si accordaro
con fretta, essendo il termine già corto,
che quando in tutto poi fosse passato
sarebbe indarno ogni soccorso stato.
94Concordi tutti adunque e, qual conviensi,
fatta in prima cantar messa solenne,
col pensier fisso e con gli affetti intensi,
poste le vele e gli arbori e le antenne,
e stando insieme i legni uniti e densi,
il camin dritto a Carpato si tenne;
poi quindi a Rodi, e volti a manca mano
d’Asia il lito scorrean poco lontano.
95E di Caria lasciato indrieto il regno,
Cauno e Calimna e Dedalo e Telmesso,
sol per dar fine al giusto alto dissegno,
Patara scorsi a la Cilicia appresso,
seguendo innanzi gìan; ma d’Adria un legno
scontraro, e in quello un lagrimoso messo,
da cui sepper che i Traci avean la regia
città già presa, al par d’ogni altra egregia.
96Tosto ogni duce, ogni soldato udito
d’un regno tal perduto in Oriente,
restò sì pien di doglia e sbigottito,
sì disperato e d’ira impaziente,
che volea sceso d’Asia sopra il lito
scorrendo intorno d’alta rabbia ardente,
brusciar, rubar, scannare e tagliar quante
trovarian case, armenti, uomini e piante.
97Ma rifiutati fur questi consigli
da i primi duci e più di guerra esperti,
ch’esposto avrian l’essercito a perigli
troppo a gli occhi palesi e troppo aperti;
ma d’ogn’intorno taciti bisbigli
serpendo, i duci del futuro incerti,
confusi e colmi d’infinito scorno,
sforzati furo indietro a far ritorno.