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La cristiana vittoria marittima

di Francesco Bolognetti

Libro II

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 9.07.15 12:09

Gesù ispira sentimenti di pietà che rinsaldano la lega cristiana (1-5)

1Del Figliuol vero del Rettor superno,
l’alta Vergine matre, dal periglio
spinta e colma vèr noi d’affetto interno,
fe’ di nuovo ritorno al suo gran Figlio,
dolente che Satan nel cieco Inferno
avesse e con la forza e col consiglio
rotto quel ch’egli avea prima ordinato,
e tutto in doglia il suo piacer cangiato.

2Disse a quella il Figliuol: «Matre diletta,
consolatevi omai, che fu permesso
da quella providenza alta e perfetta,
ch’errar non può giamai, quanto è successo.
Tutte le cose al fin passano in fretta,
e passerà la terra e il Cielo istesso,
ch’ogni cosa è caduca e frale e inferma;
ma sempre sta la mia parola ferma.

3Di quanto adunque io v’ho pur dianzi detto,
di quel gran duce, di quel gran Giovanni,
convien che segua il necessario effetto,
ch’ei sol può ristorar sì gravi danni;
e benché ancor d’età sia giovenetto,
di Satan l’arti e di Satan gli inganni
renderà vani, e fia con la virtute
d’Europa e d’Asia e d’Africa salute.

4E quel tempo che fisso e stabilito
fu prima in mente nostra, è tutto scorso,
tal che il gran duce ibero a tempo ardito
a l’Adria oppressa porgerà soccorso.
Né fuor di Libia il sol vedrassi uscito,
che tanto innanzi al Trace rio trascorso
fia posto il freno, e le sue forze dome
nel golfo a cui già diè Corinto il nome».

5E così detto, al gran monarca santo
dal Ciel di nuovo un raggio infuse in mente,
ond’ei, che in fino allor fatto avea tanto
per conchiuder la lega, ancor più ardente,
tutte depose l’altre cure in tanto
destro, accorto e severo e diligente,
fe’ sì ch’Adria e Filippo si accordaro,
e seco uniti al fin si collegaro.

Gabriele è inviato da Filippo per far sì che affidi il comando della missione a suo fratello Giovanni, risana anche gli indemoniati veneziani (6-21)

6Determinato ciò l’alto Motore,
al messaggier divin commise poi
che andasse ove d’Esperia il gran rettore
tra sé pensava qual de i duci suoi
constituir dovesse imperatore
de l’armata per gir ne i regni eoi.
L’Angel per ubidir subito tese
l’ali, e dal Ciel veloce in terra scese.

7Giunto d’Esperia in un felice piano,
mostrossi al re, già dubbio in fra se stesso
cui por dovesse tanta impresa in mano,
di gir pensando egli in persona spesso.
Dunque e forma e parlar d’un lusitano,
prese il celeste obediente messo;
d’un lusitan via più d’ogni altro grato
al gran Filippo, e di star seco usato.

8E domandato a quel più d’una volta
il parer suo d’intorno a questo avea.
La costui forma il divin messo tolta,
entrato al re, che in letto ancor giacea,
disse a quel, riverente, esser la molta
fede che in lui sua maestà tenea
cagion potente ond’ei sempre dicesse
quel tutto a pien che dentro al cor chiudesse.

9«Dovendo adunque aprirvi, o Re, la mia
mente con fedeltà,» soggiunse quello,
«parmi che in tutto necessario sia
Don Giovanni mandar, vostro fratello,
general duce de la gente pia
c’ha da gir contra a il Trace a Dio rubello;
né convenirsi a la regal corona
che vostra maestà vada in persona.

10Non vuo’ già dir che a re non si convegna,
se ben reggesse il mar tutto e la terra,
sendo l’impresa e gloriosa e degna,
né più di questa mai fu giusta guerra,
ma tal discordia in queste parti regna,
e sì ne i petti altrui si chiude e serra,
che senza voi potria, quel ch’ora occulto
riman, scoprirsi e generar tumulto.

11Se stando voi qui fermo hanno in Granata
fatto i Mori tumulto e l’armi prese,
che farian quando poi sopra l’armata
già foste andato in sì lontan paese?
Dunque perché a costor sì facil data
non sia l’occasion di far palese
l’occulta rabbia e d’uscir fuor del segno
restate a regger voi quest’ampio regno.

12Non ponete però tal grado in mano,
grado sublime tra i più rari e degni
d’altri che del fratel vostro germano,
nato a gli scettri, a le corone, a i regni,
perché null’altro duce e capitano
d’obedir lui, qual suo maggior, si degni,
ch’eleggendo men degno altro soggetto
potria sdegno eccitar d’ogni altro in petto.

13Ché i signori d’Ausonia e d’altre genti
prencipi e duci ragunati insieme,
di cor sì tutti uniti e tanti ardenti,
che certa s’ha de la vittoria speme,
non vorrian sottoporsi obedienti
ad altro duce, che di regio seme,
e la discordia poi che n’uscirebbe
la vittoria di man tòr vi potrebbe».

14Tacque ciò detto, e l’Angelo beato
nel petto infuse al re forza divina.
Poi, come a quel da Dio fu commandato,
calò ne la città d’Adria regina,
e d’ogni macchia ria tutto il Senato
purgò, che per lor danno e lor ruina,
Satan crudo apportò, mentre nel seno
sparse a quei padri l’infernal veneno.

15E quei delitti c’ho pur dianzi detti,
fur dal nuncio divin tosto via tolti:
da i pochi prima a qualche officio eletti,
poi da i privati ancor, ch’eran più molti,
e da quei sopra comiti e prefetti,
ch’a le rapine oltra l’usato volti
contra gli afflitti e miseri soldati,
tutto in contrario allor poi fur cangiati,

16talché, il viver primier posto in oblio,
saggi e cortesi et umili tornaro,
anzi per opra del superno Iddio
più giusti e più perfetti diventaro.
Purgato adunque il mortal tosco rio,
severi gran rigor quei padri usaro
contra i lor cittadin che d’innocente
sangue tinti apparian sì crudelmente.

17Onde ne l’acque fur parte sommersi,
e in duro essiglio fur mandati parte,
gran somma d’or pagaro i men perversi,
fur posti a i remi o chiusi in stretta parte;
secondo che i delitti son diversi
la pena giustamente si comparte.
Fra sì gran turba e fra sì grosso stuolo
non vi restò senza castigo un solo.

18Né giovan punto le canute chiome,
né l’esser duce in mar primo e soprano,
a quel gran senator che il bel cognome
dal divo prende e sì cantato Giano,
che oppresso il miser da gravose some,
stassi prigion, preghi porgendo in vano,
in cui se colpa aperta non si scorge,
sospetto almen di sé non picciol sorge.

19Per ciò d’Adria il Senato, illustre e santo,
ne l’età nostra e ne l’antica porta
sì di giustizia e di prudenza il vanto
che in tutto il mondo essempio a gli altri apporta,
non sol per lui la bella Italia, tanto
da vari gioghi oppressa, si conforta,
ma speme prende e se ne va superba
ché in lui l’antica libertà riserba.

20E scelto avendo un altro de l’armata
duce prudente e d’animoso core,
e già sendo ogni cosa apparecchiata,
solo attendea ciascun, colmo d’ardore,
contra il tiranno Trace a far giornata,
con l’industria sperando e col valore,
l’ignominia levar col grave danno
sofferto, e in gioia convertir l’affanno.

21Molti Angeli dal Ciel quivi mandati,
favorevoli ognor sendo e presenti,
tutti quei ch’avean grado e i magistrati
rendean cortesi e pii, giusti e prudenti;
come la turba e quei ch’eran privati
concordi, e tutti a i capi obedienti;
triste e dolente ogni un dentro al pensiero
che sì tardasse il maggior duce ibero.

Filippo affida il comando a Giovanni (22-29)

22Filippo in tanto, il re d’Esperia, quella
ch’ultima verso l’Occidente siede,
partito quel che al volto, a la favella
essere il caro lusitano crede,
al gran Giovanni suo fratel novella
già data avea, che per l’intera fede
che de la sua natia virtù tenea,
lui fatto duce sopra ogni altro avea,

23e ch’ei dovesse apparecchiarsi tosto
co i primi duci de la gente ibera,
ogni altro suo pensier da sé deposto,
per solcar del Tirren l’ampia riviera,
e che il gran Doria l’attendea, disposto
di seguir lui con numerosa schiera
di scelte navi e di tedesca gente,
per gir con gli altri armato in Oriente.

24E che affrettasse la partita in tanto
solecitando ciò ch’ei far dovesse,
perché ogni giorno dal monarca santo
venìa chiamato con preghiere spesse;
che facean d’Adria i padri anco altrettanto,
perciò ch’avendo in ordine già messe
tutte le navi lor, tutte le genti,
stavano sempre ad aspettarlo intenti.

25E ch’ei devesse ricordarsi come
di quel gran padre Carlo era disceso,
che, di tante corone al fin le chiome
cinto, se n’era al Ciel con gloria asceso,
perché da lui, quando restasser dome
le forze del tiranno, ond’era offeso
l’Occaso tanto, anch’ei colmo di gloria
sempiterna faria la sua memoria.

26E ch’esponendo, contra quel, per Cristo
la vita, avesse certa e ferma speme
di far morendo anch’ei del Cielo acquisto,
dove sempre staria col padre insieme.
Ma d’ampio regno a sé prima provisto
saria felice in fino a l’ore estreme,
ché vinta gente universal nemica
dar si deve gran premio a gran fatica.

27Poiché Giovanni quattro volte e sei,
rese grazie al re di tanto onore,
disse: «Ben so che i bassi merti miei
mosso non t’han, né il mio debil valore,
ma da te prendo il tutto ché mi sei
fratel non pur, ma re, padre e signore;
e son pronto a morir con strazio pria
che denigrar la chiara stirpe mia.

28E lo studio vuo’ por tutto e l’ingegno,
la forza usando a tempo anco e il consiglio,
non già per acquistarmi impero o regno,
che di perderli ognor stiamo in periglio,
ma sol per dimostrarmi non indegno
di Filippo fratel, di Carlo figlio.
E se a Dio piacerà ch’abbiam vittoria,
mia la fatica e tua sarà la gloria».

29Per questo dir, se pria Filippo amollo,
or sopra ogni altro l’ama e stima e prezza;
e gli gettò le braccia strette al collo,
commosso per piacer, per tenerezza,
e più volte non sazio ancor baciollo
colmo d’alta speranza e di dolcezza.
Poi commise che a quel si provedesse,
a larghe man, di ciò che d’uopo avesse.

Giovanni giunge a Barcellona e si ricongiunge con Doria, passano a Napoli (30-33)

30Fra pochi giorni adunque accompagnato,
come adorno di scettro e di corona,
giunse dov’ei già prima era aspettato
da i nobili di Spagna in Barzellona,
ne la cui spiaggia ancor pur dianzi armato
l’altero Doria giunto era in persona
con grande armata, acciocché in tempo corto
salvo il guidasse al suo paterno porto,

31dove, condutto da secondi venti,
vi fu raccolto con trionfo raro
da i principi d’Italia che presenti
quivi, per tal cagion, si ritrovaro.
Tutti poi, dentro al cor di zelo ardenti,
col regio duce a Napoli passaro,
lasciato il Doria la regal bandiera
dietro seguir con la tedesca schiera.

32Ne l’entrar la città capo del regno
tosto si fece in quelle parti e in queste
d’alta letizia triplicato segno,
e triplicate fur d’intorno feste;
l’industria pose ogni un, l’arte e l’ingegno
per comparir con onorate veste;
le bombe a mille a mille al ciel saliro
che in vari lochi dai tormenti usciro.

33E mostrandosi uman, grato e cortese
verso quei duci e principi e signori,
d’alto desio di seguitarlo accese
ciascun, tirando a sé gli animi e i cori,
mentre ivi stette a fornir sempre atteso
l’armata, et a levar risse e romori,
che nascean per diverse alte cagioni
tra quei d’Ausonia e d’altre nazioni.

Satana infesta i tedeschi pronti ad essere arruolati a Genova, che ora chiedono le paghe in anticipo per partecipare alla missione (34-46)

34Ma l’antico avversario, ch’altro il giorno
mai non pensa e la notte che l’impresa
tardando e perturbando, apportar scorno
e danno grave a la cristiana Chiesa,
dal capo al piè di lucid’armi adorno,
d’un conte illustre la sembianza presa,
e quel sembrando a le fattezze conte
appresentossi di Lodrone al conte.

35Era in Liguria e l’uno e l’altro allora,
e l’uno e l’altro de i Tedeschi duce,
proprio adunque Satan quando l’Aurora
al mondo apporta la diurna luce,
con l’armi uscito del suo albergo fuora,
verso l’altro compagno a gir s’induce,
e quel dormir trovato in letto stanco
gli strinse alquanto con la destra il fianco.

36E rovesciolli sopra il petto un vaso
di stigio fele colmo e di veneno,
onde anco al sonno in preda più rimaso
sognando esser parea nel mar Tirreno,
dove con raro e troppo orribil caso
l’aer, che sì pur dianzi era sereno,
si fe’ per tutto oscuro in un momento,
e d’intorno stridea per l’aria il vento.

37E ch’ei sospinto in queste parti e in quelle
per onde e scogli, e d’ogni speme vòto,
già superato il flutto e le procelle,
si ritrovava in loco ermo e remoto,
dove le genti scelerate e felle,
di cui gli era il parlar del tutto ignoto,
preso e condotto assai quindi lontano
fu dato ad un Bassà del Turco in mano,

38presso a cui stando di danari privo,
ma, quel che importa più, di libertade,
parea ch’avesse omai la vita a schivo
caduto in longa e grave infermitade,
tal che rimaso al fin tra morto e vivo,
impetrò di mandar ne le contrade
d’Esperia un messo a tòr mille e più scuti
per suoi stipendi scorsi a lui devuti.

39Ma che di Spagna i sindici e i questori
dar gli negaro il debito riscatto,
parea poi che di nuovo indi uscir fuori
trattato avesse quel d’altri a baratto,
e che proposto fosse un certo Arthmori,
nato in Epiro, appresso al fiume Aratto,
di parenti umilissimi disceso
e che dal Doria fu pur dianzi preso.

40Ma parea che negato ancor gli fosse
con persona sì vil di permutarsi;
tal che infiammato e con le guancie rosse,
constretto il miser fu tosto a destarsi.
A tempo allor Satan la lingua mosse,
ché i veneni per l’ossa eran già sparsi,
dicendo: «Ieri, o fratel, la gente nostra
per partirci di qui fece la mostra.

41Ma dimmi, vogliam noi forse imbarcarci
senza biscotto, come dir si suole?
Questi agenti del re dissegnan darci
la mercé con promesse e con parole,
e in Oriente sì lontan guidarci,
che al buon confortator capo non dole;
ma ben pazzi sarem noi, da catena,
degni d’ogni castigo e d’ogni pena.

42Degni sarem se in così stranio clima
contrario al nostro, e fuor del mar Tirreno,
ci lasciarem tutti guidar, se prima
non ci dan cinque paghe, o quattro almeno.
Quella gran preda e quella spoglia opima
che per levarci dal natio terreno,
con tante ciancie dimostrato n’hanno
son come quegli augei che in aria vanno,

43che a i fanciulli si mostrano col dito,
lasciando a lor di prendergli poi cura.
Non prima noi sarem lunge dal lito,
posto che l’onda sia queta e sicura,
che quanto abbiam sul Po dianzi patito,
benché sia tal che avanza ogni misura,
però dir si potrà commodo et agio
rispetto a quel ch’avrem stento e disagio.

44Le spesse febbri e doglie che già l’anno
condusser tanti italiani a morte,
chi dir potria? l’ingiuria e l’onta e il danno
sofferto, e tanti oltraggi e d’ogni sorte?
che, adunque, gli empi contra noi faranno?
qual fia che al nostro mal rimedio apporte?,
ch’avrem contrario il mar, l’aria, la gente,
se ogni un per sé non fia cauto e prudente.

45Ma se uniti sarem di voglia tutti,
sì come uniti ognor star ci conviene,
chi può sforzarne a gir ne i falsi flutti
senza aver pria le man d’argento piene?
Mentre ci ritroviam co i piedi asciutti,
e parli pur di noi chi mal, chi bene,
non si lasci sforzar de’ nostri alcuno
sopra le navi a gir scalzo e digiuno».

46Questo dir di Satan l’effetto fece
nel duce colmo già d’aspri tormenti,
che soglion far gettati o zolfo o pece,
o cosa tal, sopra le fiamme ardenti;
né sazio ancor, d’infernal tosco infece,
d’intorno andando, tutte l’altre genti,
mentre il duce gentil, di ch’egli ha forma,
fuor del costume suo convien che dorma.

Grazie al Cielo viene sedata la ribellione dei tedeschi, e la flotta può riunirsi a Messina (47-58,4)

47Dunque per ciò l’eroe d’Esperia in vano
ne la regia cittade il Doria attende,
perché ordinato avendogli, lontano
poco a seguir, gran meraviglia prende;
ma giunge in tanto, da chi chiaro e piano
del tedesco romor subito intende,
ch’avuto il Doria intoppo tal per messo
a posta scrisse a quel tutto il successo.

48Con sua gran doglia il nuovo caso inteso,
l’accorto eroe vero di Carlo figlio,
perché al fin non gli fosse il gir conteso
dov’ei desia, chiamar fece il consiglio,
e fu questo partito unico preso,
per meglio assicurarsi dal periglio:
che fosser tutti a pien quei satisfatti,
servando loro i già promessi patti.

49Tal che trovata buona somma d’oro,
riuscìr tanti e tai rumori vani;
questo aiutò che dal superno coro
un Angel si cacciò tra quei Germani,
e, svelti gli ami che ne i petti loro
già fissi avea Satan con l’empie mani,
quei nel prim’esser tutti ritornaro
e su l’armata obedienti andaro.

50Ma però già di Napoli partito
trovaro il duce lor, sì giunser tardi;
quel, di Sicania già solcato il lito
con gli altri duci nobili e gagliardi,
a quella gran città se n’era gito
che altera par che in contra Italia guardi,
per desio forse ancor di seco unirsi,
com’era pria che convenisse aprirsi.

51Quivi con bella e numerosa schiera
di scelte navi e di fiorita gente,
d’Adria il duce maggior giunto prim’era,
tutto ne l’alma e nel cor tutto ardente
di seguitar la sua regal bandiera
contra il commun nemico in Oriente.
Giunto il buon Doria con tai genti e tante,
d’Austria inchinossi al gran grande eroe davante,

52cui presentò de le tedesche schiere
l’un duce e l’altro, che a l’eroe divino,
con gravi e lodatissime maniere,
l’invitta man basciaro a capo chino.
Non molto steron poi, ché le bandiere
si videro apparir del gran Quirino:
d’Adria quel de l’armata avea gran parte,
di Nettuno fratel, figliuol di Marte.

53Et era molti giorni andato errando,
ne lo schivar di Tracia i duci accorto,
quando in Europa, et quando in Asia, e quando
d’Africa in qualche spiaggia o in qualche porto,
spesso il lito radendo e spesso andando
lontan dal lito in alto, or dritto or torto,
tal che d’Adria quei padri ebber sovente
de la salute sua gran dubbio in mente.

54Visto l’eroe d’Esperia e tali e tante
navi aggiunte a l’armata occidentale,
e giunto al suo consiglio un sì prestante
senator tanto esperto, un duce tale,
d’ogni altro al par gentil, saggio e constante,
che sì di forza e di prudenza vale,
via più che pria restò nel suo secreto
colmo di speme e baldanzoso e lieto.

55Ma che direm di quel duce maggiore
d’Adria, Venier, ch’avea per sua cagione,
la notte e il giorno sempre, avuto al core
inestimabil doglia e passione?
Or ch’egli è giunto, in vece del timore
s’empie di speme viva, e con ragione,
non potendo celar la gioia interna,
loda e ringrazia la bontà superna.

56Veduta in tanto il regio duce unita
l’armata tutta a pien, lieto e contento
a far che a pieno fosse ancor fornita
di ciò ch’uopo facea, sempr’era intento;
e già la scelta gente più fiorita,
pria che le vele dar volesse al vento,
volse che ogni un d’ogni suo fallo rio
pentito, omai perdon chiedesse a Dio.

57Ond’egli primo fu, che per essempio
di tutti gli altri a confessarsi attese,
e sì pio sendo e buon, qual rio, qual empio,
mercé contrito a Dio de i falli chiese.
Poi finalmente umil nel sacro tempio
prostrato in terra il sacramento prese
per man d’un saggio e nobile prelato,
quivi a ciò far dal Pio Pastor mandato.

58Dopo sì bel principio, ogni altro ancora,
ne l’animo e nel cor dentro composto,
de i falli suoi pentito allora allora
dal gran duce seguì l’ordine posto.
Il qual prudente poi senza dimora,Riunito il consiglio, Giovanni riceve pareri discordanti, tra chi vorrebbe prendere il mare e chi invece consiglia di non attaccar briga con gli Ottomani (58,5-72,4)
già prima ogni altro suo pensier deposto,
chieder volse il parer de i duci tutti,
pria ch’egli entrasse dentro a i salsi flutti.

59L’alto Colonna, de la santa Chiesa
forte e saldo sostegno, e duce altero,
onde colmo di speme oggi si vanta
Roma di ricovrar l’antico impero,
e da sì bella e sì felice pianta
di còrre il desiato frutto intero,
questo, cui tanto il gran Giovanni stima,
pregò d’ogni altro a consigliarlo prima.

60Quei di modestia pien dunque, e prudente
d’ogni altro al paro, e d’onorato grido,
col capo ignudo, chino e riverente,
rispose: «Illustre duce, io mi confido
che la mia paura, e sempre rettamente
che il mio sincero cor, l’animo fido,
verso voi sempre e verso la corona,
del fratel vostro sappia ogni persona,

61di tanta lealtà, di tanta fede,
di questo cor sì pronto e sì devoto,
lasciato m’hanno i miei maggiori erede,
come del mondo in ogni parte è noto;
se Vostra Altezza adunque ora mi chiede
ch’io debba dir, d’ogni interesse vòto,
dico, o signor, che ad ogni modo parmi
sfodrar doversi contra il Turco l’armi.

62E devendosi far questo ch’io dico,
come a non farlo tengo aperto errore,
quanto prima si faccia ancor ridico
con riverenza quanto io chiudo in core,
ché il re di Tracia, universal nemico,
sempre acquistando va forza maggiore:
più grande armata avrà l’anno seguente,
più danari e più regni anco e più gente.

63Ma tutto a noi par che il contrario avvegna,
varie forze congiunte avendo insieme,
che questa sacra Lega in piè si tegna
io, per me, fra il timor sono e la speme.
Col desiderio ben la speme regna,
ma sento dirsi ancor: «Quel ch’ama, teme».
Nuovo accidente ognor, che Dio non voglia,
nascer puote improviso onde si scioglia.

64Ma posto ancor che stia la Lega in piede,
sicuri siam ch’aver forze maggiori
non puote in mar di quanto ora si vede;
piaccia a Dio pur, che ancor non sian minori.
Ma qual si è detto, il Turco ogni anno riede
più gagliardo e più forte, uscendo fuori
con numero maggior sempre di navi,
onde Adria e noi di nuovi gioghi aggravi.

65La battaglia naval dunque non deve
tardarsi punto, per giudicio mio,
ma tosto farsi, perché il tempo è breve,
sperando ognun ne la bontà di Dio;
il qual, benché il fallir nostro sia greve,
per gli alti merti del gran Padre Pio
daracci aiuto contra chi si vanta
d’opprimer Roma e la sua fede santa.

66Vedete, o Signor mio, quanta e qual gente
per questo effetto sol qui sia raccolta;
quanti principi e duci c’han la mente
sempre a l’onor, sempre a la gloria volta,
e per viver felici eternamente
la morte, che venir deve una volta,
ciascun disprezza, e brama invitto e forte
morendo acquistar vita e fuggir morte».

67Questo parer del gran Colonna altero,
di forza, di saper, di fede raro,
con nuove altre ragioni ancor per vero
d’Adria i duci prudenti confirmaro.
Molti però, che il cor non men sincero,
devoto e fido avea, ciò non lodaro,
dando al duce maggior d’Austria consiglio
che non si esponga a così gran periglio.

68E chi vorrà di que’ l’opinione
considerar con la prudenza umana,
chiaro conoscerà che di ragione
priva non fu, né dal dever lontana;
di quei lodata vien l’intenzione,
da chi la mente ha d’intelletto sana,
benché si veggia per favor divino
già trionfante il vincitor latino.

69Perché de i Traci a gir contra l’armata,
che di ciurma miglior questa, e di legni
supera, e sempre a le fatiche usata,
carca di spoglie e di trofei non degni,
poneansi a rischio in una sol giornata
l’Adria, l’Esperia e tutti gli altri regni,
dove coperto di terrestre velo
s’adora in croce il gran Rettor del Cielo.

70Tanto più che l’armata occidentale,
di numero minore, avea i soldati
nuovi, inesperti e di lor parte male
vestiti, e mal pasciuti e peggio armati.
Solo un capo obedia l’orientale,
da tre per forza insieme collegati:
venìa l’altra guidata, in cotal guisa,
men forte e di voler forse divisa.

71Queste ragioni, con molt’altre ancora,
pro furo e contra al gran Giovanni dette;
il qual però non si risolse allora,
ma dubioso tra sé più che mai stette.
L’altra mattina poi, senza dimora,
con gli altri duci e con le schiere elette,
sopra l’armata salse il maggior duce,
pria che spuntasse la diurna luce.

72Né da Messina fu prima partito,
che da gran pioggia e da contrari venti,
con sua gran doglia subito assalito,
gemea tra sé con taciti lamenti.
Ma per celar l’interna doglia, arditoIn sogno, un Angelo lo consiglia di attaccare: Giovanni muove l’armata, a Corcira viene a sapere che le forze ottomane sono a poca distanza: dispone lo schieramento e lo fa avanzare (72,5-95)
sempre a quei si mostrò ch’eran presenti,
e con tal duol che il cor gli rose e punse,
salvi in Corcira con l’armata giunse.

73E quivi stando, e da pungente cura
ritrovandosi ognor traffitto il petto,
un Angel santo per la notte oscura,
deposto il suo divin lucido aspetto,
co i panni, col parlar, con la figura
d’un gentil cavalier, seco di stretto
nodo congiunto d’amicizia vera,
gli apparve in sogno, e disse in tal maniera:

74«Signor, ben veggio per la cura grave
che sempre dentro al cor fissa tenete,
mentre vi ha scosso il vento e l’onda in nave,
che ognor speso vegghiando il tempo avete,
e ch’altro più non è che il cor vi aggrave,
togliendovi ogni posa, ogni quiete,
che questo dubbio: se pur per far giornata
devete contra l’inimica armata.

75E ricercato ancor m’avete, ch’io
dica quanto sovviemmi intorno a questo;
però, signor, dovendo il parer mio
farvi, sol per servirvi, manifesto,
dico, avendo a l’onor del sommo Iddio
riguardo, al vostro debito, a l’onesto,
che fuggir non si deve il far battaglia,
né ragion fia che a ciò contraria vaglia.

76E voi, signor, di quel gran Carlo nato,
che al par d’Augusto glorioso giostra,
non possedete regno alcun né stato,
né terra pur che dir si possa vostra:
di ferro e di valor col petto armato,
per quella via che il Ciel v’apre e vi mostra,
entrate audace e con vittrice mano,
l’ardir del Trace rio rendete vano,

77ché la bell’Adria oppressa a tutte l’ore
vi chiede aiuto, e suo campion vi chiama;
l’istesso fa quel Pio vero Pastore,
che sì vi apprezza e come figlio v’ama;
e d’Esperia ogni duce, ogni signore,
ciò fisso guarda, e di veder sol brama,
tal che il fuggir questo naval conflitto
sariavi a gran viltà per tutto ascritto.

78Sicuro adunque andate, e la vittoria
sperate pur con l’animo giocondo,
di sorte tal che mai d’altra memoria,
simil non s’ha ne l’universo mondo;
e d’ogni antico illustre fia la gloria
per voi sepolta nel Leteo profondo;
e spero tosto ancor, dov’esce il giorno,
d’aurea corona il crin vedervi adorno».

79E così detto, di celeste foco
l’Angel gli infuse un raggio dentro a l’alma,
che desto poi trovar non potea loco,
per desio d’acquistar sì nobil palma,
e per tardar dentro a Corcira poco:
senza aspettar che fosse l’onda calma
quindi partissi, e tosto anco il seguiro
l’ibere navi, e giunsero in Epiro.

80Ma prima detto a i duci tutti avea,
di Roma e d’Adria, che si desser pace,
ch’ei fermo e risoluto far volea
naval battaglia contra l’empio Trace,
poi che certa novella anco intendea,
da chi sempre trovò fido e verace,
Selim pur dianzi aver commesso in scritto
ch’Alì gli assaglia e sforzi a far conflitto;

81e poi che vinte avrà le navi et arse,
latine, ibere e d’Adria e l’altre tutte,
sotto gli auspici suoi, senza fermarse,
con le sue navi acconcie e ben ridutte
contra Corcira e Cattaro mostrarse
quel debba, e borghi e rocche ivi destrutte
d’intorno, e ville e torri e terre prenda,
fin che la mente sua di nuovo intenda.

82Dunque arrivato ne l’ostil paese
d’Austria il gran duce in un capace porto,
sol per dar fine a sì lodate imprese,
spiando sempre de i nemici accorto,
dal messo esperto pur di nuovo intese
che trenta miglia e spazio ancor più corto
con le getiche navi era vicino,
guidato Alì dal suo fatal destino.

83E ch’ei nel porto a Naupato si stava,
dove il giorno e la notte diligente
di cose necessarie rinfrescava
tutte le navi, e di più franca gente,
levando gli egri e i lassi; e che pensava
d’assalir d’Austria il duce arditamente,
come dal gran Signor di nuovo espresse
commissioni avea ch’ei far dovesse.

84E che seco venian sopra l’armata
duo figli suoi, di cui gran speme avea,
e Portunno Bassà, persona grata
molto a Selim, che a destra sua sedea,
con cento duci e più, di far giornata
che ogni un d’alto desir nel petto ardea.
Questo, e ciò ch’era d’uopo inteso a pieno,
d’Austria il duce restò di gioia pieno.

85Onde a chiamar mandò tosto a Corcira
l’alto Colonna, ch’ogni antico agguaglia,
col gran Venier, ch’a gloria sempre aspira,
sapendo quanto l’uno e l’altro vaglia,
e quanto ardente e l’uno e l’altro mira
a far col mostro oriental battaglia.
Del duce udito il messo a paro a paro,
gli eroi verso l’Epiro audaci andaro.

86Ma del presidio di Corcira tolta
già prima la più scelta e miglior parte,
pronti sen giron con la vela sciolta,
tirando intento il buon nocchier le sarte;
e giunti al porto, il grande eroe con molta
letizia narrò lor di parte in parte
quanto si era d’Alì perverso inteso,
che de l’armata ostil tutto avea il peso.

87E col divino aiuto fu conchiuso
d’uscir lor contra e d’assalirgli tosto.
Però, qual duce a guerreggiar sempr’uso,
l’eroe d’Esperia tutto a ciò disposto,
nuovo Cesar, Lutazio, Agrippa o Druso,
dentro al battel per suo servigio posto,
calato in fretta a gran lume di luna,
veder volse le navi ad una ad una.

88Verso la Cefalenia il duce franco
poi mosso, per fortuna il dì seguente,
fu constretto fermarsi a Capo Bianco,
contrario l’Euro avendo in Oriente;
ma partitosi quindi, al fin pur stanco
vi giunse, e seco tutta l’altra gente,
e lieto con bell’ordine dispose
l’armata, e in questo ogni saper suo pose.

89Al divin Doria diede il destro corno,
e diede il manco al Barbarigo altero,
sì d’ogni dote al par d’ogni altro adorno,
che l’Adria il giudicò degno d’impero;
nel mezzo, onde a guardarsi d’ogni intorno,
veder potesse il gran conflitto intero,
l’eroe star volse, il buon duce romano
tolto a destra, e quel d’Adria a l’altra mano.

90La retroguardia poi diede al marchese
di Santa Croce; e sei navi maggiori
dinanzi a tutti gli altri ordini stese,
d’uomini carche d’animosi cori,
e di cavi tormenti, onde si offese,
si rintuzzò l’ardir de i traditori:
poi nel Cardona avendo intera fede
governo a lui de l’antiguardia diede.

91A i duci, a i colonnelli, a gli altri poi
tutti ch’ufficio avean, severo impose
ch’abbia ogni un cura de i soldati suoi,
cauti ordinando ben tutte le cose:
e in tal maniera verso i regni eoi,
di gir l’invitto duce si dispose;
consiglio diede ancor che ogni un dolente
de i falli suoi, volgesse a Dio la mente.

92E così andando contra l’Euro intento,
nel cor di Cristo sempre avendo il nome,
del mar corser le Ninfe a cento a cento,
scoprendo il volto sol fuori e le chiome,
e d’Oriente a scherno avendo il vento,
di tante navi le gravose some
sostenean con le mani e con le spalle,
di Naupato scorgendo il dritto calle.

93Col capo il gran Nettuno apparve fuori,
e seco apparve ogni benigna stella;
quivi sen venner d’Elena i migliori
fratelli, e lunge andò l’empia sorella;
le figlie ancor de la spumosa Dori,
lasciati gli antri, or questa cosa or quella
facendo: vien da lor per tutto scorta
l’armata che gli eroi d’Esperia porta.

94L’una col piombo e con la corda tenta
dove nel fondo o rupe o scoglio sia,
e l’altra, sempre innanzi andando, intenta
a far si mostra lor verace spia;
nessuna quivi appar timida o lenta,
nessuna v’è che punto in ozio stia;
qui Nereo, Glauco e Forco, e qui Tritone,
con Proteo e Melicerta e Palemone.

95Che l’un le vele or quinci or quindi piega,
d’alga coperto la cerulea chioma,
l’altro a man giunte il re de’ venti prega
che d’Adria il difensor salvi e di Roma;
chi l’arbor, chi l’antenna o scioglie o lega,
chi battel guida o schifo, o porta soma;
parte l’insegne in alto acconcia, e parte
dispone remi, allenta o tira sarte.

Alì Pascià manda una spia a constatare le forze dei nemici ma questa viene ingannata da un Angelo: quando le due armate giungono in vista il capitano turco si accorge dell’errore nella stima (96-106)

96Tra sé medesmo Alì perverso in tanto
de la già fatta Lega avendo inteso,
e che un fratel del gran Filippo, tanto
nel cor d’alto desio di gloria acceso,
ch’avea di forza e di prudenza il vanto,
sopra di sé reggea sol tutto il peso
per mar, per terra, e che il sentier già dritto
prendea, seco disposto a far conflitto;

97tutto questo già prima adunque udito,
da gli altri duci suoi preso consiglio,
prima che abbandonar volesse il lito,
salir fe’ sopra d’un leggier naviglio
un certo suo, che al par d’ogni altro ardito
si esponea sempre ad ogni gran periglio;
persona infida, e solo a i furti nata,
rinegò Cristo e diventò pirata.

98Costui per ubidir, fuor de lo stretto
passò con fretta accorto e diligente,
ma come prima poi giunse al conspetto
de i duci de l’armata d’Occidente,
dal Ciel mandato un Angelo diletto
stese una folta nube immantinente,
e sì ben quella tra l’armata pose,
che d’ogni cinque al men tre navi ascose.

99Ciò veduto la spia, tosto ritorno
al duce fece, e lieto oltra misura
disse che, senza far punto soggiorno,
con mente andasse intrepida e sicura,
ché de i Cristiani con aperto scorno
l’armata d’Adria intera o per paura
fuggiria tosto, o se faria difesa
fora sconfitta in picciol tempo e presa.

100E che assalir devea senza dimora
questa parte di navi a lor vicina,
fin ch’esser giunta non vedeasi ancora
la grande armata ibera e la latina,
di cui già di Corcìra uscita fuora,
faria poscia non men certa rapina.
E ch’ei da la ragion guidato stima
d’acquistar ricche spoglie e preda opima.

101Che sei gran navi et alte, in tal maniera
ch’altra non vide mai che quelle agguaglia,
da l’altre navi eran tirate in schiera
con polve e palle e remi e vettovaglia,
dentro a cui sapea certo che non era
pur un picciol tormento da battaglia,
pur un soldato vil, pur una spada:
però sicuro ad incontrarle vada.

102Questo udito, il Bassà, colmo di speme,
da Naupato partissi ardito in fretta.
Col duce ancor partissi ogni altro insieme,
che ogni un non pur certa vittoria aspetta,
ma dubbio dentro da se stesso teme
che la vil gente d’Adria, unita e stretta,
non fia quel giorno istesso in fuga volta,
di man restando a lor gran preda tolta.

103Con tal credenza adunque riscontraro,
non molto dopo, la cristiana armata,
che tutte avea le navi insieme a paro,
non per fuggir ma pronta al far giornata.
Ciò scorto, in vista i duci si cangiaro,
come di cosa a l’improviso nata;
e compreso in gran parte il lor periglio,
timor nascea, confusion, bisbiglio.

104Come in aria talor veloci vanno,
già di lontan l’esca veduta, liete
cicogne, anitre e grue, ma tosto danno
a l’improviso ne la tesa rete,
che smarrite e confuse in quello stanno,
così le turbe frigie, armene e gete
fanno, co i Traci e co i Bitini miste,
che ogni un convien che dentro al cor si attriste.

105Gran còlera e grand’ira ancor gli assalse,
oltra il timor, contra l’iniqua spia
che al Bassà fatte avea pur dianzi false
relazioni, e detta la bugia;
e fuggiti sarian per l’onde salse,
se avuta avesser da fuggir la via;
ma tosto a ciò provide il duce accorto,
già sentito il romor, già il timor scorto.

106Mentre ogni Turco rio si attrista e teme,
dando la colpa altrui d’usata frode,
d’alta letizia s’empie e d’alta speme,
ciascun fedele, e tra se stesso gode;
e l’una e l’altra man congiunta insieme,
rende a Giesù le sue devute lode,
con le devute grazie, che sia il punto
pria da lor tanto desiato giunto.