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La cristiana vittoria marittima

di Francesco Bolognetti

Libro III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 9.07.15 12:15

Giovanni incoraggia i suoi (1-9)

1Già di TitonS | Titan l’altera e vaga figlia,
col crin di rose e d’amaranti adorno
e con la faccia candida e vermiglia,
facea scorta felice al nuovo giorno,
quando intento Giovanni alzò le ciglia,
come sovente fea, guardando intorno,
e scorse di lontan venir con vele
gonfiate Alì, contra di lor crudele.

2D’Austria il gran duce e il gran Colonna i primi
furo a scoprir l’armata d’Oriente,
e d’animi e di cori alti e sublimi
colmi restaro d’alta gioia in mente;
nessun fia mai che l’uno e l’altro stimi
quanto stimar si de’ meritamente,
benché al par di Traiano e di Severo
degni stimasse quei d’ogni altro impero.

3L’eroe d’Iberia per mostrarsi degno
figlio del padre, i duci e i colonnelli,
tutti fatti chiamar sopra il suo legno,
disse con modi graziosi e belli,
che ogni un mostrar devea forza et ingegno
contra quegli empi cani a Dio rubelli,
dal capo al piè già mille volte vinti,
del sangue giusto de i Cristiani estinti.

4E ch’egli solo era lor capo in voce,
ma in fatti quel che in alto avea già visto,
vero uomo e vero Iddio traffitto in croce,
verace redentor del mondo Cristo.
Che farian, vinto il Trace mostro atroce,
d’oro e di regni e d’onor vero acquisto,
e di chi allor cadesse entro al conflitto
l’alma la Ciel saliria per camin dritto.

5«E se il vessillo istesso a Constantino»
disse «tante corone e palme diede,
non meno a voi darà l’alto e divino
Padre, trovando in voi l’istessa fede;
tanto più contra l’empio e rio mastino,
ch’esser giustizia in Ciel punto non crede,
ma fa col gran furor che ’l guida e regge,
sempre a se stesso, e con la rabbia, legge.

6Se noi tardiam di opporci a questo cane,
rintuzzando l’orgoglio al fero mostro,
che sol di sangue e di medolle umane
si pasce, con l’adunco avido rostro,
riusciran poi tutte inferme e vane
le forze, infermo e vano il saper nostro:
per salvar padre e mogli e madri e figli,
convien troncar del mostro i crudi artigli.

7E de la propria vita per difesa,
de i sacri templi e de le case, omai
convien che prenda ogni un sì giusta impresa,
salvando il mondo da continui guai;
e Roma santa e la cristiana Chiesa,
cagion potente, ond’io confido assai,
che sol per questo il sommo eterno Iddio
adempia il nostro giusto alto desio.

8Quel ch’oggi far possiam sì facilmente,
la turba essendo qui tutta raccolta,
la maggior parte stanca, egra e dolente,
contra di noi da i duci a forza volta,
senza alcun dubbio far difficilmente
potrassi, o cari amici, un’altra volta,
ché in vece d’assaliti, infermi e stanchi,
saran gli assalitori arditi e franchi.

9L’eroe, con questo dir, più tutti ardenti
d’alto desio di guerra i duci rese,
che nel suo legno ogni un le proprie genti
col dir medesmo d’ugual foco accese;
l’altera tromba sol bramando intenti,
per cominciar le desiate imprese,
prendendo spada o lancia o piastra o maglia,
foco, arco o polve, ogni un chiede battaglia.

Alì Pascià si rende conto dell’errore strategico, ciò nonostante fa animo agli uomini e li dispone per la giornata (10-24)

10Di Tracia il duce in tanto, essendo colto
da l’armata fedele a l’improviso,
che ogni un trovar pensando in fuga volto,
vide mostrarsi arditamente il viso,
divenne rosso e pallido nel volto,
da l’ira e da la colera conquiso,
gridando: «Questa è fraude, inganno e trama
di Carracossa», e traditor lo chiama.

11Si ricordò ch’ei, già di saper vago
d’ogni suo caso e d’ogni sua ventura,
se n’andò fino in Persia ad un gran mago,
che allor la Persia a i Turchi era sicura;
gran nome avendo quei d’esser presago
d’ogni successo ne l’età futura,
disse al Bassà che a Naupato, per forte
stella, gran gente condurrebbe a morte.

12Per ciò, tra l’altre cose, pien d’immenso
diletto il gran Bassà dentro al pensiero,
partissi, dando a le parole il senso
tutto contrario dal buon senso vero;
cercò poi sempre con l’affetto intenso
de l’armata regal aver l’impero,
e quando il re di ciò poi si compiacque,
di far battaglia gran desio gli nacque.

13Del mago in questo punto gli soviene,
et or che meglio le parole pesa
considera tra sé che forse bene
la profezia non avea prima intesa;
ma perché usar gran forza gli conviene,
già visto apparecchiarsi aspra contesa,
fa pensier fermo, per fuggir lo scorno,
d’aver vittoria o di morir quel giorno.

14Chiaro il periglio allor dunque scorgendo,
la sua virtù già tutta al cor ristretta,
di vincer si risolse over morendo
di far de la sua morte aspra vendetta;
d’animo invitto tra sé stesso ardendo,
fatto chiamar quivi ogni duce in fretta,
le luci volte al Ciel tenendo e fisse,
con volto allegro in tal maniera disse:

15«Sacro e celeste gran profeta, e santo,
che stando appresso a Dio mai sempre in vano
lo sforzo hai reso, e volto il riso in pianto,
del sì contrario a te popol cristiano
tu vedi, o sacro Macometto, quanto
per la tua fede sol, per l’Alcorano,
noi tutti siam per far battaglia ardenti
contra l’istesse tue contrarie genti.

16Accresci adunque in noi la nostra usata
forza, e la forza a lor da te sia tolta,
perché turba sì vil sopra l’armata
sia da noi morta e presa e in fuga volta.
Questo conflitto sol, questa giornata
basta per far che i Turchi a briglia sciolta
scorran fin dove il lor Papasso alberga,
perché tua santa fé quivi ancor s’erga».

17E così detto, Alì si volse poi
a gli altri Bassà tutti, a i duci, a quelli
ch’avean quivi governo, e disse: «O voi,
compagni miei carissimi e fratelli,
ch’avete sempre a gli Ottomanni eroi
contra i nemici lor, contra i rubelli,
la terra sottoposta e gli ampi mari,
di forza, di valor, di fede rari,

18oggi sì lieve pugna in questo loco,
contra costor d’appresentarvi spero,
che a far da scherzo troppo fia, ma poco
saria quando si avesse a far da vero;
e più tosto chiamar potrassi un gioco,
risguardo avendo al vostro animo altero,
a quella invitta e sopra umana forza,
che il mondo tutto ad ubidir vi sforza.

19Ma se ben poca in ciò fatica avrete,
però fia la mercede e il premio grande,
ché, vincitori, subito potrete
scorrer l’Europa da tutte le bande,
e contenti e satolli restarete
di vini eletti e d’ottime vivande
d’Italia, in quel paese almo e giocondo
tal che ben dir si può giardin del mondo.

20Scorrer tutta potrete Italia e Spagna,
senza contrasto, ov’è l’argento e l’oro;
la Fiandra e la Borgogna e l’Alemagna,
piene di ricchezza e di tesoro;
questi avrem come augei colti a la ragna,
e di fatica breve ampio ristoro,
che l’Europa non sol, ma il mondo tutto,
sarà del vostro seme sparso il frutto.

21Qui son le forze tutte d’Occidente
raccolte, e poste ne la forza nostra,
ciascun di gemme e d’oro rilucente,
come voglia di sé far bella mostra;
da voi tosto assaliti arditamente,
altro esser questo che barriera o giostra,
conoscendo vedransi in abbandono
tutti fuggir, che senza scorta sono».

22E detto ciò, le turbe ad alta voce
dier di letizia segno ad una ad una.
Questo compreso, il barbaro feroce,
visto al bisogno suo l’ora opportuna,
si mosse con l’armata sua veloce,
che prima acconcia in forma avea di luna.
D’Austria il gran duce anch’ei non stette a bada,
lo scudo avendo al braccio e in man la spada.

23E fra sé fulminando e nel pensiero,
pien di letizia in atti et in parole,
solo in un punto appar benigno e fero,
e sol del troppo dimorar si dole.
Qual nobil serpe in mezzo al campo altero
si mostra il maggio al desiato sole,
che scarco già di vecchia scorza intorno
guarda leggier di nuove spoglie adorno,

24tal del gran Carlo il generoso figlio,
tra sé presago di vittoria e certo,
or quinci or quindi volge altero il ciglio,
l’interno alto piacer mostrando aperto;
la spada vibra, e il suo proprio periglio
sprezza, se stesso a Dio già prima offerto;
nel cor più sempre di desir s’accende,
e il segno sol de la battaglia attende.

Dio cambia lo spirare dei venti a favore dei cristiani, alcune navi ottomane si danno alla fuga (25-30)

25Poi che in guisa le armate si accostaro,
che le palle cacciate da’ tormenti
più non cadeano a vòto, si cangiaro
tutto al contrario in un momento i venti:
gli Euri, che irati contra a noi soffiaro
tanto in favor de le nemiche genti,
cessati essendo, i Zefiri soavi
d’Esperia in poppa ecco ferìr le navi.

26Quel gran Rettor che le create cose,
con forte destra affrena e giusto regge,
così da prima in mente sua dispose
per beneficio del cristiano gregge.
Le nostre genti ardite e valorose
contra i nemici de la santa legge,
colme d’ardente zelo in tanto vanno,
facendo strage in quei, ruina e danno.

27Quelle sei navi tutte, che maggiori
de l’altre, innanzi a l’altre poi fur poste,
l’aria fendean con strepiti e romori,
per le dense bombarde in lor disposte;
onde convien che a i Traci traditori
troppo omai caro il vicin farsi coste:
non è tra quegli alcuni di cor sì franco
che non si mostri e sbigottito e bianco.

28Qual differenza sia, per prova certa
conobbe ogni un di lor ben chiaro allora,
tra la battaglia in terra o in acqua aperta,
e con vantaggio il gir rubando ognora.
Già gran mortalità da quei sofferta,
molti indietro a fuggir volser la prora,
tal che l’armata, unita insieme e chiusa
fino allora stata, andò sparta e diffusa.

29Ma fuggan gli altri pur, che ardito e forte
di fuggir punto Alì Bassà non pensa,
disposto di patir prima la morte;
e le sue genti or qua or là dispensa,
per superar così dubbiosa sorte;
d’animo invitto una gran schiera densa
di cento navi scelte insieme accolse,
e contra il grande eroe pronto si volse.

30Come cinghial fuor de la selva spinto
da i veltri esperti, e che già visto s’abbia
da i cacciatori d’ogni intorno cinto,
di fuor le sete arriccia e dentro arrabbia,
disposto, pria ch’ivi rimanga estinto,
d’insanguinarsi le spumanti labbia;
si drizza ove più son le genti strette,
e geme e fende e sprezza archi e saette.

Grandi imprese dei campioni cristiani (31-60)

31Ma convien ch’ora il vostro aiuto, o santi
Angeli, chiami, ch’ivi allor presenti
vi ritrovaste, acciocché io possa i tanti
casi narrar de gli infelici spenti,
e per ordine dir quai furo e quanti
gli omei, le strida, i gemiti e i lamenti,
quante vedeansi e in quelle parti e in queste
volar per l’aria e braccia e gambe e teste.

32Chi tien l’asta o la spada o l’arco in mano;
chi foco e polve, e chi lo scudo adopra.
Chi dappresso ferir, chi da lontano
cerca, e nissun fra tanti è che si scopra;
Colpo non scende o scossa strale in vano;
cader morti e feriti ecco sossopra.
Da tante palle e strali ecco percosse
fragor mandar le navi e farsi rosse.

33Così da Borea gran tempesta spinta,
le spiche atterra dentro a i colti campi;
cade ogni augel, resta ogni fera estinta,
e per sì spessi or tuoni orridi or lampi,
con faccia di pallor ciascun depinta,
teme che il terren s’apra o il ciel s’avampi;
e giù da i monti ogni torrente scende,
più sempre ingrossa, e maggior forza prende.

34Ritrovò quivi Alì scontro più fero
ch’ei non avea di ritrovar pensato,
perciò che d’Austria il giovenetto altero
l’alto Colonna avea dal destro lato,
e dal sinistro il gran duca Veniero,
d’alto desio d’onor tutto infiammato,
il saggio e nobil Sforza, il Perugino,
e duo rampolli del gran seme Orsino.

35Quivi un Farnese e quivi un Feltrio nati,
l’uno e l’altro d’illustre alta famiglia,
quivi di nobiltà molti altri ornati,
col gran Commendator de la Castiglia,
di ferro e di valor sì tutti armati
che tosto l’onda esser faran vermiglia
del barbaro sangue, e in ogni parte
carca farà d’umane membra sparte.

36D’Austria l’eroe, venirsi a fronte visto
de i Turchi la regal, com’egli a punto
pria desiato avea per farne acquisto,
poiché a quella vicin si vide giunto,
con molto cor fra la gran turba misto
sì veloce ognor fu che in un sol punto
parea per tutto ov’era d’uopo, aita
dando e sprezzando per l’onor la vita.

37In questo primo assalto qual mai fora
lingua ogni caso a raccontar bastante?
Chiaro potea ben dimostrarsi allora
qual d’animo e di cor sia più prestante;
nessun da parte a risguardar dimora,
ma tutti arditi fansi a gara inante;
d’Austria l’invitto duce a prima giunta
passo nel petto un dalmata di punta.

38Poscia un trace nel ventre e poscia un miso,
che da la nave sua presa la sponda
volea saltarvi dentro: a questo il viso
ferì con una piaga sì profonda,
che al ciel volte le piante a l’improviso,
col capo fitto se n’andò ne l’onda.
Da questo essempio il gran Colonna mosso,
fe’ di tre piaghe un frigio in faccia rosso.

39Si volse poi con un man dritto presto
contra del consiglier d’Alì più fido:
ricchissimo, costui nato era in Sesto,
ma poi soggiorno sempre ebbe in Abido.
Già quinci e quindi il fatto era funesto,
già quinci e quindi al ciel passava il grido;
d’Esperia ecco la gente unita e stretta,
di mille ingiurie intenta a far vendetta.

40Da l’altra parte anco a mirar non stanno,
ma quai tigri rabbiosi e draghi fieri,
contra di loro in fretta i Traci vanno,
forti, animosi, intrepidi e leggieri,
tal che ne l’onda a mille a mille vanno
quei d’Adria e quei d’Ausonia e Reti e Iberi,
e la ria gente sol di sangue ingorda
pian, monte e mar gridando intorno assorda.

41Mentre il conflitto orribilmente atroce
fremea per tutto, alcuni sacerdoti,
portando Cristo in man sopra la croce,
scorrean d’intorno or qua or là devoti,
essortando i soldati ad alta voce
ché d’ogni cura e d’ogni affetto vòti
prendessero in guardar speme e conforto
chi lor creò, per lor salute morto.

42E tra palle e tra fochi e tra saette
che a mille a mille uscian per tutto ognora,
intrepido ciascun quel giorno stette,
or da sponde ora da poppa et or da prora;
e sempre ove le genti eran più strette,
pronti a studio correan senza dimora,
e quei ch’ivi lasciàr la mortal salma,
benedicean, raccomandando l’alma.

43Non mancavano ancor da l’altra parte
ne la religion di Macometto,
papassi ancor, cui lunghe chiome sparte
coprian le spalle, e lunga barba il petto;
questi, dove fremeva più crudo Marte,
crespi la fronte et orridi l’aspetto,
fèr sì scorrendo intorno ch’ogni Trace
per disperazion divenne audace.

44Dappresso in tanto un nobil d’Adria vide
gran strage far contra la nostra gente
colui che per Selim reggea Calcide,
ma gli trafisse il petto immantinente;
contra i Centauri poi qual nuovo Alcide
duo dardani et un greco arditamente
uccise, indi un smireneo, prefetto in Delo,
mandò col capo in mar, co i piedi al cielo.

45Ne la man destra un stral, ne l’altra un arco
tenendo il gran Venier, destro e veloce,
correa per tutto ognor, che se ben carco
d’anni, però gagliardo era e feroce.
Questi essortando i suoi «Viva San Marco»
spesso gridar si udia con chiara voce,
e con duo strali, e polpe et ossa e vene
a duo guerrier passò di Mitilene.

46Lo Sforza illustre, anch’ei di guerra esperto,
con gran destrezza il ferro avendo in mano,
ferì nel petto un di sua patria incerto,
ch’era venuto fin dal mar Ircano.
Costui, chiuso l’un occhio e l’altro aperto,
mirava, e curvo e fisso, di lontano
d’Austria il gran duce, e la saetta avea
già sopra l’arco, e coglierlo volea,

47ma l’alto Sforza lo privò di vita,
che ferito di taglio in testa un caro,
e dopo il caro immantinente un scita,
storditi ambi ne l’onde si annegaro.
Ma che direm di te, coppia gradita,
Farnese e Feltrio, ch’ambi a paro a paro
ven gite al colmo de la vera gloria,
onde eterna di voi sarà memoria?

48Quel che ad un tempo il Tebro e il Taro onora,
ferì talmente un cittadin di Gnido
che giù cadde ne l’onde allora allora,
mandando in fino al ciel per doglia il grido;
trasse di vita un satapre ancor fuora,
giunto pur dianzi dal termaico lido;
il terzo cittadin fu d’Eritrea,
e il quarto quel che Misitra reggea.

49Ciò visto, in fretta i Traci la trireme
circondaron di quel, colmi di rabbia,
con tre galere o quattro accolte insieme,
perch’ei di tutti lor palma non abbia,
tal che molti de’ suoi d’illustre seme
feriti furo or petto, or guancie, or labbia,
mentre audaci di cor, con mani pronte,
volsero invitti a i barbari la fronte.

50Ma i Turchi avean del saettar sì l’arte,
e le persone destre in guisa e franche,
che molti ancor ne la secreta parte
feriti fur, tra l’umbilico e l’anche;
però gli Insubri in questa e in quella parte
(che lente non avean le destre o stanche),
fèr sì con l’alme sol di gloria accese
che i Turchi vinti e le galee fur prese.

51Il Feltrio in tanto uccise un che, sangiacco,
già la Bossina resse e la Soria,
grosso di corpo qual depinto è Bacco,
ma d’ingegno sottil, di mente ria.
Di punta l’intestina fuor del sacco
trasse al duce maggior di Romania.
Quattro altri uccise ancor poi di sua mano,
d’Etolia i primi tre, l’altro arcanano.

52Ma che direm di te, Giordano Orsino,
colmo d’alta prudenza e di valore,
per cui ritorna il gran nome latino
nel primo pregio e ne l’antico onore?
che ancor del gran Commendator divino,
di gran forza dotato e di gran core?
che d’altri molti duci esperto e rari,
per virtù, per valor, per seme chiari?

53Fra questi un Paolo et un Michel, di sangue
congiunti col Pastor supremo Pio,
per cui più d’un vil turco or geme e langue
tra i crudi artigli di Satan lor dio.
Cader quei fece un di Tessaglia essangue,
questi un d’Arcadia et un spartano rio,
e tanti traci e l’uno e l’altro estinse,
che il ferro ignudo in fino a l’elsa tinse.

54Pirro, che illustre l’una e l’altra sponda
del nostro Ren felicemente adorna,
tinger si vede or quinci or quindi l’onda,
mentr’egli or qua or là corre e ritorna.
Non fia che Paolo ancor punto s’asconda,
e men Flaminio in loco alcun soggiorni:
questi al Colonna e quegli al Feltrio a lato,
sul Reno l’un, l’altro sul Tebro nato.

55Contra di Pirro s’era mosso un Greco
che solo un occhio avea, ma da lui scorto
l’unica luce gli trafisse, e cieco
sentissi prima il misero che morto.
Paolo ferì nel petto un gallogreco
che, da lui poco a ripararsi accorto,
cascò ne l’onda; e il buon Flaminio pronto
uccise un di Cilicia et un di Ponto.

56Scoccò lo stral d’ascoso un crudo armeno
per coglier d’Austria il grande eroe nel petto,
ma tosto un Angel giù dal ciel sereno
calò, da Dio mandato a questo effetto,
e fe’ che il colpo non lo colse a pieno,
ma ne la destra gamba il duce eletto
restò ferito leggiermente alquanto,
ma non però colui se ne diè vanto.

57De la mia stirpe e del mio sangue un Carlo,
giovene forte e destro et animoso,
ciò visto, come un ago e come un tarlo
punto gli avesse il cor nel petto e roso,
contra l’armeno andò per atterrarlo
con un sol colpo ardito e coraggioso:
d’asta proprio ferillo in mezzo il collo,
e dentro al mar cader morto lasciollo.

58Stava un gran Paolo appresso al gran Farnese,
che fa da lunge risonar Tiferno:
questi, con voglie di virtute accese,
e del nome Ottoman nemico eterno,
d’Ionia morti duo fratelli stese,
e di quell’alme fe’ goder l’Inferno,
nel mar cadendo le corporee some
che de la patria lor conserva il nome.

59Meraviglia non è, dunque, se folle
d’Alì ritorna e vano il rio dissegno,
che ne le vene il sangue a i nostri bolle
per foco interno, onde non han ritegno,
e serba ogni un fin dentro a le midolle
sì giust’odio e giust’ira e giusto sdegno,
che Geti e Frigi e Cari a la distesa
tutti sen van, senza trovar difesa.

60Quanti fur da le palle da i tormenti
maggiori spinte e da i minori, e quanti
da i sì spessi archibugi furon spenti,
lingua non è che di contar si vanti.
Fino in Parnaso e in Elicona i venti
de i miseri portaro i gridi e i pianti,
gli strepiti e i romori, onde ogni tomba
nascosta, e terra e mare e ciel rimbomba.

Anche Alì Pascià compie grandi imprese, Dio manda Michele in battaglia: travestito da spagnolo sgomina l’equipaggio della sua capitana e lo uccide (61-73). Altre imprese di vari capitani (74-112)

61Ma non per questo già l’ebbe da riso
l’Esperia, ancor che pianga l’Oriente,
perché numero grande ancora ucciso
rimase allor de la cristiana gente,
e sempre il crudo Alì rivolse il viso,
colmo contra di noi di rabbia ardente,
e quel feroce duce, accorto e forte,
fe’ di gran difesa ogni or fino a la morte.

62Egli era in mezzo d’una scelta schiera,
fra quanti quivi allor si ritrovaro,
onde convien che un gran cantabro pèra,
via più d’ogni altro al duce d’Austria caro;
poscia un galleco fra la gente ibera,
saggio e prudente e per dottrina raro,
del duce indi a la destra man di Tarento,
et un d’Idronto, con cento altri e cento.

63In loco di quei Traci ch’eran morti
nel fier conflitto, a gli occhi suoi davanti,
d’altre galee, non men robusti e forti,
venir quel ne facea tosto altrettanti;
et ei, mentr’eran gli altri afflitti e smorti,
per le spesse ferite egri e tremanti,
fuor nel viso apparia di buona voglia,
se ben colmo avea il cor d’estrema doglia.

64E fino al piè di vesta d’oro adorno,
col capo cinto di leggiadre some,
volgean l’oscura notte in chiaro giorno,
le gemme avvinte a le canute chiome,
scorrendo sempre fuor, dentro e d’intorno,
chiamava or questo or quel guerrier per nome,
confortando ogni duce, ogni soldato
che andasse ov’era dal destin guidato.

65Ma visto il Re del Ciel che non potea
restar l’armata vinta d’Oriente,
mentre quel crudo Alì Bassà vivea,
mandò l’alto Michele immantinente,
che giù da Ciel disceso in man tenea
quella medesma spada, arditamente,
che usò quando Lucifero fu dentro
cacciato al basso e tenebroso centro.

66E d’uno ibero nato in Tarracona
prese la forma, ch’era ardito e franco,
riccio di pelo e picciol di persona,
nel volto di color fra nero e bianco,
e quel sembrando, ch’unqua la corona
non fu del gran Filippo a servir stanco,
d’elmo e d’arnesi e di corazza grave,
d’un salto entrò ne la nemica nave.

67E col dar morte a tutte quelle genti,
di sangue tinta la celeste spada,
se n’andò sopra i corpi da lui spenti,
dove punto il Bassà non stava a bada;
e fissi avendo in quel gli occhi lucenti,
convien che a i piedi suoi prostrato cada,
d’ogni offesa chiedendo umil perdono,
e d’ambo i figli suoi la vita in dono.

68E lui credendo de l’Ibera gente
essere il duce del gran Carlo figlio,
le ginocchia abbracciando a quel dolente,
molle di pianto e l’uno e l’altro ciglio,
dicea: «Signor, c’hai già con la potente
destra, col gran valor, col buon consiglio,
l’ottomannica luce oscura resa,
già vincitor de l’onorata impresa,

69de i morti amici tuoi per l’alme sante,
che qui d’intorno son mentre ch’io parlo,
ti prego, e per gli merti del constante
e sempre invitto tuo gran padre Carlo,
le cui bell’opre a gli occhi ognor davante
porti, sol per desio c’hai d’imitarlo,
e del tuo gran fratel per l’infinita
bontà, che doni a questi almen la vita.

70Io ben confesso che i miei fatti degni
son de i presenti e di maggiori guai,
che già più volte scorso i vostri regni,
gran crudeltà, gran violenza usai,
ma questi figli miei, cari miei pegni,
sono innocenti e non offeser mai:
però sol contra me la tua giust’ira
sfoga, e di questi l’innocenza mira.

71Del rapido Strimon sopra la sponda,
tranquilla in pace la mia patria siede,
dove il mio tetto di tesoro abonda,
che tanto in mano avrai per tua mercede;
se questo impetro, l’alma mia gioconda,
del mortal peso scarca e l’alta fede
salirà tosto, e in seno al gran profeta
starà felice in sempiterno e lieta».

72E questo avendo Alì dolente detto,
l’alto nuncio divin così rispose:
«Di far ciò che mi chiedi or ti prometto,
per colui che ordinò tutte le cose».
Così dicendo, subito nel petto
la spada fino a l’elsa gli nascose,
d’un’asta in cima poi fatta la testa
portar, la morte sua fu manifesta.

73L’alma del gran Bassà sdegnosa in tanto
cascò del rio Satan ne i crudi artigli,
dove in angoscia e starà sempre in pianto,
per fatti rei ma più per rei consigli.
Rimaso vincitor l’Angelo santo,
guidò del morto duce i cari figli
salvi, d’Esperia in fra l’irate genti,
al grande eroe, co i lor mastri e serventi.

Altre imprese di vari capitani

74In tanto il re d’Algier, che il manco corno
reggea, dal gran Bassà molto lontano,
già s’era steso in verso il mezzo giorno,
sempre intento girando accorto e piano:
ciò visto il Doria, d’ogni dote adorno,
cauto e forte guerrier, duce soprano,
sol per tema d’inganno anch’egli prese
la strada istessa e contra quel si stese.

75E l’uno a l’altro e l’altro a l’uno aperto
sospetto dando e, come dir si suole,
stando su l’ali del nemico incerto,
né questo prima o quel mover si vuole,
che l’uno e l’altro era di guerra esperto,
da mastri usciti de le prime scole;
quando ecco l’African correr veloce
contra i guerrieri de la bianca Croce.

76Quei, benché fosser coraggiosi e forti,
e che facesser lunga e gran difesa,
sì fero assalto sostenendo accorti,
con gran danno de i Traci e grave offesa,
pur finalmente fur da l’acque absorti,
con gran giattura di quell’alta impresa;
la nave lor, da varie e da diverse
machine rotta, al fin tutta si aperse.

77E quegli or qua or là fuor de la nave,
battendo indarno e l’una e l’altra palma,
e presa indarno o prora o sponda o trave,
calaro al fondo con la grave salma:
nessun d’essi morio ma tra soave
canto, raccolto con letizia l’alma
quel supremo Rettor, pien d’infinità
pietà, lor diede in Ciel perpetua vita.

78S’Europa tutta ohimè si affligge e s’ange,
né porre al gran dolor può meta o freno,
del proprio danno suo dolente piange,
col capo fuor de l’onde, il picciol Reno;
quinci ogni ninfa stride, urla e si frange
mesta i capelli, e si percuote il seno,
poi che restò fra quelle schiere sparte
de le speranze lor la miglior parte.

79Anime belle, che ne gli alti chiostri
di quella più sublime illustre sfera,
già fatte dive, i vani pensier nostri
schernite omai tra la più nobil schiera,
pregate il sommo Iddio ch’anco a noi mostri
di seguirvi là su la strada vera,
e che ogni van sperar via da noi toglia,
drizzando a lui tutta la nostra voglia.

80E voi leggiadre ninfe, che dolenti
de l’italico Ren sopra la riva,
meste mandate al ciel strida e lamenti,
di speme ogni una e di conforto priva,
consolatevi omai, ché quai lucenti
stelle, tra compagnia celeste e diva,
de le miserie e de i perigli fuori,
felici stanno i cari a voi pastori.

81Visto il gran Doria il re d’Algier con tanto
vantaggio a dosso a quei guerrieri scorso,
che ancor ch’abbian di forza e d’arte il vanto
fuggir non ponno del tiranno il morso,
già si era mosso con gran fretta in tanto,
a tutto suo poter, per dar soccorso
a quella illustre et onorata schiera
posta in periglio tal, perché non pèra.

82Ma trovandosi troppo esser lontano,
benché veloce andasse in quella parte,
giunto conobbe il suo dissegno vano,
già timon rotto, e prora e sponde e sarte,
e le persone a nuoto or piede or mano
muovendo a pena, gir per l’onde sparte:
molto il Doria tra sé di ciò si dolse,
e ratto in contra il re d’Algier si volse.

83Ma troppo il vil pirata inferiore
vistosi a quel che sempre vincer suole,
di forza, di saper, d’arte e di core,
se ne fuggì con sette navi sole;
ma il nobil Doria, di Liguria onore,
contra quella malvagia iniqua prole,
sfogando il giusto sdegno, cadean tutti
senza ritegno dentro a i salsi flutti.

84Dir mai non si potria quanti rei traci
del mar nel fondo giù restàr sommersi,
né quanti sciti, armeni e frigi e daci,
col capo dentro a l’onde andàr riversi,
né quanti cappadoci empi e fallaci,
cari, bitini e cilici perversi,
che a mille a mille quelle genti sporche
cadean giù pasto di balene e d’orche.

85Paolo, fratello del gran Sforza, altero
ferì nel ventre il Bellerbei d’Epiro,
poi tosto un suo figliuol, gran duce e vero,
ch’ambi ad un tempo dentro a l’onde giro,
colse in fronte di Pselca un, grande e nero,
mentre, vibrando già la spada in giro,
quel di sua patria stando in duro essiglio
gli tinse in rosso e l’uno e l’altro ciglio.

86Cader poi fece un Tegeate estinto,
con duo fratelli nati ambo in Micene.
L’accorto Doria uccise un di Perinto,
un cittadin d’Ambracia et un d’Atene,
tal che non pur restò di sangue tinto
di sopra il mar ma le più basse arene;
questi anco uccise un architetto ebreo,
nutrito a Tempe in ripa al ben Peneo.

87Un forte cavalier del seme Orsino,
dal tronco il capo fe’ cader lontano
d’un grande Acheo, di par dritto e mancino,
due scimitarre avendo, una per mano;
ferì poi sopra un Trace il gran latino,
che di fuggir provò, pauroso, in vano,
d’incesto nato a le radici d’Emo,
e lo mandò d’ambe le mani scemo:

88del gran lor Mastro ricovrò di Malta,
con questo colpo, l’onorata insegna,
e sì spiegata quella al vento et alta,
che ogni un la veggia, di portar s’ingegna;
poi d’oro adorno un forte duce assalta,
che di ferir la turba vil si sdegna,
e tanto il ferro spinse a prima giunta
che un palmo dietro uscir fece la punta.

89Però fe’ gran giattura il Doria degno
d’alcuni suoi più cari e più diletti,
mentr’era intorno combattendo un legno
di giannizzeri carco, e tutti eletti,
che pronti e con la forza e con l’ingegno,
di cori audaci e d’animosi petti,
contra i nemici lor tutti rivolti
sempre mostraro in fino a morte i volti.

90Ma quei vinti e sommersi, ogni altro in fretta
scorrendo il Doria or qua or là veloce,
uccise o fe’ prigion, sol per vendetta
de i cavalieri de la bianca Croce;
tra le sue braccia umil ciascun si getta,
nissun come pur dianzi era feroce.
Rotti i barbari, e vinti in queste parti,
gir si vedean disordinati e sparti.

91Come talor da forte argine o sponda
ritenuto veggiam fiume o torrente,
se rapido a la parte più profonda
si trae dietro le ripe, ecco repente
scorrer per tutto vincitrice l’onda,
che armenti e gregge e fere orribilmente
sommerge e caccia, e con più cruda guerra
uccide uomini e donne, e case atterra,

92così fuggito il re, così già rotta
la nave che i giannizzeri chiudea,
la turba oriental paurosa in frotta
sommergersi o fuggir qui si vedea,
la continua vittoria già interrotta,
che la stirpe ottomanna avuta avea
sì lunga età; qui d’Austria il duce corso
porse a quel corno a tempo anch’ei soccorso.

93Perché già posto Alì superbo a morte,
general duce di quell’alta impresa,
e due suoi figli già con guancie smorte
caduti essendo ne la rete tesa,
l’eroe d’Esperia, e valoroso e forte,
che ogni suo fatto ben misura e pesa,
sempre accorto guardandosi d’intorno
scorse in periglio star quel destro corno.

94Ma che direm del Barbarigo franco,
guidato da felice alto destino,
che in suo governo avendo il corno manco,
e sempre appresso il gran duce Quirino,
benché fosse di pel canuto e bianco,
per mostrarsi ben degno cittadino
de l’Adria altera, fe’ quel giorno cose
che fiano al mondo eterne e gloriose?

95Contra di lor venìa Sirocco al dritto,
del destro corno duce ardito e fero,
che non pur d’Alessandria ma d’Egitto
tutta avea per Selim libero impero.
Costui, visto in gran parte già sconfitto
il duce universal, volse il pensiero
a circondar quei d’Adria in verso l’Orse,
ma di ciò cauto il gran Quirin si accorse.

96E l’uno e l’altro duce il gran periglio
scorto, col buon Canal, forte e prudente,
con presto e salutifero consiglio,
s’opposer pronti al duce d’Oriente,
tutti scoprendo il minaccioso artiglio
al barbarico stuolo arditamente;
ma qui, trovato incontro duro avendo,
conflitto fassi più che altrove orrendo.

97Trombe e tamburi più che altrove ardenti
qui fanno i cori ad incontrar la guerra;
da mille e mille bellici tormenti
qui strepito e romor tal si disserra
che fa per tema impallidir le genti,
e ne rimbomba il mar, l’aria, la terra;
qui da i vicini scogli Eco risponde,
e più che altrove vive appaion l’onde.

98Qui già da tanti e tanti remi insieme
rotta ad un tempo sol l’onda e percossa,
d’alta spuma coperta e stride e geme,
spuma non bianca ma di sangue rossa;
pien d’audacia, d’ardor, d’ira e di speme
qui fa ciascun l’estremo di sua possa;
qui da palle e da lancie e strali e spade
chi morto in tutto e chi ferito cade.

99Come ne la città che fra due corna
del Po superba si rinchiude e serra,
e che tanto col nome il ferro adorna,
tremò pur dianzi e trema ancor la terra,
che mentre appar la notte e mentre aggiorna
palazzi e templi e case e torri atterra,
con foco tal, con sì terribil tuono,
che il lampo agguaglia e che pareggia il tuono,

100così ciascuno imaginar si puote,
che la terra non pur dappresso e l’onda,
ma di lontano ancor trema e si scuote
ne la più bassa parte e più profonda,
per tormenti e per machine e per ruote,
gli antri, le arene, e questa quella sponda
risuona e stride, e l’aria in ciascun loco
risplende sì che par cangiato in foco.

101Il gran proveditor punto non tarda,
ma qua e là dove il bisogno scorge,
scorre intrepido sempre, ascolta e guarda,
mentre rimedio ad ogni cosa porge;
percosso in tanto da crudel bombarda
uno e un altro a la sua destra scorge
che in aria in pezzi andati, apparve rosso
del sangue lor l’arnese ch’avea indosso.

102Per tanto orribil caso il duce forte
di color punto in faccia non si mosse,
ma quivi posto un fero daco a morte,
subito uno epirota ancor percosse;
più che il valor, costui scampò la sorte,
che il legno mentre lo colpì si mosse,
onde come sperava a pien nol giunse,
ma solo alquanto ne la fronte il punse.

103Seco il Quirin, seco il Canal si accorda,
che l’uno e l’altro e taglia e fora e smembra,
quella vil turba d’uman sangue ingorda,
strage sì grande alcun non si rimembra.
Pian pian soffiando un siro ne la corda,
curvo sì ch’un delfin proprio rassembra,
per dar foco al tormento di lontano
nel legno un stral gli conficò la mano.

104Un suo fratel, poi che di ciò si accorse,
mostrando aperto di gran doglia il segno,
per tòr la freccia via la man gli porse,
ma fu confitto anch’ei proprio in quel legno;
subito il terzo suo fratel vi corse,
minacciando pien d’ira e pien di sdegno,
ma il terzo stral, che non fu spinto a vòto,
gli fe’ la lingua gir nel sangue a nuoto.

105Il gran Quirin, di somma audacia pieno,
di punta uccise l’empio Carracossa,
e poscia Acan, figliuol d’Ariadeno,
che anch’ei del sangue suo fe’ l’onda rossa.
Il buon Canal al rio Sirocco in seno
cacciò la spada, e tal fu la percossa
che a divider gli andò per mezzo il core,
Giaffer di vita ancor poi trasse fuore.

106Un cantareno et un soranzio, spinto
questo e quel da giust’odio e da giust’ira,
un di Patra, un di Cirra, un di Corinto
gettar ne l’onde, et un nato in Stagira;
nacque sopra la riva d’Ermo il quinto
tal che ogni turco in van piange e sospira,
che fecer d’Adria i cittadini prove
contra di lor meravigliose e nuove.

107Ciò visto un crudo cappadoce in fretta,
per rabbia e per furor nel viso acceso,
d’un figlio morto suo per far vendetta
e d’un fratel, scoccò l’arco già teso.
L’infernal Belzebù l’empia saetta,
con l’invisibil man portò di peso
in fronte al Barbarigo illustre duce,
e lo privo de la mondana luce.

108Ma se restò de la mondana privo,
ben fe’ de la divina in Cielo acquisto,
dove l’uom chiama ogni or quel vero e vivo
di pietà fonte a braccia aperte Cristo,
e quivi stando eternamente vivo,
con dolce suono un dolce canto misto,
goderà pien di vero alto diletto
del sommo eterno Dio sempre il conspetto.

109Ma prima non lasciò la mortal vita
che morti vide i Traci, e in fuga volti,
rotta o presa ogni nave, arsa o fuggita,
e molti d’essi di catene involti;
poi ringraziando la bontà infinita,
molti Angeli per ciò quivi raccolti
l’alma creder si può ch’al Ciel portaro,
l’Adria lasciando in tristo pianto amaro.

110Spirto felice, il mio sì rozzo verso,
deh, fosse ornato qual devriasi e culto
per far che in parte mai de l’universo
non rimanesse il tuo gran nome occulto!
Ma poi che ciò non posso, almen consperso
di pianto il seno, in gemito e in singulto,
tra la Savena e il Ren con gli occhi molli
farò d’intorno udirmi a i vicin colli.

111Ma tu però sarai con dotti carmi
cantato e scritto da sublimi ingegni,
e fian scolpiti in duri eterni marmi
gli alti tuoi fatti, gloriosi e degni,
e le greche insegne e gli archi e l’armi,
con tanti rostri d’acquistati legni,
come al gran vincitor de l’alte imprese
saran d’intorno al tuo sepolcro appese.

112E così ancor sarà de gli altri tutti
rampolli d’Adria celebrato il nome,
per cui rimaser ne gli ioni flutti
del mostro oriental le forze dome:
del seme sparso loro i colti frutti
vedrem, che adorno le onorate chiome
d’Austria l’eroe di trionfante lauro
di tutta Europa fia speme e restauro.

I Turchi sono messi in fuga (113-121)

113Già la battaglia vinta e, con gran scorno,
fuggito il re d’Algier, le navi prese,
di palme e di trofei Giovanni adorno,
perché felici sian tutte l’imprese,
si volse contra l’ostil destro corno
e i duci d’Adria vincitor difese,
ché rotta del primier la mortal scorza
ripresa i turchi avean baldanza e forza.

114Con questo così grande e bel soccorso,
fra il termine d’un’ora e forse meno,
non pur lo stuol barbarico, trascorso
con troppo ardir, si ritirò col freno,
ma quivi d’Austria l’alto duce corso
l’ira e la rabbia e l’infernal veneno
de gli empi Traci sì domò di sorte
che fur tutti o prigioni o posti a morte.

115Mosso da prieghi del gran Pio Pastore
l’Eterno Padre, e da i peccati gravi
di Selim re di Tracia traditore,
rimaner fatte in secco avea più navi,
di quelle che pur dianzi, con furore
da i suoi ministri e con dissegni pravi
verso Boote furo in cerchio spinte
perché restasser quelle d’Adria cinte.

116Creder si può che quei baroni tutti,
che in secco sopra i legni allor restaro,
del grande Ionio ne i profondi flutti
d’ingordi mostri degno cibo andaro;
o che da i nostri, in servitù ridutti,
di ceppi e di catene gli legaro,
certo apprendendo a mille prove note
ch’anco esser vinto il fero Turco puote.

117La barbarica turba inerme in tanto,
vista l’armata già per tutto vinta,
mesta fuggia da questo e da quel canto,
per timor tutta di pallor dipinta:
gemiti, strida, omei, querele e pianto
per tutto uscian, che d’atro sangue tinta
l’acqua mirando, crudo ogni pianeta
chiamavan tutti, e falso il lor Profeta.

118Colmi quei di timor, privi di speme
fuggian, qual fuggon per li gioghi ircani
paurosi cervi congregati insieme,
la voce udita de i sagaci cani,
o del leon che per gran fame freme,
benché scevri talor siano e lontani;
e mentre sciolti a gara in fuga vanno
tra i rami alto romor le corna fanno;

119tal mesti e tristi e timidi e confusi,
e disperati ancor d’essi gran parte,
senza dove saper correan diffusi,
de lo schermir perduta avendo l’arte,
che a vincer stati in fino allor sempr’usi,
né mai provato pria contrario Marte,
chi se medesmo uccide, e chi scampato
da l’un giunge a morir da l’altro lato.

120Ma tanti casi quivi occorsi e tante
morti diverse raccontar non posso:
chi si gettava in mar col capo inante,
se stesso indritto al cor prima percosso;
chi, smorto per gran rabbia nel sembiante,
a l’improviso si slanciava a dosso
ad un d’Esperia, e quel preso a traverso
poi si lasciava in mar cader riverso.

121Su fregatte e battelli e schifi molti
per salvarsi fuggian veloci al lito,
ma di lontan con gli archibugi colti
qual morto in tutto e qual cadea ferito;
troppo altri essendo in picciol legno folti,
restando il pensier lor vano e schernito,
sommerger si vedea la fragil barca
di sì vil turba di soverchio carca.

La battaglia è vinta, Giovanni decide di ridurre la flotta a Corcira (122-134)

122Già d’Austria vincitor l’altero duce,
con grave di Selim vergogna e scorno,
il sol con più lucente e chiara luce
mostrossi ognor quel fortunato giorno,
beato è sol colui che si riduce
dov’è Giovanni, e chi gli sta d’intorno:
ciascun l’essalta, lo commenda e loda,
e tra sé par che a rimirarlo goda.

123Di Carlo il figlio adunque le contese
già superate, e domo il mostro rio,
le mani verso il Ciel congiunte stese,
prostrato in terra, e in atto umile e pio,
per gran letizia lacrimando, rese
grazie infinite al sommo eterno Iddio,
che d’aver già deposto il giusto sdegno
mostrasse allor sì manifesto segno.

124Poi benigno e modesto a quei rivolto,
duci e signori ch’ivi eran presenti,
di lagrime consperso gli occhi e il volto,
e stando tutti ad ascoltarlo intenti,
disse ch’avendo il Padre eterno tolto
l’antico orgoglio a le nemiche genti,
dovean modesti usar tanta vittoria,
l’onor tutto a lui sol dando e la gloria.

125E che devean sol riconoscer tanto
dono da l’infinita alta bontade,
che la bell’Adria omai priva di pianto
conservaria l’antica libertade;
che in terra alcun di ciò non si dia vanto,
né lo conosca da le proprie spade
ché a vincer tante navi accolte e tante
turbe non era il poter lor bastante.

126E che poi, dopo il sommo Padre eterno,
riconoscer tal grazia ogni un dovea
dal Pio Pastor, che in sua vece governo
de la cristiana mandra in man tenea,
ch’ei superato con l’amor paterno
ogni difficultà mai sempre avea,
e che i suoi preghi ardenti nel conspetto
divin facean maraviglioso effetto.

127E così detto d’Austria il duce volse
veder ciascun più nobile prigione,
e da i lacci e da i ceppi alcuni sciolse
ch’eran fra i Turchi celebri persone;
appresso ancor di sé benigno tolse
quei duo figli d’Alì fuor di prigione,
per nobiltà via più d’ogni altro noti,
e per la verde età di colpa vòti.

128Poi ne la regia sua nave a convito
convocar fe’ ciascun duce e signore,
e sedendo tra lor, pien d’infinito
diletto, a lodar tolse ogni migliore
che nel conflitto periglioso, ardito
dimostrò forza e valoroso core,
sapendo che ad ogni un la loda è grata,
e che suol crescer la virtù lodata.

129Primier d’ogni altro duce lodò molto
l’alto Colonna di valor, d’ingegno;
poscia al gran Sforza, fior verace, volto
disse ch’egli era d’ogni laude degno;
che nel Farnese e che ne Feltrio accolto
merto egual si scorgea d’ogni ampio regno;
e che dal tanto illustre altero Doria
gran parte conoscea di tal vittoria.

130Fino al cielo essaltò del sangue Orsino
Paolo, e Paolo Giordan, gran duce e vero,
e di quel seme istesso un gran latino
col fratel, l’uno e l’altro invitto e fero;
lodò fra i duci d’Adria il buon Quirino,
col buon Canal, ma pria l’alto Veniero;
poi sì, disse, risplende Paolo Sforza
che la sua maggior luce ogni altra ammorza.

131Lodò Pompeo, lodò Prospero, nati
del seme che tra noi l’onor sostiene;
Cornia, Gabrio e Vitellio tra i lodati
furo, e Gonzaga con parole piene;
da lui non furo indietro ancor lasciati
quei tutti che l’Iberia empion di spene,
lodando il gentil Pliego ad alta voce,
Commendator, Cardona e Santa Croce.

132Per così rare e così degne lodi,
che d’Esperia l’eroe fra i suoi comparte,
tu, picciol Ren, già grande appari, e godi
d’averne avuta sì onorata parte:
Pirro e Paolo e Flaminio in tanti modi
illustri ascolto, e veggio e in voce e in carte;
Carlo, vendicator del gran Giovanni
co i due che al Ciel spiegàr, morendo, i vanni.

133Poscia l’eroe che il secol nostro inaura,
mentre del faticar già stanco e fioco
l’essercito si posa e si restaura,
ciascun dentro per gioia e fiamma e foco,
dimandar si risolse a Santa Maura
per riconoscer, come s’usa, il loco:
ma forte e ben munita e ben difesa
quella trovata, non tentò l’impresa.

134Questo d’ogni altro fu miglior consiglio,
ché stanchi e privi omai di vettovaglia,
vicino il verno e rotto ogni naviglio
vistosi aver per sì mortal battaglia,
si fora sposto a troppo gran periglio;
però conchiude che nessun l’assaglia,
risoluto l’april vicino o il maggio
poi d’assalirla e con maggior vantaggio.

Giunge un messo da Cipro e racconta la caduta di Famagosta e il tradimento dei Turchi (135-151)

135Con tal pensier verso Corcira volto,
dove arrivato con tutta la gente,
e con supremo onor dal Zorzi accolto,
d’Adria illustre figliuol, duce prudente,
vide un legno apparir leggiero e sciolto,
ch’entrato in porto un cavalier dolente
di quello uscito, e nobile al sembiante,
appresentossi al grande eroe davante.

136Nestor detto il guerrier, tra i Cenomanni
di chiara stirpe e principal disceso,
palese fe’, con quai lor gravi danni,
già Cipro tutto avesse il Turco preso,
e che aggiunte a le forze avea gli inganni,
contra i Cristiani d’alta rabbia acceso,
nel rapir Famagosta, dove i patti
rotti avea lor, con giuramento fatti.

137D’Esperia nuova tal da i duci udita,
d’improviso dolor colmi restaro.
Piacque a Dio di temprar quella infinita
dolcezza universal con questo amaro.
Poi quel guerrier, la trama ordita
da i Turchi, a raccontar caldi pregaro:
di parte in parte adunque egli cortese
quivi narrò le mal successe imprese

138dicendo: «Poi che a voi, signori, tanto
piace col raccontar che in me la soglia
si rinovelli, e che si accresca il pianto,
son pronto a contentar la vostra voglia;
ma fin che Dio fuor del corporeo manto
col bramato morir quest’alma scioglia,
l’impietà, la fé rotta e il traditore
sempre ne gli occhi avrò, sempre nel core.

139Già molti mesi Famagosta intorno
l’assedio avuto avea, mentre i soldati
co i duci tutti s’eran, notte e giorno,
fedeli e forti in guisa tal mostrati
che i Turchi spesso, con gran danno e scorno,
da i lunghi assalti s’eran ritirati.
Ma sempre atteso avendo aiuto in vano
constretta fu di darsi al Trace in mano,

140ché palle e polve e vino e carne e pane
mancando, e fuor che le speranze sole,
ogni altra cosa e queste ancor lontane,
d’accordo incominciossi a far parole,
e col rio Mustafà, rabbioso cane,
conchiusa tregua, come far si suole.
In tanto i duci d’Adria e il mostro fero
l’un l’altro ostaggi ne le man si diero.

141E fra gli ostaggi Traci al gran Baglione,
trattati in modo tal gli accordi furo
che i nostri salvi, e l’armi e le persone
passaggio in Creta avessero sicuro.
Ciò dal Bassà, con falsa intenzione
fermato, fuor de l’infelice muro
me già mandato d’Adria il duce avea,
per dir che la città dar gli volea.

142La mia proposta udita, il rio, con volto
chiaro coprendo i torbidi pensieri,
– Dì pur che venga, – disse – che raccolto
da me fia sempre, e visto volentieri.
Lui sol conoscer bramo, dal suo molto
valor sforzato, e i suoi duci e i guerrieri
le cui veraci lode, ovunque io sia,
sempre usciran fuor da la bocca mia -.

143E così detto avendo, e consentito
a quanto io chiesi con gentil maniera
ma però finta, io, subito partito,
la risposta narrai de l’empio intera.
Poi ch’ebbe il mio signor ciò tutto udito,
fuor di sospetto, la medesma sera,
co i primi tutti e il Baglion seco a paro
del rio Bassà le tende inermi entraro,

144che, fatti quei seder, cortesemente
ragionando con lor di varie cose,
contra il buon duce d’Adria fintamente
una calunnia il perfido compose,
onde levossi, e d’ira tutto ardente,
a i suoi guerrieri minacciando impose
che a gli innocenti e miseri Cristiani
fosser legati tosto e piedi e mani.

145Quei trovandosi d’arme ignudi, senza
contrasto ciò si fece; indi condutti
più di trecento in piazza, in sua presenza
tagliati a pezzi ad uno ad un fur tutti.
Poi contra il Bragadin, di tal prudenza
dotato, i traditori ecco ridutti,
cui di troncar la testa essendo in forse,
pien d’umiltà lor sempre il collo porse.

146Lo scemàr poi d’orecchie, e per più scorno,
pria strascinato e in queste parti e in quelle,
e fattol gir di terren carco intorno,
d’alto il mostraro a l’empie turbe e felle;
poi fatto in piazza col meschin ritorno,
gli trasser, vivo essendo ancor, la pelle,
mentr’egli umil, colmo d’affetto pio,
perdon chiedea d’ogni suo fallo a Dio.

147Gli occhi levando al Ciel dicea: – Signor,
che prendesti servil forma e figura,
se tu, mio verro Iddio, mio creatore,
hai sofferta per me pena sì dura,
ben sopportar poss’io questo dolore
per Te, vil servo tuo, vil creatura,
se la giust’ira tua contra me solo
si sfoga, in tanto strazio io mi consolo.

148Difendi, o Signor mio, l’umil tuo gregge
da questi lupi, e il tuo popol cristiano;
difendi la tua vera e santa legge
dal Turco, mostro infernal in corpo umano;
difendi il Pio Pastor che per Te regge,
di tre corone adorno, in Vaticano -.
E così detto, fuor del mortal velo
l’alma felice andò volando al Cielo.

149In tanto io fatto schiavo, con l’aiuto
del Padre Eterno, e con mio gran periglio,
fuggendo, salvo al fin qui son venuto,
di quei mostri lontan del fero artiglio;
in qual guisa mi sia questo avvenuto,
più per ventura che per buon consiglio,
poi che la voce dal dolor m’è tolta,
mi serbo a raccontarvi un’altra volta».

150Tacque poi ch’ebbe a pena così detto,
da soverchio dolor subito vinto.
Ciascun, sentita gran pietà nel petto,
col viso apparve di pallor dipinto.
Poi tutti a riposar sen giro in letto
del giorno essendo in tutto il lume estinto.
L’eroe, comparso il nuovo giorno, sorto
fuor de le piume andò subito al porto.

151E quivi commandò che far ritorno
dovesser tutti a casa i duci suoi,
dove in riposo avessero soggiorno
tutto il verno vicin; ma tosto poi
che il sol scaldasse e l’uno e l’altro corno
del Tauro, per tornar ne i regni eoi
con le sue genti armate, ogni uno in schiera
seguir devesse la regal bandiera.