La Genealogia della gloriosissima casa d’Austria

di Gerolamo Bossi

Edizione ampliata dell’Heliodoro, la Genealogia della casa d’Austria è edita nel 1560, in un giro d’anni significativo per il poema epico-cavalleresco: è coeva all’Amadigi di Bernardo Tasso, e di due anni precedente il Rinaldo di Torquato Tasso e, soprattutto, l’Amor di Marfisa di Danese Cataneo, un testo con cui molto condivide. Anch’essa continuazione dell’Orlando furioso, e come il poema del carrarese centrato sulle vicende della campagna italiana di Carlo Magno contro i Longobardi, è non indegna rappresentante di quel processo di «canonizzazione» del capolavoro ariostesco che si sviluppa, sul versante della prassi, tramite un inserimento nelle maglie dell’epica delle vicende dell’archetipo.
Tuttavia il bilanciamento delle quote epiche e romanzesche è diverso rispetto al poema di Cataneo: nella Genealogia domina ancora la matrice cavalleresca, che lega all’erranza e all’avventura il motivo encomiastico, centrale nelle dinamiche di sviluppo della fabula. Molto, infatti, ruota intorno alle vicende dei capostipiti della casa d’Asburgo, Eliodoro e Marfisa (personaggio rivitalizzato, in maniera del tutto opposta, anche da Cataneo), che decidono di sposarsi ma vengono divisi da Malagigi. Con l’intervento del mago si apre una sezione interessante nel poema di Bossi: il giovane cavaliere viene infatti trasportato nel Nuovo Mondo, che compare così nelle maglie della narrazione in ottave con buon anticipo rispetto a Tasso e all’esondazione seicentesca sul tema.
Nonostante la revisione e l’ampliamento rispetto alla prima versione, la storia non si conclude, come destino del poema rinascimentale vuole: la vicenda si interrompe quando Eliodoro è ancora in America e Desiderio si è trincerato a Pavia, e resta, a mo’ di chiusa, il lungo elogio della casa d’Austria.

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