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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro IV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 18.02.16 17:30

ARGOMENTO
Narra Teodoro il glorioso acquisto
che fe’ il campo cristian di Gazzacote:
l’assedia al fin l’imperadore, avvisto
che per assalto ottener lei non puote;
delle mura assediate esce Atemisto
con mentito sembiante e false note,
e poich’Augusto uccider non gl’è dato
a Triface e Batran tende l’agguato.

Teodoro racconta della presa di Gazzacote: I messaggeri mandati a Cosdra con la proposta di pace sono stati imprigionati, solo uno è stato rimandato al campo, dopo essere stato torturato (1-23)

1E qui tacendo il principe, rimane
per breve spazio il messaggier sospeso
nel labirinto delle cose umane
maravigliando, a ripensare inteso,
che ben sovente ancor ch’aperte e piane
sembrinoS | sembino in vista occulto laccio han teso,
e rivolto a Teodor, che venia seco,
proruppe: «Il mondo è pien d’inganni e cieco,

2e però quei che vuol trovar tra queste
tenebre de’ mortali il camin destro
non si confidi in suo veder terrestre
ma prenda il Cielo a’ passi suoi maestro.
Ciascun non meno, e più fallir d’Alceste
potrebber molti il gran viaggio alpestro
se ’l lume di colui che ’l tutto vede
non drizzassi a i viandanti il piede.

3Ma voi, signor, che fin’ad or m’avete
conoscer fatto ogn guerriero e duce,
se forse stanco in raddolcir non sète
favellando la via che ne conduce,
di qualche opera ancor, che minor sete
non mi resta al desio, datene luce».
Et egli: «Io conterò come fu presa
Gazzaco illustre e singolare impresa.

4Un anno e due scaramucciando avea
Cesere consumato in Oriente,
e con varia fortuna, or buona or rea,
spesso fu perditor, spesso vincente,
quel che ier conquistò diman perdea,
e ’l suo perduto ei racquistò sovente,
e in così lungo variar pugnando
venian le forze ad or ad or mancando.

5Ond’ei, che come saggio al fin s’accorge
qual nocivo guadagno il pugnar porti,
ove dubio ogni evento e certi scorge
sempre i perigli e le sanguigne morti,
mosso dalla pietà che ’l cor gli scorge
schiva d’avventurar l’anime forti,
e pensa a stabilir concorde acquisto,
ché in guerra è sempre il pro col danno misto.

6Però senza indugiar quaranta eletti
saggi orator della milizia pia,
coronati d’oliva a gli ampi tetti
del re de’ Persi a trattar seco invia.
Le lor candide barbe ai chiari aspetti
molto accrescean la maestà natia;
mansueto ogni gesto, e parco e grave
era ogni moto, e ’l favellar soave.

7Precorritrice a Gazzacote arriva
la pacifica schiera a Cosdra avante,
ma ’l tiranno crudel, quasi alla riva
dell’agitato Egeo grotta sonante,
pien d’orribilità fremer s’udiva,
e nel suo cruccioso aspro sembiante
apparian chiari a manifesti segni
gl’ingiuriosi suoi celati sdegni.

8Entrano i messaggier di gemme e d’oro
nella gran sala a meraviglia intesta,
ma che vie più per li trofei che foro
tolti in guerra a i cristian superba resta,
e non v’è nell’entrar chi faccia loro
segno d’onor né d’accoglienza onesta,
ma da mill’aste attorniati stanno
con bassa fronte innanzi al fier tiranno.

9Et ei postosi intorno al manco piede
lo sgabel sottomesso, e finto il mare,
la terra al destro e intorno un ciel si vede
che d’eletto zaffir puro traspare,
la luna e ’l sol nella pomposa sede
fulgentissime gemme al mondo rare,
fiammeggian giuso in parti abiette et ime
quasi bassi ministri al re sublime;

10et ei si sta con la superba fronte
di corona real fulgente e grave,
e sostien con le mani all’ira pronte
lo scettro alter che l’Oriente pave.
Lo sguardo è torvo alle minaccie, all’onte,
pur d’affabilità raggio non have,
d’ogni dote gentil l’anima è scema,
e la turba de’ servi intorno trema.

11All’inchinar dell’onorata schiera
torc’egli il sguardo, e in lei piegar lo sdegna.
Ma fra tanto Anfion, cui lusinghiera
la favella discior natura insegna,
soave in atto e in placida maniera
d’amarsi ancor non che d’udirsi degna,
tra ciascun altro a far parole eletto
traggesi avanti al disprezzoso aspetto.

12E riverente innanzi al re s’inchina,
piegando il volto e le canute chiome,
e con voce spedita e pellegrina
la lingua scioglie e incominciò, pur come
muove picciol ruscel da piaggia alpina,
dov’ei piglia dal fonte il corso e ’l nome,
e formò prima un ragionar soave
con bassi accenti, in suo rimesso e grave,

13poi ben tosto acquistando e suono e lena,
e col facondo e rapido torrente,
che romoreggia, e la pietosa arena
risonar s’ode, ov’ei ne va corrente,
or frange l’onda, or la rivolge or frena,
or cala or cresce, or freme or non si sente,
or fa gorgo or palude or stagno or lago,
e quanto vario è più tanto è più vago.

14Dalle lodi incomincia, e così tenta
prima addolcir del re superbo il petto
con tutto quel ch’ogn’animo rallenta
e rintranquilla ogni turbato affetto.
Poscia il fatto propone e l’appresenta,
tal che molto importar ne può l’effetto;
ragioni adduce e quel che nuoce o giova
con più forti argomenti oppugna e prova.

15Propone a lui che per finir le liti
che sparger sangue in tanta copia fanno,
lasci che si riporti ai propri liti
l’arbor che terminò l’eterno danno.
Sian gl’orribili agoni omai finiti
e cessi al fin l’universale affanno,
respiri il mondo, e ’n sicurezza e ’n pace
menin la vita il popol Perso e ’l Trace.

16Conchiude e tace e persuade ancora
col silenzio e con gl’atti il veglio onesto,
ma come avvien che ’l medicar talora
la piaga innaspra e fa ’l dolor molesto,
dal parlar molle in quel tiranno allora
d’uno sdegno maggior l’incendio è desto;
sdegno che infiamma i cor superbi e l’ombra
del fumo innalza e gl’intelletti adombra.

17Parli, che ’l dimandar quel ch’ei possiede
sia poca stima e la proposta altera,
pur come quel che tutto ’l mondo crede
nulla aver forza ove sua forza impera,
onde contra colui che nel richiede
s’accende in vista ingiuriosa e fera,
e commosso dall’impeto e dall’ira
all’armata sua guardia il guardo gira.

18E con feroci e brevi detti impone
che i quaranta orator subito presi
sian posti in scurissima prigione
e col digiune e col disagio offesi,
e che sol torni il misero Anfione
ma in guisa tal che ’l ritornar li pesi,
portando impresso in dolorose note
quanto in un cuor di re lo sdegno puote.

19Comanda il fiero alla spietata gente
che d’aspre piaghe il degno volto offenda,
ed ecco, ohimè, sollecita nocente,
empie l’empio voler la turba orrenda,
e lacerato il messaggier dolente
fan che soletto a noi la via riprenda,
esempio acerbo a chi ragione o fede
trovar ne’ petti barbari si crede.

20Riede lo sventurato e ’l ciglio grave
più non osa innalzar la fronte mesta,
l’uman consorzio e se medesmo pave,
e ’l piè sovente lagrimando arresta;
così torna del mar pentita nave,
disfatto avanzo alla crudel tempesta.
Indi al’imperador quell’infelice
tardi al fin giunge e s’appresenta e dice:

21- Signor, quantunque io la risposta porti
descritta, ohimè, col proprio sangue in fronte,
e per me troppo i ricevuti torti
parlino a note manifeste e conte,
pur deggio almen di quei compagni esporti
che venner meco alle minaccie, all’onte:
son vivi sì, ma sepelliti al fondo
d’un orribile carcere profondo.

22E tai fur l’accoglienze e tali i doni
dal signor d’Oriente a noi largiti,
ma non fia giamai ver che ’l Ciel perdoni
a chi cotanto a castigar l’irriti;
non son anco però negl’alti troni
né le fiamme né i fulmini forniti,
né può mai di lassù mirar senz’ira
tanta scelerità chi ’l tutto mira -.

23E qui senza più dir, tace Anfione,
tutto Cesere allor d’ira s’accende,
ch’al magnanimo petto acuto sprone
l’agitato valor punge e raccende,
e dice: – Ahi di natura e di ragione
così rompe ogni legge? e ’l Cielo offende?
et è uomo? et è re? Ma che s’aspetta?
Su su, vendetta, o guerrier miei, vendetta -.

Eraclio ha allora mosso l’esercito e dato l’assalto al muro, che però ha resistito (24-45)

24E in quella il campo in tanta fretta muove
che ’l veloce rumor nulla l’eccede,
tali al cor di ciascun l’ingiurie nuove
son faci ardenti e spedit’ali al piede.
Et ecco a vista omai siam giunti dove
cinta d’aspre montagne altera siede
la reale città, che in sé le spoglie
d’Europa e d’Asia, ogni tesoro accoglie.

25Sopra un colle è Gazzaco, a cui d’intorno
fan più ripidi monti altere sponde,
di selve e d’antri è ’l gran teatro adorno,
da ben mille suoi lati Ecco risponde.
Ma d’onde il sol ne riconduce il giorno
colorando co i raggi il cielo e l’onde,
la mira aperto un largo pian di sotto,
che l’orlo quinci alla gran conca è rotto.

26L’imperador per lo diritto calle
viensene ad assalir l’antiche mura,
né vuol tentar per le montane spalle
di correr strada incognita et oscura,
non selva o bosco o tortuosa valle
ché nel proprio valor si rassicura,
e movendol virtù, prende la via
che men dubbiosa e più scoperta sia.

27Alla subita mossa il re leggendo
nelle fronte de’ Persi il cor tremante,
più che di noi di quel timor temendo,
a far non viensi al nostro campo avante,
ma si ritira nella città, chiudendo
se stessoS | stessa in un con la vil turba errante,
e notte e dì con frettolosa cura
a guardar ponsi e rinforzar le mura.

28Or ecco il regnator dell’Oriente
(chi ’l crederia) che diece volte eccede
di tesoro, di machine e di gente,
timido si racchiude e ’l campo cede,
né d’uscir fuori a contrastar consente,
ché perigliosa ogni battaglia crede,
et ei, che or or con sì feroci carmi
l’accordo ricusò, paventa l’armi.

29Ma l’esercito suo Ceser dispone
a dar l’assalto alla novella luce,
e prima ancor fa ch’ogni tromba suone
il segno eccitator che lo conduce.
Gravi macchine acconcia e ne compone
d’inusitate ancor l’etrusco duce,
e sopra un colle a Dio rivolto intanto
porge preghi per noi Niceto il santo.

30Et ecco omai la desiata aurora
ch’a scuoter l’ombra in Oriente torna,
e del lucido sol la bianca suora
men viva appar con le svanite corna,
onde l’imperador le squadreS | sguadre incuora
co i detti suoi, né qua né là soggiorna
ma qual aura d’april che l’erbe desta,
scorrendo va da quella schiera a questa.

31Nel mezzo poi di tutto ’l campo Augusto
così ragiona: – Or ecco a voi quel giorno
che Dio d’ingiuria e tutto il popol giusto
d’offesa e noi può liberar di scorno.
Vedete là dentr’a quel muro angusto
fumante ancor del nostro sangue il corno,
qual già sì fiero e spaventevol mostro
or condotto prigion del valor vostro.

32Già vinse, or trema; or corse ’l mondo et ora
fuggesi spaventato e si nasconde,
per dimostrar ch’omai venuta è l’ora
ch’ei paghi il fio di tante colpe immonde.
Là de’ nostri trofei le sale onora
e là racchiusi i messaggier nasconde,
chi ’l può far dunque incontro a noi sicuro?
Forse picciola fossa a fragil muro?

33Via, guerrier generosi, a schernir morte
avvezzi omai per così lunga prova,
mostriam pur contra l’empio animo forte,
svegli antico disdegno ingiuria nuova.
Contra vero valor mura né porte
non fan contrasto o lor contrasto giova;
trovi strada l’ardir, tra ferro e foco
magnanima virtù si faccia loco -.

34Così dic’egli, e come già dal fonte
lontano il Tebro il spaziose rote
più non giova a frenarlo argine o ponte,
ch’ogni giogo servil tumido scote,
e con l’altera e disdegnosa fronte
soverchiando le rive il mar percote,
cotale Eraclio il campo suo movendo
spinge ben da tre lati assalto orrendo.

35Già s’appressan le vigne e son conteste
di vincastri arrendevoli e di giunchi,
molle cuoio di fuor tutte le veste,
e dentro hann’ossa di composti trunchi.
Le testudini orrende e le baleste,
le catapulte e gl’arpegoni adunchi,
e già s’accosta all’infrangibil muro
per sue diffese alcun drappel sicuro.

36Ma con fronte di bronzo orribil batte
mosso da cento mani aspro ariete,
che stritolando i duri marmi abbatte
e ne fa vacillar l’alta parete.
Volan già le quadrella a nembi tratte
nell’altrui sangue a disbramar la sete,
e già pien di minacce e d’ardimento
solleva il campo e cento scale e cento.

37Ma come indarno a ben fondata torre
muovon contrari i procellosi venti,
che non posson da lei pietra disciorre,
e intorno a vòto rimbombar li senti,
tal quinci e quindi impetuoso corre
l’alto furor delle cristiane genti,
e in van l’Epir, le Ciclade e l’audace
Lesbio s’appressa e ’l valoroso Trace.

38Le schiere e l’armi all’alte mura avverse
cedono a forza al ripugnante orgoglio,
e scale rotte e machine disperse
caggion come per falce avena o loglio.
Con intrepido cor le squadre perse
fermano il piè sull’assalito soglio,
e parer fanno a vere prove chiaro
che via men di que’ muri è ’l viver caro.

39E con disciolte e scompigliate chiome
le madri i figli e i pugnator mariti
chiamando stanno, e replicando il nome
per dar più forza a i pegni lor graditi,
e le vedi portar gravose some
di pietre e d’aste a i diffensori arditi,
né meno ancora alla sua patria scudo
alcuna far del proprio petto ignudo.

40Di sassi e d’aste e d’avventati incendi
fera nube e crudel vola e rivola,
che piove morte e con suoi nembi orrendi
la luce al terzo sol di mezzo giorno invola.
E tornar spesso onde partì comprendi
di due morti ministra un’asta sola,
che dal ferito rigettata stride
per l’aer noto e l’uccisore uccide.

41Sembra quel muro al tempestoso cielo
nel pomifero autunno antica pianta,
quando l’orrida pioggia accolta in gielo
le selve crolla e i duri rami schianta,
che ingiuriosa al frondeggiante stelo
lo spoglia e lo distorna e smanta,
e ’l prato intorno un largo spazio accoglie
delle sue verdi e lacerate spoglie.

42E non pur l’armi a quel feroce assalto
cader sonanti e i cavalier son visti,
ma i merli rotti e ’l dissoluto smalto
tra ’l foco e ’l sangue avviluppati e misti.
Pervengon pochi a contrastar su l’alto
(così son duri i perigliosi acquisti)
benché tenti salir gente infinita
e per gloria acquistar perder la vita.

43L’animoso Cleanto i Daci muove
a più riprese ov’è men erto il piano,
e co i fieri Cerauni illustri piove
fa Poliperte, e pur s’affanna in vano,
e da Triface inanimito altrove
va fino a i merli il salitor toscano,
e due e tre volte in giù ricade spinto
per morte sol, non per virtù respinto.

44Di qua, di là, come fan l’onde al lito
dove l’una s’avanza e l’altra cede,
e se stesse rompendo al duro sito
spumar l’arena e biancheggiar si vede,
dalla salda muraglia il campo ardito
or parte or urta, or s’allontana or riede,
e indarno pur, come pur sempre l’onde
tornano in van sull’arenose sponde.

45A piè del muro orribili cataste
s’alzan di membra da’ lor corpi sciolte,
tra la pece bollente e l’armi e l’aste
e la polvere e ’l sangue insieme accolte.
D’oscurissimo fumo accese e vaste
s’alzan volando orribil nubi e folte,
cui di strida diverse un suon percote
et empie il ciel delle dolenti note.

Adamasto è riuscito a salire le mura e a compiere splendide imprese, ma è stato gettato a terra da un sasso: Eraclio ha deciso di assediare la città e interrompere l’assalto (46-58)

46Ma fra tanto Adamasto ardor col ciglio
e portando con man la morte e l’onta,
furibondo tra l’armi e tra ’l periglio
dà di cozzo nell’aste e sforza e monta,
e tra ferro e tra foco arso e vermiglio
pur giunge al sommo e i difensori affronta,
onde visto salito il popol fido
alzò di tema e d’allegrezza un grido.

47Correlo a seguitar, sì glie ne cale,
d’Italiani e d’Elvezi unito stuolo,
ma vanno morti, e le spezzate scale
sozzopra in fascio e se ne sparge al suolo.
E poi ch’alcuno a secondar non vale,
l’animoso guerrier ne riman solo,
sì che per lui d’un’amorosa tema
gela ogni petto et ogni tromba trema.

48Ma non tem’egli, e ’l crudel brando gira
sitibondo di sangue e l’armi spezza;
sta tra due merli, e punte e tagli tira,
l’ardir cresce al periglio e la fierezza.
Poca piazza è quel muro al ferro, all’ira,
ma teatro chiarissimo l’altezza,
pung’egli e svena, e ’l sangue il muro inonda,
e ’l versa giù come fa pioggia gronda.

49Ma già sentendo il cavalier sicuro
montar l’affanno e infievolir la lena,
e innasperandosi il duol possente e duro
già la vita versar per ogni vena,
tra sé dic’ei: “Che deggio far? dal muro
gettarmi forse? Ah chi mi toglie e frena
l’usato ardir? Comincierò dunque ora
a temer? No; s’ha da morir si mora;

50e si mora pugnando”, e così detto,
e nell’animo altier così fermato,
vede un bastion che men del muro eretto
due fianchi guarda e fuor ne sporge ovato;
ma di popol pagan calcato e stretto,
che su vi stava alla difesa armato,
et, oh gran cuore, oh disprezzante e fiera
anima insuperabile guerriera!,

51di morir certo e più che foco ardente,
d’un indomito ardir, tra mille spade
d’un salto ei si gittò d’armi lucente
qual da torbido ciel fulmine cade,
e laggiù poi tra la nemica gente
rota e spinge la spada e punge e rade,
e dovunque ei la fera destra move
tuona e fulmina morte e sangue piove.

52Combatte il forte e per guardar le terga
dove scudo non valS | vale né guardo scorge,
ritratto alquanto ad un gabbion s’atterga
che sull’orlo al bastion piantato sorge,
e con quel cor che nessun dubio alberga
la manca armata alle saette porge,
ch’a lui ne vola oscura nube e spessa,
ma la destra crudel nessuno appressa.

53Ma fra mille saette al fin l’ha giunto
un quadrel sì ch’ei col ginocchio inchina,
al cui piegar da cento lati a un punto
l’inanimito stuol se li avvicina,
et egli il primo in mezzo al fianco punto
gl’arriva al core, ond’esso in giù ruina,
e dell’ultimo giel le membra pieno,
fremendo in sul morir morde il terreno.

54Poi l’altro e ’l terzo e ’l quarto uccide e ’l quinto,
già in piè risorto e con miglior diffese,
quand’ecco in lui da più fort’arco spinto
più crudel dardo a più dolenti offese,
ch’al fianco il passa e fino all’ali tinto
com’un’onda ammorzò le fiamme accese,
tanto che ’l feritor sopra gl’accorre
per finirli la vita e l’armi torre.

55Ma come s’alza orribile il serpente
che rotto fu dal mezzo indietro al piano
e gonfiato nel collo il fiero dente
ficca crudel nella nemica mano,
tal si solleva il cavalier languente
e la spada a due man sopra il pagano
cala con quel furor che il ciel percote
fulminando le torri e ’l mondo scote.

56Ma colui si sottragge e in fuga muove,
gl’impenna il piè la subitana tema;
segue Adamasto, e van correndo dove
termina del bastion la parte estrema,
quand’ecco a lui maggiori offese e nuove,
stride l’aer diviso e ’l mondo trema:
macchina ch’avventò parte d’un monte
e ’l guerrier coglie il grave sasso in fronte.

57Lo stordisce il gran colpo e fuori il getta
ond’ei cadeo dell’alta fossa al fondo,
là dove il fango e l’umida belletta
lui riceve nel molle grembo immondo.
Sua gente accorre e fuor nel tragge in fretta,
muto, gelido affatto e immobil pondo,
e così giacque al padiglione un pezzo,
mosse al fin gl’occhi e respirò da sezzo.

58Venner medici eletti e n’ebber cura
tanto che in pochi dì lo reser sano,
ma ’l magnanimo Eraclio all’alte mura
veggendo uscir ciascuno assalto in vano,
così ben le difese arte e natura
con doppio schermo al regnator pagano,
ritirar fa l’armi et ogni schiera accolta
l’acerbo assalto in duro assedio volta.

Atemisto ha cercato di uccidere Eraclio recandosi al campo sotto mentite spoglie, ma ha fallito, ottenendo solo di allontanare dal campo Batrano e Triface (59-85)

59Tien chiusi i passi e delle gelid’onde
gl’acquedotti diverte e gl’archi incide,
e le mandre fruttifere e feconde
trasfugando i pastor prende et uccide,
e le spiche oggimai gravide e bionde
per l’esercito suo batte e recide.
E cominciava infastidito tedio
annoiar Cosdra il ben guardato assedio,

60quand’ecco un dì, mentre pensoso e stanco
il gran re d’Oriente era soletto,
e colonna facea del braccio manco
al proprio capo e della palma letto,
sembrando in vista immobil marmo e bianco
ne’ suoi fissi pensier l’immoto aspetto,
a lui pervien nella secreta stanza
pien di speme Atemisto e di baldanza.

61Costui da prima i più sottili inganni
tra i ladron della Arabia, ov’egli è nato,
fanciullo apprese, e poi crescendo gl’anni
gl’acquistar sue malizie onore e stato.
Testor di calunnie a gl’altrui danni,
d’ardir la mano e ’l cor di froda armato,
non conosce il fellon legge né fede,
né ad uom né a Dio né a se medesmo crede.

62Costui sicuramente al re promette
nell’insidie condur l’imperadore,
e pria che ’l sole il nuovo dì saette
trarlo di propria man di vita fuore.
– Se tanto esequirai vo’ che n’aspette
(dice il tiranno a lui) premio et onore -,
e con questa promessa un nuvol folto
sparge di cure e rasserena il volto.

63Sa che colui che proferisce è tale
che ben adempirà quant’egli offria.
Ed ei s’appresta e nel suo cor più vale
che ’l timor del morir voglia sì ria,
e già per lunghe e disusate scale
s’interna in cieca e tortuosa via,
che va sotterra, e tragge armata schiera
con viva face all’ombra antica e nera.

64Questo occulto trapasso il re Cambise
mosso da gelosia de’ suoi tesori,
per poter quindi in non pensate guise
tacito traportar le gemme e gl’ori,
fabbricato ch’egl’ebbe, i fabri uccise,
perché novella non n’andasse fuori,
e ’l cieco varco a ciascun altro ignoto
a costui sol, né saprei come, è noto.

65E così seco infra quell’ombre ei tragge
per tant’anni non viste armi et armati,
e al fin riesce in solitarie piagge
luogo a punto conforme a i loro agguati.
Chiuggon valle riposta ombre selvagge
e stretti e torti i lor sentier serrati
son tra le frondi occulti piano e dentro
nel cavo monte e non creduto centro.

66Or qui l’armi lasciando istrutte a pieno
veste l’empio fellon romite spoglie,
ch’astringe al collo e le raddoppia al seno
e su i fianchi l’annoda e in crespe accoglie.
Di fune è ’l cinto e dall’un capo è pieno
tutto di nodi, onde si lega e scioglie,
tien dimessa la fronte e ’l piede immerge
nel loto e ’l crin d’oscura polve asperge.

67E con pugnal che di veleno armato
nella manica bigia ascoso tiene,
d’un acerbo liquor tinto e bagnato
al nostro campo insidioso viene,
e giunto ove ’l chiudea fermo steccato
con pietoso parlar l’adito ottiene,
e la guardia medesima l’adduce
credula e riverente al sommo duce.

68A cui mostra arrecar cosa che importe,
quantunque avvolto in sì negletto manto;
indi Ceser pregò che dalla corte
per udir lui s’allontanasse alquanto,
che se ’l destro li vien vuol darli morte,
ma se non può con le sue frodi tanto
l’iniquo addurlo al cavo monte in seno
nell’insidie tessute aspira almeno.

69Cesere, che lo stima al volto, a i panni
negletti e rozzi un fraticello umile,
senza punto temer sì fieri inganni
d’un cuor tant’empio in un vestir sì vile,
si ritrae seco e quei con aspri affanni
formando un tristo e lagrimoso stile,
e mischiando con lagrime i signozzi
così comincia in fiochi accenti e mozzi:

70- Io mi son un che in falsa fede nacque,
ma Zaccheria, ch’el santo nome spande,
patriarca de’ regni ov’a Dio piacque
di mostrarci morendo amor sì grande,
di fuor lavommi e mi purgò con l’acque
l’alma di mille colpe empie e nefande,
e come al Cielo in sua virtù rinato
da indi in poi mi nominò Renato.

71E discepolo anch’io preso con lui
stretto in dura prigion passai la vita,
tre lustri omai, ma de’ vestigi sui
ho pur misero al fin la via smarrita,
e ’l mio santo maestro in forza altrui
abbandonai sull’ultima partita,
ahi vile et empio, ahi disleale, et ahi
tardo imo duol da non temprarsi mai!

72Or senti il caso e vincati pietade
del santo veglio e contra me ti sdegna,
ché potei pur oprar tanta viltate
d’ogni sua disciplina anima indegna.
Son per dir meraviglie al mondo rare,
grazie ch’a pochi il Ciel donar si degna.
Più giorni son, che mentre orando stava
col buon maestro in parte angusta e cava,

73ecco un Angel di Dio che l’auree penne
dal Ciel battendo e raddoppiando il giorno
più che folgore ardente a scender venne
nel solitario e misero soggiorno.
Dir non saprei qual maraviglia dienne,
rompendo a noi l’oscurità d’intorno,
indi con man le dure porte atterra
qual fragil vetro e la prigion disserra.

74Gran cose io conto e pur veraci e pure:
me vedi sciolto e lui veder potrai
a cui l’Angel di Dio varie venture
predice ancor che tu pugnando avrai,
e dove ascosa in cave tombe e scure
la croce di Giesù ritroverai.
E qui parte e sfavilla, e quegli istrutto
a te venìa per discoprirti il tutto.

75Or per valli diserte, or per sassose
montagne aspro sentier, piani e colline,
solitudini immense et arenose
passammo, orridi gioghi e valli alpine.
Al fine, stanchi, in queste selve ombrose
veggiam tue insegne ventillar vicine,
Dio ringraziam, credendo esser già fuori
de’ nostri lunghi e perigliosi errori.

76Et ecco d’arme un cavalier coperto,
di membra grande e di sembianza atroce,
ch’a lunghi passi in su venìa per l’erto
e ’l maestro assalì con fiera voce:
– Qual è quel Dio che più verace e certo? -,
– Quel (disse Zaccheria) ch’è morto in croce -,
e colui: – Tu ne menti -, et empio e crudo
nel sen tutto gl’asconde il ferro ignudo.

77Poi rivoltosi a me stringe la spada,
et io (dirollo o tacerommi?), et io
temendo allor che ’l mio mortal non cada,
volgo il piede alla fuga e ’l tergo a Dio,
Viltà mi spinge a traviar di strada,
la mia scorta lasciando e ’l duce mio;
ben poi m’accorgo e non fo più soggiorno,
e volontario all’omicida torno.

78Ma le lagrime io giunsi a sparger solo,
il sangue no, ché ’l micidial pagano
già se n’er’ito, e si languia nel suolo
tignendo il santo immobilmente il piano.
Cerch’io levarlo, e più gl’innaspro il duolo,
vuol sorger egli e vi s’affanna in vano;
al fin ricede, e già velato il guardo
così mi parla in suon pietoso e tardo:

79“Vanne al campo, Renato, e sarà questo
l’ultimo tuo servigio, e spero ancora
che se ’l tuo ritornar sarà qui presto
riveder mi potrai prima ch’io mora.
Racconta al duce il caso mio molesto,
com’io son già di vita all’ultim’ora,
e che mi resta a discoprire a lui
cosa che palesar non lice altrui.

80Dirai sol questo e quando pur li sia
troppo grave a venir, tu non fermarte,
ma torna ratto a ricalcar la via,
pria che l’aure vital volino sparte”.
Così dic’egli, e la sua piaga ria
con man si preme alla sinistra parte,
e pon la destra in atto umile al seno
e ’l cor volge e le luci al Ciel sereno -.

81Così diss’egli, e due e tre volte strinse
l’ignudo ferro al mio german parlando,
et altretante il nudo piè sospinse
per cercar d’adempir l’atto nefando;
ma d’orribil pallor tutto si tinse,
vigor mancogli e si restò tremando,
per sua viltade o per paura forse,
ché mal vide poter sicuro torse.

82È fama ancor che d’aureo lume cinto
un celeste guerrier calar fu visto,
con la destra di foco e ’l volto tinto
sicura guardia al capitan di Cristo,
e con face mortal tocco e respinto
dal suo vero voler, l’empio Atemisto,
sentissi un giaccio et ogni nervo inciso
dal ministro sovran del Paradiso.

83Al fin commiato il traditor si piglia,
quasi l’arda desio tornarne in fretta,
e, sparse ancor di nuovo umor le ciglia
con mentita pietà, le piante affretta.
Seco Cesere allor ben si consiglia,
e con dubbio pensier crede e sospetta,
e poi ch’alquanto il suo discorso ei volse,
così fermato ogni pensier disciolse.

84Chiamò Triface e ’l gran campion romano,
e mandò lor con Pausodino insieme,
Pausodin che con l’erbe e con la mano
salute apporta alle ferite estreme;
pugna con gl’egri suoi la morte in vano,
d’appressarvisi pur la doglia teme.
L’imperador co i due guerrier l’invia
dietro al fellon, che scorge lor la via.

85E dice: – Or ite ove costui n’appella,
per trovar chi ferito a morte giace,
e ’l me’ che puoi dell’aspra piaga e fella
consolal tu per parte mia, Triface.
E li dirai ch’al maggior duce in quella
ora il suo capitano abbandonar non piace,
ma voi manda in sua vece, e chi lo curi,
e di condurlo salvo al campo curi -».