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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro V

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 18.02.16 17:34

ARGOMENTO
Di Gazzaco distrutta e saccheggiata
Teodor racconta orribili accidenti,
e com’ella da Cosdra abbandonata
rimase in preda alle cristiane genti.
Quivi Oresta, da lui consorte amata,
tra le rovine e tra le fiamme ardenti
se stessa uccise, e pria costante e forte
spinse i due figli a volontaria morte.

Triface e Batrano sono stati portati da Atemisto in una trappola ma hanno fatto strage degli assalitori, e scoperta dal traditore l’esistenza di un passaggio segreto per entrare in città: vi si sono inoltrati, mandandone notizia al campo (1-25)

1«Avea già ’l sol nell’ultimo oceano
sciolti i corsier dalle ferventi rote,
e scorgevansi in cambio a mano a mano
rosseggiar Marte e carreggiar Boote,
quando Triface e ’l cavalier romano
seguendo il traditor per strade ignote,
ei congiuntosi a’ suoi per l’aer fosco
gli smarriti guerrier lascia nel bosco.

2E frettolosamente ha già deposte
le spoglie umili, e in quella vece al petto
l’armi notturne il frodolente ha poste,
la spada al fianco, al capo reo l’elmetto,
e muove omai le genti sue nascoste
contra i due forti in duro passo e stretto.
Ma l’armi intanto e ’l tacito bisbiglio
ode farsi vicin d’Ottone il figlio.

3E la man su la spada ardito pone,
e chiede altero: – Or chi colà s’asconde? -.
Sembra il fero parlar nube che tuone,
resta immobil la turba e non risponde;
ma ’l toscano guerrier, che la cagione
del silenzio comprende infra le fronde,
immantinente al gran guerriero a lato
si stringe e dice: – È qui senz’altro agguato -.

4Quasi gravida allor d’armata gente
fosse l’orrida selva e non di foglie,
di qua sembra e di là ch’immantinente
ogni tronco, ogni fronda armi germoglie.
Già presi i passi, il fero stuol repente
da ciascun lato a i danni lor s’accoglie,
e volte ha l’aste et abbassate in loro,
d’ogni intorno i guerrier serrati foro.

5Così fontana in finta grotta, dove
l’umor gelido suo sparge e comparte
per le vene del piombo e sorge e piove
e natura che scherzi imita l’arte,
s’alcun di furto ascosa chiave move
rapidissima fuor per ogni parte
s’avventa l’onda, e i riguardanti assale
con cento spilli, e rifuggir non vale.

6Ma traeano già fuor l’invitte spade
contra i pagan la valorosa coppia,
qual da torbido ciel fulmine cade
che in duo strisce diviso avvampa e scoppia,
nel barbarico stuol s’apron due strade
e l’uno e l’altro il fulminar raddoppia,
e cade incisa in membra tronche e fesse
da i forti mietitor l’umana messe.

7La luna intanto apparir fea l’insegne
de i due guerrier sì gloriosi in guerra,
la cui sol’apparenza a quelle indegne
turbe d’assalitor l’audacia atterra.
Ma pur se l’ardimento in lor si spegne,
più la timidità gli unisce e serra,
onde Triface il proprio arnese allaga
di lunga sì ma non profonda piaga.

8È ’l gran figlio d’Otton, colto d’un sasso,
giù dall’elmo il cimier fiaccato pende,
qual piega abete e si rivolge al basso
la cui tenera cima Austro scoscende;
l’invittissimo allor la spada e ’l passo
disfrena audace alle percosse orrende,
e in guisa di leon quand’è ferito
scagliasi assalitor, non più assalito.

9E ne’ petti e ne’ fianchi e nelle fronti,
di cui nessuna il suo valor sostiene,
con la destra mortal tepide fonti
scaturir fa dalle recise vene.
Caggion gl’uomini e l’armi a fasci, a monti,
sazia di sangue uman l’avide arene,
e insieme avvolge in sanguinosi rivi
gl’abbattuti, gl’oppressi, i morti, i vivi.

10Né ’l compagno guerrier minor fierezza
mostra al girar la sanguinosa spada:
le corazze divide e gl’elmi spezza,
né resiste verun ch’al fin non cada.
Grid’egli: – O gente a conturbare avvezza
i viandanti e romper lor la strada,
vedrete ben qual differenza sia
da i cavalieri a i peregrin tra via -.

11E in questo dir la spada affretta
con tanta furia il cavalier Triface
ch’ella rassembra all’adirata fretta
della velocità conversa in face.
Nessun più fermo il folgorar n’aspetta,
ma rivolge allo scampo il piè fugace;
fuggon dispersi, e la paura alcuno
tornar non lascia al varco ascoso e bruno.

12Nella trepida fuga alcun trarupa
dall’alte cime, e getta alcun lo scudo
che gl’è d’impaccio, e sì ’l timor l’occupa
che stima arme miglior fuggirsi ignudo.
L’antica selva e l’ima valle e cupa
rintuona al tuon d’orribil bombo e crudo;
père al fin tutto il fugitivo stuolo
e riman vivo a tanta strage un solo,

13che, raggiunto al fuggir dal guerrier forte,
mercé dimanda, e gl’ammollisce l’ira,
ond’ei mosso a pietà della sua morte
dal sospeso ferir la man ritira.
Quando al crin sozzo et alle guance smorte
di mentito color Batrano mira
e lui ravvisa il traditor, che dianzi
pianse bugiardo al sommo duce innanzi,

14quel traditor che nell’ordite frodi
malagevolmente a i cavalier fu scorta,
traendo lor con suoi fallaci modi
dove han fatto cader sua gente morta.
Torna all’ira Batran, rompere i nodi
vuol della vita a mal oprar sì scorta,
e grida a lui: – Tu vivrai, tu ch’ardisci
empio, finger pietade e noi tradisci? -.

15Ma, giungendo, Triface al colpo occorre
che già scendea e li ritien la mano,
onde volto a veder chi lo soccorre,
sostien la spada il cavalier romano.
– Tardiamo allor la costui vita a sciorre -,
gli dice il tosco in suon raccolto e piano,
– fin ch’io prima il minacci ond’ei riveli
qualche pensier che fra i pagan si celi -.

16E distesa vèr lui la man tremenda
li dà Triface al folto crin di piglio,
pur com’aquila suol ch’anitra prenda
dal ciel celando in suo ricurvo artiglio;
e col ferro alle fauci in guisa orrenda
tenendo il va sull’ultimo periglio;
non muor né vive, e gl’offre il cavaliero
la morte alla bugia, la vita al vero.

17L’iniquo allor con vero pianto espone
del calle ascoso ond’è sotterra uscito,
e che ’l suo re le sue speranze pone
nel valor de le genti e più nel sito.
Triface allor lo fa piegar boccone
e l’un braccio sull’altro al tergo unito
gli lega, e ’l tragge ove l’occulta chiostra
ch’a suoi trapassa il traditor li mostra.

18Batrano è seco, e nel mirar là donde
entrar si può nell’assediate mura,
non bollìr mai nel cavo rame l’onde
come fa nel suo cor fervida cura,
cui non potendo contener, diffonde:
– Io vo’ passar per questa grotta oscura,
né mi raffrenerà rischio di morte
ch’io non disserri al popol pio le porte.

19So ch’è grande il periglio e ’l fatto incerto,
ma non fia ver che mai Batrano lassi
adito che mostrar si veggia aperto
e pericolo alcun gl’affreni i passi.
Superò ’l muro et arrivò sull’erto
contra l’armi Adamasto e conta i sassi,
ned ebbe ei già per così dura strada
più che sole due man, sola una spada -.

20Stupisce il tosco e ’l gran pensiero ammira
pensoso alquanto, e poi risponde: – Io vegno;
ho ben animo anch’io ch’a gloria aspira,
e col volgo operar prende a disdegno.
Ma se me’ prima ad esequir si mira
questo tuo generoso alto disegno,
temo ch’a noi d’innaveduto ardire
biasmo in vece d’onor possa avvenire.

21Loderei ben s’appartenesse a nui,
a nostra elezion prender l’impresa,
che sarebbe allor solo e non d’altrui
nostro il pregio d’onor, nostra l’offesa;
ma la causa è del campo e tocca a lui
la cura aver che la città sia presa,
e ne’ publici affari uom che si mette
a pericol d’errare error commette -.

22Crolla altiera la fronte il gran guerriero,
e li risponde: – È troppa cura or questa;
torna e narra ad Eraclio il mio pensiero,
e se credi fallir, dimora o resta -.
Ciò d’Etruria sentendo il cavaliero
nobile emulazione al cor si desta,
vuol esso entrar nella cittade e prega
Batran che torni, ei ne sorride e ’l niega.

23Ma fra tanto a comporre infra quei due
la magnanima lite a tempo giunge
Pausodin, che mandato insieme fue,
ma ’l periglio maggior fuggì da lunge,
ché contrarie al ferir son l’armi sue,
san’egli e salda ov’altri incide e punge,
torn’egli al campo e ’l lor pensiero espone
e l’esercito augusto in punto pone.

24E insieme uniti i due guerrier perfetti
muovon concordi alla grand’opra il passo,
Triface allenta i fieri nodi e stretti
del traditor che gl’avea scorti al passo,
e con men aspri e pur feroci detti
persuadelo a entrar nel vòto sasso,
e quei pur cede e molto teme,
ma temendo il temer simula speme.

25A lui ragiona il cavalier: – Ti resta
sol questa via da ritornar fra i tuoi,
che tu rimeni e facci entrar per questa
sepolta grotta in quella vece or noi.
Volgi la froda tua, s’a noi molesta
da prima fu, sia favorevol poi -.
Tace il misero et entra et ubbidisce,
e i suoi medesmi il traditor tradisce.

Oresta, moglie di Cosdra, ha visto nottetempo degli infausti prodigi, Cosdra non le ha dato ascolto (26-33)

26Per tutto intanto alta quiete asconde
nel più muto silenzio affanni e mali,
taccion l’aure sopite, taccion l’onde,
e son tutte in oblio l’opre mortali,
e i pinti augelli infra le ferme fronde
fannosi ai capi lor tetto con l’ali.
Dorme il mondo e riposa, e sola Oresta
tra i più placidi sonno ancora è desta.

27Costei, di Cosdra la più cara moglie,
con seco or dentro all’assediate mura;
abitan l’altre in più lontane soglie,
pur d’altri figli alla materna cura.
Or quai più forti e più pungenti doglie
quale assideri il sen nuova paura
dir non saprebbe, e dalla piuma molle
vinta al fin dall’affanno il capo tolle.

28E se ne va sopra un veron che scopre
della muta città più bassi i tetti,
e d’industre scarpel fatture et opre,
colonne et archi e rari marmi eletti;
l’ampie e diritte vie notte non copre,
né gran teatri or taciti e soletti,
ché la luna nel cielo ancor più rare
facea le stelle e l’ombre aperte e chiare.

29L’inquieta regina il guardo gira
verso il tempio maggior d’auro lucente,
e penetrarvi un bigio lupo mira
e i cani urlar sì come lupi sente.
Ode un querulo suon che si martira
con umana favella, egro e languente,
le luci affissa e scorge un macro bue
e ’l parlar che par d’uom son voci sue.

30Le ciglia innalza, e due e tre volte farsi
la luna oscura e sparger nero gielo
e rumor d’armi e suon di trombe sparsi
e cavalli anitrir sente nel cielo,
spade e lance di foco e variarsi
con orrendo vapor l’aereo velo,
e le pallide Erinni, empie e maligne,
rinfiammando agitar faci sanguigne.

31A sì tristi prodigi un giaccio fassi
l’addolorata attonita regina,
e parla ovunque i mesti lumi abbassi
morte e strage mirar, sangue e ruina.
Paventosa alla fin rivolge i passi,
punta il trepido cuor d’acuta spina,
dove il sonno preme già vinto e stanco
suo diletto consorte e ’l tenea a fianco.

32Svegliasi il re de’ Persi e il guardo intende
verso la donna sua confusa e mesta,
ma come poi dal suo parlar comprende
che per larve notturne il chiama e desta,
quel timor sorridendo in gioco prende
e sì le dice: – Or va, riposa, Oresta,
e poi dimane a raccontar ti serba
i sogni tuoi, tropp’anco è l’ora acerba -.

33Così volg’ella addolorata il piede
dove un picciolo tempio in un boschetto
del giardino real celato siede,
da i primi re con sacra pompa eretto,
e quivi il nume, in cui la donna ha fede,
ponsi a pregar con suo divoto affetto,
ma tuffa intanto i suoi splendor nell’onde
la luna, e ’l mondo in maggior ombra asconde.

Triface e Batrano hanno aperto la porta, i cristiani sono entrati e, nonostante la difesa di Erinta, hanno fatto strage (34-55,4)

34Et ecco onde partì l’iniquo stuolo
entrano i due guerrier nel varco oscuro,
van per le vòte viscere del suolo,
romoreggia su i dorsi il ferro duro,
e ben si par che l’armi no ma solo
fa l’uno e l’altro il gran valor sicuro;
da poi vicini alla secreta porta
colui fa segno, ond’è la guardia accorta.

35Ma l’uscier, che disserra, in tanto accorto
di chi seco venìa si resta esangue,
qual pescator che trae la rete e scorto
v’abbia in vece di pesce orribil ange.
Giunge Batran lo stupefatto e smorto
e gli scote dal cor la tema e ’l sangue,
né men Triface il falso filo incide
dell’empia vita e ’l traditore uccide.

36Duols’egli indarno, e grida a lui: – D’averti
qui tratto, ohimè, la mia mercede è questa? -.
Et ei: – Sì ben, ché non son altri i merti
d’uom che tradisce -, e ’l sen col piè gli pesta.
Passano i cavalier d’armi coperti
dove la guardia alle gran porte è desta;
alle gran porte, ond’è racchiuso il muro,
che fa dell’Asia il regnator sicuro.

37L’armi incognite a lei, l’armi sospette,
l’armi nemiche ha già scoperte e grida,
e chiama: – O Persian, più non s’aspette,
qui, qui dentro alle porte è gente infida -.
La gran coppia a quel dir nulla ristette
ma scagliossi vèr lor fera, omicida.
La guardia intanto, spaurita e smorta,
parte fugge tremante e parte è morta.

38Apre le porte, e sopra l’alte mura
fiaccola vincitrice erge Batrano,
e l’aura in minaccievole figura
piega vèr la città l’alto Vulcano.
Or veduto il segnal dalla pianura
corre il chiamato esercito romano,
e vincitorS | vincitore senza nessuno inciampo
securo passa a mezza notte il campo.

39E come allor che impetuoso cresce
e leva il Tebro a’ sette colli il corno,
torbido le rovine involve e mesce,
traendo i campi e gl’edifici intorno,
e fino a i tetti a guizzar porta il pesce,
de gl’aerei colombi alto soggiorno,
così Gazzaco il popol fido inonda
poi che i due cavalier rupper la sponda.

40Già le vie prese, i vincitor cristiani
si stanno a i passi audacemente uniti,
suonan già mille trombe e mille mani
gettando incendi empion di luce i liti.
Dal pigro sonno i miseri pagani
levan le teste attoniti e smarriti,
dan mano all’armi et a comprar si vanno
molti con chiaro onor l’ultimo danno.

41Da gl’alti tetti al ciel levarsi orrendi
scorgi i nembi di fumo al foco misti,
e tra le fiamme acute strida intendi
rammescolarsi e sospir alti e tristi,
e de gl’uom vivi i dolorosi incendi
salir frementi e verdeggiar son visti;
l’aurate travi e le colonne involve
fumo, ruina, ardor, cenere e polve.

42Premono al proprio sen tenere madri
con chiome sciolte i pargoletti figli,
e van cercando ascosi luoghi et adri
per fuggir paventose armi e perigli.
Ma la chiamano in van mariti e padri,
povere di soccorsi e di consigli,
tremanti al foco e tra l’orribil faci
porgono a i figli lor gl’ultimi baci.

43L’immature donzelle e i vecchi stanchi,
non bellezza od età salva o diffende,
e i crin biondi e sottili e i lunghi e bianchi
la fiamma rea con egual danno accende.
Qual fugge il foco e porge al ferro i fianchi,
qual fugge il ferro e nell’ardor s’incende,
e qual temendo e l’una e l’altra sorte
prova amendue con raddoppiata morte.

44Ma già la bella a maraviglia e forte
amazzone de’ Persi, invitta Erinta
le sue genti ha raccolte e incontro a morte
dalla feroce armata squadra è spinta,
e lor parlando: – A quest’estrema sorte
la vita sì, non la virtù sia vinta.
Deh, se pur si morrà, per dio non sieno
le nostre morti invendicate almeno -.

45La generosa il ferro ignudo stringe,
passa le fiamme e va di salto in salto,
e per mezzo a i cristiani oltre si spinge
e fa del sangue lor tiepido smalto.
Né men fiero di lei stringe la spada,
che fischiando lampeggia or basso or alto,
Rubeno audace, e mille Persi uniti
combatton, già per tali esempi arditi.

46E pugnan sì che i vincitor cristiani
nell’acerba tenzon caggiono estinti,
o dan le terga alle nemiche mani
del barbarico stuol, rotti e respinti.
Quindi ardire e valor giunto a i pagani
fuggono i vincitor, fugano i vinti,
gl’uccide Armallo e gli rincalza e preme,
movendo il ferro e le rampogne insieme.

47- O vil gente d’Europa, or che discopre
tra noi la fiamma in chi si mostra ardire,
or ch’appare il valor, si veggion l’opre,
or’è il tempo a mostrar le forze e l’ire,
e non tra ’l sonno e quando l’ombra copre
venir cheti a svegliarne e poi fuggire -.
Tace e passa corazze e frange elmetti
e spezza scudi, e spalle incide e petti.

48Punge Fabio nel tergo e fuor del seno
trapassa il ferro; ei cade indietro e spira,
tronca il braccio e lo scudo e sul terreno
spegne al forte Altobrun la vita e l’ira.
L’elmo fa d’Alidor del capo scemo
cader da lui, che se n’allunga e gira,
piaga in fronte Torquato, abbatte Ernesto,
Lucio gettasi a piè calcato e pesto.

49Ma chi togliesse a raccontar del fiero
pagan la strage, a numerar le morti,
ben potrebbe contar d’un emispero
quante stelle nell’alto ciel trasporti,
e con quante onde il mar sonante e nero
al pallido nocchier periglio apporti.
Romp’egli e sparge e queste squadre e quelle
quasi lupo crudel tremanti agnelle.

50Ma l’invitto Batrano intanto, a cui
era la strage de’ cristiani ignota,
sospignendo pur oltre i passi sui,
con la destra del Ciel par che percote,
e involator di mille vite altrui
per diverso sentier la spada rota,
frange ogni intoppo, ogni riparo atterra,
terror dell’Asia e fulmine di guerra.

51Sembra antico cignal dall’ira spinto
ch’esce all’aperto e ’l cingon cani e spiedi,
che il gran tergo innasperir di sangue tinto
e spirar fiamma al fiero sguardo vedi,
girar le zanne, ond’egli è cinto,
gittarsi morti, e l’aste rotte a i piedi,
e ’l cacciator, che di lontano il mira,
impallidisce a tanta strage et ira.

52La turba intorno a’ suoi gran colpi manca
qual nebbia al vento, e si dissipa e fugge;
la scolora il timor, morte l’imbianca,
questo il sangue raccoglie e quella il fugge.
Chi repugna alla man la fa più franca,
nel contrasto minor manco distrugge.
Di cadaveri omai la strada è piena
piove sangue la spada, ardor balena.

53Ei tra ’l fuoco e la polve in giro volta
l’altiero sguardo, e colà dove ei vede
più la gente fuggir timida e sciolta
pien di securità rivolge il piede,
e già fatto vicin sol una volta
alza la voce, – Ecco Batrano -, e fiede
quasi folgore i cuor quel grido fiero,
noto al popol fedel, noto all’infido.

54Ma come avvien s’al terminar di maggio
batte lucido il sol per l’aria pura,
la neve e ’l fango et al medesmo raggio
l’una si liquefà, l’altro s’indura,
l’animoso parlar quinci coraggio
nascer fa nell’udir, quinci paura.
Urta ne’ Persi il generoso e porta
e fortuna e vittoria, e’ suoi conforta.

55Al giunger suo di tutta l’Asia in mano
trema ogni spada e in ogni petto il core,
e ’l già fervido ardir d’ogni pagano
quasi acceso carbon tuffato more.
Or che fan gl’altri? Armallo istesso in vanoArmallo è stato spinto da un demone a salvare Cosdra: ha preso l’armatura a due romani ed è fuggito con il re travestendosi (55,5-71)
nel cor si cerca il suo primier valore,
e tremante et immobile e sospeso
riman qual voto in sacro tempio appeso.

56E volgendo tra sé: – Più non son io
pur dunque Armallo? E nulla val più questo
ferro? E inutile è fatto il braccio mio,
che già fu sempre a i gran bisogni presto?
Ahi qual mago l’incanta, o da qual dio
debole or fatto e svigorito io resto? -.
E ’n questo dir se stesso sveglia e stringe
la spada, e ’ncontro al gran campion si spinge,

57quand’ecco a tergo a lui s’accosta e ’l piglia
per lo folto suo crin volante imago,
che leggiera e sottil quasi assimiglia
specchiata forma al tremolar del lago,
e in lei fissando il cavalier le ciglia
di saper che sia ciò stupido e vago,
vede penderle a tergo arco d’argento,
e suoi biondi capelli errar col vento.

58Della prima lanugine le gote
gli scorge adorne, e l’aureo crin d’alloro,
mescolate col crin le foglie, e scote
l’aura e confonde gli smeraldi e l’oro.
Pende all’omer l’arco e si percote
con la faretra, e muove suon da loro,
et ei favella: – A te vengh’io dal cielo
rettor del lume e regnator del Cielo.

59Son lo dio della luce e prendo cura
di liberarti da propinqua morte,
e riserbare a vie miglior ventura
così intrepido cor, destra sì forte.
Giunta è l’ora fatal di queste mura,
e fermatane in Ciel l’ultima sorte,
e quel guerrier che impetuoso assali
ha fortuna maggior con forze eguali.

60Or tu cedi a gli dèi, ripon la spada,
parti e libera teco il re che dorme,
ond’ei nel foco universal non cada,
variate amendue l’armate some,
verronn’io vosco e spianerò la strada,
invisibile innanzi alle vostre orme -,
e qui si tace e come fumo o polve
spargesi il simulacro e si dissolve.

61Era quest’un demonio, e in vèr la porta
affumicata ei ritornò d’Averno,
dove poscia a sferzar la gente morta
ricominciò del tenebroso Inferno.
Riman con fronte istupiditaS | stupida e smorta
sentito Armallo il gran messaggio eterno,
e dall’assalto il piè ritragge e ’l muove
dov’ei crede il voler d’Apollo e Giove.

62S’abbatte in Celio e nel fratello Annone,
che stimandol amico alzan la voce,
e chiamanlo a gustar salda magione
vèr cui ferro non val, né fiamma noce.
Su la spada il pagan la destra pone
e ’l piè rivolge incontr’a lor veloce,
qual Euro suol che procellose l’ale
sul mar dispieghi e i due germani assale.

63Annone intanto all’improviso affronto
si ristringe nell’armi e ’l capo abbassa,
e ben raccolto alle difese è pronto,
discoperta di sé parte non lassa.
Ma il pagan, che di ciò fa leggier conto,
con aspra punta a lui lo scudo passa,
indi l’usbergo e poscia il petto e ’l core,
cade il misero e trema e langue e more.

64Celio, che rimaner morto si vede,
d’un colpo solo il suo germano a lato,
tra due si sta: s’ei volga in fuga il piede
o ceda seco in egual sorte a lato.
Or così, mentre il dubbio cor li siede
contrario affetto, il misero è piagato,
e presso al suo german l’aspra ferita
la gola insieme a lui tronca e la vita.

65Spoglia il fero pagan l’esangue busto,
e di quell’armi ei se medesmo veste,
benché l’usbergo, a sì gran membra angusto,
diviso al fianco e mal congiunto resta.
Dello scudo roman fa il braccio onusto,
come gl’impose il messaggier celeste,
e tale appar che per pagano alcuno
ravvisar nol potrebbe all’aer bruno.

66Indi sopra ’l terren l’armi si messe
a dispogliar dell’altro corpo estinto,
per trarre avvolto il re de’ Persi in esse
dalla cittade, ove di foco è cinto,
quando schiera sonar che se li appresse
sent’egli, et ode il suo parlar distinto,
né potendo indugiar, sì che ’l disarmi,
gettasi al collo il freddo corpo e l’armi.

67Così carico Armallo affretta il piede
vèr la casa real, che, quasi sdegni
volgar con l’altre e in onorata sede,
si sta solinga in lochi eccelsi e degni.
E però quel rumor che l’aer fiede
di fuoco e d’armi e d’agitati sdegni
a lei che molto all’abitato è lunge
chiusa d’arbori attorno ancor non giunge.

68Al venir del pagan secreta porta
l’uscier disserra, ond’ei penetra e sale
pur con la salma sua gelata e morta
fin suso all’alte e spaziose sale,
e quindi al letto al suo signor la porta,
cui rompe il sonno, e in questo dir l’assale:
– Su, Cosdra, omai, che Gazzacote è presa,
e già rovina in cento parti accesa -.

69Svegliasi frettoloso e poiché note
gli son ben le ruine e ’l ver conosce,
rugge quasi leon, geme e percote
col mento il petto e con le man le cosce.
Poi le sommette alle dolenti gote,
col pensier fisso all’imminenti angosce;
ma nol consente e grida Armallo allora:
– Su su, grande è ’l periglio e breve l’ora -.

70E su la piuma il freddo busto getta,
e la piastra da lui tragge e la maglia,
vuol poi scior l’elmo e per soverchia fretta
l’impaziente man fra i nodi abbaglia.
Interrompe gl’indugi e nulla aspetta,
e col ferro la gola e i nodi taglia,
cade armata la fronte e balza e rota
lontan dal letto in parte occulta e ignota.

71Corre, e tratto al guerrier l’elmo lucente
ponlo al suo re con tutto l’altro arnese,
e poi nel mena tacito e repente
sicuro fuor di mille fiamme accese.
Partesi il regnator dell’Oriente
dalle gran mura sue disfatte e prese,
e talor dietro il vasto incendio mira,
e dall’imo del cor geme e sospira.

Oresta ha trovato il cadavere senza testa di un romano e le vesti di Cosdra, ha creduto che il marito fosse morto e per la disperazione ha ucciso sé e i propri figli (72-82)

72Ma intanto, udito il fiero suon dell’armi
avvicinar la sventurata moglie,
subito fuor de gl’odorati marmi
con sollecito cor le piante toglie.
Corre al marito, e li vuol dir che s’armi
ché già l’impeto ostil prende le soglie,
e giunge al letto e d’atro sangue tinto
giacer vi scorge il suo consorte estinto.

73Suo consorte non già, ma poi che vede
sul proprio letto il nudo tronco esangue
(ché n’è tolta fronte), esser lui crede,
e se le aggiaccia in ogni vena il sangue.
Lagrima non può trar, ché nol concede
nel soverchio dolor virtù che langue;
rimansi immota, e le querele intanto
son senza voce, e senza umore il pianto.

74Poi, qual donna non già ma ben qual forte
e qual regina in sé medesma accorta,
già ’l nemico crudel sente alle porte
e, di salute ogni speranza tolta,
vassene ai figli suoi nunzia di morte,
parte intrecciata il crin, parte disciolta,
e gli conduce al sanguinoso letto
con la neve al sembiante e ’l giaccio al petto.

75I figli Elanco e Pelia, ambo già fuore
di fanciullezza, il muto tronco scorto,
d’aspre punte di duol trafitti il core,
ben cedettero anch’essi il padre morto,
e lagrimavan già, quand’il dolore
chiude e ’n parte tranquilla il viso smorto
la magnanima madre, e i figli tenta,
e ’l ferro e ’l tosco ad amendua presenta.

76E dice lor: – Prendete figli: omai
di pianger no ma di morire è l’ora.
Ahi dura sorte a che m’adduci, et ahi
lento dolor che non m’uccidi ancora?
Misero, e chi creduto avria già mai
sì forte punto, ove convien pur ora,
che chi vi diè questa vitale spoglia
lassa, per minor mal ve la ritoglia?

77Ecco ’l ferro, ecco ’l tosco; ahi quest’è solo
che per voi più mi resta ultimo dono.
Moriamo omai -, volea più dir ma ’l duolo
serrò le fauci e ’n giù rispinse il suono.
Allor piangendo il suo minor figliuolo
se le fa incontro e dice: – Madre, io sono
per obbedirti, e ti consolo almeno,
ch’io ti verrò innanzi a gl’occhi meno -,

78e ’l pianto affrena e le parole in questa,
e con luci non torbide e non liete
stende al nappo la mano, e non s’arresta
sin che tutta saziò l’ultima sete.
E già vela i begl’occhi ombra funesta,
e già langue appoggiato alla parete;
al fin si lascia, e sopra il piè materno
misero s’addormenta in sonno eterno.

79L’altro dalla man preso il pugnale
dice: – Or volgi a me, ch’io so ben anco
come Pelia ubbidirti, e non men vale
la destra mia per trapassarmi il fianco -,
e la ponta acutissima e mortale
nel cor sospinge, e riman freddo e bianco,
e resupino in sul fratel si lassa
cader tremante, e sparge il sangue e passa.

80Mira intrepida Oresta i figli estinti
e, fermata a seguirli, ecco ripiglia
i suoi doni amarissimi, e già tinti
di morte i labbri, or pallida, or vermiglia,
volse gl’occhi tre volte e, stanchi e vinti,
chiuderli alquanto al fin si riconsiglia.
Ma riscossesi tosto, e si gl’affisse
già lagrimosa al freddo buio e disse:

81- Anima, che d’intorno a questa spoglia
m’aspetti errando, e i dolci luoghi aggiri
de i piacer nostri, e la mia fera doglia,
pur bramandone il fin, pietosa miri,
non ti partir, ché già la mia si spoglia
a seguir con te gl’ultimi sospiri,
e godi almen che la tua fida Oresta
co’ tuoi figli minor serva non resta -.

82E rivoltasi a lor, piangendo disse:
– Cari pegni perduti, e dal Ciel dati
con tropp’empio destino -, e gl’occhi affisse
richiamando a gran voce i nomi amati.
Finì poscia il veleno e ’l sen trafisse
col duro ferro, e tra i suoi dolci nati
cadde, e morendo brancolò sovr’essi,
con sospiri e singhiozzi ultimi e spessi».