ARGOMENTO
Scende sdegnosa a concitar l’Infero
l’alma di Sarbarasso, onde l’Inganno
manda chi tien là giù l’empio governo
a portare a i cristiani angoscia e danno,
e Dio manda ad Eraclio Angel superno.
Ireneo parla al persian tiranno
per disporlo alla pace, e ’l mostro reo
entra nel tauro e lacera Ireneo.
Sarbarasso giunge agli Inferi, rifiuta di salire sulla barca di Caronte e guada lo Stige, quindi arringa i demoni a insuperbire contro Dio e a intervenire in guerra (1-21,4)
1Già di quel capitan l’anima fera
che dal corpo spiccò l’ultimo volo,
era discesa all’ombra eterna e nera
dell’affannosa region del duolo,
e tremar fatto all’orrida riviera
dell’Acheronte il lagrimoso suolo.
Rintrona Dite e risonar per entro
l’oscure grotte e rimbombarne ’l centro.
2Seguivan lei, che tuttavia n’è scorta,
come ardente cometa orribil chioma,
rotte le squadre e la sue gente morta,
dal valor d’Occidente uccisa e doma.
Et ogn’anima ancor, qual visse, porta
dell’arnese pagan l’usata soma,
ma son l’armi infiammate assai più rosse
ch’alla fucina in frabbicar percosse.
3La giustizia di Dio, che ovunque serra
la sua benignità, l’Inferno accende,
tosto che ’l vital nodo si disserra
d’infinito dolor l’anime offende.
Precipitando al centro della terra
l’esercito pagan tutto discende,
e laggiù ritrovò ne’ regni morti
per varia ostinazion spirtiS | spiriti consorti.
4Sulla squallida ripa in nuvol folto
d’anime miserabili nocenti
a se stesse frangean le chiome e ’l volto,
forte tremando e dibattendo i denti.
Venìa per loro in sozzo manto avvolto
l’implacabil nocchier: con crudi accenti
ciascuna appella e in suo navilio accoglie,
ma fa prima depor l’antiche spoglie.
5Nudo lascia e mendico all’erma sponda
l’insaziabil avaro il suo tesoro,
e le piume oziose e l’esca immonda
quelli ch’al sonno e la gola in preda foro,
e la femina rea umida e bionda
svelta di propria man sua chioma d’oro,
e ’l superbo i suoi titoli disgombra
ch’all’errante desio fur sogni et ombra.
6Quivi l’empio tiranno il proprio seno
che ingiustizia macchiò, sparge di pianto,
e tra ’l sangue ravvolto e tra ’l veleno
depon lo scettro e la corona e ’l manto.
Qui l’ipocrita reo d’inganni pieno
con la menzogna e ’l tradimento a canto
giunge anelante, e qui depon sue larve,
deriso or più quanto miglior già parve.
7Quivi il giudice ingiusto indarno plora
la mal presa moneta e la dischiude
l’arca infame sul lido e scopre allora
la vil cagion dell’opre inique e crude.
E quai teneri giunchi esposti allora
tremando l’alme addolorate e nude,
ferocemente il conduttier le mena
nell’eterno supplizio all’altra arena.
8Or veggendo lo stuol coperto d’arme
sul grave remo il fier Caron si posa,
e al duce lor con dispettoso carme
«Che fai?,» grida, «che tardi, alma sdegnosa?
Folgore attendi ancor che ti disarme?».
Et ella, alteramente empia e crucciosa:
«Tienti pur» disse «il tuo vasel, ch’io voglio
passar senz’esso», e fiammeggiò d’orgoglio.
9E si getta nell’onde e la palude
tutta grave dell’armi a nuoto varca,
né più le cal che s’affatichi e sude
rimenando Caron l’antica barca.
L’acqua fend’ella, e dietro a lei si chiude
del suo torbido limo oscura e carca,
e ’l fier pagan per mezzo ’l fiume estolle
l’orribil fronte, e stride l’onda e bolle.
10Passa il pallido rio, l’eterna arsura,
che l’armi intorno a Sarbarasso infiamma,
punitrice del Ciel, d’acqua non cura,
anzi al gelido umor cresce la fiamma.
Sparso ondeggia Acheronte e nube oscura
fa col fumo inalzar l’ardente squamma,
e già non lungi alla prefissa riva
col nuoto audace il fier pagano arriva.
11Stupido il conduttier, che tanto ardisca
condannata a gl’abissi anima ria,
pria che l’altre raccor tutte finisca
la prua rivolta e dietro a lei s’invia.
E ben ch’ei l’onda il più che può ferisca
onde l’umido suol gemer s’udia,
nol potendo arrivar, con voce fiera
chiam gl’orridi mostri alla riviera:
12«O ministri di pena, e voi, ch’erranti
scorrete il mondo a seminarvi errori,
e voi, su tra le nubi alte e tonanti
di stridenti procelle eccitatori,
e voi, di larve e d’orridi sembianti
spaventevoli fabbri a i muti orrori,
correte tutti incontro al fero mostro
per difender con l’armi il regno nostro».
13All’orribile suon l’atre spelunche
lasciàr fremendo i regnator d’Averno,
e levati a furor con l’armi adunche
s’inviaron ruggendo al guado eterno.
mugiti acerbi e strida amare e trunche
raddoppian doglia al tenebroso Inferno,
e le nere caligini commosse
tremano al suon delle catene scosse.
14Vive serpi ha le chiome aspre e nodose,
arboreggian tra lor corna mal torte,
e le viper in giù scendon bramose
a sugger pianto in sulle guance smorte.
Fuor de gl’umidi labbri escon bavose
quai d’antico cinghial zanne distorte,
qual drago sembra e qual pantera od orso,
qual di lupo o di tigre ha ’l fianco o ’l dorso.
15Quel frega il petto e ne convolve e tragge
squallida coda e qual forcuta l’alza,
e qual gonfio di tosco all’erme spiagge
quasi botta notturna a salti balza,
qual disegna il terren d’orme selvagge
con suo piè fesso, e qual di ferro il calza.
Infinita è la greggia, orrenda e informe,
e in nulla fuor che in mal voler conforme.
16All’incontro crudel de gl’empi mostri
l’anima del pagan, frema e sicura,
«Arrestate» gridò «gl’impeti vostri,
non dovete per me prender paura.
Sarbarasso son io, che in questi chiostri
rispinto ha ’l Ciel con sua procella oscura,
perch’io già fui della contraria parte
e in favor vostro esecutor di Marte.
17Questa man per voi s’arma, e per voi noce;
ma che più neghittosi omai s’aspetta?
Già vince Eraclio, e ne torrà la croce,
trionfando di noi gente dispetta.
Ha dimesso Pluton l’esser feroce,
non ha più sdegno, non vuol più vendetta?
Non è più quel che fin da prima usato
fu sopra ’l sole a contrastar col fato?
18Se cosi fia, qual più devota gente
seguirà d’adorar gl’impressi marmi,
e in verso ’l sol, quand’ei rinasce ardente,
umil susurrerà suplici carmi?
Tra chi regge le stelle e l’ombre spente
traposto è ’l mondo: or l’avversario parmi
che s’usurpi il confine, e quaggiù entro
non sarà salvo a poco andare il centro.
19Non basta a lui che gli fu dato in sorte
signoreggiar le region serene,
e non basta la luce e che le porte
ogni dì ’l sol, che tributario viene?
Che vuol ritorre ogni sua dote a Morte,
e ’l vede pur l’abisso e lo sostiene?
E non s’arma a tremuoti? e non raddoppia
terrori e fiamme e fuor di sé non scoppia?
20Ahi su, dunque, su Inferno, e ’l furor mio
ti sia l’esempio: io crudelmente ho tinto
di sangue i campi e scolorato il rio,
e ’l vincitore esercito rispinto.
Al fin per me fu forza armarsi a Dio,
e s’io ne caddi al fulminare estinto
fu superbo il morire, e non mi spiacque
ma ch’io n’oda vendetta» e qui si tacque.
21E tacendo n’andò l’alma sdegnosa
per se medesma all’eternal martiro,
e di mezzo alle fiamme, ancor crucciosa,
gl’orgogli usati e ’l minacciar s’udiro.
Ma ’l crudo re dell’empia corte ombrosaPlutone convoca l’Inganno perché uccida o distolga dalla guerra Niceto (21,5-33,4)
d’onde i tristi consorti armati usciro,
è giunto anch’ei con dispettosa fronte
all’orribili sponde d’Acheronte.
22E ripunto nel cor d’aspro cordoglio
mentre e’ ’l gran mostro i feri detti ascolta,
come freme per vento un cavo scoglio
o d’ombre antiche oscura selva e folta,
forma un rauco suon misto gorgoglio,
soffia i sospir nella gran barba incolta,
e con le luci sue bieche e distorte
spira di sdegno e folgoreggia morte.
23Sulfurea fiamma è l’alitar ch’ei face,
appuzzan l’ombra i dolorosi incendi,
e la bocca antro fero, ampia fornace,
or chiude or apre i rossi fiati orrendi;
né mai nube tonò sul lido trace,
né vi scossero il suol vapor tremendi
come al ruggir delle sue voci rotte
rimbomba il suon per la tartarea notte.
24E i suoi crudi ministri, onde sovente
le novelle del mondo udir s’ingegna,
a sé chiamando, ogni sua vampa ardente
s’accende or più quant’ei più s’ange e sdegna,
e chiede e freme: «Or qual virtù possente
c’ha sparso in Asia ogni devota insegna?
E d’onde uscì quel formidabil lampo
che ’l duce ha morto e sbaragliato il campo?
25Di tempeste or più dunque e di procelle
l’autor non sono? e questo ancor m’ha tolto
chi togliendomi il Cielo e l’auree stelle
nel cieco abisso ha ’l mio poter sepolto?
Torrammi anco ’l punir l’alme rubelle?».
E qui di rabbia il crin si frange e ’l volto.
Cocito freme e ne ribolle Averno,
e più s’inferna a quel furor l’Inferno.
26Ma Belial dall’adirate labbia
sdegnosamente al maggior mostro a fronte,
per più farli infiammar l’ardente rabbia
così mesce vèr lui gli scherni e l’onte:
«Odi, infinito ignorar, come ei non abbia
le cose ancor ben manifeste e conte,
né conosca Niceto e quanto noce
al poter suo la maledetta voce.
27Muove la maledetta, acqueta e desta
l’immortali potenze al primo accento.
Questa i fulmini accende e ’l campo arresta,
che già volgeasi al suo ritorno intento.
Et ei pur sempre a mille affronti arresta
contra ’l nostro poter, qual torre al vento,
né v’è chi di noi più l’assalga omai
temendo scorno, e tu pur troppo il sai».
28E qui tace egli, e ’l crudo re la faccia
si chiude allor con amendue le branche,
sì l’interno venen l’arde e l’aggiaccia,
poi l’apre a un tempo e si percote l’anche,
si rinvipera l’empio e ’l Ciel minaccia,
e grida: «Anco non son mie forze stanche,
né mai saranno, e saran sempre eterne
oppugnatrici alle virtù superne.
29Risorgeranno ognor più fere e quando
pur non frangan del Ciel gl’alti decreti,
non fia però che d’inondar pugnando
di sangue i campi al mio poter si vieti.
E ’l ministro mortal, che vince orando,
trofei n’avrà che non sian sempre lieti;
vedrà costui quant’operare io soglio,
fato a me sia quel ch’io medesmo voglio».
30E così detto a sé l’Inganno appella,
mostro d’ogn’altro mostro il più crudele,
che sotto faccia colorita e bella
e in suon soavissimo querele,
nasconde offesa ingiuriosa e fella
e d’ambrosia coperto assenzio e fele,
e cela sempre al cor contrario viso
col piacer il dolor, col pianto il riso,
31e impone a lui: «Via dunque, via repente
muoveti, Inganno, e su nel mondo accendi,
drizza ’l corso alla cristiana gente
e ’l suo vecchio odioso al laccio prendi,
però ch’ei giusto e per pietà possente
nemico a noi, come tu bene intendi,
sol con un prego, un sospir solo acconcia
ciò che l’Inferno a lungo andar disconcia.
32Idrausse e Folastro in van per lui
vennero al campo, e in van per lui si mosse
il general, poiché da’ preghi sui
chiamato, il Ciel d’orrende nubi armosse.
Vattene, e spende pur contra a costui
tutte l’insidie tue, tutte le posse.
Se puoi l’uccidi o, se non puoi, dall’oste
opera almen che ’l vecchiarel si scoste.
33Ma prima ancor gl’intepiditi ardori
nel campo persian raccendi e desta,
e rinovella a gl’impigriti cuori
del sangue occidental sete funesta».
Qui tacque il re de i tenebrosi orrori,L’Inganno viene in terra (33,5-35,4)
e già l’Inganno ogni sua frode appresta,
compagni appella e del più basso fondo
sceglie i peggiori e vien con essi al mondo.
34Dalle torbide tenebre si parte
de gli spiriti rei lo stormo impuro,
mosso a contaminar la bella parte
che ’l sol vagheggia e ’l ciel sereno e puro.
E giunto là d’onde gl’abissi sparte
squallida via d’orribil antro e scuro,
esce alla luce e va spargendo intorno
sue caligini dense e vela il giorno.
35Corre il pallido nembo ove il trasporta
paregiando il desio rapido il volo,
e d’un’impression gelida e smorta
per tutto aduggia e inaridisce il suolo.
Ma dal sommo del Ciel la nube ha scortaDio lo vede e comanda che lo si lasci fare per il momento: manda Raffaele a far sì che il disturbo infero non faccia desistere Eraclio dall’impresa (35,5-43)
chi governa le stelle e regge il polo,
e qui ciò che si genera e perisce
con l’immortal disunione unisce.
36Et or piegando al basso mondo il ciglio
con cui spira nel sole oro celeste
e fa nascer l’aurora e di vermiglio
e di bianco color l’adorna e veste,
mira il nembo infernal con qual consiglio
sorge a sparger nel mondo atre tempeste,
e inteso a pien quant’egli ordisce e trama
l’Angelo Raffael col cenno chiama,
37e dice: «Or vanne, o mio messaggio, in terra,
che di tenebre uscendo un nuvol folto
d’immondi spirti eccitator di guerra
il nostro campo a travagliar s’è volto.
Contra al nostro voler s’unisce e serra
di frodi armato, oh temerario e stolto,
ma non vuolsi impedir, ché tanto rende
a noi gloria maggior quanto contende.
38Per sue forze dilati e prema e guasti
quelle de i guerrier miei divisi e lassi,
ma perch’Eraclio in tanto rei contrasti
non ceda a i mali e la sua impresa lassi
tu ’l prendi in cura e in sua difesa basti
fermarlo sì ch’a disperar non passi,
ch’io poscia a tempo ogni cagion seconda
rivolgerò ch’al mio voler risponda».
39E qui si tacque, e Raffael discende
battendo il ciel con le veloci piume,
al cui candido albor d’intorno splende
scintillante di rai superno lume.
Scot’egli i vanni, et ogni scossa accende
quasi un balen che l’aer cieco allume;
sua chioma ondeggia e dalla bianca gola
scende al petto divin purpurea stola.
40La sua vesta sottil di neve e d’oro
succinta e crespa in mille giri, et onde
si volge a i venti e l’auree crespe loro
spargon le chiome inanellate e bionde.
Rapido il messaggier dell’alto coro
di cielo in cielo il leggier corso infonde,
né rompe il moto e sì veloce passa
che ’l pensier di prestezza a dietro lassa.
41Giunge poscia alle nubi e quindi scopre
la sì cara a i mortali angusta terra,
che vari e tanti uman consigli et opre
in sì breve confin racchiude e serra.
E mirando qua giù, perché s’adopre,
l’uman legnaggio e quel ch’a lui fa guerra,
vede che ’l più lontano e ’l più disgiunto
da qualunque sostanza è solo un punto.
42E volgendo tra sé: – Ciechi e mortali,
vivi al mal vostro, alla salute morti,
come i vostri desir son brevi e frali,
come i vostri pensier son vani e torti -.
E sul candido tergo accolte l’ali
dove Eraclio sedea tra’ suoi più forti,
l’alto messo di Dio pronto discese
e con vigile amor cura ne prese.
43L’un che d’Eraclio mantenea la cura
e l’altro, e dell’imperio e delle genti,
con celesti accoglienze e gioia pura
s’uniscon lieti e fansi in Dio contenti,
e de’ tre, quel che l’un l’altro procura
tal fatto un torchio e di tre faci ardenti,
perché in selva d’error col chiaro lampo
trovar non deggia il piè d’Augusto inciampo.
Cosdra convoca il consiglio dei Persiani: Ireneo suggerisce di fare pace con Eraclio, Armallo, sdegnato, si dichiara disposto a battersi fino alla morte; Cosdra svela di aver indetto la riunione solo per scoprire i pavidi (44-66)
44Dall’altra banda al re de’ Persi intanto
lo spirito infernal s’appressa al seno,
e gli spira nel cor per ogni canto
d’infernal odio un tacito veneno.
Ma l’insegna a coprir sott’altro manto
perché celati i suoi disegni sieno,
et ei superbo in mezzo a tutti siede,
cinto d’ostro real nell’aurea sede.
45Per conoscer il re se ’l popol Perso
o più la pace o più la guerra brama,
suo cuor mostr’egli al guerreggiare avverso,
e ’l consiglio dell’armi unisce e chiama.
Concorre ognuno al suo signor converso,
che di mano o d’ingegno ha qualche fama,
et ei superbo in mezzo a tutti siede,
cinto d’ostro real nell’aurea sede.
46Indi sciogliea la voce: «O voi, ch’io veggio
per me sì pronti apparecchiati all’armi,
dite liberi pur, ch’a tutti chieggio,
piacciavi a comun pro consiglio darmi:
se finir e seguir l’impresa deggio
s’a miglior tempo il guerreggiar serbarmi,
se tregua in somma o se far guerra o pace
si deggia omai tra ’l popol Perso e ’l Trace».
47Segue un vario bisbiglio, e in piè levato
il canuto Ireneo girando volse
soave il guardo, e poscia al trono aurato
fissò le luci, e le parole sciolse:
«Già so ben io ch’a vincer sempre usato
tu, signor, la cui destra i regni tolse
all’imperio d’Europa e lui crollasti,
sì che d’averne intera palma osasti,
48soffrirai di mal cuor lingua che tenti
quel desio moderar che in te s’apprende,
desio di gloria, e que’ tuoi sdegni ardenti
che non lieve cagion muove e raccende.
Ma spesso avvien che i mal graditi accenti
portan salute e quel che piace offende,
né fedel servo al suo signor che ’l chieda
tacer può mai quel che suo danno ei creda.
49Signor, lo stato in cui le cose or sono,
troppo aperto per me parla e per tutti,
chiedendo omai con lagrimevol suono
calcar di sangre i nostri campi asciutti,
ché non ville e città ma in abbandono
son le provincie, e i regni tuoi distrutti,
e i verdi piani e i culti poggi or foschi
divenuti ne son deserti e boschi.
50Onde aperto vedrem che, ’l cibo tolto
alla tua gente e de’ suo’ alberghi fuora,
miseramente e non v’andrà già molto,
di disagio e digiun convien che mora.
Né pur tem’io che per paese incolto
fame n’affligerà ma peste ancora,
di lei seguace, e lasceranti solo
de’ regni il nome, e le rovine e ’l suolo.
51Or qual pro dunque ove, signor, pur anco
tu vinca il mondo e inabitato ei resti,
se vincendo tu perdi e resta manco
da comandar di quel che prima avesti?
E che giova al pastor di greggia manco
l’avanzar poscia i verdi campi agresti?
Già non fa re l’aver deserti, il face
l’aver genti e non l’ha chi non l’ha in pace.
52Che per la guerra, ov’ogni fine è incerto,
dubbio è ’l possesso ond’arricchir lo stato;
più dèe fuggir chi l’ha più grande e certo,
e fortuna temer, ché molto ha dato.
Saggio è colui che mentre è ’l cielo aperto
e l’aura in poppa espon la vela al fiato,
ma se ’l mar cangia assicurarsi in porto
altretanto è ben poi consiglio accorto.
53Or tu, signor, che di due parti l’una
prudente empisti e pugnatore invitto
prender sapesti, e secondar fortuna,
e vincer l’Asia e soggiogar l’Egitto,
quando volge sua rota e ’l varco impruna
di tue vittorie e rompe il camin dritto,
l’altra parte del senno è che non meno
ch’allor gli sproni or sappi usar il freno.
54Così colui, ch’alla fornace ardente
da forma al vetro in varie guise il gira,
e con rapide rote allor bollente
lo scote e batte e molto a lui non mira,
che poi, fatto men rosso e men fervente,
cautamente lo posa e lo ritira,
sapendo allor ch’un picciol colpo solo
lo spezza e sparge in cento parti al suolo.
55Guerreggiando, signor, per l’Asia e fuore
sì che già manca a tue vittorie il loco,
tanto hai mostro valor, posto terrore,
sparso per tanti regni il ferro e ’l foco,
che se varia la sorte è nuovo onore
et è nuovo guadagno il perder poco.
Con fortuna vincesti, or vincer puoi
fortuna con temprar gl’incendi tuoi.
56Se ben miri, signor, null’altro or fai
che pugnar qui tra le tue proprie terre,
dove in dubio si pon quel che tu hai
e danneggian sol te queste tue guerre.
E se tu perdi (il Ciel non voglia mai)
chi fia più ch’a’ nemici il passo serre?
Qual tuo schermo potrà, qual nova aita
salvar lo scettro e riparar la vita?
57E se pur di te stesso a te non cale,
sì ti portan sicur valore e sdegno,
abbassa almen per cagion nostra l’ale,
se non curi di te, cura del regno.
Tant’anni in guerra affaticar che vale?
Può sedar tant’affanno inutil legno,
e con render la croce a’ tempi suoi
rimaner tu di profanarne i tuoi.
58Ché se ben miri, forse a Febo spiace
simulacro diverso, e ’l Ciel turbato
te ne minaccia e persuade in pace
a goder quel che guadagnasti armato.
Or ti piaccia, signor, quel ch’al Ciel piace,
al Ciel che t’ama, e non cozzar col fato,
lascia a i tigri signor, lascia alle belve
con rabbia eterna esercitar le selve.
59Lascia l’Asia e la Persia afflitta e lassa,
c’ha pugnato per te tanti e tant’anni,
e te medesmo e tutto ’l mondo lassa
oggimai respirar da tanti affanni,
e con lampo d’onor, che avvampa e passa,
non cercar di tempesta eterni danni.
Spegni il fuoco di Marte, e quello spento
ne porti il fumo e lo dispregga ’l vento.
60Pensa all’età che si dilegua a punto
come fanno del rio fuggendo l’acque,
la vita vola e riman solo un punto
fino al dì che si muor da che si nacque.
Sarà dunque da noi, sarà consunto
mai sempre in guerra?» e qui conchiuse e tacque,
che ’l crudo Armallo il guarda torvo e freme,
né ben lascia finir le voci estreme.
61Quasi selce battuta, a ciascun detto
gettò faville e fe’ di brace il volto,
e su l’orrida fronte il crin negletto
a quel dir si rabbuffa ispido e folto.
Fiammeggiò ’l ciglio e in sé contenne ’l petto
confusamente un mormorar sepolto,
che scoppiar non poteo, ma che chiuso e vinto
dal grave sdegno in giù tornò respinto.
62E muovendo un sorriso, in cui ben chiaro
verdeggiò ’l fiel ch’avea commosso al seno,
«Sì,» disse ei «sì ben questo tuo raro
consiglio in guerra adempirassi a pieno,
e color che mercede a noi pregaro
da noi pregati immantinente sieno,
e l’Asia serva e ’l popol suo perduto
renderà, supplicante, oro e tributo.
63Ahi fine indegno, et ahi fra l’armi nostre
vituperosi insoliti consigli!
E v’è pur chi l’accenni e chi lo mostre,
o vilissimo obbrobrio, e chi ’l consigli!
Signor, quantunque a me contraria giostre
fortuna, o spieghi morte i freddi artigli,
me vedranno i nemici ancor morendo
a lor, al mondo, al Ciel sempre tremendo.
64E chi cervo è nel cor vile e tremante,
né può forar se non paurosi accenti,
tra i guerrier non favelli a te d’avante
ma i fanciulli e le femine spaventi.
Quale avvezzo è tra l’armi aer tonante
temer non debbe o folgorar de’ venti.
Questa» e stringe la spada e in parte mostra
«sia Ciel, sia fato e sia fortuna nostra».
65Qui tacque Armallo, a cui risponder sorto
già scioglieva Ireneo condegne note,
ma veggendo ’l suo re che bieco e torto
volgea lo sguardo in disdegnose rote,
riman quasi carbone in acqua morto,
quetando il suon delle lanose gote,
e ’l suo signore, a cui sol odio giova,
comenda Armallo e i feri detti approva.
66E poi, conforme al infernal veleno
di cui l’empio demonio il cor gl’asperse,
traendo i sensi dall’amaro seno
in un al favellar le labbia aperse:
«Lungi i bassi pensier, lungi pur sieno
i timor disusati all’armi perse,
tentar voll’io se ci era vile alcuno
né grave è ’l mal s’io ne trovai sol uno».
Indice sacrifici agli dei: l’Inganno invasa il toro destinato all’olocausto, gli fa uccidere Ireneo (67-79)
67Punge e sferza i cuor pigri e li dispone
quasi ferro a ferir cui selce arroti,
indi per far veder Febo e Giunone
placati in Ciel con sacrifici e voti,
chiamar fa i maghi, e congregarsi impone
gl’auruspici, i ministri e i sacerdoti.
Già sono intorno i sacri fochi accensi
e su i candidi lin fuman gl’incensi.
68Nell’ora poi che ’l pigro sonno invola
nostri caldi desir con l’ali algenti,
e per vago seren tacita e sola
la notte sparge i suoi be’ lumi ardenti,
pesce non è che nuoti, augel non vola,
co i bifolchi e i pastor giaccion gl’armenti,
e con le stelle e con la bianca luna
si gira l’ombra e l’aer nostro imbruna,
69vanne il re d’Oriente, e tutti ha seco
notturni e cheti i suoi più cari intorno,
dove fan mille faci all’aer cieco
rinovellarsi a mezza notte il giorno.
Stavvi la tauro legato e torvo e bieco
guarda la pira e muove altero il corno,
et ecco omai che ’l sale e ’l vino appresta
l’un de’ ministri e l’altro il foco desta.
70S’alza il fumo, e dirada e cede il loco
alla fiamma, che bionda a lui succede.
La notte fugge e con suon alto e fioco
la vampa sorge e ’l ciel percote e fiede.
L’Inganno allor, che ’l disperato foco
lasciato avea della tartarea sede,
per mostrar qui prodigioso effetto
dell’avvinto torel passa nel petto.
71Monta il toro in furor, gl’aspri mugiti
raddoppia, e freme, e sparge ’l piè l’arene,
par che i venti col corno a guerra inviti,
vedi i labbri spumar, gonfiar le vene,
e spirar foco i feri lumi arditi
e sonar le ravvolte sue catene,
ch’ei per discior ferocemente squassa
sdegnoso poi la dura fronte abbassa.
72Sua possanza inefrnal quei nodi spezza
che gl’hanno intorno il fiero corno avvolto,
e scapestrato in fervida alterezza
fra le genti e fra l’armi erra disciolto.
Le bende sparge, ogni ritegno sprezza,
tutto il volgo tremante in fuga è volto,
sgombran ministri e sacerdoti il suolo,
l’altar si resta abbandonato e solo.
73Ma ’l feroce animal, come sol uno
lì sia fra tanti e più nessun nemico,
fuor che ’l vecchio Ireneo non mira alcuno
e in lui sol drizza il fero corno oblico.
Tal maniero falcon lieve e digiuno
che la preda ha segnata in loco aprico,
per novella che sorga e più vicina
a più commodo oggetto non s’inchina.
74Giunge il tauro spietato il vecchio stanco,
sul corno il leva e ’l miserel condutto
sul proprio seggio, ov’ei fedele e franco
mosse ’l vero parlar senz’alcun frutto,
quivi l’empio demonio il debil fianco
sbranando aperse, e laceratol tutto
con l’immondo suo piè tanto ’l calpesta
che né pur la sembianza al corpo resta.
75Di paurosa pietà ciascun tremante
rimase al caso, a cui nessuno occorse,
che fu nessun tra tante genti e tante
ch’all’orribile furia ardisse opporse.
Ma quel tauro uccisor sangue stillante,
quasi pentito dapoi suo passo torse,
e in vista umil con le dimesse corna
mansuefatto al sacrificio torna.
76E come innanzi al suo signor si pone
la coda al ventre e la dibatte e scote
tremante veltro, in quella guisa espone
la sommessa cervice al sacerdote,
et egli alza la mano e fa che suone
omai l’aspra bipenne e la percuote,
e la vittima uccisa a’ suoi guerrieri
scopre prodigiosi alti misteri.
77«O guerrier d’Oriente, assai ne mostra
meraviglioso il Ciel sua voglia espressa
che qual già mai della superna chiostra
portento a questo in chiarità s’appressa?
Or ecco innanzi alla presenza vostra
estinto lui che in voi viltade ha messa,
con poco accorti e timidi ricordi
persuadendo obbrobriosi accordi.
78Quanto il vecchio Ireneo co i detti sui
pur dianzi errasse a ragionar di pace
da lui stesso s’impari, e non d’altrui,
ch’ove mal favellò sbranato giace.
Mirate or dunque, e siavi noto in lui,
animosi guerrier, quel ch’al Ciel piace»,
così dic’egli, e in quella gente mesta
la speranza e l’ardir solleva e desta.
79E così da colui racconsolato
de’ Persi il campo ogni vigor ripiglia
e, credendosi in tutto il Ciel placato,
di combattere ognun si riconsiglia.
E ’l saggio imperador dall’altro lato
d’assicurare al suo partito piglia,
e in forte sito ei lo raccoglie stringe
e di ripari e d’alte fosse il cinge.