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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 20.02.16 16:49

ARGOMENTO
Con Batrano Adamasto e con Urbante
pugna Volturno, il fiero Urbante muore,
e ’l romano guerrier, benché stillante
del proprio sangue, ha d’amendue l’onore.
Muove Niceto infra l’ombrose piante
al sasso ove d’Augusto è ’l genitore,
e nella tomba avvicinando il piede
della croce di Dio le storie vede.

Per una questione di preparazione del terreno anche i padrini di Batrano e Adamasto, Urbante e Volturno, vengono a duello (1-10)

1Venuto intanto era ’l guerrier Batrano
con Adamasto all’isola proposta,
a sfogar l’ire e insanguinar la mano
là dentro all’acque in solitaria costa;
ma riuscì questo disegno in vano,
ch’interrompe la via l’onda fraposta,
tumida sì ch’ogni navilio teme
passar dall’une all’altre parti estreme.

2Ma perch’era alla riva un verde prato
di giusto spazio, e parea fatto ad arte
dalla natura a lor per isteccato,
a sfogar l’ire e gl’impeti di Marte,
e racchiuso è per tutto e circondato
d’arbori spessi e d’alte frondi sparte,
che fanno appresso alla bagnata arena
teatro verde e boscareccia scena,

3di concorde voler fu quivi eletto
per campo il loco alla contesa orrenda,
poi ch’atteser più dì ch’entro al suo letto
l’onda, ch’altera va, placida scenda.
Fermansi al fine i cavalier rimpetto
e pria che l’uno o l’altro il corso prenda
vibran le destre i noderosi cerri
forti et egual da i calci loro a i ferri.

4Al fier lombardo il minaccioso Urbante
l’elmo lucido allaccia, e intorno mira
se nulla manchi al forte acciar sonante,
che lampi a riguardar lucido spira.
Morde il gran corridor il fren spumante,
e col proprio anitrir seco s’adira,
e l’erba ad or ad or percote e fiede
suo calzato di ferro instabil piede.

5Né men d’Ottone al valoroso figlio
l’avveduto Volturno arma la testa,
e qual sia grave e qual leggier periglio
rammenta a lui nella tenzon funesta.
Spande il lucido arnese ardor vermiglio
folgorato dal sol per la foresta,
e, da i fervidi raggi accese l’armi,
sembra che ’l ferro no ma ’l foco l’armi.

6De’ superbi cimier piegano i venti
di qua, di là le minacciose penne,
et or più presti or più rimessi e lenti
fan pur che l’una incontro all’altra accenne.
Stannosi i cavalieri al segno attenti
per dover arrestar l’orride antenne,
e l’uno e l’altro immobile rassembra
del destrier parte e non divise membra.

7Ma prima ancor che l’uno o l’altro muova
a far di sé l’orribile paraggio,
vede Urbante Batran che si ritrova
col sole a tergo, al correr suo vantaggio,
ond’ei muove a se stesso ombra che giova
e gl’occhi offende all’avversario il raggio,
né per traverso a poter correr l’aste
l’angusto prato ha tanto suol che baste.

8Ond’ei corre a Volturno e corruccioso
rampogna e grida ad alta voce a lui;
«Che si mutin quei posti, e vantaggioso
non isfuga Batran l’incontro altrui».
Et ei, con un sorriso aspro e sdegnoso,
così risponde a i feri detti sui:
«Non è tempo or da rintuzzar l’audaci
parole tue; va’, torna al luogo e taci.

9E ’l tuo guerrier, se di giostrar gli cale,
di là pur muova; ha da restare il mio
dov’io l’ho posto; or non sapei tu quale
fusse il lume del ciel così com’io».
Risponder vuol, ma proferir non vale
parola Urbante, e dispettoso e rio
pon mano all’armi, e dallo sdegno vinto
forma col favellar suono indistinto.

10Ma se balba è la lingua, assai loquace
parla il guardo adirato, anzi disfida
aperto sì che tutto quel che tace
la confusa favella il volto grida,
onde disse Volturno: «Or se ti piace
di compagno ch’io son, farmi omicida,
ed io ’l consento», e l’uno e l’altro al prato
del campo piglia e viensi incontro armato.

Comincia la battaglia (11-13)

11Due di qua, due di là, testa per testa
all’incontro crudel che si raddoppia,
spiccano la carriera, e va men presta
pietra nell’avventar fromba che scoppia.
Quattro gran lance un solo arringo arresta,
e vengonsi a ferir coppia con coppia,
e rassembra al furor che si disserra
fendersi ’l cielo e profondar la terra.

12Quattro destrier, più che di fiamma al corso
che più rapida mai dal ciel discenda,
quattro armati guerrier ch’avean su ’l dorso
portansi incontro alla battaglia orrenda,
né mai si vide ircana tigre od orso
qualor più sdegno a incrudelir l’accenda
che non paresse e mansueto e lento
a lato a quello orribile ardimento.

13L’aste, che penetrar gl’alpestri monti
dovean poter con le crudel percosse,
nulla piegàr delle superbe fronti,
nulla per tanto alcun guerrier si mosse,
ma si ficcaro a quei feroci affronti
come fragile canna il cerro fosse;
scorron di poco, e volgon ratti e tosto
le mani a i brandi i cavalieri han posto.

Batrano è in vantaggio su Adamasto (14-28)

14Adamast’e Batran con brevi rote
tornans’incontro alla crudel tenzone,
e l’un urta nell’altro e si percote,
e fan che ’l bosco a molte miglia introne.
Ma poi che riuscir d’effetto vòte
le prime furie al periglioso agone,
dell’avverso valor ciascun s’avvede
e con più cura a miglior arte riede.

15Di qua, di là con ispediti passi
gl’animosi destrier volgon per l’erba;
or dritti or torti, or sollevati or bassi,
vedi i guerrier nella contesa acerba;
né fan che la man sempre il colpo lassi
ma l’accenna talor, poi lo riserba,
al collo, al fianco, alle giunture spesso
dove il mobile arnese appar commesso.

16D’Alboino il nepote al destro fianco
s’allunga al fin verso Batrano, e stima
figer lui d’una punta al lato manco;
ma l’accorto guerrier s’allarga prima,
e sopra l’elmo a lui lucido e bianco
cala, e ’l colpo crudel vince ogni stima.
Alz’ei lo scudo, e la percossa prende,
la spada il piega e fin sul collo scende.

17E giunge al vivo, e non mancò già molto
che ’l fiero brando al cavalier lombardo
non lasciasse dal busto il capo sciolto,
sì li diè forza il cavalier gagliardo.
Ecco Adamasto allor, nembo nel volto,
fulmine nella man, lampo nel guardo,
che tutto s’alza e grave colpo avvalla
del fier nemico alla sinistra spalla.

18E qual fragile scorza il duro usbergo
del romano campion frange e divide,
e d’un tepido fiume e ’l petto e ’l tergo
li bagna e scalda, e fin su l’osso incide.
Ma ’l feroce Batran, ché seco albergo
non ritrova il timor, di ciò sorride,
e tanto più che ’l braccio scote e sente
ancor lo scudo a sostener possente.

19Tutto in sé si raccoglie e vincer tosto
o morir vuole, e ’l suo destrier sospinge;
e non men l’avversario anch’ei disposto
tutto rabbia e furor seco si stringe,
ma nel muover l’un piè lo sprone ha posto
tra ’l petto a caso e le serrate cigne,
e in volerlo ritrar si resta in loro
con gli stimoli suoi la stella d’oro.

20Onde continuar sentendo al seno
l’animoso destrier l’aspra puntura,
più non vale a guidar legge né freno,
e l’imperio e la man sprezza e non cura.
Traviando il sentier segna ’l terreno
d’incostanti vestigi, e ’l punger dura,
calcitra se lo stringe e se lo caccia,
l’adirato signor parte di traccia.

21Ciò veggendo Batran, che generoso
l’animo non ha men che ’l petto forte,
lui non segue a ferir, mentr’ei cruccioso
contende in van che ’l destrier dritto il porte,
ch’all’avversario suo disvantaggioso
l’assalto or crede, e disegual la sorte,
e ’l magnanimo cor sdegna vittoria
che per men ripugnanza ha minor gloria.

22Al fin dapoi buona pezza ei scorse
durar tal briga, al cavalier favella
che s’ei vuol pur da quell’impaccio torse
a pugnar seco ei scenderà di sella.
Ma ’l confuso guerrier, che ben s’accorse
perder di cortesia, tacito a quella,
e trafitto nel cor d’un leggier salto
disceser ambi a rinovar l’assalto.

23Ponsi col manco piè Batrano avante
tre palmi quasi, e sul ginocchio inchina,
lo scudo ferma al curvo sen distante
e lungo ’l braccio il capo fier declina;
stringe con l’altra man l’elsa pesante
fuor del destro ginocchio a lui vicina,
e la punta ch’ei vibra e par ch’ell’arda
al nemico nel cor diritta guarda.

24Nulla piega Adamasto e tutto in fuora
la coscia ei mostra, e ’l destro fianco armato,
ma lieve il serba ad ogni moto ognora,
e sul manco suo piè tutto è posato.
Tien la spada crudel che fuma ancora,
sovrastando alla punta il braccio alzato;
vibran l’un contra l’altro i ferri ignudi,
a scoccarne la morte intenti e crudi.

25Talor muovon in giro i fermi passi,
e l’un nell’altro acutamente avverte
se punto avvien che l’avversario lassi
dove ’l possa ferir parti scoperte.
L’un l’altro tenta e l’un vèr l’altro fassi
ma poi subito riede in sue coperte,
sapend’omai se la nemica spada
a penetrar nel vivo apra la strada.

26Rompe al fin le dimore e ’l piè sinestroS | sinistro
tutto fermo Batran con l’altro cresce
rapido per ferir, ma ’l lato destro
l’avverso schermitor scansa e decresce,
e in quell’istante, a sé venuto il destro,
subito in giù con l’imbroccata gl’esce,
e d’aspra punta a lui la coscia impiaga
e ’l romano campion l’arena allaga.

27E per lo scaturir del nuovo sangue
sì disdegnoso il gran guerrier divenne
che diresti appo lui senz’ira l’angue
d’aquila alzarsi a ravvinchiar le penne,
placido il mar contra ’l nocchier esangue
correr con l’onde a flagellar l’antenne,
e pacifico il ciel quando disserra
le fiamme e ’l giaccio a rovinar la terra.

28E ’l petto e ’l braccio e la nemica fronte
di fieri colpi e colpi spessi offende,
che giù per discosceso orrido monte
precipitoso men fiume discende,
e l’avversario alle percosse, all’onte,
non men di lui ne’ suoi furor s’accende,
ma per furia però d’arte non esce
anzi più col furor l’arte s’accresce.

Urbante tramortisce Volturno e va a dare manforte a Adamasto: Batrano li vince entrambi, risparmia Adamasto (29-45)

29Or così mentre il proprio sangue e l’ira
spargono questi, all’orgoglioso Urbante
Volturno accortamente intorno gira,
quasi ad esca temuta augel volante.
Lieve sembra il destrier fiato che spira
sul fin di maggio a secondar le piante,
e fra cento suo rote al fin nel volto
pur d’una punta il suo nemico ha colto.

30Grossa e tumida vena il ferro incide
nel capo altiero, e ’l caldo sangue cola,
quasi un largo ruscel che si divide
e de gl’occhi amendue le luci invola.
Cortese allora il cavalier, che ’l vide
girare i colpi a ferir l’aria sola,
pur com’orbo la mazza a torno suole
che non sa s’ei percota ombra né sole,

31fermasi, e dice a lui, mentre potrebbe
torli la vita infra quei colpi incerti:
«Urbante, io so che nessun mai dovrebbe
teco usar cortesia, ché non la merti,
ma quel vogl’io che non a te si debbe,
e per me, non per te, rispetto averti.
Fermati e fasciati il sangue, e sappi intanto
che valor, non orgoglio, è vero vanto».

32Rugge quasi leon cui febbre assale
a sì fatte parole Urbante altero,
né la risposta a proferir più vale,
troppo ha forza ragion congiunta al vero.
Stracciasi i panni, e d’elmo a lui non cale,
ma lascia ignudo il capo orrendo e fero,
e cinta a lui la sopraveste intorno
serra la piaga e si discopre il giorno.

33Indi rapidamente il destrier muove
e, qual mastino al viator, si scaglia
e con ire iterate e furie nuove
rinfiammar più che mai fa la battaglia.
Mescolato il sudor col sangue piove,
cadene or piastra, or discommessa maglia,
sbuffano i corridor di spume bianchi,
e scoton presti a greve moto i fianchi.

34Or fra mille percosse, o caso od arte
sia quella pur con cui ferisce Urbante,
le redine al nemico incide e parte,
e sciolte lascia al corridor le piante;
ond’ei rapido allor con l’arme sparte
muove a libero corso il piè sonante,
e con carriera inordinata e storta
Volturno a mal suo grado in fuga porta.

35Seguelo Urbante, et alla fin l’ha giunto
dove da gl’arbuscelli è chiuso il prato,
e col ferro a due man l’arriva a punto
(ahi di sua cortesia merito ingrato!)
dove al fonte de’ nervi il cranio è giunto,
e, l’elmo in fronte a lui franto e spezzato,
di sella il tragge, e ’l fa sanguigno e bianco
sovra ’l duro terren batter il fiancoS | batter ’’ fianco.

36Rimbomba il bosco, a quel rumor si volta
Batrano, e in terra il suo Volturno ha scorto,
che non muovesi più per l’erba folta
onde ’l figlio d’Otton lo stima morto.
Pietà stimola or l’ira, e l’ira volta
sì nel furore, e ’l furor tanto è sorto
ch’ei già fulmina il ferro e non percote.
fiamma è la spada e sparge lampi e rote.

37Ma non bada sul vinto e ’l destrier muove
sempre barbaro Urbante all’altra zuffa,
e vien per fianco a tutto corso dove
il latino guerrier l’altro ribuffa,
sudor versa anelante e sangue piove
già grave e stanco il fier lombardo e sbuffa,
e con atto barbarico e villano
vuol coglier d’urto il cavalier romano.

38Ma ritraendo accortamente il passo,
l’avveduto Batran di punta il coglie,
et apre il ferro acerbamente il passo
onde l’anima rea dal cor si scioglie.
Scolorato d’arcion cad’egli al basso
quali al vento d’autunno aride foglie,
e quel superbo al morir suo non langue
ma freme in vece, e ’l terren morde e ’l sangue.

39Sopra lui nulla il vincitor trattiensi,
ma corre e giunge imperioso e forte
dove Adamasto in que’ suoi lumi accensi
vede già la vittoria e in man la morte,
e sente omai tutti tremarsi i sensi
e le membra avvilir gelide e smorte,
non sa che farsi e in pallor tristo e muto
già descritto ha nel volto: io son perduto.

40Spingesi il vincitore e ’l vinto abbraccia
e stretto al fianco il gran nemico afferra,
né con forza simil canape allaccia
quando il carro a più scosse argano serra,
e col vigor delle robuste braccia
l’avversario possente al fine atterra,
e l’ha già sotto e col valore invitto
tienlo nel verde suol calcato e fitto.

41Egli in van si dibatte, e sembra a punto
aspide velenoso in trita arena
che l’acerbo villan d’un palo ha giunto
e fermo il tien nell’agitata schiena;
storce e sforzasi in van trafitto e punto
svincola di dolor, fischia di pena,
addenta l’asta e fa levar la polve,
tal egli in van pur si dibatte e volve.

42Crescele il fiato, e l’anelar del petto
s’avanza sì ch’ei s’abbandona e langue,
e preme immobilmente il duro letto
tutto quanto sudor, polvere e sangue.
Tienselo il vincitor calcato e stretto,
mal fidando di lui, quantunque esangue;
gl’ha ne’ fianchi i ginocchi e gl’ha ’l pugnale
già su la gola, et ei più nulla vale.

43Or che fai, vincitor? Giacersi estinto
credi amico fedel dall’empio Urbante,
e dall’emulo tuo ti scorgi intinto
nel proprio sangue e ’l feritor d’avante,
et è colui ch’a guerreggiar t’ha spinto
del campo fuor con tant’ingiurie e tante,
Muove ’l colpo mortal, ma poi s’avvede
ch’un uom già vinto e semivivo fiede.

44Fermasi il generoso e dice: «Io veggio
ben, Adamasto, a quel ch’io t’ho condotto,
ma di me che faresti a te richieggio
s’avestu me com’io qui te ridotto».
«Quel che de’ cavaliero e non mai peggio»
li rispos’egli, e senza far più motto
disdegnoso piegò dal guerrier forte
le gravi ciglia, e n’attendea la morte.

45«Levati,» disse allor Batrano «e vivi,
e riconosci me per cavaliero,
e mia vittoria a tuo talento ascrivi;
basti ch’io vinsi, e più da te non chero».
Ma di sangue sparg’ei sì larghi rivi
che ’l rispondere a ciò non suona intero;
muto, immobile ei resta, e ’l vincitore
di pietà con vittoria ha doppio onore.

Niceto giunge al sepolcro di Eraclione a ammira i cicli di bassorilievi ivi scolpiti (46-58)

46Ma se di qua dall’arenose sponde
dannosi i cavalier ferite e morte,
il servo di Giesù di là dall’onde
l’alme ravviva alla celeste corte,
e divisando infra le verdi fronde
quanto la fé, quanto ’l battesmo importe,
a poco a poco il buon Ergasto alletta
a farsi agnella al gran Pastor diletta.

47Ma non però la sua pietà scemando
verso d’Eraclion, quantunque estinto,
prega Niceto a liberarlo orando
dal gran divieto ond’ei si trova avvinto,
e ’l buon servo di Dio seco menando
per un vago sentier di fior dipinto
giungono in pochi passo al verde lito
dove ’l morto signor fu sepellito.

48Sovra quattro colonne un’urna è posta
tra ben cento cipressi in mezzo un prato,
né s’appressa più l’un, né si discosta
che l’altro, e fanno un verde cinto ovato.
Sembra ch’ogn’arbuscel natura a posta
d’un medesimo getto abbia formato.
Porfido è l’urna e in ogni lato impressa
v’è storia sacra a meraviglia espressa.

49Lucida e quadra è la bell’urna e sopra
un’acuta piramide la chiude,
di corinzioS | corinto lavor più fino e d’opra,
che rende illustre il duro sasso e rude.
E su la sommità vien che discopra
quel segno ov’è raccolta ogni virtude,
s’alza tra i venti e va spargendo in loro
folgori di splendor la croce d’oro.

50D’agata oriental con auree vene
son le colone, e i capitelli argento,
e la base simil che lo sostiene
lucido paragone è ’l pavimento.
Ma quel che più meravigliando tiene
la mente e ’l guardo a rimirare attento
son le storie nel porfido scolpite
ove col finto il ver perde ogni lite.

51Con lavoro ammirabile la prima
dimostra un muro, onde ’l calvario è cinto,
e dal popolo iniquo in su la cima
delubro eretto al suo lascivo istinto.
Et ha nascoso in parte abietta et ima
quel sasso ove Giesù si giacque estinto,
né men la croce inonorando serra
fossa negletta e sconosciuta terra.

52Quindi ogn’orma perduta il loco segna
ma con sospetto al peregrin devoto,
qual ch’amico fedele, e gli disegna
dov’ei bacia la terra e sciolga il voto.
Sembra il dito tremar di chi l’insegna,
e la man ch’è di sasso ha senso e moto;
vive e trema la man, guardi e non tocchi,
dubbiar non può chi presta fede a gl’occhi.

53Nella faccia seconda indi si vede
disfatto il culto abbominoso e volta
l’imperatrice a Dio pregando chiede
del vital tronco e ’l gran Fattor l’ascolta,
e le rivela in qual riposta sede
l’aurea scala del Ciel resti sepolta;
et ella apre lassù l’atro terreno
che ’l tesor di salute asconde in seno.

54Ma perch’era indistinto e fra tre legni
mal discerner puot’ella il santo e ’l vero,
mort’uomo appressa, oh meraviglie, oh segni,
e ritorn’egli al viver suo primiero.
Tu stessa, o morte, a ricalcar t’ingegni
il non mai ricalcabile sentiero,
e ben dimostri al suscitar l’estinto
l’arbor vital ch’ogni tua possa ha vinto.

55Tutto nel terzo loco è l’Oriente
che s’arma incontro al successor di Foca,
e ’l muove Cosdra, al cui favor possente
la virtù che s’incontra è frale e poca.
E qual fiamma talor che la semente
e le piagge e le selve e i boschi infoca,
le città, le provincie e ’l mondo ardendo,
scorre il campo infinito e ’l duce orrendo.

56Passa a Gierusalem l’orrenda peste
e la greggia di Dio sparge e consuma;
toglie al monte la croce e ’l suol terrestre
di martirio e di strage asperso fuma.
Cinge il buon Zaccheria lacera veste
nudo del lungo crin la bianca piuma,
e la preda e ’l prigion legato mena
l’empio tiranno alla paterna arena.

57Tragge il carro superbo il vecchio stanco
e traendoli a forza il debil passo,
con durissima fune avvolto il fianco,
tanto l’affretta più quant’è più lasso.
Legato ha dietro il destro braccio e ’l manco
né d’ei mira tra via sterpo né sasso,
ma col guardo e col cor volto alla croce,
nel silenzio atteggiato ha preghi e voce.

58Cominciossi a scolpir l’ultima faccia
ma vi son di figure a pena l’orme,
onde ruvida bozza il sasso impaccia
sol d’accennate e non distinte forme,
come quando, da prima, orsa procaccia
figurar con la lingua il parto informe,
e ben mostra le man ch’indi si tolle
che finir le sapea ma che non volle.

Niceto prega per l’anima di Eraclione, che lascia l’avello e prima di salire in Cielo gli predice l’esito positivo del’impresa (59-76)

59Mira l’istorie e le figure e chiede
Niceto il santo: «Or quale industre mano
l’ha scolpite così, che in lor si vede
spirar dal freddo sasso il senso umano?».
Li risponde il pastor: «Vince ogni fede
la verità del nuovo caso e strano:
arte non fu mortale e non fu quello
ch’intagliò le figure uman scarpello,

60ma l’ombra (ombra di luce è l’alma stessa)
del mio signor, dalle sue membra sciolta,
come tu vedi ha questa tomba impressa,
dove la carne sua giace sepolta;
che quando ella da noi vi fu già messa,
non era in questa guisa adorna e scolta,
né tai le pietre, e crebbe sempre in loro
alla materia il pregio, arte al lavoro».

61Niceto ammira, e breve spazio stato
a rimirar le sacre storie intento,
piega ’l ginocchio, e ’l guardo a Dio levato,
tutto s’affissa e non discioglie accento.
Ma se tace la lingua, il cor più grato
manifesta a gran voce il suo talento,
voce ch’udita no ma ben veduta
fecondissima è in Ciel se in terra è muta.

62Ai suoi taciti preghi il Re sovrano
piegò benigno acconsentendo il ciglio,
e per l’aer sereno a mano a mano
tre volte apparve un balenar vermiglio.
Scossesi intanto e la pendice e ’l piano
turbò le piante un mobile scompiglio,
e vacillò per l’isoletta intorno
l’annosa quercia e ’l pin superbo e l’orno.

63Scossesi a’ gravi crolli non s’aperse
né si spezzò quella marmorea mole,
indi l’anima pura in alto s’erse
com’esce fuor delle sals’onde il sole,
e move a l’ali sue candide e terse
qual colomba gentil ch’al nido vole,
poich’in lucido rio la sete ha sazia
e col guardo amoroso il Ciel ringrazia.

64Dir non si può qual è la luce e quanto
è lo splendor che l’ha d’intorno avvolto.
Oro non è che le pareggi il manto,
né puro sol che le s’agguagli al volto;
specchio non ha che le risplenda a canto
ma in Dio lo sguardoS | squardo immobilmente ha volto,
e in lui si specchia e in lui s’appaga, e quella
che fu già verga è lucida facella.

65Ben pria che l’ali al sommo Sol dirizzi,
s’aggira intorno al buon Niceto, e mai
non rifulser così percossi stizzi
com’ella fuor ne folgoreggia i rai.
Qual pesce poi ch’in placid’onda guizzi,
indi s’accheti e non si muova omai,
a sua vista fermò le piume, e ’l volo
muover non è ma sostenersi solo,

66e disse: «Ancor ch’alle celesti rote
portimi Amor, sì che il tardar m’annoia,
prima render debb’io grazie devote
Niceto a te, dell’infinita gioia,
ch’io mi stav’a purgar l’antiche note
presso alla tomba in dispiacevol noia,
e, dovunque io mi stessi, allor che Dio
m’era conteso in purgatorio er’io.

67Per entro al sen di questa vostra terra
è gran concavità d’ombroso loco
che un aer tinto attorniando serra,
è l’aria un giaccio e dentro al giaccio è ’l foco.
E quivi allor che ’l carcer si disserra
che piace tanto e dura a noi sì poco,
convien che vada ogn’anima ch’impressa
sia di peccato, all’ombra oscura e spessa.

68Ma ben è ver che qual leggiera passa
over pentita al suo viver secondo,
all’orribile parte ardente e bassa
non la conduce il suo men grave pondo,
ma nel più alto a consumar la lassa
le contratte caligini del mondo,
se cura un dì, poi che tra foco e gielo
purgata fia, di ricondursi al Cielo.

69E di queste era anch’io, ma ’l Re sovrano,
perché vivendo a ricovrar mi posi
la croce sua dall’empio re pagano,
qui mi ritenne in questi lochi ombrosi,
che mi furon però, da lui lontano,
a purgar le mie colpe aspri e noiosi,
e da lor, tua mercé, libero io sono
per batter l’ali al sempiterno trono.

70Ma pria ch’io torni alla felice vita
lasciar, come Dio vuol, convienmi questa
tomba della sua croce anco scolpita
quella storia a venir ch’ultima resta,
e come al popol suo restituita
fia con vittoria nobile e funesta.
Ben vincerà l’imperador, non tema,
ché così vuol la volontà suprema.

71Così confidi e si conforti intanto
che ’l poter delle tenebre trapassi,
che pur conseguirà l’ultimo vanto
pria ch’al giorno più breve il sol s’abbassi.
ma bene innanzi e ’l sudor misto e ’l pianto
per l’esercito suo correr vedrassi,
soffrendo or peste or dura fame atroce:
cotanto importa il racquistar la croce.

72Ma poich’anima bella al Cielo ascesa
pregherà col suo sangue il Re sovrano
che giunga al fin la gloriosa impresa
terrà la palma il vincitor cristiano,
e la spada invincibile ripresa
tornerà pronto il cavalier cristiano,
e seco Erinta aiuterà le squadre
contra cui s’arma e sovverrà suo padre.

73Ma perché più continuar parole
di quel ch’io scolpirò su questo sasso?
Miralo or dunque», e su la dura mole
discende alquanto a disegnar più basso,
come sul lito alcuna volta suole
nocchier sedendo affaticato e lasso
segnar torri e cittadi, e tutta piena
dell’imagini sue lasciar l’arena.

74La face sua nel duro marmo imprime
pur come avorio in ammolita cera,
e di quel che sarà le forme esprime,
storia a venir meravigliosa e vera.
Altri nol fecer mai scarpelli o lime,
ma così vuol chi su le stelle impera,
e mentre ei sculpe a poco a poco intanto
maggior notizia ei ne comparte al santo.

75Scolpisce l’uno, e l’altro apprende e nota
la verità che vi riman scolpita,
e poi che la bell’opra anco remota
per mille lustri e più parve finita,
l’anima, più che mai bella e devota,
levossi al Cielo, al suo Fattor gradita,
e le spere passò con maggior fretta
che non fende le nuvole saetta.

76Rimase allor con le canute ciglia
Niceto al cielo immobilmente affisse,
stupido di pietà, di meraviglia,
colmo e traslato in gravi curve e fisse.
Ma ’l pastor a veder morto simiglia,
né può ridir ciò ch’ella fece o disse,
rimanend’egli ottenebrato a quello
splendor, sì come al sol notturno augello.