ARGOMENTO
Conduce Ergasto i tre guerrier feriti
nel proprio albergo, et è salvata Erinta
nel passar di Niceto a gl’altri liti,
dal gonfio rio che l’avea quasi estinta.
Et ella poi vien che Batrano aiti
e riman seco in egual nodo avvinta.
Traggesi Eraclio in più sicure sponde
con rifugio d’ostello in mezzo all’onde.
Niceto ed Ergasto salvano i feriti del duello ed Erinta, trascinata dalla corrente del fiume (1-27)
1Ma poi che ritornò l’usato manto
l’anima a rivestir come solea,
e che cessò la meraviglia al santo
che da sé tolto a riguardar l’avea,
et ecco afflitto e spaventato tanto
che più l’alito il sen trar non potea,
corre un bifolco e favellar pur vuole
ma interrompe l’affanno le parole.
2«Corri, Ergasto,» dic’ei «corri e rimena
da tropp’alto timor sparsi gl’armenti,
cinta è l’isola d’arme, io scampo a pena,
treman gl’arbori intorno, e tu nol senti.
Lance ho visto e cavalli in su l’arena
correr del fiume e fiammeggiar lucenti,
udito ho d’elmi e di corazze ’l suono,
e son presso e son giunti, al fiume sono.
3Meravigliom’io ben che ’l suon dell’onda
t’ingombra sì che tu non senta l’armi;
l’isola vacillar per ogni sponda
e per tutto il terren mobile parmi».
Niceto allor: «Dov’ogni grazia abbonda
speriam pur» disse, e si levò da i marmi,
e tragge al fiume e sopra l’altro lato
vede o parli veder Batrano armato.
4Lo riconosce a quel suo grand’aspetto
di cui sembra minor forma mortale,
all’alto omero e forte, al largo petto,
al fianco altier che rilevando sale,
et a quel che non ha, fiero e negletto
suo guerrier portamento, in terra eguale,
et all’invitta e gloriosa insegna
di cui l’armi non mai vider più degna.
5Niceto allor benché sonante il Saro
corra sì che via men rondine vòle,
col buon pastor al navicello andaro,
ch’a passar l’onda esercitar si suole,
ma or che non è ’l rio placido e chiaro
stassene infra i cespugli ascosi al sole,
dove s’incurva a suo ricetto il lido
e v’han gl’umidi pesci albergo fido.
6Con volto Ergasto assai dubbioso e basso
mira la piena e nel suo cor paventa
d’esporre il santo al periglioso passo
fin che l’impeto suo non si rallenta.
Niceto allora: «O troppo ignudo e casso
della vivace fé, che ti sgomenta?
Va’ via, pur va’, che ’l trapassar d’un rio
non de’ temersi ove la scorta è Dio».
7Ciò sentendo il pastor la poppa accosta
fidando in lui che gli conduce e mena,
dapoi la spalla al duro remo opposta
a rispinger si pon l’umida arena.
Così dal lito il navicel si scosta
che ’l volubil timor rivolge e frena,
come fa corridor che torce il morso
e fende all’acque a tutta forza il corso.
8E dando aiuto allo spumante remo
gl’invisibili spiriti beati,
per lo rapido flutto all’altro estremo
posero il piè ne’ sanguinosi prati,
e de’ quattro guerrier di vita scemo
trovaro Urbante, e gl’altri tre piagati,
due giacersi nell’erba e sparger quivi
sopra il verde terren vermigli rivi.
9Soprarriva Niceto e ’l ferro mira
che bagnar si devea nel sangue perso,
traportato dall’impeto dell’ira
ne’ lor petti medesimi converso;
dal profondo del cor geme e sospira,
di pietoso pallor la fronte asperso,
e spirando umiltade a mano a mano
s’appressa e dice al cavalier romano:
10«Deh, cavalier, se pur, ohimè, finita
con la morte e col ’l sangue è la tenzone,
l’odio che tanto a danneggiar v’irrita
sia spento insieme, e regni in voi ragione».
Et egli: «A me più d’ogni mia ferita
le piaghe altrui son di dolor cagione,
e dapoi che l’onor salvato ha questa
mia spada, altro ch’amore in me non resta.
11Persuadi pur dunque, ov’ha mestiero,
che non odiar ma vincere a me giova,
e la virtude e l’animo guerriero
m’è sempre amico ovunque mai si trova.
E però l’avversario cavaliero
che l’ha mostratoS | dimostrato a così chiara prova,
per amar sono et amerò pur ch’esso
non mi s’opponga in disvolerS | dissolver lo stesso.
12Ma che più? di que’ due prima si prenda
che n’han d’uopo maggior pietade e cura,
e di me poscia». Allor la piaga orrenda
dell’esangue Volturno Ergasto cura.
L’ammollisce con erbe e ’l frato ammenda
e ne scaccia la doglia acerba e dura,
apr’ei le luci e rifruisce il sole
e con egri sospir langue e si duole.
13Né meno intorno al fiero duce esangue
il buon Niceto ogn’argomento adopra,
e intorno alle ferite e intorno al sangue
con l’erbe unisce ogni suo studio et opra.
Et ecco omai che nel guerrier che langue
la sopita virtù par che si scopra,
e l’uno e l’altro alla paterna arena
nel legnetto adagiati Ergasto mena.
14Indi ritorna a ricondur Batrano
per l’onde omai men perigliose e preste,
ma il guerrier bagna a ciascun loco il piano
né rimedio a lui val che ’l sangue reste;
ond’ei ne langue, e par ch’a mano a mano
le circondin le ciglia ombre funeste,
e intanto avea tra le selvagge piante
sepellito Niceto il fiero Urbante.
15E tornato il pastor per l’eremita
acciò con gl’altri alle capanne il porti,
resecando ne va la prora ardita
del fiume i flutti impetuosi e torti,
riman la spuma a gl’alti remi unita
che ne son biancheggianti in aria scorti.
Et era omai la navicella dove
più alto è ’l fiume e con più fretta muove,
16quando il servo di Dio si volge e mira
tratto dalla possente e rapid’onda
un non so che che si ravvolge e gira,
e per l’umido suol sorge e raffonda.
Par corpo umanS | umano che lo trabalzi l’ira
del fiume altier che rovinoso abbonda;
scopresi al fin ch’una donzella porta
ma non si dà s’ella sia viva o morta.
17La guerriera è costei ch’al verde lito
trasse pietosa il semivivo amante,
ma per lo stuol che v’era sopra unito
por non osò su quel terren le piante,
ma con la mano e più col core ardito
misesi a traversar l’onda sonante.
E ben di forza un lungo spazio aprio
con sicuro notar l’onda del rio,
18ma rovinose al fin la svolser l’onde,
dal cui rapido andar vinta ogni lena
lungi dalle sonanti umide sponde
l’orribil fiume in sua balia la mena.
Strepitoso or la mostra or la nasconde,
l’immondo flutto alla più bassa arena,
e l’aggira e l’avvolge e la percote
l’omero o ’l fianco o le smarrite gote.
19Così dunque Niceto allor la scorse
e con voce d’amor gridolle: «O figlia
chiedi aiuto a Giesù, ch’ei ben soccorse
sempre a ciascun ch’al suo favor s’appiglia».
Et ella a Dio, cui non credea, ricorse,
levando a quel sant’uom l’umide ciglia,
e ’l nome risonò dall’onde fuora
che l’Inferno paventa e ’l Cielo adora.
20O che l’indusse il gran periglio in cui
ciascun qual siasi ogni refugio apprende,
o che ’l servo di Dio co’ preghi sui
di celeste pietà degna la rende,
o che dispone in guisa tal Colui
che sol se stesso e suoi consigli attende,
e invisibilmente il cor le tocca
e sonar falle il sacro nome in bocca,
21suo manto allor, quel che s’affibbia al petto
e più giù della coscia oltre non passa,
l’eremita si spoglia, e sovra il letto
del rio sonante a sparger lui s’abbassa:
meraviglie dirò, spiegato e retto
va contra l’onde alla già vinta e lassa,
e sopponsele sì che in mezzo al flutto
trova la donna in lui ricovro asciutto.
22E come allor che ’l flagellato pesce
dentro al concavo guscio il nicchio porta
su per l’orrido mar che scema e cresce
senz’affondar la vòta conca è scorta,
tal sovra il fiume, ov’alto umor si mesce,
tragge il sen della vesta Erinta smorta,
e ’l vento aggiunto al favorir dell’onde
spingela al fin su l’arenose sponde.
23Oh miracol celeste! Or d’Arione
taccia la favolosa antica etade,
che Dio perch’altri un cavo legno suone
meraviglie non mostra al mondo rade,
ma bene a chi le sue speranze pone
in lui mirabilmente usa pietade.
Francesco il sa, che su per l’onde amare
pur così passa a piede asciutto il mare.
24Fuor dell’acque mortali, in terra addutta
Erinta fu dall’ammirabil manto,
che la depose in parte immonda e brutta
tra canne e giunchi al fero fiume a canto.
Né da lei lungi ha ’l buon pastor condutta
la navicella e disbarcato il santo
ch’a lei non bada et all’albergo muove
dove i feriti cavalier ritrove.
25E intanto a ristorar l’esangue Erinta
il pietoso pastor su ’l lito resta,
che di man propria avendo a lei discinta
al sen di puro marmo umida vesta,
tocca il candido petto onde respinta
la bell’anima avea l’onda funesta,
e ’l trova un giaccio; al fin pur sente in esso
che ’l cor le batte a picciol moto e spesso.
26Le spoglie squarcia, ond’ei l’asciughi e sgravi,
et a sé chiama i ruvidi bifolci
e de’ panni ch’avean, non già soavi,
ma pur conformi a i fenditor de’ solci,
riveste lei, che già con tardi e gravi
sospir s’avviva i cari membri e dolci,
e d’arbusti recisi acceso un foco,
la riconforta in quel medesmo loco.
27Si riconforta e rabbellisce e riede
la ristorata vergine, pur come
rosa che ’l sol partito afflitta cede
d’alta pruina alle notturne some,
quand’ei ritorna e fa caderli al piede
disfatto il gielo e rifiorir le chiome,
che più bella che mai, più che mai lieta
vagheggiando ringrazia il gran pianeta.
La portano alla capanna dove hanno sistemato i tre cavalieri: lei salva Batrano interpretando la visione avuta quand’era addormentata sull’isoletta, e se ne innamora, ricambiata (28-61)
28E poi che la natia porpora al bianco
volto ritorna, onde fuggio respinta,
la mena Ergasto, il sen e ’l fianco
d’abito rusticano avvolta e cinta,
dove già si venìa languendo manco
Batrano, e giunge alle capanne Erinta
ch’avvisandosi omai con l’aure estreme
partia del gran campion l’ultima speme.
29Tiepido omai dall’egre vene uscia
quel sangue in lui che incominciò fervente,
e col sangue la vita omai finia
(caso crudel) nel cavalier languente.
Niceto in van con sacra mano e pia
procura aita alle virtù già spente,
al fin, perché l’aiuto suo li preste,
ricorre il santo al medico celeste:
30«Prego, Signor, s’a questa invitta spada
commessaS | commossa hai tu la tua sì giusta impresa,
piacciati che l’adempia e vinta cada
l’Asia del taglio suo più volte offesa.
L’avversario comun trattieni a bada
pugnando ancor, né la tua croce è resa,
sana il guerrier, da cui verrà ritolta
e già per dipartir l’anima ha volta».
31Udì ’l suo servo il Regnatore eterno
dal più alto del Cielo, e cenno diede
all’Angel che d’Erinta avea il governo,
e ’l divino voler nel cenno vede.
E ’l ministro sovran del Re superno
vassene a lei nella riposta sede,
e ’l vero sogno alla pensosa mente
ch’ella feo dianzi or fa veder presente.
32E mentre al moribondo i lumi inchina
la donna forte, e ’l cavalier conosce,
sente nel cor d’aspirazion divina
muover pietà delle mortali angosce,
e per lo sogno suo fatto indovina
del dimostrato ver lo riconosce,
divisando tra sé: – La fera e ’l drago
ch’io pugnar vidi e trar di sangue un lago,
33erano i due famosi cavalieri
ch’io qui ritrovo, e la sognata fronda
m’insegnò per Batran rimedi veri
al sangue suo, che in troppa copia abonda.
Convien (dice tra sé), convien ch’io speri,
sento l’occulta ispirazion seconda -,
e d’un cipresso immantinente scioglie
ramette verdi et odorate foglie.
34E sfasciata al guerrier l’offesa parte,
ella di propria man la fronde trita,
e le polveri sue diffuse e sparte
dentro e fuor ne ingombrò l’aspra ferita,
et, oh rara virtù!, donde si parte
ecco al vitale umor chiude l’uscita,
e l’anima affienarsi al suo mortale,
d’onde apria già per dipartirne l’ale.
35O natural nell’odorato stelo
sia la virtude, o che di più v’aggiunga
col divino voler l’Angel del Cielo,
perché alla morte il cavalier non giunga,
torna intanto la vita e parte il gielo,
si ristora il vigor, morte s’allunga,
ogni afflitta virtù si riconforta
e i suoi riposi amico sonno apporta.
36E torna il cavalier qual pianta suole
cui la radice occulto verme offende,
onde la chioma sua, che prima al sole
spargea sì verde, impallidita pende,
allor che ’l tarlo il mietitor le ’nvole,
che ’l perduto vigor tosto riprende,
e più lieta che mai, più che mai bella
pastori e ninfe alla dolc’ombra appella.
37Placido il sonno al fin si scioglie e cede
alla vigilia al cavalier nel petto,
e la serenitade al guardo riede
e ’l color vivo allo smarrito aspetto.
Volg’ei le luci a sé d’intorno e vede
la donna al piè del sanguinoso letto
sì bella e cara in così rozza veste
ch’ei talor la si crede Angel celeste.
38La sua beltà che, di se stessa ornata,
non vuole, altro che sé, fregio o coltura,
schernitrice d’ogn’arte appar dotata
sol de i doni del Cielo e di natura,
e magnanimamente accompagnata
d’una nobile sua disprezzatura
par che dica “Ornamenti itene a quelle
che per voi solo e non per sé son belle”.
39Or cotanta bellezza in così strano
abito avvolta il cavalier che langue
mira, e gioisce e dalla bella mano
gode esser tocco il debil corpo esangue,
e per l’aride vene a mano a mano
riceve il foco ond’è fuggito il sangue,
foco soave sì che non si sente
nel cominciar fin ch’ei non sorge ardente.
40Nol sente il cavalier, ma gode e pasce
l’avido sguardo in rimirar quel volto,
onde con suo piacer la fiamma nasce
ch’omai l’accende, e dice a lei rivolto:
«O bella man, che di pietose fasce
m’hai dolcemente ogni mia piaga avvolto,
se brami a pien di conseguir l’onore
della salute mia, pon mente al core».
41E volea seguitar: «che langue a morte
donna gentil, da gl’occhi tuoi ferito»,
ma già con nodo imperioso e forte
lega amore alla lingua il suono ardito,
sì che né pure in chiare voci e scorte
fu quel ch’ei disse apertamente udito.
Tace il guerriero, e prende omai consiglio
più tosto usar che le parole il ciglio.
42Indi seco ragiona: – O per me quanto
è ’l guarir egro e ’l mio sanar mortale,
se chi le piaghe mie risalda intanto
nel cor l’innaspra e incrudelisce il male.
Il mal che per costei mi piace tanto
che d’interna salute a me non cale,
anzi lo sprezzo, e tanto più desio
languir quant’ella cerca il sanar mio -.
43Or così mentre il cavalier divisa,
nuove cure d’amor la donna forte
opera di sua man, guarda e ravvisa
tanto valor che l’ha ritolto a morte,
e se n’appaga a poco a poco in guisa
ch’al piacere, al desio s’apron le porte,
e l’incognito ancor nuovo diletto
con suo tacito piè serpe nel petto.
44Indi a scoprir furtivamente prende
anch’ella il cor con le visibil note,
e i diletti alternando accoglie e rende
sguardo palesator di fiamme ignote;
ma con quanto piacer le voglie accende
immaginar non che ridir chi puote,
se ne l’anima stessa aggiunge al vero,
né ’l suo dolce fruir discerne intero?
45Nato intanto, Amor cresce e nelle menti
comincia ad ambo a riseder signore,
caccian gl’altri desir cure pungenti,
fugge ragion del proprio albergo fuore,
e tributario di sospiri ardenti
servo è non pur ma incatenato il core,
e già comincia omai distinto e chiaro
per mezzo il dolce a germogliar l’amaro.
46La donzella gentil, che non s’accorge
del suo soave e tacito veleno,
qualor s’allunga e ’l cavalier non scorge
l’alta imagine sua si porta in seno,
e co i pensieri alimentando porge
al desir forza, in cui ragion vien meno,
e del cibo medesmo ond’amor nasce
ella le fiamme sue nodrica e pasce.
47Del ferito amador sola si piglia
per sé la cura, e le sue piaghe salda,
medica feritrice, or s’invermiglia
or si scolora, or è gelata or calda.
Miralo intenta e nel mirar simiglia
liquefarsi del sol candida falda,
e così consuma e non si crede
ella prima d’amar ch’arder s’avvede.
48Ma poi che fu per cento nodi e cento
della perduta libertade accorta,
quale incauto pastor ch’al chiuso armento
vipera ascosa in verde fascio porta,
subito al punger suo non è già lento
l’erbe a gettar con man tremante e smorta,
e ben l’angue mortal dal fianco scote
ma ’l già preso velen sanar non puote,
49come tal si sentì la donna amante
generosa virtù svegliando al petto,
sovvenir fassi a quel sentiero errante
d’amor seguace ha ’l manco piè diretto,
e con suo biasmo a quante lodi e quante
le invola il falso e mal seguito affetto
cui fine è ’l danno e la mercé vergogna,
e se medesma in cotal suon rampogna:
50- Tu dunque, tu, che sollevarti, Erinta,
dal sesso imbelle e dal femineo stuolo
glorioso credesti, e d’armi cinta
spiegare al ciel di vera fama il volo,
tu d’amor dunque al duro giogo avvinta
disegnerai con servil orma il suolo?
E dirassi di te: “Costei potea
più che femina oprar, forse ’l facea?
51Ma in diletti oziosi e in cure molli
lasciando anch’essa inlascivir la mente,
da i pensier maschi a gl’amorosi e folli
cadde, e corse volgar con l’altra gente”.
Che son? che fui? che voglio, ohimè? che volli?
a qual cieco desio l’alma consente?
Non vidi io dunque e da veder non resta
altr’occhi in terra, altra beltà che questa?
52Ben la vidi in mal punto e la discerno
senz’alcun pro, ché già radice ha fatto
il mio mal per entro al petto interno
ch’esser non può per mio poter distratto.
E per far di me, lassa, aspro governo
mi spinge a morte e non m’uccide affatto,
non mi lassa morir, né vuol ch’io viva
tiranno Amor, che mi ritien cattiva.
53Cattiva io, dunque? e questo petto e questo
cor, che l’aste e le spade a scherno ha preso,
temerà di pensier nuvol molesto,
di non sano desio fallaci offese?
No, che mai non sia ver, sia ’l pentir presto
se in me rapide fur le fiamme accese,
medicar me del proprio mal poss’io
sana ogn’amor con lontananza oblio.
54Sì sì, non più pargoleggiando amante
nutricar qui tra l’ozio vile amore,
ma seguitar con l’onorate piante,
com’ho fatto sin’or, la via d’onore,
e se mal soffrirà nel primo istante
d’allontanarsi innamorato ’l core,
per suo miglior a lui mostrar conviene
che s’ei cede al piacer sorge alle pene -.
55Così le detta e così vuol Ragione,
ch’affatto mai non abbandona il freno,
ma contra lei con più possente sprone
Amor le stringe, anzi le sforza il seno;
ond’ella intanto a divisar si pone
d’altro rimedio al suo mortal veneno,
e tra sé dice: – Un dichiararsi vinta
d’Amor sarà, se tu ti parti, Erinta.
56Se tu fuggi partendo e lasci in preda
al tuo nemico incatenato il petto,
chi fia che forte a contrastar ti creda
contra ’l poter d’un amoroso affetto?
Fa dunque, fa che ’l tuo desio ti ceda
e ceda il senso al tuo voler più retto,
e sia di te questa gran lode espressa:
“Vins’ella Amore, e superò se stessa”.
57Non è senza rimedio amor che nasce,
prendilo dunque e sul venir lo scaccia,
e pria che ’l germe abbarbicar si lasce
tu le radici sue divelli e straccia,
e ricerca in costui, che ’l cor ti pasce,
s’alcuna cosa sia che ti dispiaccia,
così comincia a rallentar l’affetto;
ma quale in lui ritroverò difetto?
58Cercherò forse in quel che fuor si vede
parte deforme o natural bruttezza,
se dalla fronte generosa al piede
nell’invitto campion tutto è bellezza?
Cercherò forse ogni riposta sede
del vizio in lui, che s’aborrisce e sprezza,
se tutto quel che si nasconde e chiude
nell’invitto guerrier tutto è virtude?
59Partir pur dunque e procurar conviene
che sani il cor diversità di loco,
dapoi ch’altro che bello, altro che bene
non trovo in lui per rinfiammarmi il foco.
E forse anco tem’io ch’alle mie pene
debba giovar l’allontanarsi poco,
ché non vale a cercar nuovo terreno
per fuggire il suo mal chi ’l porta in seno -.
60E così, mesta, a dipartir s’accinge
da quel suo caro e desiato lido,
e per volersi allontanar si spinge
congedo a tòr dal caro amante e fido.
Ma giunta a lui, di quel color si tinge
di cui sparse ’l suo fior la dea di Gnido,
e dice: «A Dio», ma nol può dir; favella
lo sguardo intanto e quell’a Dio cancella.
61O potenza d’Amor, sia di natura
ne’ mortal petti o sia virtù celeste,
che rinfiammi quaggiù l’accesa cura
com’a li piaccia in quelle menti o in queste!
Anima non fu mai tanto sicura
ch’a gl’assalti amorosi invitta reste,
che sia rigido scoglio in mar sonante
è forza dir che mai non visse amante.
Teodoro si dispera per il rifiuto di Erinta, medita un’azione gloriosa in cui sacrificare la propria vita (62-63)
62Amano Erinta e ’l cavalier romano,
ma con pena maggior, con peggior sorte
di Teodoro il figliuol s’affligge in vano
per la guerriera e chiede aita a morte.
Disperato talor l’armata mano
rivolger pensa in se medesmo forte,
ma si rattien, ché li par grave e duro
sue bell’opre adombrar termine oscuro.
63E per trovar qualch’onorato fine,
pur qual guerriero, alle sue pene amare,
or le squadre de’ Greci or le latine
spronando irrita a degne prove e chiare,
e dell’alte trincee dentr’al confine
cui non vuol anco il suo gran zio lasciare,
l’animo generoso a forza affrena
e lo ritien nel chiuso vallo a pena.
Eraclio, vista l’inferiorità in cui si trova, ritira il suo esercito in una città murata (64-71)
64Cesere intanto il campo suo veduto
scemo de i cavalier di più valore,
e dell’arme celeste e dell’aiuto
del rubellato barbaro furore,
e ’l persiano esercito cresciuto
e di forza e di numero e di cuore,
da quei ripari ov’ei si sta munito
pensa a ritrarsi in più sicuro sito.
65Era un colle non lungi, a cui d’intorno
scendean sassose e rapide pendici,
e ’l sol tornando a rimenare il giorno
matutino il feria co’ raggi amici.
D’arbori è nudo e di poch’erbe adorno,
sterili mostra i rotti fianchi aprici,
e su la cima, in un sublime giro,
pastori antichi alcune case uniro.
66Che poi crebber con gl’anni, e prima furo
sol di siepe e di fossa intorno avvolte,
poi le torri alla fin giunsero e ’l muro,
e fur le case in sicurtà raccolte.
Ma come al minacciar del tempo oscuro
partonsi le colombe in fuga volte,
gl’abitatori al suon di tromba ignoto
lasciaro all’armi ogni lor nido vòto.
67Sovra le case, ov’è più alto il monte,
sorge un palagio all’alte nubi eretto,
a cui facea con larga vena un fonte
per ogni intorno un puro lago e schietto.
Sollevan suso a voglia loro il ponte
l’alte catene, ond’ei rimane eretto,
e ’l passo tolto in sicurezza pone
l’invincibil per forza ampia magione.
68Quadro è ’l forte edificio, et è di sasso
vivo ogni lato, e in ogni canto al sole
sorge una torre, a cui riman più basso
il muro altier dell’infrangibil mole,
che non pur niega a chi salisca il passo
ma quasi il vieta a chi per l’aria vole,
et altretanto alle ferrate porte
di dentro è bel quanto di fuora è forte.
69Ma per la guerra abbandonato e solo
alcun non è ch’ad abitar vi pogge,
vedovi i muri e non calcato è ’l suolo
e solitarie in lui camere e logge.
Ma quantunque negletto, e che non solo
chi lo guardi non ha, non chi l’allogge,
de’ suoi nobili fregi impoverito
mostra che vago ancor fussi e gradito.
70Così mal concia e co’ capegli sciolti
parer può mesta e scarmigliata donna,
a cui rapace man gl’erediS | erredi ha tolti
dovuti a lei che fu regina e donna,
e cadendole al petto i crini incolti
negletta e scalza e con discinta gonna,
con diletto non più ma con pietade
sembra passando dir: qui fu beltade.
71Cesere, a cui ben noto è ’l sito e l’onda
dell’altero palagio, il campo pone
de’ chiusi alberghi alla più bassa sponda
e le forti trincee pianta e dispone;
cui di fossa ricinge alta e profonda,
rimanendoli a tergo ogni magione,
per salvarsi al maggior uopo, e quello
rifugio estremo in mezzo all’acque ostello.