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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 22.02.16 10:51

ARGOMENTO
Frange Elisa lo specchio, e seco uscito
la difende dai Persi il suo consorte,
e scampano amendue, ma già ferito
scampar non puote il cavalier da morte.
Arde il vallo a’ cristiani Armallo ardito,
Cesere allor nell’aspro punto e forte
esce all’aperto e se ne vien con seco
a combatter co i Persi il campo greco.

Gersano con uno specchio quasi incendia il vallo (1-20)

1L’uno campo e l’altro erano stati a fronte
sopra due colli e sette giorni et otto,
senza scender alcun dal proprio monte
nella pianura all’avversario sotto,
quando a Cosdra n’andò Gersamo, il fonte
d’ogni bell’arte, uom già da gl’anni rotto,
ma però quant’ei per vecchiezza è frale
per maturo saper tanto più vale.

2Costui sovente a star pensoso e basso
fin da’ prim’anni ogni suo ’ngegno volse,
vegghiò lunghe le notti e dal compasso
l’alba a pena talor pallido il tolse.
Ferma in aer sospeso or legno or sasso,
verso ’l fonte talor l’onda rivolse;
servono all’arti sue senso e natura,
conta i passi del sole e ’l ciel misura.

3Gersamo adunque al fiero Cosdra ammesso
trovalo in guisa d’uom che pensa e sdegna;
pensa all’assalto e se ne rode appresso,
sì bene Augusto a custodir s’ingegna.
Et ei: «Signor, se tu raffreni adesso
l’altera tua vittoriosa insegna,
perch’al monte guardarsi Eraclio vedi,
e lo steccato impenetrabil credi,

4io ti prometto a mezzo dì ben lunge,
quanto mai d’arco acuto stral sospinto
o di macchina mai sasso non giunge,
arder d’intorno a’ tuoi nemici il cinto.
Su leggier via d’ogni speron non punge
e nemico indifeso è più che vinto,
et io, tolte dal ciel le fiamme e ’l foco,
penetrerò l’impenetrabil loco».

5Così diss’egli, e ’l fiero re, che presta
al sicuro parlar non dubbia fede,
per l’aurora novella il campo appresta,
e ’l muove poi che ’l chiaro dì succede.
E dal colle scendendo alla foresta
verso il vallo romano affretta ’l piede,
con l’esercito suo grande infinito,
che nasconde ogni piaggia, empie ogni lito.

6Era alto il sole, e si vedean ne’ campi
l’ombre rimpicciolir tra i raggi d’oro,
e l’armi accese da celesti lampi
rinfiammare al gran lume i lumi loro.
Sembra il mobile acciar messe ch’avvampi
e spirando l’increspi Affrico o Coro,
e gl’elmetti e gli scudi e le loriche
son le sue paglie e le sonanti spiche.

7L’antiguardia movea Rubeno il fero,
Cosdra la retroguardia e ’l mezzo Armallo,
che di Tracia macchiato a bianco e nero
con le redini d’or frena il cavallo.
Muove intrepidamente il campo altero
sopr’ogni squadra, e ben si può mirallo,
ché non supera a lui l’omero o ’l petto
di qualunque altro inferior l’elmetto.

8Muovesi il fero duce e l’ampio stuolo
tutto co’ passi suoi seco si mena,
pur come ’l Gange aprendo all’Asia il suolo
a turbar corre all’ocean l’arena,
o per l’Africa adusta il rio che solo
spargendo l’alta e fluttuosa vena
il difetto del ciel crescendo adempie
ed urta il mar con sette corna e l’empie.

9A la vigile guardia intanto accorta
che ’l persiano esercito s’appressa,
e la polvere in prima e poscia ha scorta
nella nuvola ancor la gente stessa,
l’importante novella in fretta porta;
e ’l magnanimo Eraclio allor non cessa,
fa dare il segno, e l’animosa tromba
per le viscere altrui guerra rimbomba.

10L’imperador, fuor che la testa armato,
subitamente i cavalier dispone,
e ne fa sullo stabile steccato
minaccioso apparir folte corone.
Pons’egli al destro, e dal sinistro lato
raccomanda a Teodor l’altro bastione,
et or col cenno, or con la chiara voce
quel che giova rammenta e quel che noce.

11Sopra i ripari i cavalier si stanno
fermi così che trasparir di fuori
per le sembianze apertamente fanno
gl’animi invitti e i generosi cori,
e che pro sia la morte e ’l viver danno,
glorie l’offese e le ferite onori.
Scuoton gli scudi e vibran l’aste arditi
e fanno a dura guerra acerbi inviti.

12Ma ecco omai che consumando il piano
l’assalitore esercito s’accosta,
e discernon l’insegne a mano a mano
quei che si stan sulla munita costa.
Quinci il barbaro stuol, quinci il romano
con fiera fronte orribilmente opposta,
pria che possan ferir zagaglie o dardi
si saettano incontro acerbi sguardi.

13Rubeno audace alla romana fossa
vicino intanto il suo drappello adduce;
e tra i guerrier da quattro rote mossa
l’alta macchina sua Gersan conduce,
nascosa sì che penetrar non possa
a poterla mirar terrena luce,
e le rote traean queti e sicuri
quattro destrier più d’ogni pece scuri.

14Ma poi che presso il fero ordigno è tanto
che nel campo roman l’incendio arrivi,
ferma il fabro i corsier e spoglia il manto
e fa nudi apparer suoi lumi vivi,
e ’l carro espone al sol diritto intanto
onde da lui l’alto splendor derivi,
l’alto splendor che mentre il lui ferisce
qual pioggia in vaso ogni suo raggio unisce.

15D’un gran concavo vetro è ’l magistero,
a cui di fuor tenace piombo aggiunto
nel cavo specchio il sol battendo
riman per entro il suo splendor congiunto,
e d’ogni parte il lucido empispero
suo reflesso fulgor giunge in un punto,
e ne fulmina fuor l’unito lume
qual da mille ruscelli accolto fiume.

16Dallo specchio mortal partono uniti
raggi di sol con sì fervente vampa
che infoca l’ara affumicando i liti
e i boschi accende e le campagne avvampa.
Or che faranno i difensori arditi?
da tanto ardor chi gli difende o scampa?
ben vale ogn’arme, ogni difesa poco
sempre ch’ad assalir s’avventa il foco.

17Folgora il vetro e la corona
de’ romani ripari arde e percote,
né più vestigio ov’alto incendio suona
o l’italico o ’l greco imprimer puote.
La fiamma sparsa a nessun uom perdona,
già ne son le trincee disgombre e vòte;
già percuotele il foco e le consuma,
parte il valle fiammeggia e parte fuma.

18Cesere a riparar con l’onda algente
gl’affannati guerrier sospinge e muove,
ma s’ei l’estingue ecco Gersan repente
volgere e fulminar la fiamma altrove,
over diritto alla confusa gente
arde la stessa ma che l’acqua piove,
e consumar lo stesso vaso è scorta
che dovea condur l’acqua e ’l foco porta.

19L’imperador, qual provido nocchiero
che regge l’afflitta e disarmata nave
tra le procelle in mar sonante e nero,
già rotta i fianchi e di sals’onde grave,
pur fa contrasto al flutto orrendo e fero
e in disperata sorte ancor non pave,
né mai dall’onde e dal contrario vento
vinto si vuol mostrar prima che spento;

20egli i soldati inanimir non resta,
e per mezz’alle fiamme invitto passa,
e riunisce in quella parte e ’n questa
dove i rotti ripari il foco lassa;
la gente sua, discolorata e mesta,
nel cor dubbiosa i gravi lumi abbassa,
tra speranza e timor che la percote
quello apprender non sa, quella non puote.

Alceste ed Elisa riescono con una sortita a distruggere la macchina, Alceste viene ferito, scappano nel bosco inseguiti dai Persiani (21-45)

21Vede le fiamme e pallidetta Elisa
tacita il fianco al caro sposo appressa,
d’un’amorosa tortorella in guisa
quando caggia dal ciel pioggia più spessa.
Stringesi a lui per non restar divisa
dalla sua vita entro la morte stessa,
s’appressa il foco e dal bel petto elice
ella un sospiro, e chiama Alceste e dice:

22«Consorte mio, del viver nostro è giunta
l’ora fatale, e me ne duol vie meno
dapoi che ’l Ciel mi fa morir congiunta
teco, mia vita, anzi morirti in seno.
L’anima so che non fia mai disgiunta
e se verrà la nostra carne meno
spero che se l’ardor la tenne in vita
la tenga in morte eternamente unita.

23Ben è ragion, dapoi che ’l Ciel prefisse
a noi giungere insieme all’ultim’ora,
che chi sempre nel foco amando visse
nel foco insieme innamorato mora,
et (oh beati noi s’egli avvenisse!)
poi doppo morte, e n’ho speranza ancora,
che nel cenere fessi aura seconda
e lo mescoli insieme e lo confonda».

24Per rispondere a lei l’amato sposo
muovesi, ma ’l dolor la voce invola,
e sforzandola pur l’affanno ascoso
un sospir n’esce in vece di parola.
Indi rasserenò l’aspetto ombroso
come suol nube un balenar che vola,
e nella bella e cara donna affisse
pietoso il ciglio, e poi rispose e disse:

25«Prestami l’arco, io voglio andar con esso
là dove n’arde e ne consuma il veglio,
e, giusto spazio al colpo mio frammesso,
frangerò d’uno stral l’orrido speglio;
e spero ancor di ritornarti appresso,
ma s’io morrò, chi mai morir può meglio
chi più lodato o con più frutto ov’io
salvi la vita tua col morir mio?».

26Risponde allor la giovanetta a lui,
con un atto d’amor misto e di sdegno:
«Or quando mai della mia vita io fui
bramosa sì qual n’apparì mai segno,
che tu debba voler co i giorni tui
cambiare i miei, con sì vil cambio indegno?
Non è, non è dell’altre donne in guisa
femina al cor, se ben la miri Elisa.

27Per vantarmi non già, ma s’egli è vero
ch’io per te sopportai ben mille morti,
quattr’anni al bosco solitario e fero
da te lontana in duri strazi e forti,
come fia mai che temerario arciero
tu t’esponga al periglio, io tel comporti?
Et io, quell’io che t’assalisco odiata,
spinta d’amor non t’accompagni amata?

28Così presumi? E tante prove e tante
fin qui pur fatte hai senza fede ancora,
non t’avran persuaso Elisa amante
sì ch’ella resti e tu ne vada e mora?
Questo, Alceste, è quel solo ond’io mi vante
nel concorde desio che ci innamora,
d’esser con teco incatenata in modo
che sia più fral della mia vita il nodo.

29Ma indugio parlando? Arco et arciera
verrò tec’io con questa esperta mano,
che saprà della tua vèr la lumiera
muover colpo più certo e più lontano.
E sai ben tu se intrepida e guerriera
Amor n’ha reso, e fo vermiglio il piano,
mostrando altrui che ’l tutto vale et osa
chi nutrisce nel sen fiamma amorosa».

30Così diss’ella, e poi ch’Alceste in vano
pregando al suo voler si contrapose,
se n’andaro d’accordo al capitano
e ’l cavaliero il lor disegno espose.
Sentendo ciò l’imperador romano
sull’omero al guerrier la destra pose,
e disse: «Or ite, e sia fortuna vosco,
com’esser già tanta virtù conosco.

31E se premio nessun può giunger voglia
a quel desio che la virtude accende,
(la virtù che non par ch’altri mai voglia,
ma sol per guiderdon se stessa prende),
uscite pur dalla munita soglia,
gitene ad impedir ciò che n’offende,
che scarso a voi d’averne tratto il piede
non sarò né d’onor né di mercede».

32Prometton essi, e con sicura faccia
prendon congedo, e ’l generoso Augusto
paternamente confortando abbraccia
l’amante donna e ’l cavalier robusto;
et all’offerta perigliosa traccia
s’apre a gl’animi invitti il varco angusto,
et ecco omai dell’infiammato vallo
l’audacissima coppia esce a cavallo.

33Sopra duo corridor, di cui più lievi
non produsse giamai l’arabo armento,
c’han le fiamme di dentro e fuor le nevi,
nel corso il volo e nelle piante il vento
se n’escon chiusi in sottil’armi e brevi,
perché del vetro il folgorar sia spento;
e da mille guerrier lodati e pianti
parton veloci i generosi amanti.

34Riman Cleanto al chiuso varco ond’essi
n’abbian ricovro a ritornar sicuro,
quando riescan pur lieti i successi,
né lor contenda acerbo fato e duro.
Volano i corridor, qual tra gli spessi
nuvoli il balenar del cielo oscuro,
e già son presso al fero vetro in guisa
che ’l nervo trae del suo grand’arco Elisa.

35Indi scarico suona, e da lui spinto
fugge l’alato stral per l’aria aperta,
e in mormorio con sibilo indistinto
riman la corda ancor tremando incerta,
quando già dallo strale in vetro attinto,
pur come vuol la sagittaria esperta,
lo spezza il colpo, e come face in fiume
la fiamma estingue e ’l folgorar del lume.

36Cade in parti minute e ne rimane
sparsa di lor la polverosa terra,
e riescon però fallaci e vane
le fiamme che facean sì dura guerra.
Ciò visto là nelle trincee cristiane
dal popolo guerrier che ’l foco serra
e speranza e vigor tosto riprende,
e gli steccati intrepido discende.

37Ma l’esercito perso, acceso d’ira
contra que’ due che ’l grande specchio han franto
muovesi alla vendetta, e ’l destrier gira
la bella arciera al caro Alceste a canto.
Corre la coppia e risalvarsi aspira
nel chiuso vallo, e n’avea forse il vanto
se non che ’l corridor per l’erte strade
sotto ad Elisa a mezzo ’l corso cade.

38Grid’ella allor: «Non ti fermar, consorte,
fuggi, non ti fermar, fuggi, che fai?
S’io ti veggio campar dolc’è la morte,
perduta io son, che puoi tu farmi omai?
Che pensi, ahi folle, a cento squadre opporte,
sì temerariamente anco vorrai?
Fuggi, non si può più, basti una sola
di due morti per noi, fuggi e t’invola».

39Ma l’animoso al suo pregar non bada,
e tra la donna e ’l persian furore
volgendo il corridor stringe la spada,
e vuol morir se la consorte muore,
e pensa a mille cavalier la strada
serrare ei sol, così l’accieca Amore,
Amor ond’ei sospinto ha più desire
che viver senza lei, seco morire.

40E così tutto un campo egli sostiene
per disperazion fattosi ardito,
ma soprafatto al fin cader conviene
di tre punte mortali al sen ferito.
Pur s’aita col ferro, uccide Armene,
e piagato Altomar tragge sul lito,
fère al braccio Arpante, Arfriso al petto,
e spezza in fronte a Falsiron l’elmetto.

41D’Elisa intanto il corridor risorto
volg’ella gl’occhi al caro sposo, e ’l vede
da più tronchi trafitto e in viso smorto
sangue versar tra mille lance a piede.
Scagliasi forsennata ove l’ha scorto,
e stride e ’l chiama; et ei ch’allor s’avvede
ch’ell’è risorta, a risalir l’arcione,
quantunque afflitto, ogni suo studio pone.

42L’amorosa consorte il petto ignudo
contra l’aste pungenti espor non teme,
s’attraversa correndo al ferro crudo
e l’arco e ’l corso e l’ardir giunge insieme.
Ma troppo è molle e delicato scudo
femminil petto ad empie forze estreme:
ecco un’asta crudel ch’al lato manco
punge e trafigge a la donzella il fianco.

43Ma pur non cade, e si sostiene ancora
ferma in arcion l’innamorata Elisa,
e d’un tepido rio bagna e colora
la tessuta sua d’or nuova divisa.
Risalisce il marito, e si rincora
poi che già la rimira in sella assisa,
e, fuggendo amendue, della salute
risorgean le speranze omai perdute.

44Ma da man manca a chiuder loro il passo,
ch’ei muovean ratti al desiato ponte,
per fianco spinto il suo drappello Artasso
viensi a trapor tra la lor fuga e ’l monte,
onde i miseri amanti al suol più basso
de’ fugaci destrier volgan la fronte,
dando a forza le terga al lor rifugio
e dal corso al morir cercando indugio.

45Di piano in poggio e di pendice in valle
rapida se ne va la coppia amante,
con l’avversario esercito alle spalle,
insanguinando il suo sentier errante.
Al fin per aspro e tortuoso calle
d’alta selva arrivò tra l’erme piante
dove tanto la fronda e ’l sito impaccia
che ’l seguace drappel perdé la traccia.

Cosdra orina l’assalto, Armallo si spinge avanti per primo e incendia il vallo, penetrando negli accampamenti (46-63)

46Ma poi che spento il re de’ Persi ha visto
lo specchio onde Gersan le schiere ardea
e che però l’esercito di Cristo
con più franco valor si difendea,
per forza a far di quei ripari acquisto
le squadre tutte inverso lor movea,
e i feroci irritando accende e sprona
e ’l carme eccitator la tromba suona.

47E l’esercito suo, d’ardire acceso,
salisce il monte al grand’assalto accinto,
e già sul colle audacemente asceso
delle forti trincee combatte il cinto.
Ma sopr’ogn’altro a penetrarlo inteso
l’invincibile Armallo oltre s’è spinto,
né di tenebre uscendo ombra infernale
mostrò mai furia al furibondo eguale.

48Sale a salti la piaggia, e poi che vede
d’esser vicino alla romana fossa,
liberi al corridor gl’imperi cede
e la calca divide armata e grossa,
e fatto innanzi a’ suoi si volge e chiede
dove par che più scorga ardire e possa:
«Or chi vien meco et a passar nel vallo
sarà secondo, ove sia prima Armallo?».

49E fiamma in questo dir fulmina e spira
dal lucid’elmo, e più che tigre o pardo
leggier si spicca, e poi la fossa aggira,
movendo il passo a ben veder più tardo.
Così lupo talor passa e rimira
le stalle intorno e volge bieco il guardo,
dell’ira acceso ond’ei per entro arrabbia,
e freme e lecca in van l’avide labbia.

50Ma poi ch’egl’ebbe et una volta e due
mirato a pien l’impenetrabil loco,
dove l’alto fulgor ch’estinto fue
spaventò molto e danneggiollo poco,
si risolv’egli a tante squadre sue
l’adito aprir con più sicuro foco,
e con la destra antico pino scote
di fiamma acceso e le trincee percote.

51Scaricar archi e impoverir faretre
non cessan d’alto i difensor cristiani,
nuvoli d’aste e grandini di pietre
piovono in lui dall’avversarie mani,
né fan però ch’ei d’un sol piè s’arretre,
spargendo al vento inutil colpi e vani,
e più s’indura il minaccioso e forte
scoglio di Marte all’ondeggiar di morte.

52Quant’ha maggiore il cavalier contrasto
più si rinforza alle mirabil prove,
sì come allor che più turbato e guasto
l’aer fremendo e fulminando piove,
mulin ch’agita ’l vento alato e vasto
con maggior furia alle tempeste muove,
e ratto più quanto più ’l ciel minaccia
l’alto rotar delle velate braccia.

53Né meno in suo favor per l’aria aperta
di strali un nembo il popol d’Asia avventa,
e di color ch’egl’assalia sull’erta
l’impeto affrena e le difese allenta.
E movendo talor chiusa e coperta
passar nel vallo alcuna squadra tenta;
tetto fan gli scudi uniti e gravi
e de gl’omeri lor mobili travi.

54Ma quantunque pur molto innanzi fassi,
riman rispinto il popol d’Asia e rotto
dal tempestoso grandinar de’ sassi,
che lui non lascia approssimar di sotto;
onde trepido, al fin rivolge i passi
e ’l bell’ordine suo resta interrotto.
Di qua spessi e di là volan gl’incendi,
s’empie il torbido ciel di stridi orrendi.

55Di sulfureo bitume in giro avvolte
scaglia l’arabo e ’l perso ardenti stelle
che feriscon nell’aste, e reston molte
con le ferree lor punte avvolte in quelle,
e là poi salde, ingiuriose e folte
spargon divoratrici empie fiammelle.
Ma primo e solo e del destrier disceso
l’arde il fero pagan col pino acceso.

56Eran gl’alti ripari antichi legni
confitti in terra e l’uno all’altro uniti,
perché sian di quell’argine sostegni
da cui son entro i cavalier muniti;
tai vedi i pali a riparar gli sdegni
del fiume errante e rinforzargli i liti,
onde l’arida lor materia apprende
tosto l’ardor che la consuma e incende.

57Quindi a tanto periglio Europa tutta
contra ’l feroce assalitor si sforza,
et ei pur sempre in ostinata lutta
al contrasto maggior prende più forza.
Guasto ha ’l cimiero e insanguinata e brutta
la sonante d’acciar lucida scorza,
ma tanto Armallo è nel furor ardente
ch’ei non prova dolor, piaga non sente.

58Agita la gran face e pur l’accosta
al cinto, fuor delle romane tende,
e di tronchi commessi all’alta costa
con l’intrepida man gl’ardori accende.
Nutre il vento la fiamma e non ha sosta
suo spirar fermo, e la dilata e stende,
e così dura a gl’altrui danni intento
di fucina mortal mantice il vento.

59Sopra i ripari in cento parti accesi
spargesi l’onda a tant’incendio poca,
che leggiermente i feri lampi offesi
quasi irritata sol più si rinfoca.
Caggiono i palancati a terra stesi,
parte non han che non fiammeggi e cuoca,
e volandon’al ciel l’ardente vampa
di nere macchie il suol corrompe e stampa.

60Tra le fiamme e tra l’armi al fin si spinge,
vinto ogni intoppo, il furibondo Armallo,
e ’l foco abbandonando il ferro stringe
la fera man, che non discende in fallo.
Spegne col sangue altrui la fiamma e tinge
d’ampio lavacro orribilmente il vallo,
e dovunque ne va scorrer per tutto
vedi la morte e le rovine e ’l lutto.

61Già circonda ogni parte e sorge intorno
la fiamma a divorar gl’ampi steccati,
e passa indentroS | passa a indentro e ’l bell’arnese adorno
distrugge, e guasta i padiglioni aurati.
Portan le vampe e fann’ingiuria al giorno
col fumo lor gl’impetuosi fiati,
copre il chiuso la fiamma, a ciascun loco
delle misere tende è tenda il foco.

62Tra la pallida cenere giacersi,
parte ombrate dal fumo e parte ardenti,
veggionsi l’armi e i lucid’elmi, aspersi
di quei carbon ch’umano sangue ha spenti.
E le spoglie già tolte a i guerrier persi
tra gl’incendi rapite errar co i venti,
e raggirarsi alle trincee distanti
tra faville volubili volanti.

63Arsi i tetti e le mense, accesi et arsi
gl’aurati vasi, e i più pregiati arredi,
per le ruine indegnamente sparsi
tra le ceneri lor giacersi vedi;
e i corridor che sentono appressarsi
l’incendio, uscir delle serrate sedi,
e con timido piè correr disciolti,
rotti i capestri e incenerati e incolti.

Eraclio raccoglie i suoi e li spinge fuori dal vallo (64-70)

64Forte punto fu questo e in guerra mai
non corse il campo un sì crudel periglio,
che pur non trova ad uscir fuor di guai
tra ’l ferro e ’l foco alcuna strada il ciglio.
L’imperador non sa che farsi omai
sì l’estremo del mal vince il consiglio;
arder l’incendio in ogni loco mira,
e dall’imo del cor geme e sospira.

65Di fiamma intorno orribilmente ei scorge
stringersi un cerchio in ogni parte aggiunto,
già l’ardito Ruben sul vallo sorge,
già nell’intime tende Armallo è giunto.
Il magnanimo allor, che ben s’accorge
dell’estremo del mal, prende in un punto
risoluto partito e tra ’l più folto
ne va de’ suoi, pien d’ardimento in volto.

66E in brevi note al popolo smarrito
ravvalorando i cuor dubbiosi e mesti,
de’ suoi più forti un fier drappello unito
d’uscir gl’esorta, e i detti suoi son questi:
«Seguitatemi, amici, io meco invito
sol chi ha cuore e chi non l’ha si resti.
Arda chi non ardisce, e chi paventa
de’ nemici il valor le fiamme senta».

67Così diss’egli, e la smarrita gente,
riprendendo il vigor per la sua voce,
stringesi seco, e se ne vien repente
fuor de i ripari orribile e feroce,
e sembra in vista un torbido torrente
che sbocca in mar per la più stretta foce,
e porta seco infin da gl’alti monti
svelte le selve e trarupati i ponti.

68Vanno i forti guerrier sicuri e stretti
con lungo passo e men del corso presto,
e francheggiandoS | franceggiando gl’altri più perfetti,
la cui rara virtù fa scudo al resto,
tra i nemici son già l’audaci petti
col ferro formidabile e funesto,
e l’orribil falange ovunque muove
soffia vento di morte e sangue piove.

69Sembra il campo roman qual volta spira
lo stridente Aquilon gelata stella,
se dal freddo Rifeo partir si mira
grandinosa sonante atra procella
che i boschi abbatte e le gran piante aggira
e le ramora lor frange e flagella,
e di globi di giaccio il fero nembo
riempie, e grava all’ime valli il grembo.

70Già la fera tenzon cresce e s’innaspra,
molto sangue a tant’ira è poco e scarsoS | è poco scarso,
né l’acerba vendetta il cor disaspra
che dall’offesa è incrudelito et arso.
Non è morte a chi muor dogliosa et aspra,
se con vero valor lo spirto è sparso;
gloria più che salute e più gradita
è la morte in altrui che in sé la vita.