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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 22.02.16 10:56

ARGOMENTO
Rotto è ’l cristiano esercito, et Uberto
dal figlio ucciso il proprio figlio uccide.
Porta Adimanto acerbo annunzio e certo
al principe Teodor di quanto ei vide,
che l’un figlio morì nel fianco aperto
di propria elezion tra genti infide,
l’altro resta prigione, e morto e preso
l’imperadore e ’l suo refugio acceso.

Armallo compie imprese straordinarie, ma la battaglia resta in bilico (1-9)

1Non bada Armallo a i due cugini e lassa
non curante di lor l’armi e le spoglie,
e la spada crudel ne’ Greci abbassa
e l’esercito pio frange e discioglie;
e qual torbido Noto ovunque passa
fa d’autunno cader l’aride foglie,
tal ei cavalli e cavalieri atterra,
turbine spaventevole di guerra.

2Cadegli a piè, dalle sue mani estinta,
la gente morta, ond’egli aggrava il lito,
e fra ’l tumulo orribile distinta
ben è la man del vincitore ardito:
dove fumiga più la terra tinta
dove più scorre il caldo sangue il lito,
là si mostr’egli alle stupende prove,
là sol contesa e sembra pace altrove.

3Ma tra le varie e disusate guise
di morte, o Musa, a ricordar m’aita
tu di qualcun che ’l fiero Armallo uccise,
e la memoria è nell’oblio smarrita;
e dammi tu, che s’egli a terra il mise,
io nel sollevi alla seconda vita,
né mai per fin che si rivolge il sole
dalle menti de gl’uomini s’invole.

4Tra l’uno e l’altro ciglio Arnaldo ei fende,
che, fremendo, al morir s’ange e corruccia,
e per traverso a Daniel discende
dal crine al mento e lo recide e sbuccia,
onde ’l viso diviso al petto scende,
larva sanguigna e scorticata buccia;
ei la rinnalza, e s’affatica appresso
pur di se stesso a mascherar se stesso.

5Passa Anfion per la ridevol milza,
ond’ei ne riede amaramente e muore;
poi taglia il collo e ’l grave capo infilza
pria che ne caggia all’orvietan signore.
La spada il regge, ei la raggira e sfilza,
e con impeto tal nel fromba fuore
che ’n fronte coglie a Beringario e privo
rende di vita il morto capo il vivo.

6Cala un fendente, e coglier crede il duca
di Candia in fronte, e la crudel percossa,
benché dov’ei segnò non si conduca,
ma scenda in vano, è tal però la possa
che nel molle terren sì fatta buca
riman del colpo, anzi sì larga fossa
che poi, trafitto, il candiotto in questa
e morto insieme e sepelitto resta.

7La destra a Spinellon tronca il pagano,
e fa che con la destra il ferro cada;
caggiono insieme e si riman nel piano
con la punta all’in giù fitta la spada,
e resta intorno al pomo suo la mano,
tremando il ferro, ond’a ciascun che bada
par ch’ella il mova, e del suo braccio priva
ancor l’impugni, ancor combatta e viva.

8Sorbellon con la scure uccide Epante,
Alberan con la mazza atterra Orgillo,
caggion sotto Aladin Caspe e Cristante,
cade Altoforte e ’l fiero Urban colpillo.
Ferracuto e Durazzo e Monodante
vince l’un dopo l’altro il buon Cammillo:
Monodante ferito e Ferracuto
del tutto estinto, e ’l terzo freddo e muto.

9Ma chi volesse annoverar ciascuno
che vien cedendo in quel conflitto al fato,
ben potrebbe le stelle all’aer bruno
contar nel cielo o ciascun erba al prato.
E segno ancor della vittoria alcuno
né da questo apparia, né da quel lato,
e la pugna crudel, quanto più eguale
si mantien fra i due campi, è più mortale.

Cosdra allora mostra lo scudo divino e avvilisce i cristiani, che vanno in rotta: Eraclio suona la ritirata, si stabilizza nella cittadelle all’interno del vallo (10-16)

10Partito prende il re de’ Persi allora
lo scudo aprir che ’l traditor li diede,
e mostrar lui palesemente fuora;
non già ch’ei presti a quell’immagin fede
ma perché ’l campo pio se ne rincora,
ch’averla ancor l’imperador si crede;
et egli, acciò se ne disperi affatto,
sollevò con lui l’aureo vel tratto.

11Mirando allor della vittoria il pegno
in man de gl’avversari, il popol pio
si sbigottisce e d’alcun fallo indegno
teme il gastigo universal di Dio.
Già trema ogn’asta sua, trema ogni segno,
rotto ogn’ordine al fin si disunio;
fugge ogni schiera, e s’affatica in vano
per raffrenarle il duce lor sovrano.

12Perché sì come a sostenere un muro
che in ogni parte rovinoso caggia,
non può fare un puntel, ben che sicuro,
ch’i non trabocchi all’arenosa spiaggia,
così d’Eraclio amaro freno e duro,
e caldo spron d’amante lingua e saggia,
non può tanto operar che tutti arresti,
ma fuggon quei se fa rivolger questi.

13Ond’egli al fin, poiché disperse e rotte
le squadre sue per ogni banda vede,
quante più ne potea seco ridotte
vèr l’estremo refugio affretta il piede,
e giunge pria che la sorgente notte
tutta s’imbruni alla munita sede,
ch’avea di fuor l’inabitata terra
e l’acqua poi che la circonda e serra.

14Ben resta alquanto a custodir le mura
ch’abbandonàr le rusticane genti,
ma poterle tener non s’assicura
contra ’l furor de’ barbari possenti,
però nella magion ch’è più sicura
seco ricovra i cavalier dolenti,
là dove pria le vettovaglie e tutti
gli stromenti da guerra avea ridutti.

15Ma bene, ohimè, delle tre parti l’una
dell’esercito suo vien seco a pena,
ché la morte o ’l timor per l’ombra bruna
disperge il resto in differente arena.
Seguita Armallo, e senza posa alcuna
a fiera strage i fuggitivi mena,
e immantinente ad assediar le soglie
disabitate alcune squadre accoglie.

16Così non vuol ch’a ristorarsi prenda
pur un momento il perditor cristiano,
ma poi che già con la notturna benda
velato ha l’ombra in ogni parte il piano,
suona a raccolta e fa che si sospenda
ogni contesa il regnator pagano,
e riduconsi i Persi a i padiglioni
e di spoglie arricchiti e di prigioni.

Uberto e il figlio s’uccidono, per sbaglio, nottetempo (17-34)

17Traea fra questi addolorato il piede
l’antico Uberto, uom già canuto e lasso,
nato nella Liguria ov’una sede
hanno l’oro e ’l valor su ’l vivo sasso.
Et ha manco dolor poiché non vede
prigioni i figli in man del fiero Artasso;
segu’egli Artasso, e può seguirlo a pena
sì grave al debil fianco è la catena.

18Menò ’l buon vecchio a guerreggiar per Cristo
due figli amati: un Palamede è detto,
di cui grazia maggior non fu mai visto
spirar da vago e delicato petto;
Rinieri è l’altro, et ha già fatto acquisto
sì di valor ch’è cavalier perfetto,
e son via più delle pupille sue
al vecchio genitor cari amendue.

19Il genitor, poiché non vede or quivi
prigioni i figli suoi, manco s’affanna,
sperando ancor di rivederli vivi;
ma di Rinieri il suo sperar s’inganna,
ché dianzi allor che si fuggian gl’Argivi
punto nel sen da soriana canna,
senza spazio d’aiuto o di conforto
presso al proprio fratel rimase morto.

20Vide ben chi l’uccise, e ’l piè rivolse
per vendicarlo il misero germano,
ma non poté, perché la via gli tolse
l’ombra e la calca, e faticossi invano.
Uberto intanto imprigionando avvolse
d’aspre catene il vincitor pagano,
miral poi meglio e trar si vede avvinto
uom dalla troppa età presso ch’estinto.

21Onde a poche preghiere il vincitore
sciogliendo il vecchio inutile e non buono,
con voltarsi a cercar preda migliore,
concede a lui di libertade in dono,
et egli, omai de’ suoi legami fuore,
che per compassion sciolti li sono,
se ne va tra le morti e tra i perigli
tacito e mesto a ricercar de’ figli.

22E trovandosi inerme alquanto attende
per riarmarsi, e sull’aperta strada
scorge il morto Rinier, ma nol comprende
per fretta al buio, e chi si sia non bada.
Veste il lucido arnese, e poscia appende
con le cintole d’or l’acuta spada,
lo scudo imbraccia e con la fronte in giuso
lascia il figliuol nel proprio sangue infuso.

23Ma di lagrime intanto il viso asperso
tornando il frate a dar sepolcro a lui,
mirò sovr’esso il genitor converso
a spogliarlo, e vestir gl’arnesi sui,
e credendo il suo padre un guerrier perso
per gl’orror della notte oscuri e bui,
tra sé parlò: – Già non sarà mai vero
che vada alcun di queste spoglie altero -.

24E liberato con man dardo pungente
nel proprio padre il duro ferro ei scaglia.
Spietatissimo error, che la nocente
asta devia sì ch’a ferir non vaglia?
Fende la notte e se ne va stridente
per lo nero sentier l’empia zagaglia,
e giunge al segno e nel paterno fianco
trapassa, ohimè, dal destro lato al manco.

25Uberto allor di propria man ripresa
ratto nel figliuol suo l’asta rigetta;
asta fiera e crudel, che d’empia offesa
non men empia però fai la vendetta.
Padre, quando saprai d’aver tu resa
morte a vita sì cara e sì diletta,
misero assai, per te maggior martire
sarà stato l’uccider che ’l morire.

26Vola il corniolo acerbo e d’onde or ora
dal figlio al genitor portò la morte,
vien che dal padre al suo figliuolo ancora
per lo stesso sentier ne la riporte.
Ritorna il ferro a Palamede e ’l fora
sì nell’occhio sinistro acuto e forte
che fin’oltre penetra al destro orecchio,
tal vigor dielle il miserabil vecchio.

27Caduto Uberto, a lui di sangue un rio
se n’esce fuor, che romoreggia e bolle,
e per lo sen che l’ampio ferro aprio
l’anima per uscir commiato tolle.
Né men conduce il duolo acerbo e rio
Palamede a morir sanguigno e molle,
ma prima che morir corre veloce
minaccevole in atto, ardito in voce.

28Corre, benché trafitto, e grida al padre:
«Non son figlio d’Uberto, e né Clarice
a lui degna consorte a me fu madre,
né rampollo vengh’io di lor radice,
se tu porti quest’armi alle tue squadre.
Finché stringer la spada a me pur lice,
vendicherotti in chi ti spoglia almeno,
s’io nol fei, frate, in chi t’aperse il seno».

29A queste note il genitore accorto
del doppio inganno, in suon che prega e langue,
«Ferma,» dice «figliuol, ché tu m’hai morto,
e perdoni il tuo ferro al nostro sangue.
Né mi dolgo di te, ch’avrei gran torto
ch’allor che del tuo colpo io caddi esangue
padre no, ma nemico a spogliar l’armi,
tu mi credesti, e fu ragion piagarmi.

30Non sei tu, no, né da te ’l colpo è uscito
che m’ha per le tue man condotto a morte,
ma ’l Ciel, per sua pietà forse rapito,
m’ha grave d’anni a più dolente sorte.
Ma per avermi tu, figlio, ferito
non sia, ti prego, il tuo dolor più forte».
E stende e vuol con le tremanti braccia
ch’ove guerra non è pace si faccia.

31Ciò sentendo il figliuolo un marmo resta,
e la doglia crudel ch’a morte il mena,
per l’ammirazion quasi s’arresta,
tanto i sensi gl’impetra e i moti affrena.
pur si riscote, e la sua propria vesta
squarciando al petto, omai più vivo a pena,
la sua non giù ma la paterna piaga
s’avvicina a fasciar, che ’l suolo allaga.

32Ma ’l padre a lui: «Deh lascia, figlio, omai,
ch’alla mia vita ogni soccorso è tardo,
e cura te, che risanar potrai,
cui men forse mortal percosse il dardo.
Tu le ceneri mie, se pur vivrai,
dona al sepolcro», e qui fissando il guardo
mancar si sente, e sovra il duro suolo
giace, e ’l misero piè preme al figliuolo.

33Ma Palamede, in suon ch’a pena usciva,
confondendo i singulti e la parola,
«Padre,» disse «io t’uccido, e chi deriva
da te vivendo a te la vita invola».
E qui l’anima sciolta e fuggitiva
dal suo peso terren libera e sola,
e di ferro e di duol trafitto e vinto,
cadde sul padre e vi rimase estinto.

34Uberto allor, che ritenea pur anco
l’ultim’aura vital, mentre si sente
dall’estinto garzon premere ’l fianco
sforzò la voce in questo suon dolente:
«Non venn’io dunque, ahi dura sorte, manco
dianzi al cader della cristiana gente,
per trovarmivi qui Rinieri e Pala… »
«mede» volea seguir, ma l’alma essala.

Teodoro, rimasto fuori dalla cittadella, raduna i dispersi della battaglia (35-37)

35In tanto l’alba a scolorar del cielo
le notturne bellezze alta sorgea,
e d’ogni parte il tenebroso velo
rotto in minute gocciole scotea,
e in perle accolto il matutino gielo
riderne intorno ogn’arbuscel facea,
e richiamava il ruvido bifolco,
da i pigri sonno al’interrotto solco.

36Onde potendo alla novella luce
riconfortarsi il popol d’Occidente,
ogni vivo guerrier si riconduce
dove sonar l’amica tromba sente,
e ’l principe Teodor fassene duce
tratta in sito miglior l’unita gente,
e già novelle eran venute a lui
di conforto e di speme a i guerrier sui.

37E le vere novelle eran che tratto
s’era l’imperador nel chiuso ostello,
e là sicuro e insuperabil fatto
ad ogn’assalto impetuoso e fello;
onde però per rinfrancarsi affatto
ricongiungersi a lui pensa il fratello,
che né volendo ancor potria Teodoro
senz’alcun cibo mantener costoro.

Adimanto racconta della morte di Enarto e, sbagliandosi, poiché ingannato dalla distanza da cui ha visto i fatti, della sconfitta definitiva dei cristiani: in realtà Eraclioha solo abbandonato il muro rinserrandosi nel cuore della cittadella (38-75)

38Quand’ecco a lui con la canuta chioma
di polve aspersa e lacerato il manto,
e si batte per doglia e si dischioma
corre l’incorruttibile Adimanto.
Costui, non lungi alla superba Roma
vagì bambino al biondo Tebro a canto,
e ’l prepose Teodoro a i propri figli
moderator di giovenil consigli,

39che disgiunti da lui raro o non mai
riverenza et amor gl’ebbero eguale.
Ma più ne rese a i due garzoni assai,
ch’amor pronto discende e lento sale;
seguigli in guerra, e già cresciuti omai
rallentò ’l fren ch’a sostener non vale,
ma l’affetto non già, ché in lui maggiore
crebbe al crescer in lor senno e valore.

40Giunge il vecchio anelante e tragge a pena
del petto il fiato, e manifesta appare
nell’amaro tacer l’occulta pena,
come in vetro splendor chiaro traspare.
Ma poi ch’alquanto ei racquistò la lena,
sciolse la lingua in queste voci amare:
«Perdonami, signor, s’io mi t’appresso
funesto ahi troppo e doloroso messo.

41Il tuo figlio maggior (lunghe parole
non vuol dura novella) estinto giace,
e Calisir deliziosa prole
stringe di servitù nodo tenace;
e ’l re nemico anzi ’l tornar del sole
quelle mura espugnò con ferro e face,
dove raccolte le reliquie invano
del campo avea l’imperador romano».

42E qui si tacque. Allor le luci e ’l volto
affissando Teodoro un sasso resta,
immobile a pensar quanto gl’ha tolto
notte sì miserabile e funesta.
Poi l’innato valor seco raccolto
da’ suoi stessi pensier l’animo desta,
e rivolto a colui che dalle ciglia
spargea due fonti, in questo suon ripiglia:

43«Ben sapev’io d’aver condotto all’armi
non a i convitti i miei figliuoli, ond’ora
ciò sentendo di lor nuovo non parmi:
ragione è ben che chi guerreggia mora.
Ma tu contami il lutto e non privarmi
ch’a pieno io sappia ogn’accidente ancora,
ho tanto cuor che può capir non solo
che passi in lui ma vi si spazi il duolo».

44Adimanto a quel dir piange e risponde:
«Farò, signor, che ’l tuo desir s’appaghe,
e inasprirò, se così vuoi, profonde
le mie forse non men che le tue piaghe».
E cercando asciugar del pianto l’onde,
d’uscir pur sempre in maggior copia vaghe,
tre volte e quattro affrenò prima i suoi
singhiozzi amari, e incominciò dapoi:

45«Poiché vide fuggir disperse e rotte
l’imperador senza rimedio alcuno,
da i nemici fugate e dalla notte,
le squadre erranti all’aer denso e bruno,
fuggendo ei no ma con franchezza addotte
le reliquie sul monte, ad uno ad uno
ricongiunse i manipoli, e sicuro
del vallo entrò nel deretaneo muro.

46Quivi ei salvonne a sì grand’uopo e quivi
l’impeto de’ pagani ancor sostenne,
che seguivan col ferro i fuggitivi:
quegli al fin rigettò, questi ritenne.
Confortò, sollevò gl’egri e i mal vivi,
di ventura miglior speranza dienne.
Respiriam tutti e in lui ciascuno intende
supplice in atto e dal suo volto pende.

47Crebbe intanto la notte et ogni stella
cedea, che sorse al dipartir del giorno,
quando l’imperador così favella
mirando in fronte i men paurosi intorno:
– Non potrebb’esser mai l’ora più bella
da liberarci, o cavalier, di scorno:
dorme il nemico, or saria tempo uscire
contra di lui con generoso ardire.

48Sicuro io son che ’l mio german Teodoro
dell’esercito il resto avrà raccolto,
e movrebbe di fuor contra costoro
percotendo alle spalle il popol folto,
e leggiermente or ch’ogni senso loro
la vittoria tien ebro e ’l sonno involto,
colto il barbaro stuolo all’improvviso
da noi sarebbe anzi che desto ucciso.

49Ma ’l portar la novella all’altra gente
è periglioso, e senza questo invano
sarebb’il nostro uscir contra ’l possente
vittorioso esercito pagano.
Però s’alcun di tal virtù si sente
che passar voglia infra i nemici il piano
vada, e prosperamente ottenga i vanti
più che fatto non han gli sposi amanti -.

50Poliperte e Cleanto e tutti insieme
i maggior duci e i cavalier migliori
s’offeriscono arditi, e nessun teme,
nessun non brama uscir soletto fuori,
e con pronto desio sicura speme
mostran dalle sembianze aperti i cori,
onde l’imperador che forse inopia
temea di tanto ardir, n’ha troppa copia.

51Però risolve in così folta offerta,
far che la scelta sua tocchi alla sorte,
e per render l’uscita anco più certa
a chi va tra perigli e tra la morte
vuol ch’ei si prenda, al dismontar dell’erta,
di propria elezion compagno forte,
ma sol di quelli eleggerà che pria
saransi offerti alla notturna via.

52Pongonsi i nomi in lucid’elmo e stende
Ceser la destra, e fuor ne tragge un solo,
e se ne turba a legger poi ch’intende
che v’è descritto il tuo maggior figliuolo.
Ma la ventura sua lieto si prende
Enarto più quant’ei n’ha tema e duolo,
e Calisir che con istanza il chiede,
contenta al fine trar con esso il piede.

53Et io, signor, ch’a manifeste morti
i tuoi più che i miei figli esperti veggio,
e più volte ritrar gl’animi forti
tentai dall’opra e nulla oprar m’avveggio,
correr anch’io con le medesme sorti
i pericoli lor per grazia chieggio;
grazia che, se finor vissuti meco
son i tuoi figli, or io mi mora seco.

54Nol niega Eraclio, e non fu lor noioso
ch’io fussi terzo fra cotant’amore,
e nel più alto e tacito riposo
ce n’andiam noi de’ chiusi alberghi fuore.
E con tacito passo e frettoloso
premendo all’ombra il più celato orrore,
ce n’eram già felicemente arditi
fuor de’ nemici a salvamento usciti,

55quando il fanciullo Calisir legato
là tra gl’altri prigion Licida vide,
garzon di Scio d’ogni bellezza ornato,
e che dolce favella e dolce ride.
Ma più forse ch’amor sinistro fato
traendosi a perir tra genti infide,
Calisir muove a liberar costui
e perir sé per racquistare altrui.

56Tre volte e quattro io l’accennai, ma invano,
ch’ei non mi vide o non veder s’infinse,
e a le parole ancor giunsi al mano
per ritrar lui d’onde pietà lo spinse.
Svegliasi immantinente ogni pagano
e d’ogn’intorno un folto cerchio il cinse.
Vedelo Enarto, e ’l piè rivolge anch’esso
di morir vago al suo germano appresso.

57Et io non men precipitoso allora
tra lor mi getto e vo’ morir con essi.
Traemmo a un tempo i nudi ferri fuora,
e cerchiam che lo stuol non ci s’appressi,
e facciam farli intorno a noi dimora,
s’esser non può che la vittoria cessi.
Ma fur corti i contrasti e in breve tutti
fummo, avvinti di ferro, a Cosdra addutti.

58Con le ciglia dimesse al re d’avante
ne trae la turba, addolorati e muti,
e ’l fiero re, terribile in sembiante,
dimanda: – A che far qui sète venuti? -.
E Calisir, con animo costante:
– Mandonne Eraclio a dimandare aiuti,
sperando a suo favor che si raccoglia
la sparsa gente e dell’assedio il toglia.

59Così non già per ispiar, né meno
venuti siam per farti inganno o froda,
non abbiam noi sì basse cure in seno
ma sol brama d’onor, desio di loda.
Può ben venir la nostra vita meno,
ma non fia ver che mai viltà sen oda;
questo a noi basti, e fa pur tu di lei
ciò che ti par, poi che signor ne sei -.

60Ciò sentendo quel re nuovo argomento
per sì fatte parole astuto prende,
e la disperazione e lo spavento
sparger colà ne gl’assediati intende,
e scoprendo a noi tre quel suo talento
con men torbido aspetto a dir riprende:
– Or quello avrà la libertà di voi
che narrerà quant’io gl’impongo a’ suoi,

61che tornerà vèr l’assediato muro
a riferir che tutti quanti estinti
gl’altri guerrier dalle nostr’armi furo
over di ferro incatenati e cinti.
Non pur vogl’io che libero e sicuro
ei renda sé, ma i suoi compagni avvinti;
ma se questo eseguir voi non vorrete
quanto possa il mio sdegno allor vedrete -.

62E qui tace il tiranno; allor dimanda
a Calisiro un suo maggior, Casmano,
se li piaccia ubbidir quant’ei comanda;
niega il fanciullo, e n’è pregato invano.
Par che folgori allor da gl’occhi spanda,
per la repulsa il regnator pagano,
e comanda a i ministri acerbo et empio
che s’addoppino a lui catena e scempio.

63Ben poscia Enarto al dimandar consente
mentir per Cosdra e rimaner disciolto,
al cui consenso un vivo foco ardente
par che s’accenda a Calisir nel volto.
E con le luci al suo fratello intente
tacito parla: – O sconsigliato, o stolto,
che prometti? che fai? Prima morire
che mai per Cosdra incontr’a i suoi mentire -.

64Ma sorrise il magnanimo e scoperto
difforme al suon delle parole il core,
tener gl’è forza il gran pensier coperto,
sì ch’ombra pur non ne trapeli fuore.
Allor la turba a risalir sull’erto
l’invia soletto entro al notturno orrore,
e ’l circonda lontan da tutti i lati,
non vista moltitudine d’armati.

65Due volte e tre nel dipartirsi – A Dio –
ci disse, e ’l proferì tanto sicuro
che ’l chiuso pensier quasi s’aprio;
poi lieto andò vèr l’assediato muro,
e disse in alto suon: – Preso son io,
col maestro e ’l fratel che meco furo,
e da mille guerrier per ogni banda
circondato il re Cosdra a voi mi manda

66perché falsa novella io vi riporti
che sia mio padre e tutto ’l campo estinto,
onde l’imperador si di sconforti
d’esser soccorso, se li dà per vinto.
Ma durate pur voi costanti e forti,
perch’avend’ei così composto e finto
vive il padre, son certo, e ’l campo intero
che chi creca menzogna ha contra il vero -.

67E così ’l generoso alteramente
l’altrui salute al viver suo propose,
né teme di parlar tra fiera gente
contrario a quel che l’empio re gl’impose.
Ahi bella verità, chi degnamente
giammai cotanto a commun pro t’espose,
se bella, ignuda or qui saranno i fregi
quando col sangue ancor t’adorni e fregi?

68Alle voci d’Enarto il re, che lunge
però non è, sì ch’ei non l’oda anch’esso,
nel sentirsi schernir tant’ira il punge
che ’l ciel n’ha meno al lampeggiar più spesso,
e in un momento il suo gran cerchio aggiunge,
e da mill’aste il tuo buon figlio oppresso
et esposto ad un campo inerme e solo
a Dio l’anima rende e ’l sangue al suolo.

69Ma il tiranno crudel, qual fera orrenda
dopo lungo digiun per picciol esca
più l’ingordo desio par che raccenda,
e più la fame il poco cibo accresca,
e prima ancor che ’l nuovo giorno splenda,
anzi che pur del mar l’alba sen esca,
le squadre irrita e ’l chiuso muro assale,
ch’a tant’impeto d’armi è molle e frale.

70Dalle macchine orrende il muro offeso
discioglie i fianchi e ne vacilla e cade,
e lascia in terra inutilmente steso
larghe a i nemici e spaziose strade,
e ’l crudo incendio a mezza notte acceso
scorre per le ruine aperte e rade,
e di polvere e fumo oscuro velo
s’innalza e spinge i minor lumi al cielo.

71Dalle fiamme e dal sangue ardente e molle
riman la terra, e di minaccie e strida
un feroce rimbombo indi s’estolle,
tra fumo e fiamma e par che ’l ciel divida.
Scorre a libero fren lo sdegno folle
dove il cieco furor lo sprona e guida;
così perisce ogni cristiano e torna
l’aurora al fine, e l’Oriente aggiorna.

72Onde il fiero signor che l’Asia affrena,
poiché per lui fu la vittoria intera,
che si sciolga da me l’aspra catena
senz’altro indugio a’ suoi ministri impera,
misero, acciò con affannosa pena
conti del vincer suo l’istoria vera,
e sappia ogni cristian che vivo resta
la rovina d’Eraclio manifesta,

73et, ahi ben troppo io l’ho racconta», e sciolto
qui dal misero vecchio al pianto il freno
più non favella, e ’l crin canuto e ’l volto
percote e straccia, e bagna ’l petto e ’l seno.
Et allo stuol dal principe raccolto
scorre per l’ossa un gelido veleno,
e querele e sospir per ogni canto
spargonsi amari e mal s’affrena il pianto.

74E ben d’aspro dolor cagione avea
che ’l vecchio espose al suo signor il vero,
ma non era però come parea
sì disperato il duro caso e fero,
perché l’imperador, che ben sapea
mal potersi guardar quel muro intero
poi ch’alquanto il difese entro ’l palagio
trasse ogni schiera, e n’ebbe spazio et agio.

75E così sol quelle cadenti mura
lasciò con poco danno al ferro e ’l foco,
e la gente rendeo salva e sicura
là nel munito impenetrabil loco.
Però maggior che ’l male la paura
di quel ch’espose il vecchio afflitto e fioco,
e pur videgli e si può perder fede
anco a dirsi talor quel che si vede.