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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXVIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 22.02.16 13:41

ARGOMENTO
D’immondi spirti è liberata Elisa.
Disponsi Erinta a ritornar cristiana,
va dell’avo alla tomba e in lei ravvisa
la bella sua succession sovrana,
e i chiari gesti, onde fia grande in guisa
ch’ogni provincia invidierà Toscana.
Part’ella, e vanno i tre guerrier intenti
a tòr le biade alle pagane genti.

Niceto compie l’esorcismo su Elisa, portata al suo tugurio dai pastori (1-16)

1Quei pietosi pastor, che sepoltura
diero ad Alceste in puro marmo e schietto,
e della bella Elisa avean la cura,
che di spiriti immondi era ricetto,
per sanarla del mal, che non si cura
da mortal man con usitato effetto,
la condussero avvinta ove trovaro
Niceto il santo all’isola del Saro.

2Dove la vedovella, a lui condutta
piena di spirital tormento interno,
pallida, afflitta e macolata tutta
di note lagrimevoli d’Inferno,
fin che ’l demonio incontr’a lei non lutta
e non fa del bel corpo aspro governo,
con pietoso dolor da gl’occhi elice
lagrime belle, e così piange e dice:

3«Ecco a’ tuoi piè quell’infelice Elisa
che di fede e d’amor titolo tenne,
e per restar dal suo marito uccisa
a scontrarsi con esso armata venne.
Vedi in che dura e miserabil guisa
d’esser a te condotta a me convenne.
Vedi il mio fiero e lagrimoso esempio
di fortuna e d’amor misero esempio.

4A te ricorro, e prego te se mai
ti commosse a pietà strazio mortale,
libera me da gl’affannosi guai
dell’orribile mia pena infernale;
o mostra almen com’io finisca omai
con la vita il dolor per minor male,
che fia minor quand’una sola io mora
del morir mille e mille volte l’ora».

5E qui la bella misera da gl’occhi
cader si lascia in maggior copia il pianto,
che par che da due fonti indi trabocchi
sì largo fuor ne scaturisce tanto.
E così avvien che lagrimando tocchi
di paterna pietà Niceto il santo,
che per darle conforto e prepararla
alle grazie del Ciel così le parla:

6«Amor soverchio è grave colpa, o figlia,
che vaneggiando il Creatore offende,
perché la creatura si ripiglia
quel ch’a lui deve e in vanità lo spende;
onde non è quaggiù poi meraviglia
se ’l dovuto gastigo in noi discende,
mentre cosa mortale in terra amiamo
col sommo amor ch’al sommo ben doviamo.

7E così tu, che di tua man volesti,
soverchiamente amando il tuo consorte,
quando la vita in lui finir vedesti
per la disperazion darti la morte,
ragion è ben che dell’error con questi
tormenti tuoi la penitenza porte;
e s’adoperi al male il ferro e ’l foco,
quando succo o licor non ha più loco».

8Così dic’egli, e con umil sembianti
stringendo sé, la vedovetta allora
supplice in atto all’eremita avanti
le sue colpe amorose accusa e plora.
Danna i falsi piacer, danna l’erranti
cure, che di ragion la trasser fuora,
e d’ogni fallo suo mesta e dolente
quanto pentir si può, tanto si pente.

9Niceto allor, la sacra mano eretta,
scioglie i nodi dell’anima, e disciolta
più che fusse mai bella e più diletta,
la rende a Dio, che i suoi lamenti ascolta.
Ma già muovesi in lei la maledetta
torma, che nel bel seno era raccolta;
cangia il moto e ’l color, cangia gl’accenti,
distorce i lumi e batte a vòto i denti.

10Onde ’l servo di Dio, da poi che gl’have
preghiere alate al re del Cielo offerte,
verso la donna, a cui l’Inferno è grave,
tutta la sua pietà pronto converte,
e ’l nome appella, onde tremando pave
ogni spirto d’Averno, ogn’ombra inerte.
Spira candida luce e fiamma pura
e con note di folgori scongiura:

11«Per quello Dio che ’l Ciel governa e regge,
per quell’amor che ’l fe’ morire in croce,
per quel dolor che le perdute gregge
sanò del mal che in sempiterno noce,
per quel poter che modera e corregge
il tutto infin nella tartarea foce,
per quel Signor la cui virtù superna
incanta l’abisso e ’l Ciel governa,

12per lui v’impero, immondi spirti, udite,
udite angeli iniqui i detti nostri,
di queste membra immantinente uscite
e giù tornate a i sotterranei chiostri.
Partite immondi, a voi dich’io partite,
voi badate ancor qui, malvagi mostri?
Giesù, forte Giesù, Giesù possente
discaccia tu la legion nocente».

13Et ecco al terminar di queste note
cadde qual corpo morto in terra cade
la bell’Elisa, e ’l duro suol percuote,
e desta al cader suo speme e pietade.
Più non palpita cor, né vena scote,
serra un alto rigor l’aperte strade,
onde scorre la vita or fuori or entro
e muover fa l’estremità dal centro.

14A quel cader, come talora i venti
fuor del carcereS | carcer lor sonante e vòto
quando il moderator il fren rallenti
che rattiene al furor l’orribil moto,
precipitosi sboccano e stridenti
Subsolano e Volturno, Affrico e Noto,
e fanno in fiera e spaventosa guerra
scotersi il cielo e vacillar la terra,

15così gli spirti in procellosa schiera
sen escon fuor dell’infelice Elisa.
Crolla l’isola tutta e si rannera
l’aria, e la nube rea tuona divisa;
e percotendo un’alta quercia e nera
sterpanla a un tratto, e squarcian tutta in guisa
che delle frondi assai minor le schegge
feriscon l’aria e fan che ’l suolo ombregge.

16Cessa il tremito al fine, e con le folte
nuvole sparse ogni spavento insieme,
rasserena il ciel, fugate e sciolte
l’impure nebbie, e l’aer più non freme,
e la giovane afflitta omai raccolte
l’aure di vita, al fin respira e geme,
e torna in essa alla deposta cura
l’alma, che ben ancor non s’assicura.

Erinta chiede il battesimo ma, per non tradire il suo re, vuole astenersi dalla guerra (17-22)

17Era presente e pendea tutta Erinta
intenta a rimirar cose sì nuove,
di pietoso pallor nel viso tinta
e ’l cor segreta inspirazion le muove;
e le sovvien che già dall’onde vinta
salvolla il nominar del vero Giove,
e già di vera fede entrar si sente
nuovi spiragli a illuminar la mente.

18Tra sé tacita pensa: – Or se gl’effetti
della cristiana fé sì chiari sono,
e così favolosi et imperfetti
si veggion gl’altri, e n’è sì vario il suono,
una è la verità senza difetti,
e com’unico è ’l vero, unico è ’l buono;
onde, se vera pur, se buona è questa,
e bugiarda e malvagia ogn’altra resta -.

19Così seco argomenta, e gl’argomenti
conferma amor, poi ch’al campion romano
non può, come vorria, darsi altrimenti
che sotto fede e titolo cristiano.
Ma più caldi gli stimoli e pungenti
vengono a lei dalla superna mano,
e Dio, ch’al suo servigio la richiama,
fa ch’ella si dispone e crede et ama.

20E senz’altra dimora all’eremita
vassene, e dice a lui l’alta donzella:
«Io, che salvai per Dio la vita,
viver non voglio alla sua fé rubella.
Sento l’obligo mio che mi c’invita,
sento la verità che mi c’appella,
e sento occulta un’incredibil forza
ch’alla cristianità mi spinge e sforza.

21Però se pare a te cristiana farmi
e farmi al nume tuo fedele amica,
bagnami pur la fronte e forma i carmi
e quanto è d’uopo a battezzar si dica,
ch’io non vorre’ lunga stagion restarmi
a Dio sì favorevole nemica,
acciò dall’ira sua, sdegnato, offesa
non fussi poi, quanto finor difesa.

22Ma non vo’ già non operar la spada
per lo re mio, che saria nota indegna.
Tutto ’l resto farò come t’aggrada
per divenir di tanta grazia degna.
Ma non vo’ ch’in tal fatto Erinta cada
né ’l suo candido onor macchiato vegna».
E qui si tace. Allor sorride alquanto,
e così parla alla donzella il santo:

Niceto per convincerla a combattere per i cristiani le svela i suoi natali cristiani e le mostra la sua discendenza illustrata sul sepolcro di Eraclione, le indica infine come scoprire chi siano i propri genitori (23-60)

23«Vergine invitta, assai di te più cura
che tu non credi il Re del Ciel si prende:
non fu senza cagion l’alta ventura
che ti deliberò dell’acque orrende,
e non è la scambievole puntura
che teco il nostro cavaliere offende.
E più ti scoprirò, se verrai meco
quinci in disparte»; e si part’ella seco.

24Allor Niceto all’intagliato sasso
del morto Eraclion lento s’invia,
e le ’ncomincia così, passo passo,
in cotal guisa a ragionar tra via:
«Non è cosa quaggiù nel mondo basso
ch’ordinata lassù prima non sia,
né mai si mosse o si può muover fronda
ch’a i decreti del Ciel non corrisponda.

25E però ’l Ciel, che ne gl’arcani avea
prefissa eternamente e stabilita
l’alta succession ch’uscir dovea
di te col forte cavaliero unita,
qui ti condusse, acciò l’acerba e rea
piaga per le tue man fusse guarita,
e t’insegnò la virtuosa foglia
che ’l sangue affrena e fa cessar la doglia.

26E ti mostrò, per allettar la mente,
della progenie tua l’albero altero,
a cui dato è dal Cielo eternamente
tener d’Etruria il glorioso impero.
Et or d’ispirazion raggio lucente
par che ti svegli al degno culto e vero;
ma non sai ben ciò che tu brami o chieggia,
com’uom ch’erri la notte e falso veggia.

27E vuoi Cosdra servir, ch’è tuo nemico,
e non tuo re, come finor credesti;
Cesere è ’l tuo re vero, e più ti dico
che sei cristiana, e già battesmo avesti,
e che di sangue imperiale antico
nella fé che perseguiti nascesti,
e l’error tuo, ch’a guerreggiar t’ha posto
contraria a te, ravviserai ben tosto».

28Erinta allor che raccontar Niceto
cose sì nuove attentamente ascolta,
col viso in lui meraviglioso e lieto
quasi a pender da lui tutta si volta,
e giunti ov’al boschetto opaco e queto
d’Eraclion la cenere è raccolta,
la tomba il santo alla guerriera addita
ch’era di varie imagini scolpita,

29e dice a lei: «Queste figure impresse
non già d’arte mortal fabbro terreno,
ma spirito divin così l’espresse
nel tornar da quest’ombre al Ciel sereno,
e figurò, se ben riguardi in esse,
quei che da te progenie fieno».
Così guard’ella, e vede pur que’ volti
che nell’arbor mirò, nel marmo scolti.

30Vede che nella quarta ultima faccia
si ritoglie a i pagani il santo legno,
e vede il fier Batran che gli minaccia
pien d’un ardente e generoso sdegno,
e vede sé che li percuote e scaccia,
sconfitto Cosdra, e gli perturba ’l regno,
e vede poi che con Batrano insieme
produce il grande e glorioso seme.

31Riconosce le mitre e le corone
e gli scettri e le porpore e gl’imperi
che delle serenissime persone
fanno illustri diademe a i capi alteri,
e che la fama lor voli e risuone
per fin dentro a gl’oppositi emisperi.
E gode sì, ma non a pieno Erinta
per non saperne ogn’opra lor distinta,

32e rivolta a Niceto a lui richiede:
«Deh mi racconta i chiari gesti ancora
di qualcun de gl’eroi che qui si vede
che denno uscir della mia stirpe fuora».
Et egli: «A dir ciò che per te si chiede
balba ogni lingua e saria breve ogn’ora,
ma farò, qual pittor, per satisfarte
che ’l mondo altrui disegni in brevi carte.

33E ben poss’io quel che dimandi esporre,
ché fui presente allo scoprir del sasso,
e lo spirito stesso, allor che tòrre
da noi si volse al Ciel drizzano il passo,
a me che l’aiutai l’esilio a sciorre
col pregar mio, ben che negletto e basso,
tutta dell’ammirabile scoltura
prima spiegò la verità futura.

34Bada a me dunque: infra sì grandi e tanti
che per dir breve han da lasciarsi in bando,
sceglierò quei che di più chiari vanti
verran l’Italia a meraviglia ornando.
E prepor voglio a tutti gl’altri avanti
tre Cosimi, un Giovanni, un Ferdinando;
mira il primier, che nome avrà d’antico,
d’ogni bella virtù verace amico.

35Di paterna pietà titolo a lui
darà Fiorenza, onde d’invidia armati
sorgeran contra ’l padre i figli sui,
contra ’l benefattor fratelli ingrati,
e ’l chiuderanno in lochi oscuri e bui
e, dal proprio furor mal consigliati,
martelleranno a ragunar consiglio
della sua morte e scolorarne il giglio.

36Ma Dio, che l’innocenza e la virtute
perir non lassa, il carcer suo disserra,
e fa ch’ei torni, universal salute,
dal breve esilio a rallegrar sua terra;
dove par che fortuna si rimute
contra color che gl’avean fatto guerra,
e che nessun contra tant’uomo ardito
di sua malvagità passi impunito.

37Questi fabbricherà sovrani tempi,
d’oro abbondante e spenditor non parco,
con meraviglia de’ futuri tempi
quei ch’a Lorenzo erigeransi e Marco.
E fin là dove ai dolorosi scempi
si spogliò Dio del suo mortale incarco
farà ricovro al peregrin devoto,
per adorar la tomba e sciorre il voto.

38Questi amerà chi con la penna in vita
altrui può mantener dopo la morte,
e saprallo il Ficin, ch’alla smarrita
filosofia riaprirà le porte,
e ’l greco intento a risvegliar, sopita
la lingua, e suscitar le voci morte,
che da lui molto e più di quello avranno
che bramar essi o dimandar sapranno.

39Vedi più là quel che di ferro armato
sì magnanimo ha ’l volto e sì guerriero,
quegli è Giovanni, alle vittorie nato,
non so se miglior duce o cavaliero.
Emulo d’Alessandro, anch’ei domato
ha giovanetto indomito destriero,
sovra cui passa e si fa ceder loco
alla terra et all’acque, al ferro, al foco.

40A sì gran corridor premendo il dorso
spingesi il generoso audace e solo,
e rompe a nuoto a tutta l’Adda il corso,
dove rapida più fend’ella il suolo,
e vittoria di là, non pur soccorso,
porta al gran rischio allo smarrito stuolo,
et ecco al venir suo trema ogni lancia,
che muove incontro il capitan di Francia.

41Rompe sul Po gli Stradioti e rompe
di nuovo i Galli infra Milano e Trezzo,
né difesa né macchina interrompe
ch’ei non penetri a Sorbo lungo in mezzo.
Biagrasso espugna, e l’aer suo corrompe
col popol morto, e in ciel ne manda il lezzo,
e Marignano e Caravaggio atterra,
fulmine irreparabile di guerra.

42Ma di macchina ardente empia percossa
sul primo fior de’ suoi verd’anni il fura,
e chiude amaramente in poca fossa
quanto mai di virtù mostrò natura.
Cadde allora il valor, cadde la possa,
la gloria militar divenne oscura,
e le trombe per tutto afflitte ed egre
a lagrime sonàr le bande negre.

43Mira, nato di lui, Cosimo il grande,
et è maggior del genitore il figlio.
Mira l’altera fronte, onde si spande
divinità di sovruman consiglio;
e pure allor che da diverse bande
scorre a la patria un torbido scompiglio,
ella per moderar l’erranti gregge
per suo duce e signor Cosimo elegge.

44Et ei di diciott’anni, in un istante
assunto al regno, il tutto intende e vede,
e contra ogni inquieto e ribellante
meravigliosamente si provede,
e stabilisce, in se sì varie e tante
congiure e sette, a i successor la sede;
e congiunta al valor pietà infinita
e d’arme e di tesor la Chiesa aita.

45E titolo di magno indi s’acquista,
e per correre il mar per ogni foce
spiega le vele, e sull’antenne è vista
porporeggiar vittoriosa croce,
al cui sol grido, alla cui sola vista
pallido fugge l’Ottoman feroce,
e delle spoglie sue ricchi et alteri
tornan sovente i vincitor guerrieri.

46Gran cose ei vuole, e ciò che vuole ottiene,
e nuovi stati a’ suoi primieri aggiunge,
pende dal saper suo ciascuna spene,
le corone real d’amor congiunge
e con larghe mercedi e gravi pene
e gl’amici e i nemici alletta e punge,
e vive e regna e si solleva e muore
invitto sempre e sovruman signore.

47Mira quel sì magnanimo in sembianza
che la porpora posa e cinge il brando,
e nella maestà ciascuno avanza,
serenissimo duce Ferdinando.
Non ha fortuna incontr’a lui possanza,
ogn’avverso poter cade tremando;
reggesi ’l Ciel dall’uno e l’altro polo
e ’l mondo regge, e lo governa ei solo.

48Veggionsi al cenno suo l’ardite prore
tutti signoreggiar gl’umidi piani,
e ritornar con glorioso onore
da mille imprese i vincitor cristiani.
Arder mille città, trattine fuore
gl’incatenati e miseri pagani,
e depredar gl’avventurosi legni
l’isole grandi e le provincie e i regni.

49Né pure a lui, che per gl’imperi nacque,
d’estranie region corron le genti,
ma veggionsi ubbidir la terra e l’acque
e servir la natura e gl’elementi;
però che quando edificar li piacque
sul mar tirreno alle città sorgenti,
e crescere e scemar l’umide sponde
vidersi a voglia sua la terra e l’onde.

50Preveder questi ogni lontan periglio
e proveder con sicurtà s’intende,
e dall’un traportate all’altro giglio
la nipote regina si comprende,
e render poi l’altra corona al figlio
non men che l’una in matrimonio prende.
Ma non più di lui, no, poiché parlando
sempre scemasi il ver di Ferdinando.

51Pon mente a Cosmo: ei giovanetto resta
del suo gran genitor condegno erede,
né punto aggrava all’onorata testa
l’altissima corona a cui succede.
Vedi che la virtù lieta si desta
per lui dal sonno, e si solleva in piede,
e rifiorisce ogni bell’arte insieme
dell’antico valor torna ogni speme.

52Né di speranze veggionsi i fiori
in sì tenera età da lui produtti,
ma scaturir con meraviglia fuori
di senno e di pietà maturi frutti.
Chiam’egli e invita i generosi cuori
a navigar per gl’affricani flutti,
e le mura superbe addita loro
che dal divo Augustin l’albergo foro,

53e dice: – Eccovi là nel ricco piano
città famosa, ove testor di Dio
con l’esempio scrivendo e con la mano
dell’anime pastor visse e morio:
itene a discacciar lo stuol pagano,
di sì nobile impresa autor son io.
Ite e gridate “Cosmo” e basti questo
che ’l Ciel si prenderà cura del resto -.

54Così mosso da lui l’eletto stuolo
va, vede e vince, e l’alte mura accende,
e d’abitanti impoverito il suolo
pien di spoglie e trofei la via riprende;
e risonar dall’uno all’altro polo
di Cosmo il grido universal s’intende,
e sì chiaro splendor ch’assai ben fora
lucido a mezzo dì sparge l’aurora.

55Ben d’Alessandro io dovea dir non meno,
che venne Etruria a dominar primiero,
ma breve tempo in sul natio terreno
durò la vita e terminò l’impero;
e di Francesco, a cui ricovro in seno
han pensier alti, e ’l giusto aggrada e ’l vero,
ma pria che maturar la messe acerbe
la guastò morte, e la recise in erba.

56E dovrei dir, che non sarian di questi
i Lorenzi e i Giulian forse minori,
e de’ figli amendue che le celesti
chiavi terran di sempiterni cori,
ma lungo fora i gloriosi gesti
contar di tutti e i titoli e gl’onori,
e la gloria mortal, che in un momento
s’accende e passa, è picciol lume al vento.

57Sì che fia meglio a dir di te, che vedi
vergine invitta, in quant’error se’ stata,
che seguendo finor l’erranti fedi
contra la vera tua ti muovi armata.
ma perché forse a pieno a me non credi,
già scoprir non vogl’io di cui se’ nata,
ma ti dirò come potrai tu stessa
trovar da te la veritade espressa.

58Partiti e non temer, che brevi doglie
saran le tue del dimorar lontana:
nodo che lega il Ciel non si discioglie,
né per breve distanza amor si sana.
Torna al tuo campo e le rapite spoglie
cerca del re che ti ritien pagana,
ch’allor vedrai quel che finor celato
ti fu del tuo lignaggio e del tuo stato.

59Conoscerai di gloriosa schiatta
chi ti fu genitor, chiara donzella,
ma scorto che l’avrai muoviti ratta,
né badar punto al sangue tuo rubella,
ma vattene a pugnar per chi t’ha fatta
contra cui fusti indegnamente ancella».
E qui tacendo un chiaro lume e lieto
spirò da gl’occhi e fiammeggiò Niceto.

60Alle cui note, al cui celeste lume
piena d’ammirazion rimasta Erinta,
quasi adorando un venerabil nume,
tutta appar di pietà nel viso tinta,
e si dispone a trarre ’l piè dal fiume,
subitamente ad ubbidirlo accinta.
Vassene, e dal guerrier congedo prende
ma, come il sa, qualunque amore intende.

Niceto distoglie Adamasto dal voler combattere nuovamente con Batrano, dà per compito ai tre cavalieri di assaltare le furerie persiane (61-66)

61Partita indi la donna, a i cavalieri
ch’erano omai delle lor piaghe sani,
s’invia Niceto, e va molcendo i fieri
spirti che li facea nell’ira insani.
Mal potea raffrenar gl’impeti alteri
il fier lombardo e temperar le mani,
e volea pur quel furibondo et ebro
riduellar col cavalier del Tebro.

62Ma l’eremita a lui: «Stolto, che fai?
Non vedi tu che nel ferir Batrano,
che tu stimi avversario, offenderai
figlio e guerrier di Dio ch’è tuo germano?
E se per emular seco vorrai,
fallo per Dio contra lo stuol pagano;
vinci lui sì, ma ’l vincer tuo si mostri
a danno de’ nemici e ’n pro de’ nostri».

63Et aggiungendo altre parole a queste
che Dio li detta, e più di tutto oprando,
entro al torbido cor virtù celeste
va le tenebre sue rasserenando,
sì che ragione al fin l’anima veste
e pensa oprar contra i nemici il brando.
E Volturno e Batrano armati seco
muovon per dar soccorso al campo greco.

64Ma s’oppon l’eremita, e dice: «A mio
senno vo’ che prendiate altro sentiero,
ch’oggi di vettovaglia il popol pio,
che languisce di fame, ha sol mestiero.
Ite a seconda pur dunque del rio
che troverete a pochi passi, io spero,
il frumento de’ Persi, e con le spade
fatecel vostro, e prender nuove strade.

65E pria che guerreggiar, se ’l vero intendo,
trovarete compagni amici e fidi».
E così detto e lor benedicendo,
gl’affretta il santo a dipartir da i lidi.
E sol qui rimane a Dio servendo
il buon pastor ne’ solitari nidi,
là dove poi che ’l battezzò Niceto
visse pago molt’anni e morì lieto.

66Indi parte Niceto, e pria che muova
inverso ’l campo, entr’un’angusta cella,
dove non lungi un monaster si trova,
rende in abito sacro Elisa bella,
che poi si dimostrò per lunga prova
di Dio non men che d’amor fuss’ancella,
finché sciolto per morte il mortal velo
si ricongiunse al vero amante in Cielo.

Batrano, Volturno a Adamasto lungo la strada incontrano Triface e Silvano, fuggiti dalla prigionia (67-71)

67Lungo la riva i cavalieri intanto
givan del fiume, al sol volte le spalle,
per lo sentier ch’avea lor detto il santo,
che informato da Dio giammai non falle,
quand’ecco a piedi e sotto rozzo manto
due grandi uscir d’un tortuoso calle,
e come i tre guerrier la coppia vede
volenterosamente affretta il piede.

68E l’un di lor, benché negletto e fosco
l’abbia renduto il lungo mal sofferto,
si scoprìS | scoperse esser Triface, il guerrier tosco,
l’altro il vecchio Silvan di tanto merto,
che furon già nel periglioso bosco
fatti prigioni in mezzo al buio incerto.
Come giunghino or qui chiede Batrano,
e risponde in tal guisa a lui Silvano:

69«Sta notte fuor della prigion di Lete
fuggimmo noi, dov’eravam serrati,
e ce ne tornavam per vie secrete,
per non esser ripresi, a gli steccati;
ma voi, se lice, ove rivolti sète?
E noi verrem, ben che non siamo armati,
e mostrerem ch’esser può senz’armi
chi seco ha ’l core e la virtù che l’armi».

70Risponde in cavalier (ma prima accoglie
con ogn’atto d’onor l’antico ibero,
e l’un de i cari amici in groppa toglie,
l’altro Adamasto, e seguono il sentiero):
«Noi ce n’andiam per liberar di doglie
l’affannato di Dio popol guerriero,
che patisce d’inopia e gl’alimenti
torrem col ferro alle nemiche genti.

71Ma voi, che sète a sì gran uopo usciti
dell’orribile carcere dolente,
e sète ancor, benché senz’armi, arditi
a tòr le biade alla nemica gente,
deh, se grave non è, come fuggiti
raccontateci ancor più largamente,
poi che ’l tempo e la via non lo disdice».
e ’l toscano guerrier comincia e dice.