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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 22.02.16 14:31

ARGOMENTO
Riconosce per figlia Augusto Erinta
et ella esce a pugnar del chiuso ostello,
et è da lui la fiera vita estinta
d’alto gigante in singolar duello.
Con l’altra gente, al suo soccorso accinta,
al bisogno maggior giunge il fratello,
e per l’imperador fiero contrasto
contra ’l figlio d’Aton prende Adamasto.

Erinta si rivela a Eraclio, tutto il campo ne gioisce (1-5)

1Poiché fu dentro la difesa soglia
la magnanima vergine guerriera,
come che fra gli amici si raccoglia
solleva alta dal volto la visiera,
e porge a i cavalier senz’altra spoglia
nuda la man pacifica et altera,
addimandando alcun che l’introduca
e l’accompagnan tutti al sommo duca.

2Dove poi giunta, alteramente umile,
al suo gran genitor così favella:
«La figlia tuo, ch’avara gente e vile
t’involò pargoletta e tenerella,
robusta or fatta e d’animo virile
e conservata vergine donzella
a te si rende; e son quell’io, segnata
dal Ciel forse però prima che nata.

3Niceto incominciò scoprirmi il velo
che s’è tant’anni a gl’occhi nostri avvolto,
e richiamando alla pietade, al zelo
della verace fede il cor m’ha volto,
ma oggi al fin co’ suoi favori il Cielo
apertamente ogni mio dubbio ha sciolto,
e mostro a me come ’l tuo libro dice
che ramo io son d’imperial radice».

4E qui, scoprendo il destro braccio ignudo,
l’infallibile nota al padre espone,
e i comentari suoi rende e lo scudo
che Dio mandò dall’eternal magione.
Lei mira Augusto, e in quel soave e crudo
volto incognito già tanta stagione
riconosce il suo proprio, a cui simiglia,
e l’aura sente e ’l caro odor di figlia.

5E di gaudio e d’amore il cor compunto,
l’abbraccia e dice: «O mia diletta, quando
da te ben fusse ogni segnal consunto,
se’ tu mia figlia, e ’l fai veder pugnando.
Cara sempre sareste, e giungi a punto
nel maggior uopo; or t’apparecchia oprando
mostrar te stessa al sangue tuo conforme,
seguitando virtù per le bell’orme».

Racconta del tentativo di Gersamo: Eraclio decide di anticipare l’assalto schierando l’oste in campo aperto (6-12)

6La magnanima tace e mostra all’atto
ch’a pieno a lui risponderà con l’opre.
Corre il popolo attorno e stupefatto
la donna ammira e ’l chiuso gaudio scopre.
Già dell’infezion libero affatto
il passato dolor d’oblio ricopre,
e ’l dolor col diletto omai rammenta
della mortalità fugata e spenta.

7Ma poi che fu con sommo gaudio accolta
da i cavalier quell’inclita guerriera,
con lo scudo ammirabile si volta
il magnanimo Eraclio alla sua schiera,
e d’intorno da lui la benda sciolta
che per man de’ pagani avvolta v’era,
scopre la nota imagine, ch’Elena
portò dall’ampia region serena.

8E con fronte lietissima e con voce
che via più che mortal distingue il suono,
«Guerrier,» diss’ei «del ricovrar la croce
omai giunti alla fine gl’affanni sono.
Ecco l’arme fatal, cui nulla noce,
fabbricata per noi nell’alto trono;
ecco della vittoria il certo segno,
eccone il fido e indubitabil pegno.

9Questo mi fu del padiglion furato
la notte quando ad assalir ci venne
di silenzio e di froda il Perso armato
e fin nel vallo a tradigion pervenne.
Quindi poi sempre in periglioso stato
cademmo, e quindi ogn’altro mal c’avvenne;
ma or ch’è nosco la superna aita
facciam pur degna e generosa uscita».

10L’altera figlia a quel parlar risponde,
ben mostrando nell’atto il cor sicuro
et «Io primiera a far sanguigne l’onde
prometto uscir dell’assediato muro,
se non l’abbia Gersam condotte altronde,
come là tra i pagan suoi vanti furo».
E segue a dir quant’ei promesso avea
pur dianzi a Cosdra e quant’oprar solea.

11Per annunzio sì fatto Augusto alquanto
riman sospeso, e fa ch’alcuno avverta
se l’onda scemi, e da più messi intanto
riportata ne fu novella certa.
Ond’ei cangia consiglio, e d’altro canto
prepara al muro un’improvisa aperta,
non prevista da’ Persi, e dalla fronte
vuol ch’ella sia ch’è più lontana al ponte.

12E scortecciando in largo spazio, dove
stima al popolo suo l’uscir più certo,
rende fragile il muro e ne rimuove
sue ferme parti, e lascial dubbio e incerto,
sì ch’agevoli spinte e leggier prove
renderanvi ad un tratto il passo aperto,
né di fuor si dipar molto né poco
dove sia dentro assottigliato il loco.

All’alba, essiccato il lago, Cosdra lancia l’assalto al muro, le teste di ponte fanno strage di difensori (13-25)

13Passa intanto la notte Eraclio e desto
pronto e vigile duce, e quando poi
dietro al lume d’Amor, che tutto ’l resto
dispoglia il ciel de gl’ornamenti suoi,
si frangon l’ombre, e ’l velo oscuro e mesto
si comincia a raccor da i liti eoi,
ecco il popol fedel mira per tutto
dove furon già l’acque il lito asciutto.

14E ’l fiero re, che l’ostinata prova
vede pur vinta e incustoditi i muri,
gl’assalti suoi col nuovo dì rinuova
e sospinge oltre i cavalier sicuri;
e questi e quei d’avvicinarsi a prova
fanno ostinati paragoni e duri,
e quinci e quindi a i bellicosi carmi
s’armano i cuori e si rincuovran l’armi.

15Muovono gl’arieti, ergon le scale
gl’Arabi e i Persiani a mille a mille,
e fan di dardi un nuvolo mortale
che bagna il suol di sanguinose stilleS | stile.
Con la nuvole orrenda il grido sale,
e rimbombano l’armi in suon di squille,
ma nulla a quei barbarici furori
cedon sull’alte mura i difensori.

16Più del torbido mar se ’l Borea e l’Austro
corrono a conturbar gl’umidi campi,
e porta l’un dallo stellato plaustro
pruine e giaccio e l’altro orrore e lampi,
si rinnaspra d’intorno al chiuso claustro
l’acerbo assalto, e par che ’l ciel n’avvampi,
e par che fuor di sua natura immota
la terra ondeggi e si risenta e scuota.

17Tre volte e quattro alla salita intento
corre rapidamente il popol folto,
ma qual si rompe in salda torre il vento
l’unito impeto lor cade disciolto.
Allora, pien di terribile ardimento,
tonando il petto e fulminando il volto,
grida Armallo a i pagani: «Ancor si cessa?».
E furibondo all’alte mura appressa.

18E con la man, cui nessun pondo è grave,
scala di cento gradi al muro appoggia,
e su vi monta, e nessun rischio pave,
nessun timor nel petto forte alloggia.
Sanguigno è tutto, ha l’armi peste, e l’have
forate e guaste, e pur s’innalza e poggia,
e già sorge fra i merli e ’l ferro stringe
e di sangue cristian le mura tinge.

19Falce orrenda di morte, il braccio rota
la cruda spada, e rovinando appare
terremoto non pur che ’l muro scota
ma crolli i monti e ’l ciel perturbi e ’l mare.
Riman la gente attonita et immota,
né vuol dar loco alle percosse amare,
e mentre non tem’ella e non ardisce,
l’irresoluta il fier pagan ferisce.

20Piaga Enea su la fronte e fino al collo
la cruda spada al cavalier discende;
lo scudo a Doroteo giunse e spezzollo,
recide il braccio e poi la spalla offende;
batte il mesto Elian l’ultimo crollo,
punto là dove il suon la voce prende,
e nello scudo suo stringesi indarno
l’antellese baron nato sull’Arno.

21Ferratin, che fanciullo al correr lieve
soverchio ha tutti e tal mantiensi ancora,
e nacque là dov’il Piemonte beve
l’acqua che poi nel Po mesce la Dora,
dopo un merlo si pon, da cui riceve
raggirandol, difesa ad ora ad ora,
ch’ei torna e va dall’un suo lato all’altro
con ben mille rivolte accorto e scaltro.

22Così chiuso talor d’ampio steccato
vien col tauro a pugnar l’accorto ibero,
sol dall’urna volubile guardato
cui gira attorno in volteggiar leggiero,
mugge il tauro superbo e spinge irato
nell’ostacolo indarno il corno altero,
ché mai là dove vuol colpo non giunge
e sempre a vòto il vòto legno punge.

23Onde preso il pagan più forte sdegno
contra lui che fuggendo a bada il tiene,
qual si infiamma per vento acceso legno
tal più fervente il suo furor diviene,
né potendo omai più tenersi a segno
urta in quel muro ov’ha colui sua spene,
e ’l divelle lassù dall’alta fede
la forza sua, ch’ogn’altra forza eccede.

24E ’l gran pilastro e ’l mal difeso insieme
precipitò nell’arenoso fondo;
perturba il limo e vi si frange, e preme
l’ossa infelici e le sotterra il pondo.
Rintuona il lito a molte miglia e geme
e rimugge d’ogn’antro il sen profondo;
l’ampia magione al gran rumor rimbomba
e quel misero a un punto ha morte e tomba.

25Sparge l’alta rovina atro spavento
ne’ cuor fedeli, e fa di marmo i volti,
e par ch’ogni guerriero omai più lento
a difender quel muro il ferro volti,
e l’avversario alla vittoria intento
da molte parti i difensori ha tolti,
e ne fa colà su la fera spada
la ghirlanda apparir disciolta e rada.

Eraclio con un diversivo si mostra fuori dal vallo e innesca battaglia sul ponte (26-40)

26Onde l’imperador, che ’l tempo scorge
da farsi omai la generosa uscita,
mentre l’impeto ostile esser s’accorge
tutto rivolto alla mural salita,
a sé fa richiamar, mentre già sorge
contra ’l barbaro stuol, la figlia ardita,
e dice a lei: «Va’, frangi il muro, e guida
di fuor le schiere e ’l dubbio varco affida,

27ch’io me ne vo dall’altra banda e fuore
fermerò ’l piè sull’abbassato ponte,
perché ’l popol pagan del suo furore
tutti rivolga a me gl’impeti e l’onte,
e s’agevoli intanto al tuo valore
la sortita da far dall’altra fronte.
Va’, spiana adunque altrui la strada, e mostra
per prova omai che se’ figliuola nostra».

28Non bada Erinta e l’alto muro urtando
fanne cader l’infragilita scorza,
e la polvere densa al ciel volando
con volubile nembo il giorno ammorza,
e ’l passo rotto a valicar pugnando
primiera muove e chi lo segue afforza
col valor, con l’esempio e con la voce
la valorosa vergine feroce.

29Passa per le ruine a salto a salto
con la spada crudel che morte spira;
tale armato Orion sorger nell’alto
dall’oceano oriental si mira,
e portar di tempeste orrendo assalto
del ciel che tuona e contr’a noi s’adira;
e tal, cinto di nembi, arso di lampi,
l’Euro disertator scorrere i campi.

30Or nel punto medesmo e prima ancora
l’imperador fa declinare il ponte,
e sopra lui del chiuso albergo fuora
s’espone armato a tutta l’Asia a fronte,
e dice: «Eccov’Eraclio, unitev’ora,
armi nemiche, a tanta preda pronte.
Ecco l’adito aperto e ’l calle piano
e fuor de’ muri il regnator romano.

31Or chi vien dunque e di mie spoglie altero
vorrà tornar nella paterna terra,
e riportarne a’ sui l’armi e ’l cimiero
che fu d’Eraclio et ei l’uccise in guerra?».
E non men che magnanimo guerriero
così dicendo il dubbio varco serra,
e chiude il passo all’infinito stuolo
qual già tenne l’Etruria Orazio solo.

32Ma la turba nemica il varco teme
tentar, che troppo caro il vanto costa,
né spada v’ha che non vacilli e treme
paurosamente a tal virtude appposta,
quando il fiero Atalon superbo freme,
e sé pur oltre al gran periglio accosta.
Gigante è questi, e mai non vide il sole
d’ossa sì smisurata e vasta mole.

33Mobil torre rassembra; un cerro alpestre
gl’arma la destra, in cui confitta spunta
d’ogni rigido suo nodo silvestre
di fronda in vece una ferrata punta;
ned è forza mortal né man terrestre,
quantunque fusse alla compagna aggiunta,
che pur cotanto è poderosa e greve
la rimuova dal suol non che la leve.

34Con l’ampie terga una gran pelle d’orso
orrida spoglia e spaventoso fregio,
qual d’Alcide il leon gl’involve il dorso,
va nudo il resto, e non tien arme in pregio.
Par lento il passo e vince altrui nel corso,
e ’l crin pien di terribile dispregio
parte gl’omeri ingombra e parte ’l volto,
ispido e nero e rabbuffato e ’ncolto.

35Or vendendo costui là dove Augusto
l’attende invitto al periglioso varco,
formidabilS | formidabile s’avanza, e ’l ponte angusto
s’incurva e geme al disusato incarco.
E levando il feroce il colpo ingiusto
dal fiero braccio e da se stesso carco,
come fulmine suol che scota il mondo
della mazza calò l’orribil pondo.

36L’imperador, che la percossa orrenda
schivar non può, sì poco spazio ha ’l ponte,
lo scudo innalza a riparar che scenda
con minor danno alla difesa fronte.
Vieta l’arme del Ciel che ’l capo offenda,
benché rassembri rovinarvi un monte,
e ’l duro cerro, oh meraviglia!, intanto
riman dal colpo isfiaccolato e franto.

37E rassembra al cader massa di gielo
che di ruvida quercia a i rami pende,
allor che ’l Borea asserenando il cielo
ciascun’onda fugace immobil rende
se la falda lassù dal duro stelo
dispiccata dal sole a terra scende,
che vi si spezza e i lubrici cristalli
scorron per le pendici e per le valli.

38Eraclio allor quant’alzar possa il braccio,
d’acerba punta all’ombelico il punge,
e giungendoli al cor vi spezza il laccio
che d’Attalon la bestial vita aggiunge.
Cad’ei mugliando e rimanendo un ghiaccio;
fa l’empie selve risonar da lunge,
le valli assorda e le montagne e ’l lido
della sua ferità l’ultimo grido.

39Parte resta sul ponte e s’attraversa
col grave busto, e da l’un lato pende
la gran gelida fronte al sole avversa
dalla cintola in giù dall’altro scende.
Di sangue un fiume il rotto fianco versa
e nuovo lagoS | laga al vòto letto rende;
e rivolta all’in su l’orrenda faccia
con le morti sue luci il ciel minaccia.

40Sopra il vasto cadavero non bada
Cesar, che lo discerne immobil pondo,
ma dice a gli altri, e mostra lor la spada:
«Morto è ’l primo di voi, qual fia ’l secondo?».
E così chiude a i Persian la strada
che sovrasta sul ponte al fango immondo,
e intanto fuor delle cadute mura
passa l’invitta vergine sicura.

Erinta uccide Rubeno ma il suo stuolo è in fuga, e così quello di Eraclio (40-50,6)

41E sull’argine omai giunta e salita,
fronteggiando i fedeli il ferro aggira,
rispinge i Persi e ’l popol greco aita,
quinci presa d’amor, quinci dall’ira.
Ciò veggendo Ruben le squadre irrita
contra quei che seguir la donna mira,
e in giù rispinge e ritrabocca al basso
quanti avean già sull’alta ripa il passo.

42Indi contra la donna affretta il piede,
cui ben ravvisa all’alte insegne e note,
e rampogna la vergine e la fiede
nel magnanimo cor con queste note:
«Ahi rubella al tuo re, varia di fede,
fronda ch’aer volubile percuote,
or or vedrai quanto sien corti i vanti
del vaneggiar de gl’animi incostanti».

43Et ella a lui della risposta in vece
addirizza la spada alla visiera,
e l’uccidea, ma ’l cavalier si fece
da banda alquanto alla percossa fiera.
Indi tornò ben diece passi e diece
dalla donna rispinto alla sua schiera,
ma, vergognando, alfin torna a ferire
per lo scorno assai più che per l’ardire.

44E sul cimiero a lei la spada abbassa,
a cui l’elmo resiste e ’l ferro striscia,
e declinando in sull’usbergo lassa
lungo sentier di luminosa striscia.
Erinta allor nell’ira sua trapassa,
per fiorito terren calcante biscia
che si rileva e ’l velenoso dente
ficca in quel piede onde calcar si sente.

45E d’una punta in mezzo al duro scudo
che di fuora è d’acciaio e dentro d’osso,
lo punge e passa il fiero colpo e crudo,
benché sia saldo a meraviglia e grosso,
né giunge pur ma penetrando al nudo
fa l’arnese apparir tiepido e rosso.
Raddoppia il colpo e non fa piaga nuova
ma ’l suo primo sentier la spada trova.

46E d’onde la corazza si congiunge
sotto il braccio sinistro al core arriva,
cui la spada crudel punge e ripunge,
e di senso e di moto a un tempo il priva.
Cade il misero duce e ’l sopraggiunge
l’ultimo giel sull’arenosa riva,
e la vita e ’l calor che morte solve
e nell’aria e nel sangue si risolve.

47La vincitrice allor col piè sul petto
al caduto guerrier così favella:
«Va’, rimprovera, va’, campion perfetto,
me d’incostanza e femina m’appella.
Tu, costante e viril, sei qui costretto
a morir per le man d’una donzella,
ecco le lodi tue, ch’io non vorrei
farne cambio però co i biasmi miei».

48Ma mentre ella così sul vinto parla,
di Persiani un numero infinito
corrono unitamente a rigettarla
per forza giù dall’arenoso lito.
Ma con l’impeto fier non può piegarla
giuntosi a danno suo lo stuolo ardito:
ben ogn’altro de’ suoi trabocca e cade,
ma riman ella in mezzo a mille spade.

49E non teme e non cede e non rivolta
pur solo un passo alla salita fossa,
ma la turba sostien, ch’unita e folta
più e più sempre incontr’a lei s’ingrossa.
Dura ella sì ma ben tra sé tal volta
pensa ch’a lungo andar durar non possa,
e già, quantunque in lei sia sempre il core
il medesimo pur, manca il vigore.

50Né men di lei sul ponticello angusto
dove contende a mille squadre il passo,
corre periglio il genitore Augusto,
che vien da fronte ad assalirlo Artasso,
e saliti da tergo assalto ingiusto
muovongli Dolomete et Altosasso.
Or così dunque in dubbio stato e rioGli Angeli avvisano Teodoro del pericolo che corre il fratello: muove l’esercito e raggiunge il campo di battaglia (50,7-57)
vider le cose i messaggier di Dio.

51Gl’Angeli, che dal Ciel quaggiù volando
scaccciàr l’orrida fame e l’empia peste,
e le ridusse il formidabil brando
d’onde eran sorse, all’ombre orrende e meste,
et or dalle caligini tornando
alla più pura region celeste
vider se ’l popol pio non si soccorre
velocemente a qual rovina ei corre.

52E spiegando per l’aria i vanni d’oro
che lascian dietro a sé riga lucente,
giungono a quello stuol ch’ebbe ristoro
dalle biade rapite egro e languente.
E giunti a vista al principe Teodoro,
che de’ figli perduti era dolente,
un de gl’Angeli il chiama, et ei si scote
dalla sua doglia alle celesti note:

53«Teodor tu pensi, e ’l tuo germano intanto
combatte, e perirà se non s’aita.
Non è, come pensò, come Adimanto
t’espose, ogni sua quadra ancor perita,
ma sono in guerra, e di vittoria il vanto
avranno ancor se tu dai loro aita.
Su muovi or dunque, a che più badi omai?
Già ristorata è la tua gente assai».

54Ciò detto, tace; e li risponde «Io vegno subito»
il prence, e i santi lumi adora,
la cui gemina luce all’ampio regno
de’ beati volando il Cielo indora.
Frettoloso Teodor fa dare il segno
che si muovano l’armi allora allora,
e spargon delle trombe i chiari accenti
tutta l’aperta region de’ venti.

55E già dal cielo e dal desio portate
alla forte magion ch’Eraclio guarda,
con tal fretta ne gian le schiere armate
che rimanea di lor l’aura più tarda.
Vola la voglia e fa le piante alate
sì ch’il piede il desio poco ritarda,
e giungono a portar pria che finita
sia la battaglia a i lor compagni aita.

56Ma prima ancor che tutto arrivi il campo
a soccorrer de’ suoi l’amico stuolo,
rapido più che fiamma e più che lampo
corre il figlio d’Otton primiero e solo,
urta ne’ Persi e non ritrova inciampo
e di barbara strage ingombra ’l suolo,
frange il folto dell’armi e le fracassa,
l’apre e dissolve e le calpesta e passa.

57Poco dopo Adamasto e ’l buon Triface,
e Silvano e Volturno a par con loro,
le vie sgombrando al Macedone, al Trace,
corrono in un col principe Teodoro.
Sveglian ne’ petti lor spirito audace
col chiarissimo suon le trombe d’oro,
e su i barbari capi e su le spalle
gli spronati destrier tritano il calle.

Batrano soccorre Erinta e porta strage tra i pagani (58-65)

58Or mentre il popol fido abbatte e fiede
la persa gente, e fa caderla estinta,
rivolge gl’occhi il fier Batrano e vede
pugnar contra i pagan l’amata Erinta,
et è fra mille e mille spade a piede
tutta di sangue ostil macchiata e tinta:
nel cor suo lieto e più che vento al corso
muovesi a darle il cavalier soccorso.

59Così leon che rimirò dall’alto
la leonessa sua cruda e superba,
di ben cento molossi al fiero assalto
rotar le branche e far sanguigna l’erba,
rapido se ne vien di salto in salto,
né vestigio del piè l’arena serba,
passa i balzi e le rupi e ’l bosco fende,
né siepe o fossa al correr suo contende.

60E d’ogn’asta a dispetto a tempo giunge
alla sua donna il gran guerrier a canto;
e s’ei punto d’amor trafigge e punge,
s’ei porta allor di valor sommo il vanto,
sassel chi ama: Amor virtude aggiunge
a virtù, che per sé non possa tanto,
et a virtù che può possanza accresce
come al vento maggior foco riesce.

61Trafigge Uscon dov’è forcuto il petto,
e fuor del tergo a lui fuma la spada;
e del teschio reciso il pieno elmetto
fa che lontano a Bevilarte cada;
tronca il capo a Cambise et a Maometto,
e dell’aura e dell’esca apre la strada.
Ferir vuol Drance e volgend’egli il dorso
ricorre in van per la salute al corso,

62ché, dal guerriero in pochi passi aggiunto
supplice il perditor si volge e dice:
«Pietà, signor; se tu m’uccidi a un punto
fai di dolor morir la bella Erice,
che di nodo d’amor seco son giunto
so ch’a lei, s’io morrò, viver non lice,
e per tua man la più fedel donzella
perirà s’io perisco e la più bella.

63Deh, cavalier, se mai per prova intese
che sia foco d’amore alma sì degna,
pregoti per colei ch’in te l’accese
e in cor sì generoso altera regna,
sii non a me del viver mio cortese,
ma per te dato alla mia donna vegna,
e basti alla tua destra il vanto solo
d’uccider con la spada e non col duolo».

64A tai parole il vincitor Batrano
pietà nascer sentendo in mezzo all’ira,
dal suo colpo mortal sostien la mano
e in verso Erinta il forte piè ritira.
Ma veggend’ella esser costui l’ircano
pien di malvagità, di punta tira,
e dice: «Empio, tu menti. In sì vil core
regnar non può tra tante frodi amore».

65E così detto e ’l crudo ferro immerso
a lui nel fianco una e due volte, il feo
trapassando apparir di sangue asperso
dall’altro lato all’empio Drance e reo.
Cad’ei supino, e d’atraS | altra polve asperso
senza più favellar l’alma perdeo,
e con le labbra impolverate e lorde
l’insensibil terren morendo morde.

Eraclio viene a duello con Armallo, Adamsto si avvede del pericolo e subentra all’imperatore nel pericoloso agone (66-78)

66In questo mentre in sull’angusto passo
avea l’imperador pugnando estinto
Dolomete africano, et Altosasso
rincular fatto e giù dal ponte spinto,
e in due e tre lati al poderoso Artasso
guasto ha l’arnese e foracchiato e tinto,
quand’ecco al ponte, e rincurvar più fallo,
con l’intrepide piante il fiero Armallo.

67E dice al cavalier che incontro Augusto
pugnando omai si difendeva a pena:
«Lascia a me, lascia il ponticello angusto
e pugna tu su la più larga rena,
ch’io non vo’ con Eraclio assalto ingiusto
ma palma averne e gloriosa e piena».
E ’l mal condotto cavalier consente
la gran tenzone al feritor possente.

68Or vede Eraclio esser venuto al ferro
e periglioso paragon dell’armi
contra ’l più valoroso cavaliero
che in Asia tutta e in Oriente s’armi,
ond’ei s’accoglie, e guardator severo
fa de gl’impeti suoi saggi risparmi,
si pon sicuro in ferma guardia e stretta
e ’l gran nemico immobilmente aspetta.

69L’altro, che sa qual avversario a fronte
li dia la sorte, e spera e si consola
che potrà terminar l’offese e l’onte
tutte dell’Asia una battaglia sola.
Quanto mai può valorS | valer sul fiero ponte,
quanto imparò nella guerriera scola,
quanto possa l’ardir la forza e l’arte
tutto raccoglie e incontro a lui comparte.

70E ’l petto e ’l fianco e l’onorata testa
con la rapida man punge e percote,
e passa e torna e in quella parte e in questa;
folgoran le percosse or piene or vòte,
né mai così d’oscuro ciel tempesta
d’un’immobile quercia i rami scote,
come il brando crudel ch’or punge or taglia,
recide or piastra or disconnette maglia.

71Ma il forte imperador, ben che si veggia
rimaner quasi a i feri colpi ignudo,
e creder può ch’a breve andar li deggia
mancar la vita al fiero assalto e crudo,
non s’arrende però sì ch’ei richieggia
pace né tregua al periglioso ludo,
ma sol pensa tra sé l’animo forte
d’alcuna via per illustrar la morte.

72Or così presso all’ultimo suo danno,
fido scudier che di lontano il vede,
non obliando, come i servi fanno,
nel pericolo estremo amore e fede,
pallido in volto e con penoso affanno
tra le morti e tra i rischi affretta il piede,
e giungendo all’indomito nepote
d’Alboino il chiamò con queste note:

73«Corri, per Dio signor, rapido corri
ch’Armallo qua l’imperadore uccide.
L’anima dell’esercito soccorri
e ’l campo tutto il tuo soccorso affide».
Ciò sentendo Adamasto: «Or mi precorri»,
e ’l destrier punge ove colui lo guide,
e vede là sul periglioso sasso
Cesare in pugna affaticato e lasso.

74Salta di sella e ’l corridor porgendo
allo scudier per lo dorato freno,
volge intrepido il passo al ponte orrendo
e leggier se ne va più che baleno
dove l’imperador, più non potendo
far resistenza, ancor non cede a pieno,
e per suo nome in arrivando appella
d’Atone il figlio, e poi così favella:

75«Lascia, volgiti a me, questa battaglia;
non è ragion che seguiti fra vui,
ché privato guerrier non ben s’agguaglia
con chi sovrasta imperador d’altrui.
A provar quant’Eraclio in arme vaglia
manda tu Cosdra, e pugnerà con lui;
co i re pugnino i re, col vile il vile,
e l’un con l’altro cavalier simile.

76E voi, signor, deh ripigliate in guerra
gl’altri debiti a voi maggiori uffici.
Mirate là come vaneggia et erra
la dubbiosa tenzon ne’ campi aprici.
Itene voi su la scoperta terra
a dar ordin migliore a’ segni amici;
qui val per una e la sarà gradita
per cento mila altrui la vostra vita».

77Ciò detto ei tace, e ’l gran nemico assale,
d’Eraclio in vece e nol rifiuta Armallo,
e risonar con robustezza eguale
fa l’uno e l’altro il lucido metallo.
Pensa Cesare allor, quantunque male
stimi il partir dal periglioso ballo,
ch’è peggio assai nell’aspra pugna e fera
lasciar che senza guida il campo pèra,

78e dice: «Armallo, or se volestù meco
venir per altri paragon dell’armi,
non ti spiaccia per me ch’i’ venga teco,
ché in uso hai posto tu questi risparmiS | rispiarmi».
E vanne a riformar nel campo greco
l’aquile d’oro e i bellicosi carmi,
per sé lasciando in singolar contrasto
a duellar l’indomito Adamasto.