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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXXI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 23.02.16 10:34

ARGOMENTO
Fugge il campo de’ Persi in rotta messo;
Armallo uccide il cavalier lombardo,
e poi ritorna al suo signore appresso.
Vien da Roma l’aiuto angusto e tardo
ma che Bizanzio in sicurezza ha messo,
rotto il nemico esercito gagliardo.
Narra del mar l’aspra battaglia Egisto
al sommo duce, e ’l periglioso acquisto.

Eraclio, liberato dalla tenzone, riordina le forze e mette in fuga i Persiani (1-11)

1Cesare al corridor del cavaliero
che per lui pugna e ’l fier pagano agguaglia,
salisce in sella, e rapido e leggiero
corre spronando alla maggior battaglia,
e dov’ei scorge il popol suo guerriero
nel maggior rischio e dove più travaglia,
pass’egli in mezzo e dallo scudo il velo
tragge, e fa comparir l’arme del Cielo.

2Et ecco al folgorar delle celesti
lampe et al balenar del lume eterno
par ch’ad ogni guerrier s’accenda e desti
un novello vigor nel petto interno,
e valorosamente il manifesti
a chiare prove ogni lor moto esterno.
Odonsi risonar più vivi carmi
l’audaci trombe e più risplendon l’armi.

3Chiama l’imperadore a sé Teodoro,
e dice a lui con brevi note: «Aduna,
aduna inverso me l’aquile d’oro,
pur quanto puoi senza dimora alcuna,
ché il tutto importa il sovvenir coloro
ch’uscir non pon della serrata cuna,
e vittoria avrem noi pur che si possa
prender la ripa e liberar la fossa».

4E, così detto, i cavalier più forti
seco raccoglie all’arenosa sponda,
e con impeto tal muove alle morti
come fosser per lor cosa gioconda.
E ben si par che le sue schiere porti
forza del ciel terribile e seconda;
entran le valorose armi di Cristo,
rompono i Persi e fan del lito acquisto.

5Passano allora i cavalier che invano
mossero dianzi a seguitare Erinta
dove l’imperador libero il piano
e la gente nemica avea respinta,
e l’un con l’altro popolo cristiano,
ch’ogni difficoltà soffrendo ha vinta,
lieto s’unisce e l’uno e l’altro stuolo
di due si fanno in un momento solo.

6Tornan con meraviglia in un momento
al loco antico, all’uso lor primiero,
qui sei, qua diece e là quaranta o cento;
torna ogni parte a fare il tutto intero,
torna ogni duce al proprio ufficio intento,
sotto il duce minor torna il guerriero,
torna il duce minor sott’il più degno,
sotto all’imperador torn’ogni segno.

7Cosdra, che vede allor sì tosto unita
l’insuperabil oste de’ cristiani,
e più che fosse mai ristabilita,
dubbioso affrena i suoi guerrier pagani,
ch’or non de’ più con la magion munita
ma guerreggiare entro gl’aperti piani,
e non con poca et assediata gente
ma con tutto l’imperio d’Occidente.

8Cesare, che ciò vede, e che non vuole
per la dilazion perder ventura,
benché declini in Occidente il sole
battaglia appicca, e di stagion non cura,
e ’l gran figlio d’Otton, come pur suole,
e seco a par la vergine sicura
entrano in mezzo a’ Persiani imbelli
quasi leon fra mansueti agnelli.

9E ’l principe Teodoro e ’l buon Triface
e ’l canuto Silvan pien di consiglio,
la via facendo al Macedone, al Trace
muovon tra gl’avversari ampio scompiglio.
E quinci e quindi il verde suol si face
correr di sangue tiepido e vermiglio,
e riempir per tutti quanti i lidi
la campagna di morti e ’l ciel di stridi.

10Alfin, poiché non può la gente persa
contra tanto valor durar costante,
di gelata paura il volto aspersa
e, più che foglia, in mezzo al cor tremante,
volge gl’omeri suoi, rotta e dispersa,
e ’l viver crede alle veloci piante,
e qua e là dove ’l timor la caccia
lascia la cura al piè che la via faccia.

11Gettano al pian le male portate insegne
per non esser seguiti i fuggitivi,
fregi dianzi onorati, or some indegne
a i d’onore e di cuor spogliati e privi.
L’ira d’Europa a piena man si spegne
nel sangue lor, che fa paludi e rivi,
comunque scorre o le pendici o ’l piano
lo sbigottito popolo pagano.

Armallo uccide Adamasto e torna agli alloggiamenti assieme all’esercito (12-25)

12Mirando allor dal fiero ponte Armallo
fuggir le schiere e non far più contrasto,
senza por fine al periglioso ballo
che preso avea con fervido Adamasto,
si volge a dietro e pensa uscir dal vallo
pur com’avido lupo a maggior pasto.
Lascia il duello e là rivolge il piede
dove ’l campo de’ Persi in rotta vede.

13Di che sdegnato il cavalier lombardo,
«Volgiti,» dice «e qui finisce, o ch’io
darotti a diveder che non men tardo
sarà della tua fuga il correr mio».
Ond’ei voltossi allor: «Me, me codardo,
me fugace costui chiamare ardio?
Vuoi ch’io t’uccida? Agevol dono è questo,
eccoti pronto il donator funesto».

14E in questo dir dell’avversario a fronte
la contesa terribile riprende,
cigolan le catene e trema il ponte,
ardono i ferri lor, l’aer s’accende.
ma i forti petti e l’una e l’altra fronte
s’arrendon nulla alle percosse orrende,
e come al martellar fervide incudi
suonano ad or ad or gl’elmi e gli scudi.

15E durato avea già l’aspra tenzone
tanto che ’l sol nell’ocean cadea,
e d’invitta virtù gran paragone
l’uno e l’altro guerrier mostrato avea,
quando Armallo i riguardi in oblio pone,
spinto dall’ira impetuosa e rea,
corre et abbraccia ’l gran nemico opposto,
risoluto morire o vincer tosto.

16Angusto è ’l ponte e periglioso et alto,
di qua, di là senza riparo o sponda,
e tanto or più saria mortale il salto
quant’ha perduto il basso letto l’onda.
Con tutto ciò nel periglioso assalto
dove l’ira a ’l furor sempre più abbonda,
non s’attende a periglio e non si mira
e l’un l’altro guerrier preme e raggira.

17L’uno e l’altro campion rannoda e stringe
più e più sempre il suo nemico, e l’uno
crolla pur l’altro e lo raggira e spinge
né li dà spazio ond’ei respiri alcuno.
L’impeto ove non vuol diffonder finge
per tirar l’altro ove desia ciascuno,
col ginocchio talor s’avanza e fiede,
preme col petto e tenta il piè col piede.

18Alfin tra mille rote e mille crolli
come due serpi avviticchiate insieme,
caggion talor da i dirupati colli
per rotte balze all’ime parti estreme.
Gl’abbracciati guerrier, nell’ira folli,
mentre l’un l’altro raggirando preme,
traboccan giù dall’alto ponte al fondo
del vòto lago in mezzo al fango immondo.

19E nel cadere, o sia propizia sorte
che favoreggi il saracino audace,
o ch’ei via più del suo nemico forte,
di sotto andar nella caduta il face,
maggior danno al lombardo avvien che porte
benché l’un come l’altro immobil giace,
e non rimane infra lor due distinto
per buona pezza il vincitor dal vinto.

20Ma tornando all’orribile pagano
dalla percossa altissima stordito,
pria che non fe’ nel cavalier cristiano
a ravvivar lo spirito smarrito,
tre volte alzò la dispietata mano
sovr’Adamasto ancor non risentito,
e tre volte abbassò ’l colpo mortale
su l’elmo aperto e vi celò ’l pugnale.

21E così tolta a quella nobil salma
la vita no, che fuor di lei soggiorna,
ma lacerato il freddo albergo all’alma
ella in sua vece al gran Fattor ritorna,
e benché priva di trionfo e palma
non va però di poca gloria adorna,
e ’l fortunato vincitor le spoglie
dal gelato cadavero si toglie.

22Torna intanto la notte, e l’ombra oscura
dalle valli s’innalza opache et ime,
e ’l ministro maggior della natura
da noi partendo il ciel di stelle imprime,
quando sciolto il pagan da quella cura
trae dal fondo palustre il piè sublime,
e per l’ombre mirò, non bene in tutto
fatte ancor nere, il popol suo distrutto.

23Sorge, e di morti la campagna mira
tutta coperta, e sparsa ogni pendice,
e dall’imo del cor geme e sospira
di tanta strage, alfin prorompe e dice:
«Non umano poter, non mortal ira
tant’operò, che tant’oprar non lice
a noi quaggiù, ma qualche nume eterno
venne a far di sua man l’aspro governo».

24Or tra queste sue cure un messo a lui
dal re mandato a richiamarlo arriva
e dice: «Or vieni, o gran guerriero, a nui,
ch’ogni nostro sperar teco s’avviva.
Di te sol cerca e non dimanda altrui
l’affannato signor su l’altra riva,
là dove in sicurezza ha già ritratto
l’avanzo dell’esercito disfatto».

25Non bada Armallo, e seguitando il messo
giungon sicuri alle segnate arene,
là dove Cosdra entro i ripari ha messo
molte arabiche squadre e molte armene.
E d’ora in ora a queste prime appresso
qualch’un’altra fugace ancor ne viene,
e son già tante assicurate insieme
che d’assalto notturno il re non teme.

Eraclio accoglie tutti i cavalieri di ritorno, perdona a chi ha errato e distribuisce gradi e premi (26-30)

26Cesare intanto con pietosa cura
a i feriti il rimedio et a gl’estinti
porge l’ultimo onor di sepoltura,
e lode al vincitor, perdono a i vinti.
Tempra Teodor l’acerba pena e dura
d’Enarto suo con rimirar discinti
di Calisiro i forti lacci in cui
visse il vago fanciullo in forza altrui.

27Non così tosto il genitor Teodoro
le bandiere de’ Persi in fuga vide
ch’ei due squadre mandò, che preste foro,
alla prigion delle trincere infide,
e fracassato ogni ritegno loro
subito ogni catena si recide,
e pallidetto il garzoncel s’adduce
dal cieco fondo alla diurna luce.

28Et egli allor, non rimirando quella
la cui rara bellezza il cor gl’invola,
l’alma luce del sol non gli par bella
né di sua libertà si riconsola.
L’imperadore a sé Batrano appella
e da gl’altri guerrier seco s’invola,
e in disparte con lui grave ragione
dell’error ch’ei commise e gl’el perdona.

29De gl’Italici poi la cura rende
al buon Triface, e quell’onor sovrano
ch’ei mandò fino alle sue proprie tende
a proferire al giovane Batrano.
Dona al vecchio Silvan, che si riprende,
e tardi piange il proprio fallo invano.
L’istesso imperador tempra sue doglie
e Volturno con gl’altri insieme accoglie.

30E così ritornando al primo stato
Cesare, il campo suo dubbio rimane,
s’ei muova ad assalir nello steccato
le raccolte reliquie persiane,
o s’ei tenga quel popolo assediato,
e per vie più sicure e più lontane
senza nuovo periglio alfin pervenga
d’ogni vittoria e intera palma ottenga.

Arrivano al campo anche Niceto, Alvida e il drappello papale (31-37)

31Or tra queste sue cure amica schiera
di vèr Ponente avvicinar si mira,
che le chiavi d’argento in banda nera
spiegando al vento il gran vessillo aggira.
Viensene contra ’l sol l’alta bandiera,
e l’aura in suo favor placida spira;
s’affisa Artemio e tra sé dice: – Parmi
che del sommo Pastor sien queste l’armi.

32Ma s’elle son, ché non può fare inganno
l’aperta vittoriosa insegna,
qual disastro crudel sofferto avranno
che numero sì poco or qui ne vegna?
Due mila e più sul cominciar dell’anno
partiron d’onde il sacro Onorio regna,
e seguon or, se non m’inganno a il guardo,
cinquanta e forsi men l’ampio stendardo.

33E chi son que’ due primi, un di romito
con la negletta e scolorata vesta,
l’altra d’un verde sciamito guernito
di lucid’oro e con sembianza onesta? -.
Così, mentre ragiona, un dolce invito
della tromba che vien gl’animi desta,
e pacificamente le risponde
quella del campo e ’l misto suon confonde.

34Giunge intanto la schiera e ’l buon Niceto
e quel primier che la conduce e guida,
e colei che dimostra al manto lieto
verde speranza è la donzella Alvida.
Ella poiché d’Augusto ebb’il divieto
tornar non volle alla sua gente infida,
ma più tosto abitar solinga elesse
per le selve d’Assiria ombrose e spesse.

35Dove, poiché lasciò Niceto il santo
maritata a Giesù la vedovetta,
trovò costei, che di sospiri e pianto
il bosco empiea con la compagna eletta,
e poi che l’ebbe consolata alquanto,
da Dio spirato a farla a lui diletta,
l’indusse agevolmente al sacro fonte
a sottopor l’innamorata fronte.

36E le insegnò della verace fede
gl’alti misteri e la cristiana legge,
e quanto niega altrui, quanto concede,
e quai nostri desir tempra e corregge.
Rivolge allor la sua compagna il piede
che ’l battesimo prender non elegge,
e se ne torna alle pagane squadre
a risdegnar con la novella il padre.

37E a lei non pur, dapoi ch’intende Augusto
ch’ella è cristiana, or l’adito consente,
ma del suo amore, or più dovuto e giusto,
le promette addolcir la fiamma ardente,
e col nepote, in egual foco adusto,
consente unirla il regnator clemente
di nodo maritale, ond’ella poi
seco passi contenta i giorni suoi.

Egisto, capitano del contingente romano, narra di come prima di giungere lì hanno tolto il blocco navale a Bisanzio attirando la flotta musulmana in una battaglia navale (38-72)

38Nel campo intanto i cavalieri ammessi
concorre intorno il popol vario e misto,
e ciascun mira e ciascun loda in essi
picciole sì ma valoroso acquisto.
L’imperador con chiari segni espressi
d’umanitade a sé raccorli è visto,
e ’l capitan ch’a favellar si volta
di lor venuta attentamente ascolta.

39Egisto ha nome il capitano, e degno
ben fu costui dell’onorata soma
di condurre a ritorre il sacro legno
i cavalier che manda Italia e Roma.
Valoroso è di cuor, pronto d’ingegno,
di fé costante, e cangia omai la chioma,
e nacque ove, da poi che presta cala,
la spumante Polzevera s’insala.

40«Signor,» dic’ei «ben ch’io conduca a pena
un drappelletto sol di quei che meco
partiron già dalla paterna arena
per congiungersi armati in guerra teco,
del danno nostro alleggerir la pena
sent’io per quel ch’in tuo profitto arreco,
che dall’assedio de’ nemici tuoi
la tua città sia libera per noi.

41Ch’a lei d’intorno unitamente accolte
e le genti di Ponto e le Bitine,
far non potea più resistenze molte
alle squadre adunate saracine,
e così se le vie ci furon tolte
d’arrivar teco al desiato fine,
godiamo almen che non sia mosso invano
per tuo servigio il buon popol romano».

42Più caramente allor Cesere accoglie
la pellegrina e valorosa schiera,
e mostra a lei delle salvate soglie
vincolo tal che scioglier mai non spera.
Indi scopre ad Egisto accese voglie
d’udir da lui tutta la storia intera:
«Quai fuste e quanti, e che vi mosse et onde
veniste», e tace, e ’l capitan risponde:

43«Dalla foce del Tebro in sette navi
partimmo noi, più di due mila armati,
mossi dal gran Pastor che tien le chiavi
delle porte del regno de’ beati.
Per l’aperto mar le vòte travi
provàr contrari e tempestosi fiati,
e spesso a i porti in grembo Euro ci tenne
a macerar l’impazienti antenne.

44Però d’altri navili ancor s’ingrossa
la nostra schiera, e d’altrettanti legni
eravam noi, con raddoppiata possa,
raccolta in un da i procellosi sdegni.
Così falda talor dall’alpi mossa
che non trova fra via fossa o ritegni
cala e cresce calando e sempre prende
pondo maggior quanto più d’alto ascende.

45Sicilia a tergo e gl’Etoli e gl’Illiri
lasciamo alfin con favorevol vento.
Tra Corfù trapassamo e i campi epiri
sotto ciel di zaffiro in mar d’argento;
poi verso Creta in tortuosi giri,
poi verso Lesbo è ’l correr nostro intento.
Giungemmo alfin su l’elespontea foce
ma qui sorse contrario il mar feroce.

46Prendiamo un porto e vi troviam ridotti
con trenta vele i cavalier di Rodi,
che dall’empia procella i legni rotti
rimpalmando munian d’asse e di chiodi.
Sette legni affricani han seco addotti,
preda lor sanguinosa, i guerrier prodi,
ch’eran soli avanzati a cento vele
che inghiottì poco prima il mar crudele.

47E questa era l’armata che d’Egitto
e d’Affrica raccolta al re pagano
dovea condur contra ’l tuo campo invitto
per le liquide vie l’esperto Erano.
A cui ben fu nel suo partir preditto
ch’ei si movrebbe a te contrario invano,
ché il Re del Ciel, che tua difesa prende,
la causa sua nelle tue man difende.

48Questo inteso da noi, godiam che tanto
numero che venìa di gente avversa
per tòrre a te della vittoria il vanto
rimasa sia dal fiero mar sommersa;
ma ben ci turba il nostro gaudio alquanto
e sentiam di dolor la gioia aspersa
per la novella che Bizanzio sia
cinto d’assedio e in gran periglio stia.

49Le mura sue con cento squadre intorno
Satin circonda, e l’ampio porto serra
con cento vele, e l’uno e l’altro corno
gl’ha preso omai con sanguinosa guerra,
onde poco omai più potea soggiorno
far contra lui la combattuta terra,
e noi sentendo il suo mortal periglio
stringhiam le spalle e decliniamo il ciglio.

50Ben desia ciaschedun l’assedio tòrre,
ma son le forze a tanta impresa anguste:
cinquanta legni incontro a cento esporre,
contro a cento galee cinquanta fruste;
troppo aperto pericolo si corre;
e son le nostre omai lacere e fruste
dal lungo mare indebolite e grevi,
e le nemiche e vigorose e lievi.

51Così pens’io, ma pur mi sprona e spinge
d’adoprarmi in tuo pro tanto ’l desio,
che via meno il timor mi risospinge
e me medesmo in tuo servigio oblio,
e volgendomi a quei con cui mi stringe
vicendevole amor, così parl’io:
– Guerrieri, io sol con sette navi e sette
penetrerò le perigliose strette,

52e se voi seguitando a mio riscatto
poi meco pronti a guerreggiar sarete,
tornerò qual delfin che seco ha tratto
greggia squamosa alla predace rete -.
Piacque, e fermai co i Rodiani il patto,
e le galere mie tacite e quete
mossi, disarborate e senza vela,
per dove il lito più l’asconde e cela.

53La Propontide varco, e ’l sale ondoso
per le placide tenebre la notte
via pur oltre percoto, e luminoso
lampeggia il mar tra l’onde aperte e rotte,
e ’l dì m’addormo in qualche seno ombroso
o d’aspri scogli in cavernose grotte.
Pervengo alfin dove Bizanzio e Sesto
mi veggio innanzi, e qui le prore arresto.

54Ma da lungi venir come m’ha scorto
Cananoro Casma, ch’avea la cura
di mantener con cento legni il porto,
cinquanta navi al grand’assedio fura,
e in me le spinge, ond’io movendo accorto
a fuggir per la mobile pianura
a tutta voga accelerando il moto
ribatto i remi e ’l queto mar percoto.

55Così rapidamente a i miei ritorno
per sentier dritto e non m’appresso al lito,
e la fuga durò tanto che ’l giorno
avea per mezzo il nostro ciel partito,
quand’ecco fuor d’un rilevato corno
spuntando uscìo l’amico stuolo ardito,
ch’a pienissime vele a mio soccorso
contra ’l fiero Casma dirizza il corso.

56Sospende i remi e la dubbiosa caccia
colui raffrena all’improvisa uscita,
né sa ben s’ei combatta o quel che faccia,
veggendo a me la maggior squadra unita.
Era li numero eguale e la bonaccia
gl’audaci legni alla contesa invita,
onde di qua, di là ciascun dispone
le navi opposte al periglioso agone.

57Di qua, di là le minacciose antenne
due grand’archi la lor forman distanti,
ma si stringe lo spazio e, poi che venne
scemato sì che son propinqui i canti,
et ecco a un tempo abbatter giù le penne
de gl’alti remi e risonar spumanti;
volan le prore e l’intervallo manca
e l’azzurro del mar percosso imbianca.

58Ma poi che scemo ogni intervallo resta,
ecco levansi al ciel feroci grida,
sì che le trombe in quella parte e ’n questa
perdono il suon tra le più acute strida.
Si straccia il mar da mille remi e presta
di qua vola e di là selva omicida,
che per l’aer portando oscuro velo
la luce invola a mezzo giorno al cielo.

59Già s’incontran le prore e già percote
l’un l’altro rostro impetuoso urtando,
onde mormoran l’acque e si riscote
lontano il lito a quel furor tremando.
Parte stan delle navi altere e immote,
parte di qua, di là vansi aggirando
per investire a lor vantaggio queste
che più deboli son quanto più preste.

60Sovra gl’alti speroni al sangue intesi
stanno i guerrier, cui nessun rischio affrena,
e son tant’oltre all’altrui danno intesi
che di pugnare in mar credono a pena,
e l’acqua, ove stan mobili e sospesi,
lor sembra asciutta e ben fondata arena;
e già per tutto orribilmente appare
in vermiglio color cangiato il mare.

61E già con le catene i legni uniti,
l’una prora nell’altra armati versa.
Sembran di foco i nudi ferri arditi,
stilla trepido sangue ogn’arme aspersa.
Rivolge l’onda e va portando a i liti
la gente miserabile sommersa.
Corre il pelago sangue e sopravviene
con tinte spume a macolar l’arene.

62Mille casi feroci e mille affetti
di pietà, di terror confusi e misti,
mille segni d’ardir ne’ forti petti,
mille di gloria inusitati acquisti,
e mille e mille generosi effetti,
prima forse dal sol già mai non visti
vider quell’acque, e fur teatro e scena
di gran tragedia di spavento piena.

63Ma di quei che morìr nella battaglia
nessun più ci turbò che ’l buono Uggiero,
troppo par che sua morte a tutti caglia
troppo era amato e provido nocchiero.
Giungelo a mezzo il petto una zagaglia
e passa al tergo il mortal colpo e fero,
che dal timor precipitollo e ’l sangue
versò per l’acque e vi rimase esangue.

64Di lui nessuno alle triremi il freno
su per l’umido suol rivolse o strinse,
né spiegò meglio all’ampia vela il freno,
né fermò ’l corso a mezzo il mar né spinse,
né previde alcun mai dal ciel sereno
me’ di lui le tempeste e le distinse.
Or cadendo costui sembra che insieme
con esso caggia ogni cristiana speme.

65Ond’io, parte dolente e parte ardito,
per la disperazion su l’alta nave
di Cananor, ch’un’ampio scoglio uscito,
parea del mar tant’è superba e grave,
dopo lungo contrasto alfin salito
trovo lui che tutt’osa e nulla pave,
e fra cento de’ suoi l’audace mostro
spensi, grazia del Ciel, col ferro nostro.

66E, sovra un’asta il fero teschio alzato,
ne’ barbarici cor sgomento apporto,
et all’incontro al popol battezzato
rinovellasi in un speme e conforto.
Né men fiero di me dall’altro lato
contra i nemici a tal vantaggio è sorto
de’ Rodiani il valoroso duce,
ch’arde le navi, e ’l mar ne splende e luce.

67E lo spirar de’ favorevol venti
nelle bituminose orride faci,
più le fa vive, e serpeggiar lucenti
su per l’antenne e vampeggiar voraci.
Sono le peci lor negri alimenti
delle fiamme biondissime e vivaci,
e rimangon le navi al foco inferme
via più per quel che contro al mar le scherme.

68Si sparge per l’onda e non s’estingue il foco,
letto è l’acqua alle fiamme e non contrasto.
Sì largo mare a tant’incendio è poco,
basso temine è ’l ciel d’ardor sì vasto.
Rimugge l’aria in suon tremendo e fioco,
ribolle il flutto intorbidato e guasto,
mentre tuffansi in lor ferventi e gravi
l’accese antenne e l’infiammate travi.

69Vari casi di morte acerbi e crudi
quel conflitto acerbissimo confonde:
molti che non ha più ripari o scudi
contra ’l foco crudel gettansi a l’onde,
e le tavole accesi a i petti ignudi
si stringon quei che ’l mar vorace infonde,
e periscon dolenti in doppie morti
arsi nell’onde e nelle fiamme absorti.

70Dopo un duro contrasto alfin voltossi
la vittoria vèr noi con l’auree penne,
e su gl’arbori nostri alta fermossi
né variabil più fra due si tenne,
e ’l barbarico stuolo alfin lasciossi
incatenar le mal difese antenne,
che con ordine lungo al lito addutte
quante al foco avanzàr traemmo tutte.

71E poi vittoriosi incontro a i legni
che rimasero in porto uniti andiamo.
Furon corti i contrasti e non sì degni,
ché di numero a lor sopravanziamo,
e con nuova vittoria i nostri segni
sopr’ogn’arbore lor pronti innalziamo;
e, ’l chiuso passo alla cittade aperto,
scend’ella al mare, e noi poggiam su l’erto.

72E ben senza interpor dimora alcuna
a scior della città l’assedio intorno
movean con favorevole fortuna
alla terza vittoria in un sol giorno,
se non ch’omai la queta notte e bruna
facendo ’l ciel de’ minor lumi adorno,
sferza i destrieri e dell’oscure rote
ombra, sonno, silenzio e pace scote».