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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXXIV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 23.02.16 10:41

ARGOMENTO
Uccide Erinta il valoroso Orgonte,
Cesere il re de gl’Indi e Cosdra atterra,
né più rivolge alcun pagan la fronte,
rotti e sconfitti in rovinosa guerra.
Salvano alcune schiere a fuggir pronte
Cosdra, e ’n Seleucia ei si racchiude e serra.
Crede Augusto a Niceto, onde marita
all’invitto Batran la figlia ardita.

Erinta uccide a duello Orgonte ma non evita la fuga dei suoi dal suo lato (1-22)

1Deh Musa, omai che si discopre il porto
al piccoletto mio stancato legno,
tu, che l’hai sino a qui condutto e scorto,
pervenir fallo al desiato segno.
Tempo fu ch’io tremai, pallido e smorto,
per l’ampie vie del gran ceruleo regno,
e corron or gl’assicurati carmi
al rimbombo maggior di trombe e d’armi.

2Già d’ogn’intorno la battaglia cresce,
cingendo il gran triangolo cristiano
e l’un con l’altro l’esercito si mesce
col Greco il Perso, e ’l barbaro e ’l romano.
Fa vermiglia palude il sangue ch’esce
onde s’allaga orribilmente il piano;
geme dal calpestio pressa la terra,
scotesi il cielo alla spietata guerra.

3Ma benché s’abbia attorniato e cinto,
per un diece avversari il popol fido,
non è d’un passo un cavalier respinto,
né lascia un palmo al suo nemico il lido;
e se cede ferito o manca estinto
riempie alcun subitamente il nido,
e riunito l’ordine costrutto
d’una parte al mancar non manca il tutto.

4Con tutto ciò dal destro lato, dove
guardan un canto Triface e l’altro Erinta,
benché l’estremità nulla si muove,
vien la parte mezzana a dietro spinta,
e cede alfin, dall’ostinate prove
di stuolo immenso e soprafatta e vinta,
combattendo all’incontro in quella parte
quanto avea l’Asia e di valore e d’arte.

5Da quella banda il poderoso Orgonte,
tutto di bianco acciar lucido e greve,
lascia i morti e i feriti a monte a monte
e con l’avido ferro il sangue beve,
Volge l’indico re l’altera fronte
nel duce perso, onde virtù riceve,
e mira pur s’ei le sue prove agguaglia
o se ’l può superar nella battaglia.

6Muovesi Orgonte ove mantiene eguale
Erinta ancor la sanguinosa guerra,
benché, ferito, il corridor non vale
più sotto il freno, al fin la lascia in terra.
Pur non tem’ella e ’l ferro suo mortale
si rota a torno e ’l folto stuol disserra,
e dalla turba ingiuriosa e spessa
tanto risorge più quant’è più oppressa.

7Così l’arido tronco in mezzo al mare
ch’espon talora il pescator per segno
di ritrovar per entro all’ond’amare
di rete o d’amo alcun nascoso ingegno,
tante volte risorge e in alto appare
quante l’abbassa il tempestoso sdegno,
né può vento che ’l batta, onda che ’l copra
premerlo sì ch’ei non si innalzi e scopra.

8Or dunque così intrepida e feroce
vista pugnar la valorosa Erinta,
Orgonte inverso a lei vanne veloce,
a lei di sangue ostile macchiata e tinta,
e sollevando il capitan la voce
«Renditi,» grida «a me renditi vinta,
né voler, ché sei donna, ancor che forte,
la mia spada avvilir con la tua morte».

9Risponde: «O qui, dove ’l valor s’attende
d’intempestivo onor cura gelosa,
e che sai tu che le feminee bende
non vedi a me di mia persona ascosa?
E che mai può se più virtù mi rende
sottrarre a me natura invidiosa?
Combatti pur, che vincitrice o vinta
basta alla gloria tua ch’io sono Erinta».

10E così detto al fier pagan s’avventa
nell’armi leggierissime e spedita,
sì che macine assai corre più lenta
che dell’onda al cader le biade trita.
Orgonte allor, ch’al crudo assalto intenta
vede appressarsi la guerriera ardita,
dal feroce destrier rapido smonta
e con gran cuor l’affrontatrice affronta.

11L’animoso pagan, che qualche raggio
ha di vera virtù nel petto forte,
teme biasimo a lui se con vantaggio
traggesi per sua man femina a morte,
però sceso d’arcion degno paraggio
vien seco a far di perigliosa sorte;
e chiamandola perfida si stringe
contra lei tutto, e ’l nudo ferro stringe.

12Più non fa motto, e tutta quanta a lui
volgesi allor la disdegnosa Erinta,
né mai grandine spessa a i colpi sui
puossi agguagliar quando più l’aria è tinta;
né men rapido Orgonte, e d’amendui
cozzan gli scudi in raddoppiata spinta;
né dir saprei tant’è ’l furore e l’ira,
se l’aria o ’l foco or l’un or l’altro spira.

13Ferme quasi a spettacolo le genti,
ricusando il pagan l’aiuto loro,
fan cerchio intorno, al gran contrasto intenti,
ché mai prove simil viste non foro.
Fra l’armeniche selve urtar frementi
diresti a un tempo e l’Aquilone e ’l Coro,
allor che più la rabbia loro insana
lacera il bosco e ’l suo bel verde sbrana.

14Dopo lunga contesa ambo anelanti,
dal petto omai traendo il fiato a pena,
sparsi di sangue e di sudor stillanti
fermansi alquanto a racquistar la lena;
ned ha l’un più che l’altro onde si vanti,
ché fortuna e valor di par gli mena,
e par che delle due qual vita arresti
l’istessa morte irresoluta resti.

15Ella, che de’ mortali a i preghi, all’opre,
inesorabilmente è sorda e cieca,
tanta virtù fra questi due si scopre
che in lor alquanto a sovrastar s’arreca;
poi gira il colpo, onde nessun si copre,
e tutto il mondo orribilmente seca,
e sé stessa tra se biasma e riprende
della tardanza e ’l fiero duce offende.

16Lascia l’invitta vergine e percote
Orgonte altier della fatal percossa,
pur come suol, dalle tremende rote
della sua falce ogni pietà rimossa.
Et ecco in amendue che si riscote
l’animo in un con l’affannata possa,
e rinuovano omai l’aspra contesa,
per più poterla incrudelir sospesa.

17E già rotti i brevissimi riposi,
ristringendo amendue le spade orrende,
più che fosser già mai feri e sdegnosi
e quegli e questa impetuoso offende,
Trema a i colpi la terra e di focosi
baleni ad or ad or l’aer s’accende,
e rintronar per le profonde valli
s’ode il rimbombo e risonarne i calli.

18Alfin tra mille una percossa arriva
dalla guerriera al valoroso Orgonte
nella vena maggior, che insieme univa
sanguedotto vitale, al cor la fronte;
e reciso il sentier per cui saliva
al suo gorgo maggior l’alma dal fonte,
a cader egli abbandonato viene,
ché lo spirito suo più nol sostiene.

19S’apre un tiepido fiume e breve piaga
sanguigne l’onde in tanta copia versa
che l’armi tutte incontanente allaga
e n’è la terra in largo spazio aspersa,
e col fervido sangue errante e vaga
tutta l’aura vital fugge dispersa.
Frem’egli e langue, e non sa dir se muore
o per forza di sdegno o di dolore.

20A vendicarlo un ampio stuol pagano
s’unisce allor, d’alta vergogna acceso,
e la vergine invitta a mano a mano
vede ogni calle al suo refugio preso;
ma non però la valorosa mano
abbandona del ferro il caro peso,
e dalla moltitudine sospinta
rendersi no ma vuol pugnare Erinta.

21Macon, Tolomita, Albio e Calcante
l’un sopra l’altro in quattro colpi uccide;
passa il petto a Sinon, l’avo a Turpante
e ’l destro braccio a Gozzadin recide;
Burro, Giave, Sandàl, Marota e Zante
con l’urto abbatte, e Frastoran deride,
ch’era re de’ Circassi, or è col volto
d’immonda polve infra gl’estinti avvolto.

22Con tutto ciò da quel suo destro lato
sola è costei che più difesa faccia,
che ’l restante del popol battezzato
gl’omeri volge ov’ei mostrò la faccia.
Silvano indarno, incontr’a lor sdegnato,
corre di qua, di là, grida e minaccia;
al fine un messaggiero a tutto corso
manda ad Eraclio a dimandar soccorso.

Eraclio rincuora i fuggitivi, poi volge con una manovra tattica manda Batrano sul versante in pericolo, questi fa strage enorme e fuga gli Indiani (23-43)

23Il sollecito messo arriva e chiede:
«Signore, aita, il destro lato è rotto;
combatte Erinta infra i nemici a piede,
ché morto il corridor gli è stato sotto.
Silvano a te m’ha qui rivolto il piede,
grande è ’l periglio», e non li fa più motto.
Volgesi allor l’imperador repente
a rincorar la sbigottita gente.

24E in sua vece a Teodor la cura lassa
e l’imperio maggior gli raccomanda,
e stimolando il gran corsier trapassa
là dove aiuto il campo suo dimanda.
E, come nave affaticata e lassa
allor ch’aura propizia il ciel le manda
solleva i remi e più che mai spedita
l’ampio dorso del mar trascorre ardita,

25così quella sua gente in fuga volta
dallo spavento del mortal periglio,
subitamente a ripugnar si volta
visto venir d’Eraclione in figlio,
e immantinente ogn’ordinanza accolta
si ricompon quel torbido scompiglio.
Tale spezzato ancor liquido e rosso
torna metallo a riformar colosso.

26Ma ’l saggio imperador, quantunque miri
che sia tornato il fedel campo intero,
sapend’ei pur come ’l circondi e giri
sì poderoso esercito e sì fero,
per discioglier, se può, gl’armati giri,
torn’ei nel mezzo all’intermesso impero,
e ’l triangolo tutto a poco a poco
volge a sinistra, e non li cangia il loco.

27Delle tre punte alla gran rota resta
perno immobile in mezzo Eraclio stesso,
et è la gente al muover suo men presta
quant’ella più se li ravvolge appresso.
Passa Erinta alla coda e là s’arretra
dove d’Etruria il capitan fu messo,
et ei vien dalla coda al lato manco,
dal manco al destro il cavalier più franco.

28Eraclio, allor che quella punta dove
è collocato il gran campion romano
vede diritta a quel furor che muove
l’indico re possente e ’l persiano,
in un momento ogni guerrier ch’altrove
badava, affisa a rimirar Batrano,
e fa cenno al guerrier ch’affretti i passi
e fra i nemici impetuoso passi.

29E ’l cavalier, qual rapido torrente,
cui ritener non vale argine o sponda,
o qual per entro all’aride semente
fiamma che l’Aquilon piega e feconda,
s’apre il sentier fra la nemica gente
che l’esercito pio preme e circonda,
e sbaragliando i rovinosi calli
l’armi calpesta e gl’uomini e i cavalli.

30E l’eroe seguitando i guerrier forti
nelle squadre de’ Persi entrano arditi,
e dissolvan col ferro e con le morti
gl’ordini lor dove più sono uniti.
Caggion confusamente a monti i morti
misti con gl’abbattuti e coi feriti,
né guerra più né fatto d’arme è quello
ma strage orribilissima e macello.

31Ma di tanti caduti e tanti oppressi,
tanti che sovra il suol battono il fianco,
quai canterò, perché di lor non essi
la fama almen se vien la vita manco?
Memoria, tu che vai serbando d’essi
la bella istoria in marmo eterno e bianco,
tu ne rammenta alla mia penna alcuno
che riman nell’oblio tacito e bruno.

32Ratigan del Pegù trafigge Atride
dal destro fianco alla sinistra spalla;
Martoran di Dalmazia Ircano uccide,
Cinna, Amuratto e Periandro e Palla.
Veste gl’omeri suoi qual nuovo Alcide,
ma la pelle è di lupo, il fier Carcalla,
fanciullo avvezzo a saettar le fiere
poi d’età ferma a non temer le schiere.

33Segnalo intanto, e lancia a lui non lunge
passando un’asta il modonese Orcheno,
vola il frassino armato e stride e giunge
a trapassar del cacciatore il seno;
né basta ancor, che doppiamente il punge
con parole di sdegno e di veleno
mentr’egli cade, e la sua morte inulta
così parlando amaramente insulta:

34«Tra le nomadi selve or non parrattiS | parrati
qui le fere cacciar, ch’altro son questi
che selvatici capri o cervi ratti
vèr cui tu l’arco esercitar solesti».
Gl’occhi allor sollevò, gravi già fatti,
e disse: «O tu che ’l mio morire infesti,
sappi che variabile è la sorte,
né può fuggirsi o indovinar la morte».

35E bene a lui, che ’l trapassò con l’asta,
presago annunziò l’ultime doglie:
ecco Giuberro, orribil mole e vasta
d’ossa, che per terror natura accoglie,
ei sovr’ogn’altro cavalier sovrasta
con la fronte superba e ’l passo scioglie,
pur com’Affrico suol ch’umido e fosco
corrucciar fa ’l mar, fremere ’l bosco.

36Costui con la man forte in fronte abbassa
grave bipenne al modonese Orcheno,
e con l’aspra percossa estinto il lassa,
cad’ei tremante alla gran madre in seno.
Non s’arresta Giuber, ma guarda e passa,
e qual fiero destrier senz’alcun freno
corre con la cervice alta e superba
frangendo i rami e calpestando l’erba.

37Rota l’alta bipenne e spinge il piede
contra i Romani, e la confusa frotta
chiama de gl’Indiani, ove la vede
con spavento maggior dispersa e rotta.
Volge intrepido il volto e nulla cede,
e sol ritien l’inordinata frotta,
e fra l’aste e le spade il braccio forte
il sangue piove e fulmina la morte.

38Silvio uccide et Orsicolo e Clitone
e Lincastro e Carmete e Polimante,
e fa vòtare a Capestran l’arcione
che smarrito nel suol cadde tremante.
Fuggesi Ardelio e la speranza pone
tutta di sé nelle veloci piante.
E via correndo e insanguinando il piano
d’una piaga mortal, vede Batrano,

39e per nome l’appella e grida aita:
«Aita, alto signor, ch’io già non chieggio
dal furor di costui salvar la vita,
ch’omai più scampo al viver mio non veggio
tal ne porto nel sen cruda ferita,
ma restar non vorrei, se morir deggio,
delusa preda, e vo’ cercando all’ossa
letto almen di feretro, onor di fossa».

40Si rivolge il guerriero e l’assicura
e si pon fermo al gran Giuberro a fronte,
e quel, che mai non albergò paura,
par or condotto alla gorgonea fronte.
Alza l’eroe l’invitta man sicura
che vendica di Dio l’offese e l’onte,
e fa che con la scure il braccio cada
tronco a Giuber la gloriosa spada.

41Raddoppia il fiero colpo il guerrier franco
subitamente, e ’l ferro acerbo e crudo
già dall’omero scende al lato manco
e con esso al pagan cade lo scudo.
Così d’ambe le braccia e d’un piè manco
rimaso al terzo colpo inerme e nudo,
tra i cadaveri cade, incisa sterpe,
e tra lor si strascina e rota e serpe.

42Riede a gl’altri Batrano e punge e fère
e rompe e frange e squarcia l’armi e straccia,
traboccate da lui caggion le schiere
quasi in mandra leon le branche faccia.
Fuggon le squadre e fuggon le bandiere,
nessun più volge al vincitor la faccia,
e gli sgombrano il suol cavalli e fanti
disordinati, attoniti e tremanti.

43Così vince Batrano. Augusto intanto
di schiera in schiera il corridor volgendo,
la rotta a seguitar per ogni canto
chiama i soldati e d’ultimar vincendo;
e fermo il passo a dirizzargli alquanto
rivolge il guardo e vede il carro orrendo
sovra cui torreggiante or quinci or quindi,
erra per lo scompiglio il re de gl’Indi.

Eraclio uccide il re degli Indiani (44-49)

44Quattro destrier più d’ogni foco ardenti
più dell’Euro veloci e più superbi
del mar che mosso da contrari venti
al tremante nocchier fede non serbi,
le gravi rote a calpestar le genti
traean correndo, orribilmente acerbi,
e l’alzavan su i morti a salto a salto
sparse d’un fiero e sanguinoso smalto.

45Cesare, che ciò vede, un’asta prende
rapidamente allo scudier di mano,
e ’l colui morso alquanti passi attende
perché ’l colpo mortal non giunga invano;
poi coglie il tempo, e ’l forte braccio stende
l’aspro cerro avventando al re pagano.
Vola il tronco ferrato e stringe e giunge
dirittamente e in mezzo al fianco il punge.

46Frange il lucido arnese e passa e scorre
l’interne fibre, e lascial freddo e bianco,
ond’ei, quasi dal ciel percossa torre,
caddé e batté sul terren duro il fianco.
All’attonito auriga il sangue corre
tutto quanto in quel punto al lato manco;
trema ogni nervo, ogni vigor vien meno,
e ’l flagello di man gli cade e ’l freno.

47Liberi i corridor premendo vanno
con arme incerte il suol di sangue tinto,
e con volte e rivolte aperta fanno
la sorte rea del lor signore estinto.
Sparge il duro suo caso acerbo affanno
per lo barbaro stuol confuso e vinto,
e ’l popol pien d’insolito spavento
sembra, morto il pastor, disperso armento.

48Fuggon di qua, di là dove la tema
le sparge più le sbigottite piante;
ciascuna insegna fuggitiva trema
e si raggira indocile et errante.
Non v’è più cor che lo spavento prema
e nol dimostri il pallido sembiante,
né da quel lato è più lancia né spada
che pur contenda a i vincitor la strada.

49Così Cesare vince, e l’Asia unita
tutta contra di lui la sua speranza
in un momento sol vede finita,
sì che reliquia pur non gliene avanza.
Tra l’ampia moltitudine infinita
di rivolgersi un sol non ha baldanza,
e invola a tutti universal timore
la legge al piè, la disciplina al core.

Triface uccide Adrasto (50-53)

50Né meno anco vincean dall’altro canto,
dove gl’avea l’imperador fermati,
Poliperte il feroce e ’l buon Cleanto,
di valor più che di corazza armati.
E ventillando la vittoria intanto
per immensa letizia i vanni aurati,
lieta cantava in gloriosi carmi
del campo occidental la lode e l’armi.

51Né men Triface alla vittoria presto
rompe dalla sua banda il popol folto,
e col ferro terribile e funesto
al maggior capitan la vita ha tolto;
col piè la fronte a Dragolante ha pesto,
col ferro a Seriman l’anima ha sciolto.
Indi si spicca il fier toscano e quale
fulmine folgorante Adrasto assale.

52E imprigionando al persian lo scudo,
sotto al destro ginocchio il fère in guisa
che disciogliel da i nervi il colpo crudo
e n’è la gamba al capitan succisa.
Cadde allora il pagan sul terren nudo
quasi dal potator pianta recisa,
che ’l suolo ingombra e con l’aeree braccia
che stendevansi al ciel la terra abbraccia.

53Teodoro Ombrone, e dopo Ombrone uccide
con l’usbergo dipinto il biondo Usmaro,
che nessun mai signoreggiar si vide
me’ di lui corridor con freno amaro.
Dal busto il collo ad Ismael divide,
garzon superbo e più d’ogn’altro avaro,
che ’l padre suo lasciò morir cattivo
per non restar di poco argento privo.

Eraclio atterra e risparmia Cosdra, che riesce a fuggire a Seleucia salvato da un drappello d’Arabi (53-64)

54Or la strage veggendo e ’l duce morto,
fuggesi ancor da gl’altri lati il campo,
e d’ogni parte impallidito e smorto
cede al popolo pio al gloria e ’l campo;
né pur un sol tra cento mila è scorto
ch’opporsi ardisca a i vincitori inciampo.
L’Indo, l’Arabo e ’l Perso e in somma tutto
fugge il campo pagan rotto e distrutto.

55Ferma attonito il ciglio il re de’ Persi,
e poi non pur ciascuna insegna ha scorta
ma gli stessi manipoli dispersi,
e coperto il terren di gente morta,
per la disperazione al ciel conversi
gl’accesi lumi, in vista orrenda e torta
chiama ’l sol, che non l’ode, e chiama il Cielo
che lo fulmini almen d’acceso telo.

56E gl’occhi abbassa e di lontano avvisa
l’imperador, che le sue schiere caccia,
e d’ira ardendo in furibonda guisa
del suo gran vincitor segue la traccia;
onde Cesare, allor che lui ravvisa,
lasciato ogn’altro al fiero re s’affaccia,
e vengono dell’armi al paragone,
oh grande, oh rara, oh singolar tenzone!

57Stan per l’imperador di lume cinti
tre sovrani del Ciel spirti beati,
e vibran l’aste al suo favore accinti
e delle stelle in sua difesa armati.
E tre per Cosdra affumicati e tinti
all’eterne caligini dannati
che vomita da sé l’orrendo e fosco
centro, cinti d’orror, cinti di tosco.

58Ma qual sì pronte e sì spedite l’ale
spiegò giammai per sollevarsi in alto
che potesse arrivar verso mortale
d’Eraclio e Cosdra a pareggiar l’assalto?
E ’l mio, lento e caduco, a pena vale
a dispiccar dall’ima terra il salto,
ond’io però le prove lor tralascio
e gran messe raccolgo in picciol fascio.

59Nello scudo celeste il re pagano
ruppe il fragile ferro a tanto schermo,
ma non già sovra lui percosse in vano
d’alta virtù l’imperador più fermo,
e gl’abbassò la valorosa mano
alla cui forza ogni riparo è infermo,
e ’l colpo a terra trasse egro e languente
l’orgoglioso signor dell’Oriente.

60Per finir la vittoria allor, disceso
Cesare a piè, solleva il braccio e vuole
tòr la vita al nemico, e ’l tien sospeso,
di lui che ’l prega all’ultime parole.
Dice egli: «Hai vinto; io t’ho soverchio offeso,
del mio grave fallir tardi mi duole.
Tronca pur de’ miei giorni il corso incerto:
non ti chieggio mercé, ch’io non la merto.

61Ma se pietade in generoso petto
può luogo aver, per lei ti prego, Augusto,
poiché morto m’avrai, non sia disdetto
seppellirsi da’ miei l’esangue busto.
Or fa di me quel che dei far, perfetto
rendi il trionfo tuo, ch’egli è ben giusto».
E qui nel vincitor lo sguardo affisse
pien d’un tacito prego e più non disse.

62Ma più l’imperador la man sospende
per tai parole e, quasi già converso,
sente trarsi al perdon, poiché s’arrende
a lui pugnando il gran nemico avverso,
quando l’alta pietà rompe e contende
di cavalli un drappel, che da traverso
soprarriva ad Eraclio, a Cosdra amico,
e di man li sottragge il re nemico.

63Lo spedito drappel de’ cavalieri
reggea di Cosdra il più diletto figlio,
Medrasan detto, e i corridor leggieri
poco temean l’universal scompiglio.
Son cent’Arabi e più, ch’audaci e feri
trassero il re del suo mortal periglio,
rapidi sì che le vestigia a pena
de gl’alati corsier serba l’arena.

64Corse tutta la notte e ’l giorno appresso
con la torma veloce il re dolente,
finch’arrivò dov’a Seleucia presso
l’onda del Tigre se ne va corrente.
pass’egli il fiume, e poi che ’l piede ha messo
sull’altra ripa in fra l’amica gente,
Cosdra alquanto respira e tra le mura
della forte città si rassicura.

Festeggiamenti del campo, Eraclio prima di partire verso Seleucia acconsente al matrimonio tra Erinta e Batrano (65-71)

65Per sua fuga dolente, e lieto intanto
di vittoria sì grande, Eraclio a Dio
rende grazie immortali, e i premi e ’l vanto
largamente comparte al popol pio.
Non ha termine il gaudio e non per tanto
quel che de’ vincitor pone in oblio,
ch’assicura l’esercito e ’l conduce
poi vèr Seleucia alla novella luce.

66E poi che ne vede il chiuso mondo aperto
dal nuovo sole e l’ombre umide scosse,
lasciò d’armi e di morti il suol coperto
e di barbaro sangue alte le fosse,
e l’esercito suo per camin certo
vittorioso in vèr Seleucia mosse.
La figlia intanto a lui portò d’Orgonte
e d’Armallo Batran l’orrenda fronte.

67E pria che la mercede a lor promessa
dimandi alcuno, in mezzo a lor si pone
Niceto, e verso Cesare s’appressa,
e così spiega il suo divin sermone:
«Per me sarà la voglia loro espressa,
voglia conforme a quanto ’l Ciel dispone;
né devrai tu, né puoi, voler disdire
al decreto di Dio ch’è lor desire.

68Stabilito è nel Ciel, che insieme ha giunte
già ne gl’ordini eterni alme sì belle,
ch’elle vivan consorti, onde l’han punte
di legittimo amor caste facelle,
però chieggono a te viver congiunte
del legame ch’a lor vien dalle stelle:
or ti piaccia, signor, quel ch’al Ciel piace»,
e l’uno e l’altro allor conferma e tace.

69Allor l’imperador da poi che gl’have
taciuto alquanto, alle sue cure inteso,
rasserenando il dubbio ciglio e grave
ch’ei tenne a tanta elezion sospeso,
si volge in atto a gl’amator soave,
«Né fia» dice «a me tolto o conteso
quanto bramate, e vi concedo anch’io
ciò ch’amore e virtù v’han dato e Dio».

70Sposa sarà pur che mia figlia il chieda
di voi, Batran, ma ’l matrimonio io voglio
che santo a celebrar si sopraseda
che ci s’arrenda il mal guardato soglio.
Si debelli il re Cosdra, e la gran preda
si ricovri di man dell’empio orgoglio;
per l’impresa e per me vogl’io sol questo,
non lungo spazio a voi concedo il resto».

71E qui tac’egli, e riverenti a’ piedi
grazie rendono a lui gli sposi amanti,
e per tutto l’esercito ne vedi
rallegrarsi co i cuor gl’atti e i sembianti.
Non è tromba o tambur che le mercedi
del gemino valor non suoni e canti,
punge il gaudio ogni petto, empie ogni schiera,
e lo scopre a’ suoi moti ogni bandiera.