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La Croce racquistata

di Francesco Bracciolini

Libro XXXV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 23.02.16 10:44

ARGOMENTO
Per la croce pugnar gl’Angeli vede
Cesere in sogno e debellar l’Inferno.
Cosdra è morto dal figlio, et egli il piede
muove ad Eraclio assalitore esterno,
e senza altra contesa a lui concede
Seleucia aperta e libero il governo,
e la croce adorata indi si volta
a portar la gran preda onde fu tolta.

Eraclio ormai presso Seleucia è rapito in visione estatica: guidato da Eraclione vede l’empireo e assiste a una battaglia celeste per la croce, corrispettivo di quella terrestre (1-37)

1Tre volte intanto il nuovo sole è sorto
l’ombra a scacciar che l’empispero imbruna,
et altrettante in Occidente è morto
nell’ampio mar che li fa tomba e cuna,
e ’l quarto dì che ’l sentier ampio e torto
cede all’aureo german l’argentea luna,
giunge il campo romano al Tigre e vede
l’alta città ch’all’altra ripa siede.

2Ferma Augusto l’esercito e ’l circonda
di sicure difese e d’alta fossa,
che gli fan d’ogn’intorno argine e sponda
né lo lascian temer d’urto o di scossa.
E differisce il trapassar dell’onda
che sia del nuovo dì l’ombra rimossa;
e dal cammino il campo suo ristora
perch’ei più vaglia alla vegnente aurora,

3ché in un punto medesmo assalir vuole
la gran Seleucia e passar oltre il fiume.
Né perché tuffi in Occidente il sole
l’acceso carro e vi nasconda il lume
prend’ei riposo, e com’ogn’altro suole
torna la notte a ricovrar le piume,
ma furandosi al sonno or quello or questo
pensier rivolge, e si conserva desto.

4Ma pure alfin le gravi cure in Lete
dopo lungo vegliar tuffa et infonde,
e con placido sonno alta quiete
ristorando le membra a i lumi asconde.
Et ecco a lui con vaghe forme e liete
dalle parti del Ciel più pure e monde,
veloce il sogno e la sua mente prende
sull’ali d’oro e d’ond’ei venne ascende.

5Et ecco il genitor di lume cinto
parli veder, che per la mano il prenda,
e, come legno in mar tranquillo è spinto
dall’aura lieve, all’alte rote ascenda,
dove un lucido albor tutto distinto
d’infinite fiammelle arda e risplenda,
e sian lucide sì ch’a lato a loro
dell’almo sol s’impallidisca l’oro.

6Volge stupido allor Cesare il guardo,
e dice: «Padre, ove mi meni? e questi
splendor che sono? e come or io non ardo
tra tanti fuochi intorno a me sì desti?».
Et ei, volgendo il guardo onesto e tardo,
li risponde: «O mio figlio, alme celesti
queste son che tu vedi, abitatrici
dell’empirea magion quassù felici.

7A color che laggiù nel mondo vostro
seguitàr di virtude il cammin dritto,
uscendo fuor del tenebroso chiostro
questo lucido albergo è poi prescritto,
né per dirne mill’anni il gaudio nostro
può la minima parte esser descritto,
né mente umana ha mai tant’oltre inteso
ma intero è sol dal suo Fattor compreso.

8Quell’ardor che tu vedi e in tutto splende
mosso dal sommo e sempiterno amante,
tutto è foco d’amor ch’ognuna accende
quanto più brama, e ci fa liete e sante.
E qui l’anima tua fra noi s’attende,
se fermerai nel buon sentier le piante».
Et ei: «Dunque che più che non si scioglie
quel nodo fral che tanto ben mi toglie?».

9«Soffri,» il padre risponde «a voi non lice
quella vita accorciar che ’l Ciel v’ha dato;
quando e come Dio vuol fa l’uom felice,
né s’affretta per voi né tarda il fato».
Quindi Augusto sospira, e più non dice,
ma gl’occhi abbassa e vede quasi un prato
pien di rose e di fior dall’aura mossi,
bianchi, gialli, dorati, azzurri e rossi.

10Vede il padre la voglia e non aspetta
ch’ei ne faccia dimanda, e dice: «Or quelle,
che viole e narcisi in verde erbetta
vedi sparsi fiorir, son alme anch’elle,
ma in ciascuna di lor, ch’è men perfetta,
son sembianze di fiori e non di stelle,
ché son queste quassù fatte beate
e quelle ancor non son in terra nate.

11Ma, perché in terra, ancor quassù non sono
l’anime che saran fatte o create,
e solo allor che della vita il dono
conseguiscon laggiù vengon spirate.
Ma gl’esempi son questi, i quai nel trono
dell’infinita e somma potestate
ab eterno formò quanto volea
formar giammai la sempiterna dea.

12Poi, quando piace a chi ne regge e muove,
l’anima dal suo fior fa dipartita,
e se ne va nel proprio albergo, dove
poi fra gl’egri mortali ha senso e vita.
Quel che nuoca discerne e quel che giove,
con le voglie combatte al corpo unita,
e perdendo o vincendo ha premio o pena.
vita per sempre o torbida o serena.

13E perch’io veggio il tuo desire intenso
nell’avvenir, sì come più si brama
con più studio tra voi quel ch’è conteso
e più quel che non s’ha si stima et ama,
ti mostrerei del sangue tuo disceso
a produr mille lustri al mondo fama,
ordin lungo d’eroi, s’un fumo al vento
non fusse quel c’hai di saper talento.

14Ti mostrerei che que’ sei fior che vedi
raccolti incerchio e fan ghirlanda insieme,
ma di vario color diritta a’ piedi
nasceran successori al nostro seme,
e saran tutti un dopo l’altro eredi
dell’imperio d’Europa e della speme
che ’l mondo avrà che in più tranquilli giorni
la negletta virtù gradita torni.

15E mostrareti al manco piè distinta
quella ch’oltre ne va da gl’altri fiori,
di sì vivo color lista dipinta
sempre a sparger diritta eterni odori,
che di Batran con la tua figlia Erinta
è la succession colma d’onori;
e sorgeranno a meraviglia grandi
serenissimi Cosmi e Ferdinandi.

16Ma la gloria che val se ’l corpo ho spento
e l’alma più di tal rumor non cura?
Non è fama mortal se non concento
ch’uom faccia intorno a fredda pietra e dura,
aura d’un fuggitivo e fioco accento;
però volgiti meco a miglior cura
gira in qua gl’occhi e da man manca il Cielo
vedi oscurar d’un tenebroso velo,

17e per l’atra caligine discerni
torbida e cieca e tempestosa e nera
sulfurei lampi e tempestosi verni
e procella d’orror tonante e fera.
Colà son dentro i feri mostri averni,
d’abisso ascesi alla stellante spera,
a rinovar con l’ostinato ardire
contra l’armi di Dio gl’impeti e l’ire.

18Ma vedi al dirimpetto un nembo d’oro
che di lucide fiamme arde e sfavilla,
sembra un nuvol di soli, e incontro a loro
mille raggi e splendor vibra e scintilla:
quivi gl’Angeli son del sommo coro
in cui l’alto Motor virtude instilla.
Or vedi lor che sol favor superno
s’accingon pronti a debellar l’inferno.

19E vedi già ch’alla crudel tenzone
quell’esercito e questo innanzi fassi,
et è qui del pugnar sola cagione
quella ch’avete voi mortali e bassi:
de gli spirti rei l’empio squadrone,
quantunque indarno affaticati e lassi,
fa forza qui che non li sia ritolta
la croce di Giesù ch’essi v’han tolta.

20L’antico mostro al vital tronco è corso,
qual suol per ira il vorator molosso,
seguir la pietra, e quella cote ha morso
onde ’l verbo divin l’ha già percosso;
e tienla ancor nell’arrabbiato morso
ma ne porta pelato il petto e ’l dosso.
Così muove l’Inferno e incontro a lui
muove il regno del Ciel gl’Angeli sui.

21Così conforme è l’una e l’altra guerra,
e da questa quassù la tua depende:
se ’l Ciel qui pugna e tu combatti in terra,
Michel qui vince e Cosdra a te s’arrende.
E come or or cader vedria sotterra
fulminato il gran mostro all’ombre orrende,
così ravviserai fugace e vinto
nelle tue mani il fier tiranno estinto.

22Ma pon mente a i due campi, e se t’aggrada
contezza aver dell’immortali schiere,
dirittamente ov’io t’accenno bada
a gli spirti del Ciel fiamme sincere.
Quel che vibra colà fulminea spada
vèr le squadre d’abisso orrende e nere,
cavalier che di foco ha ’l vivo aspetto
e di puro diamante armato il petto,

23quell’è ’l duce, Michel. Mira lo scudo
di cui port’egli il manco braccio armato,
e ’l conflitto vedravvi orrendo e crudo
da scarpello celeste effigiato.
Quando il tumido mostro inerme e nudo
dal Ciel cadde tonante e folgorato,
opera di sua mano, e cadder seco
gl’empi demoni al centro oscuro e cieco,

24ei dell’oste del Ciel sovrano duce
e general della milizia eterna,
tutti gl’ordini angelici conduce
e tutte in un le ierarchie governa.
Ma pur, qual propria, alla battaglia adduce
delle tre la più viva e più superna,
colorati di fuoco i cherubini
tra i troni, e quei ch’a Dio son più vicini.

25Gabbriel sotto a lui fulgenti d’oro
tra potestadi e signorie virtudi
conduce un sotto l’altro armato coro
c’hanno i volti di sol, d’ambra gli scudi.
Et ei, sommo ministro e duce loro,
contro i mostri d’Averno iniqui e crudi
sovra l’elmo lucente il giglio porta
ch’aperse a noi del chiuso Ciel la porta.

26Raffaello è ’l più basso, e i Principati
e gl’Arcangeli e gl’Angeli van seco,
di bianco arnese e sì lucente armati
ch’ogni puro diamante è fosco e cieco;
et ei, muovendo i suoi guerrieri alati
contro gli abitator del cavo speco,
nel bianco scudo ha ’l morto pesce impresso
per cui fu ’l sol di riveder concesso.

27Ma volgi gl’occhi a gl’avversari e mira
l’alta confusion d’eterno pianto,
gemiti di dolore, accenti d’ira,
e d’amare querele orribil canto.
Vedi il fuoco tra lor che si raggira
per le tenebre orrende a ciascun canto.
Vedi l’orride serpi onde son cinti,
squallidi, lagrimosi, oscuri e tinti.

28Odi l’empie bestemmie, odi le strida
con cui l’Inferno alla battaglia corre.
Vedi il re delle tenebre che ’l guida
più d’ombra avvolto e più la luce aborre.
Vedi l’angue sul palo insegna e guida
ch’egli ha voluto a tanta impresa esporre.
Vedi ’l crudel che vien con esso avanti
tumido ad affrontar gl’Angeli santi.

29Ma s’ei di là con l’alta serpe audace
bestemmiando si muove orrendo e fero,
con la croce vermiglia a lui si face
Michele incontro a ricalcar l’altero,
e lodando il Signor d’eterna pace
l’invincibile esercito guerriero,
mira con qual valor vinca e prevaglia
nello scontro primier della battaglia.

30Vedi l’orrenda nuvola divisa
dalle spade versatili celesti,
vedi l’ombra dirotta, e in fiera guisa
cader fremendo e quei demoni e questi:
così suol dirupar gran selva incisa
all’alto suon delle bipenni agresti,
che rotando trabocca e s’apre il calle
co i duri rami e fa tremar le valle.

31Vedi ’l primo Pluton col capo in giù
che nel fianco trafitto al centro torna.
Ahi quanto orrido e tristo, e sì bel fu,
quanta confusion l’opprime e scorna!
Vedi il fiero Astragone e Belzebù,
a cui l’alto Michel rotte ha lo corna,
folgoranti caderne al basso Inferno
nelle tenebre cieche al pianto eterno.

32Ma vedi omai che ’l paventoso e scuro
nembo delle caligini infernali,
di cui gl’empi demon coperti furo,
par che s’apra disciolto e ’l fumo esali.
E ’l ciel rendono aperto e l’aer puro
gl’Angel di Dio con ventillar dell’ali,
e con lodi canore a lui la gloria
rendon della lor nobile vittoria.

33Vedi lieto Michel che ne riporta
la gran pianta onorata in Paradiso,
con cui l’alto Fattor la morte ha morta
per noi pendendo al duro tronco ucciso.
Vedila al campo suo vessillo e scorta,
segno di pace e sempiterno riso,
e vedi lui che l’oste sua rimena
nella parte del Ciel ch’è più serena».

34E così detto al caro figlio omai
ponea silenzio alle sue note il padre,
ma pur Cesare fisso a i vivi rai
delle vittoriose eterne squadre,
divisava tra sé quando fu mai
più netto il sol d’oscure nubi et adre,
che non fusse a tal lume un nuvol folto,
e ne gl’Angeli pur tien fisso il volto,

35quand’ecco a lui con l’ali d’oro aperte
se ne vien Gabbriel dalle sue schiere,
per le strade del Ciel diritte e certe
quasi stral che dall’arco il segno fère,
e in angelico suon Cesare avverte
che sono omai le sue vittorie intere:
«Ripon» dice «la spada, eterna aita
fa che l’alta tua impresa è già finita.

36Come a punto quassù l’orribil guerra
vincon gl’Angeli in Cielo, e tu non meno
l’intera palma hai conquistato in terra
e ’l trionfo di Cristo in tutto è pieno».
Ciò detto, il volo al dipartir disserra,
rapido nel girar più che baleno,
e torna ratto a gl’intermessi uffici
di ridurre al suo Dio gl’Angeli amici.

37Onde resta confuso e pensa Augusto
com’esser può quel che lo spirto ha detto,
che quantunque sia pur nel muro angusto
d’Oriente ’l tiranno accolto e stretto,
finch’ei non caggia e non s’arrenda, onusto
di sonanti catene il tergo e ’l petto,
pende ancor la vittoria, ancor feroce
può far contrasto a conquistar la croce.

Passa il Tigri con il campo e, giunto a, Seleucia dà l’assalto al muro (38-40)

38Si desta Eraclio, e poi che ’l mondo oscuro
scacciando l’ombre a i suoi color risponde,
senza più indugio ad assalir quel muro,
che ’l tesor di salute in grembo asconde
fa l’esercito suo passar sicuro
sovra l’alte del Tigre e rapid’onde,
ché di più navi in un congiunte e ferme
stabilito ha ’l sentier sull’onde inferme.

39E l’esercito suo su l’altra riva,
dilatando omai l’aste e le bandiere,
col fiume a tergo in fier sembiante apriva
l’alte mura a cerchiar l’audaci schiere;
e già per tutto il fiero suon s’udiva
replicando alternar trombe guerriere,
già le frombe pendean co i duri incarchi,
mordean le cocche il teso nervo a gl’archi.

40S’appressavan le macchine, e le mura,
benché prive di senso a tanta guerra,
già vedeansi crollar d’alta paura,
non che ’l timido stuol ch’entro si serra.
Leva in alto le ciglia e pon ben cura
Cesare ai difensor dell’ampia terra,
e non vistovi alcun, inganno il crede
ch’a lui si trami, e ferma alquanto il piede.

Uno dei figli di Cosdra gli porta il capo del padre, ucciso a tradimento: l’imperatore medita sulla caducità della vita (38-52)

41Et ecco incontro a lui s’aprì sonante
sovra i cardini suoi la ferrea porta,
e pacifica in atto et in sembiante
gente uscinne di fuor supplice e smorta.
Et un giovane inerme a gl’altri avante
di bianca oliva un verde ramo porta
nella man manca, e per lo crine avvolto
tien la destra dal busto un capo sciolto.

42Come aver del suo tronco il ramo suole,
dell’ucciso il sembiante ha ’l vivo impresso;
misero genitor d’iniqua prole
porta il teschio del padre il figlio stesso,
e poté sofferir dal cielo il sole
di rimirar l’abbominoso eccesso,
e non chiuse ’l suo lume e nol coperse
e ’l sostenne la terra e non s’aperse?

43All’arrivar del patricida, Augusto
raffigurando alle fattezze conte
che del re d’Oriente è tolta al busto
la mal difesa e sventurata fronte,
piegò torto lo sguardo al figlio ingiusto,
e disse a lui che ’l crudo caso ei conte.
Et ei, ch’avverso all’atto suo nefando
conobbe Eraclio, incominciò tremando:

44«Signor, se mai della giustizia il freno
scuoter si può per la cagion del regno,
par che si possa, e se non giusto almeno
tollerabil, ne venga ogn’atto indegno.
E tanto più se chi ’l commette al seno
sente la fiamma di dovuto sdegno,
sdegno che in gentil cor ratto s’apprende
cocente più se chi men dèe l’offende.

45Or tale io son di venti figli e venti
che di mogli altrettante ebbe costui,
prima nacqui d’ognuno e riverenti
fur gl’altri a me com’io fui sempre a lui,
ché le leggi chiedevano e le genti
me per suo successore e non altrui,
e lo scetro a me sol potean disdire
o ’l suo vivere intanto o ’l mio morire.

46Ma invidioso il padre mio di quello
ch’ei va perdendo, io non posseggo ancora,
a Medrasano, inferior fratello,
la corona vuol por prima ch’ei mora,
e si scusa di ciò che ’l suo drappello
vivo delle tue man lo trasse fuora,
e ch’io nol feci. Or pensa tu se questa
sia legittima scusa o scusa onesta.

47Io, che mentre si pugna in questo muro,
difendea la città, com’a lui piacque,
e così poi dalle tue man sicuro
potei raccorlo al trapassar dell’acque,
io nell’aspro conflitto al caso duro
trovar doveami ov’egli a piè ti giacque,
e se Sciroe non v’è, Sciroe son io,
come soccorrer posso il padre mio?

48Or tu signor, che più d’ogn’altro invitto
né men giusto che forte al mondo sei,
giudica tu se giustamente ascritto
fusse il fratello a i primi gradi miei.
Questa fu la cagion ch’al mio delitto
mal mio grado mi trasse o pur gli dèi,
per finir senza sangue ogni tua gloria
e la somma adempir d’ogni vittoria.

49Così ’l mio padre e ’l tuo nemico ucciso
l’odioso capo al tuo cospetto io porto,
per amendue da questa man reciso,
ch’amendue, ma te prima, offese a torto.
E che tu deggia in grado aver m’avviso
chiunque sia che ’l tuo nemico ha morto,
e per tutela a te ricorre e pone
libera in tua man sola ogni ragione».

50E qui si tacque, e la risposta attese
dal magnanimo Eraclio; et ei, torcendo
da lui lo sguardo, un detto pur non rese,
sì dell’empio aborrì l’eccesso orrendo;
ma ben le luci al morto volto intese
e dall’imo del cor caldo traendo
con pietade un sospir la lingua sciolse,
e in sì fatto parlar seco si dolse:

51«Misero regnator, dove son ora
le corone e gli scetri? Oh folle vanto
di potenza mortal, come brev’ora
ogni fasto terren converse in pianto!
Poca polvere in aria espose allora
son l’umane grandezze, e piaccion tanto.
Felicitade in questa fragil massa
o non si trova o più che lampo passa.

52Tu se’ morto, o gran rege, e la tua sorte
per tuo danno maggior non ti consente
che tu possa provar, non men che forte,
nella vittoria il vincitor clemente.
Più del figlio pietoso alla tua morte
saria stato il nemico: oh nostra mente
come spesso t’inganni, e minor fede
colà si trova ove maggior si crede!».

In città viene liberato Zaccheria, che intona una preghiera sulla croce (53-67)

53E qui Cesare tacque, e ’l campo armato
vincitor glorioso e trionfale,
senza alcuna contesa e senza piato
sicuro entrò nella città reale.
E qual signore in suo dominio entrato,
vanne Augusto alla reggia, e ’l poggio sale
dove ell’è posta, e quivi poi vien porta
la chiave a lui d’ogni segreta porta.

54Giura il popolo omaggio et egli invia
Niceto intanto alla prigion di Lete,
là dove il venerabil Zaccheria
chiuggon nell’atra torre ombre segrete.
Niceto arriva, e la man sacra e pia
disserra il varco all’orrida parete,
e ’l saggio Artemio se ne va con seco
a l’aiuta ad aprir l’orrendo speco.

55E per l’alte caligini varcando
all’amico di Dio con chiare faci
trovaron lui, ch’al sommo Sole orando
gl’inviava dal cor preghi vivaci.
Riconosciuto il buon Niceto entrando,
l’accoglienze iterar pronte e veraci,
e visibile amor ne’ santi petti
parlava ancor quel che taceano i detti.

56Ma già fuor dello speco i tre graditi
servi del Re della celeste corte
ritornano ad Eraclio, onde partiti
s’erano i due per disserrar le porte.
E ’l trovàr nell’erario, e gl’infiniti
tesori aperti, e distribute e porte
omai le gemme e gl’ornamenti e gl’ori
ai guerrier valorosi e vincitori.

57E colà ritrovò Cesare appesa
la gran preda rapita al sacro monte,
dove Cristo morendo in lei sospesa
sparse l’umanità sanguigno fonte.
Ma la voglia affrenò, quantunque accesa,
di far l’alte reliquie aperte e conte,
et Artemio aspettò per sì sovrano
ministerio trattar con sacra mano.

58Veste i candidi lini in crespe accolti
sopra gl’omeri Artemio, e sopra loro
scende al petto la stola, e gravi e sciolti
pendon quasi per neve i fregi d’oro.
E poi ch’intorno i chiusi nodi ha sciolti
della cassa gemmata al gran tesoro,
fra cento torchi ad ogni lato ardenti
l’espon sublime alle devote genti.

59Di contrito dolor sospiri e note
tronche d’alta pietà con preghi mista
querulo susurrar d’alme devote
che l’interno pentir punge e contrista,
gemiti di chi duolsi e ’l sen percote
per le colpe commesse e ’l Ciel n’acquista,
fan per l’aria aggirarsi un mormorio
mentre adora la croce il popol pio.

60Ma Zaccheria, che più serrarsi in seno
non può fiamma celeste e vivo zelo,
cinto d’aureo splendor, quasi baleno
ma che venga e non resti in puro cielo,
circonfuso di grazia e di Dio pieno
fermò le luci al sacrosanto stelo,
e sue lodi a formar tutto si volse,
e ’n sì fatto parlar la lingua sciolse:

61«O sacra pianta, in cui pendé l’amaro
frutto che per salvarne al padre offerse
l’eterno figlio, e ’l fe’ soave e caro
condimento d’amor dov’ei l’immerse,
deh, m’impetra a tua lode un suon sì chiaro
che non restin d’oblio mie note asperse,
ma raccendono altrui mill’anni e mille
a venerar tue sanguinose stille.

62Tu, già legno di pena, or tronco sei
ch’a Dio gloria produci, a noi salute,
e per te gl’avversari antichi e rei
fuggon tremanti all’ombre eterne e mute.
Tu d’abisso ne togli e in Ciel ne bei,
e ’l pianger d’Eva in allegrezza mute.
Tu scala a Dio, tu fusti altare in cui
vittima offrissi il proprio figlio a lui.

63Beato tronco, in te l’augel pietoso
che ’l suo petto ferì col proprio rostro,
fabbricò di dolor nido amoroso,
ricomprò con la morte il morir nostro.
Ahi pietà disusata, ahi tormentoso
del suo amor singolare e raro mostro!
E tu, arbor felice, eletto solo
seco fusti compagno a tanto duolo.

64Sei tu l’asta fatal che ’l sen feristi
dell’antico dragone, e tu le porte
catenate d’abisso urtando apristi,
per te fu tolta ogni sua spoglia a morte;
tu l’uomo a Dio, tu ’l mondo al Cielo unisti,
tu n’hai dato a goder beata sorte,
tu in Ciel ne guidi e n’accompagni in terra,
tu in pace oliva e ne sei palma in guerra.

65Tu nell’ultimo dì, quando le stelle
pioveran fiamme a consumare il mondo,
colorata lassù d’auree fiammelle
rifulgerai nel Ciel più puro e mondo
tremenda all’alme al gran Fattor rubelle,
con lume ai giusti a riguardar giocondo,
vittorioso e trionfante segno,
sacrosanto immortal felice legno.

66O beato morir, ma già non muore
qual in te sé si riposa e segue Cristo.
D’infinito piacer seme è ’l dolore
e di perdita breve eterno acquisto;
ma poi ch’a tutti il terminar dell’ore,
solvendo morte il duro nodo e tristo,
sovra te non è dato, almeno in noi
spargi, fonte di grazie, i rivi tuoi».

67E qui silenzio alle sue preci pose
quel santo veglio, e ’l vincitore Augusto
sovra dodici rote alto compose
trionfal carro e d’aurei fregi onusto,
e col tronco vital, che l’odiose
mani involàr del fier tiranno ingiusto,
all’Occidente ogni sua schiera volta
riportò la gran preda onde fu tolta.