Marfisa all’alba ha un’altra visione, stavolta premonitrice, che la getta nella disperazione mostrandole Guidone quasi morto (1-27)
1Non dorme già, non già trova riposo
di Ruggier la magnanima sorella,
che dal bevuto allor fuoco amoroso,
scorso entro a l’ossa e in questa vena e in quella,
suggere il sangue con dolor rabbioso
e le midolle strugger si sent’ella;
né le tormenta il cor, né ’l crucia meno
l’avuta aspra ferita in mezzo il seno.
2Ond’ella, mentre Amor l’arde e trafigge,
così parlar sol da se stessa è intesa:
– Ohimè qual passion nuova m’affligge,
da cui son sì gravemente offesa?
Qual saetta nel cor mi si affigge?
Chi me di sì gran fiamma ha dentro accesa?
L’incendio ho in seno e ’l colpo aspro e mortale,
ma donde esca non so ’l fuoco e lo strale.
3Che rimedio al mio mal, lassa, debb’io
trovar se chiusa a me n’è la cagione?
Ma se offeso nel sonno fu il cor mio,
mentre abbracciar a me parea Guidone,
chi sa che non sia ’l cieco ignudo dio
quel ch’or mi dà sì cruda passione?
Deh s’Amor fusse, pur afflitta ogniora
da che il giovane amai, m’avrebbe ancora.
4Sempre di lui il bel viso, il parlar grato,
i suoi costumi e ’l suo valore amai,
poi ch’in prodezza e in cortesia provato
l’ebb’io, poi ch’io l’udì, poi che ’l mirai;
né però ne l’amarlo tormentato
mi fu molto né poco il cor giamai.
Ma, ahi lassa, che fraterno quello amore
è stato, il qual dà gioia e non dolore!
5Non è già questo il desir vile e cieco
indegnamente Amor dal vulgo detto,
che, come vizio ognior la pena, ha seco
il desio carnal, sozzo diletto?
Non già, che come mai non ebbe meco,
non v’avrà albergo ancor lascivo affetto.
Non fia, non mai che tu, sol fatto dio
dal cieco uman furor, vinca il cor mio.
6Quella de la pietà, non la tua face
è che il cor per Guidon così m’incende;
ella e no ’l tuo poter tanto or mi face
lui desiar, tanto a me caro il rende.
Ma se pur, che no ’l credo, il tuo tenace
vischio il mio cor giamai con fraude prende,
ad ogni modo acquistar meco gloria
non puoi che occulta fia la tua vittoria.
7Perché prima mi strugga il vil tuo fuoco,
prima a fatto m’uccida il vil tuo strale,
che mai col ver si dica in alcun loco
Marfisa esser suggetta a furor tale,
non fia che la ragion molto né poco
ti ceda, se pur vinci, o senso frale.
Non mancan forze a me, non mancano armi
per casta il nome e ’l corpo conservarmi -.
8Mentre così, traendo alti sospiri
dal cor, Marfisa col pensier favella,
s’accosta al petto suo pien di martiri
la Secretezza, del Tacer sorella;
giurar le fa che i ciechi suoi desiri
non debba alcun giamai saper da quella:
vuol che come nefandi e vergognosi,
anco a l’amato suo gli tenga ascosi.
9Costei, cui veggon solo i saldi cori,
è di moto e d’aspetto ardita e grave;
gli amici intenta ascolta e i gran signori,
pronta ha la vista e ’l suo mirar soave;
prende l’abito suo vari colori
come a lei piace, e mai macchia non have;
sol nudo ha il volto, un nobil drappo in testa,
coperta mani e piè, lunga la vesta.
10Ella il petto e le labra ambo si tocca
con due gemmate preziose anella:
con quel c’ha la man manca la sua bocca
e con quel c’ha la destra il cor suggella.
A fiero assalto inespugnabilS | inepugnabil rocca,
né fermo scoglio a vento et a procella
si saldi stan, come a le forti altrui
mani i suggelli stan saldi ambidui.
11Non destra ond’esca ogni crudel tormento,
non braccio ch’alzi a degnità supreme,
non man ch’offra diletti, oro et argento
ponno aprir quei, bench’usin forze estreme,
perché, invitta di forza e d’ardimento,
nessuna o violenza o pena teme,
e, continente a pieno, ogni grandezza,
ogni piacere, ogni tesoro sprezza.
12Questa prudente e fida guardatrice
de i civili e reali alti secreti,
cui solo a sagge menti albergar lice,
solo a petti magnanimi e discreti,
a Marfisa nel sen, come aiutrice
entrata, acciò ’l suo ardor scoprir le vieti,
accolta è nel suo cor da la ragione,
dal senso no, ch’al suo venir s’oppone.
13L’accoglie la ragion con lieta faccia,
ma scacciarnela tenta il senso fuore.
Sprona il senso la vergine che faccia
noto a Guidone il suo nascosto ardore.
La sforza la ragion ch’a ciascun taccia
questo desir per non macchiar l’onore.
Fanno ambi, ei di lascivi, ella di casti
pensieri armati, in quella alti contrasti.
14Lassa, che offesa da contrari tanti,
qual nave cui più d’un vento percuote
(o tempestosa vita de gli amanti!),
né il corpo riposar né l’alma puote:
da l’alma odioso stuol di cure erranti
la pace e da le membra il sonno scuote.
Qua sospirando e là, per tutto il letto
si rivolge, di rabbia accesa il petto.
15In tal moto il pensier, fin che dipinge
l’alba di fiori il ciel, la dama tiene;
allora il Sonno a lei di nuovo cinge
le membra, per accrescer le sue pene,
e ’l suo amato Guidon di nuovo finge
non più d’abito altier, non di serene
luci, non lieto, ma con mesta oscura
vista, lacero i panni e l’armatura.
16Ahi con che faccia squalida et esangue,
con quante piaghe a lei vederlo parve.
Di polver, di sudor tutto e di sangue
l’arme, la barba e ’l crin lordo le apparve;
e in voce d’uom che tormentato langue
parea tra spaventose armate larve
de’ suoi nimici a lui d’intorno sparsi,
in tal guisa, gridando, lamentarsi:
17«Ah misero Guidon, sien sì infelici
l’ore del viver tuo dunque e sì corte?
patiran dunque tanti illustri amici,
tanti egregi parenti or la tua morte?
Chi di lor porge a me l’armi aiutrici?
Ov’è Rinaldo ardito, Orlando forte?
Ruggier, la sposa, e tu con gli altri miei
compagni, ove, o Marfisa invitta, sei?».
18Queste dir sembra e tali altre parole,
et a lei, che ’l suo dir dormendo ascolta,
il sonno, mentre a lui risponder vòle,
tronco è; da grave orror la voce è tolta.
Con un tremor simile a quel che suole
farci algente provar freddo tal volta,
si desta, e tremar fa quel petto forte
un sogno, cui tremar non faria morte.
19Nel cor le accresce il duolo acerbo e fiero
che v’era pria sì orribil visione,
e ben s’accorge averle quella il vero
mostrato a pien del misero Guidone,
e che del sogno in cui l’alato arciero
ferilla, falsa fu la finzione,
onde mossa dal duol che la divora
gir termina in Guascogna allora allora.
20E saria allora allor postasi in via,
benché un mar tempestoso, un fuoco ardente
fusse la strada, o cosa altra più ria,
ma l’onor suo l’andar non le consente.
Gir senza dirlo al re biasmo le fia,
sendo egli in campo tra nimica gente;
temeraria parrà, s’a lui il palesa,
come atta sia sol ella a tale impresa.
21Oltra che l’onestà porne in sospetto
potria, col tanto in ciò calda mostrarsi.
Che dèe, misera, far? Quinci il rispetto
de l’onor suo la sforza a raffrenarsi,
quindi stimol d’amorS | d’honor le punge il petto,
né sa, confusa se gir debba, o starsi.
Pur vincendo il pensier più onesto il meno,
a tal andata per allor pon freno.
22Ma con pensier però d’indugiar tanto
solamente, e non più, questa sua gita
quanto durin sei giorni, acciò che in tanto
sia di Guidone altra novella udita;
e vuol, se ria sarà, posto da canto
ogni rispetto, al tutto far partita,
e con l’armi, s’è vivo, liberarlo,
o s’è morto aspramente vendicarlo.
23Con tal pensier dal nuovo alto furore
traffitta, lascia l’odiose piume.
Vassene ov’è di Francia il regnatore,
nel tempio entra con lui, come ha in costume;
quivi orando a Giesù con umil core,
chiede che regga lei l’alto suo nume,
sì che il fior verginal non pur difeso
le sia, ma resti ancor suo nome illeso.
24L’udì il superno Re, ch’ai preghi onesti
porger l’orecchie sue suol grate ognora,
e chinando la fronte, onde i celesti
cerchi tremaro e i negri abissi ancora,
le concede ambi i doni a lui richiesti;
né però cura l’esser per allora
ogni strazio d’amor da lei sofferto,
perché di sua fortezza aggia più merto.
25Ella finito il sacrificio, poco
con Carlo e con gli amici dimorando,
vassene in parte ove ’l suo ardente fuoco
col passeggiar disfoghi e sospirando.
Fugge ogni compagnia, fugge ogni loco
frequente, i più solinghi ricercando;
le par, con suo rossor, che ognun discerna
nel mirar lei, la sua percossa interna.
26Qual dove surge Pindo e corron l’onde
de l’Acheloo lion ferito in caccia
le piaghe sue vergognoso e sé nasconde,
vuol morir pria che altrui note le faccia,
onde ogni vista fugge, e tra le fronde
più folte e ne’ più oscuri antri si caccia,
fuggir cercando ascosta in tana e in selva
suo disonor la generosa belva,
27tal la regina or ne l’albergo stesso,
or in un praticel chiuso e riposto,
u’ solea prima ancor gir sola spesso,
sta il dì soletta, a gli occhi altrui discosto.
Sol la mattina al re con gli altri appresso
è vista a pena, e se ne parte tosto,
quindi a i luoghi solinghi fa ritorno,
ove in pensieri, e sé consuma e ’l giorno.
Giunge al campo notizia che Guidone è salvo: Carlo indice dei giochi (28-31)
28Mentre il cor di sì nobile donzella
crucian desir, vergogna, ira e pietate,
scorsi omai cinque giorni essendo ch’ella
l’aspre amorose cure avea provate,
s’ode in un tempo di Guidon novella
che le piaghe di lui sien risanate,
e che i Francesi, con lor molta gloria,
han de’ Sassoni avuta alta vittoria.
29Piace a Marfisa tal vittoria poi
ch’era a gli amici suoi di pregio e lode,
non già come gran cosa a tali eroi,
e non maggior da lei sperata l’ode;
ma d’udir che non anco i giorni suoi
finir debba Guidon tanto più gode
quanto men lo credea, perché aiutarlo
vivo desia, non morto vendicarlo.
30Per l’uno e l’altro lieto annunzio è pieno
Carlo e tutto l’essercito di gioia;
sol Gano, ancor ch’in ciò volto sereno
mostrasse, ne sentì mestizia e noia.
Misero l’uom cui punge invidia il seno,
se ’l ben altrui come il suo mal lo annoia!
Qual ben gustar può mai, sendo il suo bene
sol l’altrui mal, l’altrui miserie e pene?
31Vuole il buon Carlo che per tale acquisto
si laudi Dio con sagrifici santi;
poi gir pe ’l campo in processione è visto
co i duci suoi tra lieti suoni e canti.
Dato il tributoS | tributto suo debito a Cristo,
convitar fa i soldati tutti quanti,
fa bandire giostre, e vuol che i giuochi allegri
e i convivi tre dì durino integri.
Arriva al campo Ullania in compagnia dei due re boreali per recare a Marfisa un’ambasciata di Artemidora: costei le dà procura dei suoi affari e annuncia un suo imminente arrivo alla corte di Carlo (32-54)
32Ma in quel che i Franchi sì lieta novella
tiene in conviti, in festa et allegrezza,
ecco giunger nel campo una donzella
d’abito altier, di non umil bellezza.
Duo cavalieri in mezzo tengon quella,
e sembra esser ciascun d’alta prodezza.
Seguon più damigelle e più scudieri
l’onorata donzella e i cavalieri.
33Ullania era costei che già recato
d’Islanda l’aureo scudo in Francia avea,
perché in corte di Carlo guadagnato
fusse da chi ne l’arme più valea.
Or a Marfisa per nuovo mandato
de la regina sua darlo dovea,
onde al suo padiglion gita a trovarla,
le s’inchina, l’abbraccia e così parla:
34«Valorosa e magnanima guerriera
che ’l mondo hai pieno omai de la tua gloria,
di cui fin che vedrem l’ultima sera
sempre nel cor terrem grata memoria,
poi che di Marganor la legge fera
struggendo con sì facil tua vittoria,
questi duo re di carcer liberasti
e me di tanto oltraggi vendicasti,
35io vengo in nome qui di mia signora
a riverirti, e dir quel ch’udirai;
perché quanto avea scorso fin allora
che in quel castello, al tuo partir restai,
le scrissi e te, con Bradamante ancora,
di cortesia vèr me molto lodai,
e le narrai non pur d’ambe il valore
ma quel di quanti in Francia hanno splendore.
36Scriverle ancora, ahi dispietata sorte,
con mio grave dolor, costretta fui
del re di Gotia l’immatura morte,
già compagno e rival di questi dui,
perché poi che lo vinse la consorte
del tuo Ruggier, tal duol s’accolse in lui,
e crebbe sì dopo la tua partita
che infermo il rese e lo privò di vita.
37L’esser per man di femina abbattuto
gli passò il cor con aspra passione,
ma il suo mal raddoppiò lo aver potuto
femine ancor poi trarlo di prigione;
onde in men di duo mesi a lui sì acuto
grave dolor fu di morir cagione.
Da i Franchi intanto fu vinto Agramante,
e le nozze seguìr di Bradamante.
38Ond’io, poi ch’ebber quivi sepoltura
di quel misero re l’ossa infelici,
di trovar Carlo instandomi gran cura,
mentre a cose attendea liete e felici,
in via mi posi, e a piè, senza armatura,
m’accompagnàr questi miei fidi amici,
che un anno gir, da che fur superati,
giurar senza cavallo e disarmati.
39Ma l’aspra mia fortuna, d’oltraggiarmi
non sazia ancora, in quella ria contrada
lo scudo per viaggio fe’ rubarmi,
che ricovrato fu da la tua spada.
E perché non t’aggravi or l’ascoltarmi,
taccio ove e come seguend’io mia strada
da quelle genti nel rubar sì dotte
priva ne fussi la seconda notte.
40Né narro il grave duol, che morir quasi
mi fece, e divenir rabbiosaS | rabiosa e stolta;
né quanti nel cercarlo ho strani casi
scorsi, ove ebbi a morir più d’una volta;
né che di tentar cosa non rimasi
con gran dispendio, con fatica molta,
e con periglio estremo, errando un anno,
per riparar a tanto e tal mio danno;
41né come al fin da me trovato, e poi
da questi regi racquistato fusse,
perché non il voler gli orecchi tuoi
affaticar in ciò, qui ci condusse,
ma il bel desir di mia regina noi
a venirtiS | avenirti a trovar, non altro indusse,
perché dapoi che la mia carta ha letto,
un nuovo alto desir le ha acceso il petto.
42E quale ei sia saprai, leggend’io questo
foglio, ove ella così risposto m’have:
– M’è stato, Ullania, il tuo patir molesto,
e ’l fin del re di Gotia amaro e grave,
da che per amar me morto è sì presto,
e te convien che ’l servir me sì aggrave,
ma grata esserne a te ’l mio cor desia,
e ch’a lui requie il ciel perpetue dia.
43Or poi che dame han vinti e liberati
con l’arme tre sì forti cavalieri,
che meco d’avanzar s’eran vantati
i più famosi gallici guerrieri,
dame i tuoi gravi oltraggi han vendicati
quel reo struggendo e suoi statuti fieri,
e dame racquistàr lo scudo a nui
vo’ che di dame ei sia, non più d’altrui.
44E perché oggi Marfisa e la cognata
di più valor d’ogni altra donna sono,
e debbo ad ambedue mostrarmi grata,
quello e me stessa insieme ad ambe dono.
Ma sendo Bradamante accompagnata
col sposo, e seco assisa in real trono,
abbial sì degna vergine, a cui parmi
più convenirsi, or che più adopra l’armi.
45Così sapessi adoperarle anch’io
com’ho di saper ciò voglia infinita!
Nato allor questo è in me sì bel disio
che di guerriere tai la fama ho udita,
e già deliberato è nel cor mio
di venir tosto in Francia, ove sì ardita
dama seguendo, a guisa di scudiero,
di Marte impari l’esercizio fiero.
46Il popol mio, che di vedermi brama
congiunta a sposo, onde abbia erede il regno,
consente io venga ove ’l desir mi chiama
a porre in opra il mio viril disegno,
benché con suo gran duol, perché assai m’ama;
ma la real mia fé ben lascio in pegno,
per compiacergli di pigliar marito
poi che ’l ventesim’anno avrò finito.
47Diciasette infin qui n’ho corsi a pena,
e tre servir potrò la dama altiera,
pria ch’io mi leghi a marital catena,
come ch’io faccia ogni vasal mio spera.
E già d’alta speranza ho l’alma piena,
se duce è a me quell’inclita guerriera,
di far profitto, ond’io provar con l’armi
possa il valor di chi vorrà sposarmi,
48sì come aver mi scrivi Bradamante
già con l’armi provato il suo consorte.
Felice lei, cui il ciel diè per amante
e per marito un cavalier sì forte!
E felici le due, che ’l fier d’Anglante
e l’invitto Rinaldo ebbero in sorte!
Ma più colei può dirsi avventurosa
che di Guidon Selvaggio esser dèe sposa.
49Perch’oltre ch’è di senno e di valore
a i tre nomati eroi ne l’armi eguale,
giovane essendo più, più vita e onore
sperar ne può chi prenda sposo tale.
E quand’io per consorte e per signore
avessi un cavalier che tanto vale,
sì come già la morta Aleria l’ebbe,
tosto pensier mia mente cangierebbe.
50Perché non più indugiar vorrei tre anni,
ma celebrar le nozze oggi farei,
e d’avvezzarmi a i marziali affanni
ancor sarian più sazi i desir miei,
che, armata sempre e con succinti panni,
seguendo lui milizia apprenderei.
E qual più fedel guida e compagnia
trovar del proprio sposo in ciò potria?
51Ma perché indarno un tal marito spero?
Forse procurerà d’accompagnarlo
con la sorella invitta il buon Ruggiero;
l’onorata sua sposa e ’l Magno Carlo,
e la vergine egregia e ’l cavaliero
dovrebbon parimente anco bramarlo,
perché qual più conforme a le sue voglie
sposo trovar può l’una e l’altro moglie?
52Né miglior, né più nobile subietto
per consorte bramar puote egli et ella,
quando coniugal nodo il giovanetto
legar pur debba, e l’inclita donzella;
né potria uscir di seme più perfetto
stirpe più valorosa, né più bella,
onde unirsi volendo, com’io credo,
di grandi eroi la terra ornar gli vedo.
53Pur s’anco è vero ch’ella, qual mi scrivi,
sia di servar verginità disposta,
sdegnando sua grandezza con lascivi
effetti essere a l’uomo sottoposta,
io volentier, quando egli me non schivi,
sarò sua sposa. Or senza che risposta
mi mandi, ove tu sei, tosto m’aspetta,
ch’io venga a farmi a l’un di lor suggetta.
54Lo scudo intanto in dono a lei consegna,
ch’io voglio al tutto che suo dono ei sia,
benché aver lui per mio consorte degna
mi fesse il ciel, come il mio cor desia.
Anzi di quanto il mio pensier disegna
prendo per consigliera e guida mia
lei sola, e pienamente nel suo petto
la vita, il regno e ’l mio voler rimetto -.
Ullania chiede a Marfisa di dirimere la controversia dei re boreali circa il possesso di Artemidora e questa accetta di portare la loro causa davanti a Carlo (55-68)
55Così m’ha la regina mia risposto,
et io quanto m’impon vengo a far teco:
ecco che l’aureo scudo, cui disposto
ella ha già di donarti, io don ti reco.
Ma perché non ancor ti sia nascosto
il dritto de i duo re che son qui meco,
piacciati udirlo, ch’a la tua sentenza
dar voglion’ambi intera ubbidienza.
56Già noto esser ti dèe, poi che ognun sallo,
ch’era incantata quella lancia d’oro,
con cui già Bradamante da cavallo
gli trasse in terra col compagno loro,
onde, poi ch’essi in ciò non fecer fallo,
come credetter quando vinti foro,
non ne dovriano omai patir più affanno,
che pur troppo infin qui patito n’hanno.
57Anzi a me veramente par che quanto
più duol dopo il cadere hanno sofferto,
onde un ne morì, misero, che tanto
più con la mia regina sia lor merto.
Essi dicono a me, poi che l’incanto
di quell’asta fatal s’è discoperto,
che non avendo errato escluder fuora
non gli deve ella di sua grazia ancora.
58E credon, quando a lei scoprissi il vero,
ch’incanto gli abbatté, non forza altrui,
che rientrata in quel voler primiero,
cagion ch’in Francia già mandata fui,
lascieria che con questo e quel guerriero
di Carlo si provasser ambidui,
e che poi, qual di lor vittorioso
fusse co i franchi eroi, le saria sposo.
59Ma ciò non potend’io farle palese,
fin che venuta in Francia ella non sia,
però che al tutto dal natio paese
lei partita esser credo e già per via,
e volendo essi col valor francese
provar il lor senza altro indugio, pria
ch’ella qui giunga, a te con caldi preghi
chieggon che loro il tuo favor non nieghi.
60A le ragioni lor darai favore,
se de la mia regina la beltade
premio giudicherai del vincitore,
poi che sopra di quella hai podestade;
e, quando doverne esser possessore
chi vinca giudicar pur non t’aggrade,
ad ogni modo, se non d’acquistarla,
voglion far prova almen di meritarla.
61Ben è lor grave che non possano ora
provar di Carlo ogni guerrier più forte,
poi che, sì come è Orlando, non è ancora
Rinaldo e ’l tuo fratel ne la sua corte.
Ma più lor preme, che di carcer fuora
non sia ’l baron cui brama per consorte
la mia regina, per mostrargli or segni
con l’armi che di lui non son men degni.
62Dico il Selvaggio, che del re guascone
prigioniero esser fatto udito avemo.
Pur venir non potendo al paragone
con lui, ch’ambo n’avrian piacer estremo,
né con Ruggier, né col figliuol d’Amone,
basti ciò far col paladin supremo
signor d’Anglante, a cui s’a fronte stanno
ben con questi altri starvi ancor potranno».
63Tacque ciò detto la donzella accorta;
allor l’invitta vergine, che udendo
lei s’arrossi più volte e si fe’ smorta,
ch’altra amasse Guidon non le piacendo,
onde talor con vista oscura e torta
mirolla, troppo il senso in lei potendo,
diede al fin, col celar l’interno fuoco,
a la ragione e a la risposta loco:
64«Tanto la mia persona onor non merta,
Ullania mia, che di sì gran regina
debba la servitute essermi offerta;
ella per cortesia troppo s’inchina,
ché s’apprender milizia e farsi esperta
pur brama in così nobil disciplina,
dèe col suo sposo in quella esercitarsi,
non meco, poi ch’a sposo è per legarsi.
65Né ch’abbia altro marito onesto parmi
che l’un di questi suoi fedeli amanti,
quando degni di lei per virtù d’armi
si mostrin, com’io credo, a Carlo avanti.
Dello scudo ch’a lei piace donarmi,
grazie le rendo, poi che me fra tanti
vuole onorarne, ma ragion ch’io ’l prenda
non è, perché il vincente non ne offenda.
66Prendendol so che ingiustamente offesa
del vincitore al merto ne farei,
se posseder, chi vincerà l’impresa,
dèe quello ancor con la beltà di lei.
Tal fu la legge e s’è non vilipesaS | vili pesa
da te, ch’esecutrice esser ne dei,
le scudo a Carlo porta, e sol le cose
dirai che tua regina pria t’impose.
67Quell’altre tacerai, che scritte ha poi,
perché scritte giamai non l’avrebbe ella,
s’era palese a lei, sì come è a noi,
che incanto questi re trasse di sella.
Or hai l’occasion, s’ottener vòi
l’intento primo di tua donna bella,
perché avendo a giostrar diman la nostra
corte, anco a lei servir può questa giostra.
68Teco a introdurti a Carlo vengo anch’io,
con dir che per la vecchia conoscenza
che di me tieni, adopri il mezzo mio
per gir avanti a sua real presenza.
Andiam, ch’egli adempir può ’l bel desio
di tua regina, e non aver temenza
d’errar la carta sua non ubidendo,
che sopra il capo mio tal carco prendo».