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L’amor di Marfisa

di Danese Cataneo

Canto III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 24.02.15 12:49

Ambasciata di Ullania al re: Carlo, su suggerimento di Marfisa, impone che i due re boreali concorrano per aggiudicarsi Artemidora e bandisce la giostra (1-12,2)

1Così risposto la donzella ardita,
le rendon grazie Ullania e i re stranieri.
Van seco a Carlo, ove ella a gir gli invita,
ch’è assiso in mezzo a duci e cavalieri;
Marfisa ottien che sia la dama udita,
mentre ognun mira quella e i duo guerrieri,
ond’ella umile allor con riverenti
modi scioglie la lingua a tali accenti:

2«Invittissimo re, la cui potente
destra difende la cristiana fede,
e per tutto ove alberga umana gente,
riverire e temer fa la tua fede;
a te, di cui più giusto e più prudente
principe il sol non vide mai né vede,
la regina onorata de l’Islanda
s’inchina, e me sua ambasciatrice manda.

3Ella, che non ha sposo, et è creduta
la sua beltà d’ogn’altra esser maggiore,
d’ognun l’offerte a lei nozze rifiuta,
s’in arme non ottiene il primo onore.
E benché sian tra quanti l’han voluta
questi due cavalier d’alto valore,
e fatte abbian per lei stupende prove,
pur non però del suo parer si muove.

4Ma perché è fama aver ne la tua corte
ricetto ogni baron ne l’armi egregio,
spera in quella trovarne un così forte
ch’ogni altro al mondo sia di minor pregio.
Brama un cavalier farsi consorte,
sia senza stato o sia di titol regio,
parendo a lei che non ricchezza o regno
ma virtù faccia l’uomo illustre e degno.

5Però ti manda un aureo scudo altero,
di varie e belle immagini scolpito,
con prego ch’al miglior d’ogni guerriero
lo dia, perché da lui sia custodito.
Guadagniselo poi quel cavaliero
che vòl di mia signora esser marito;
come o guadagnar quello o perder seco
voglion la vita i due che son qui meco.

6E ben ve la perdette un altro amante
di lei, che real seggio in Gotia tenne,
perché a provar la sua fra tali e tante
tue spade anch’ei con essi in Francia venneS | vene;
ma vinti essendo poi da Bradamante,
a cui con tutti tre giostrar convenne,
n’ebbe ognun sì gran duol, ch’un anno ir senza
l’armi e ’l destrier si tolse in penitenza.

7Estremo fu il dolor che i cuori afflisse
a questi due pe ’l ricevuto scorno,
ma quel ch’al terzo l’anima traffisse
fu tal che ’l trasse a l’ultimo suo giorno.
Piacque al ciel poi che tosto si scoprisse
e n’andasseS | en’andasse la fama d’ogn’intorno
esser fatta la lancia per incanto,
che fece a i tre amatori oltraggio tanto.

8Così chi lo scoprì l’avesse pria
che morisse quel misero scoperto!
Come or vivrebbe, e qui nosco saria,
perch’anco il suo valor vi fusse aperto!
Or da i compagni suoi provato sia
co i tuoi guerrier chi in arme è di più merto;
et ecco il bello scudo, a te ’l consegno,
ch’esser del vincitor dèe premio degno».

9Così dicendo al re porge il pregiato
scudo ch’in mano una sua dama tiene,
e, ricevutol ei, con volto grato
«Donna,» risponde poi «ben si conviene
di tal regina l’animo onorato,
col nome di beltà ch’unico tiene,
poi che non bel desia né ricco sposo,
ma sol più ch’altri in arme valoroso.

10E veramente d’un marito è degna
ch’oggi in cavalleria non aggia pare,
ché se la forma sua fa ch’ella tegna
grado sopran tra le beltà più rare,
mostra il desir che nel suo petto regna
lei di senno ogni donna altra avanzare,
onde avrà ben colui felice sorte,
che di sì egregia dama sia consorte.

11Ben mertan questi due tanta ventura
goder tra quanti sono uomini e foro
se l’amor che le portan sì misura,
e quanto per lei fatto han l’armi loro.
Ma poi ch’alcun lor merto ella non cura,
non acquistando il ricco scudo d’oro,
e vuol che la mia corte lo difenda,
dimane a questo fin giostra s’attenda».

12Ciò detto, i regi accoglie e la donzella,
poi degno a tutti alloggiamentoS | allogiamento dassi.
Del campo intanto in questa parte e in quellaLa giostra viene preparata con sfarzo; seguono i primi scontri: restano in gioco solo i re boreali, la cui battaglia è rimandata da Carlo al giorno seguente (12,3-46)
saper per real bando a ciascun fassi
che nessun per lo scudo de la bella
regina destrier muova o lancia abbassi
se non chi lei per moglie aver desia,
perché marito il vincitor le sia.

13Da tal legge a più d’un che disposto era
giostrar sol per lo scudo il farlo è tolto:
a quel perché non privo di mogliera,
a questo per amare altro bel volto.
Non vuol chi altra donna brama o spera,
né chi da nodo tal viver dèe sciolto,
onde il re pochi ha cavalieri in corte
che giostrin per volerla per consorte.

14Ben per lei guadagnar pugnato avria
de l’invitto Rinaldo ogni fratello,
ma due di lor contra la gente ria
de la Sassonia andati eran con quello;
tra i Bulgari andò l’altro in compagnia
del cortese Ruggier, lo re novello,
che ’l premio allor godea con Bradamante
de l’amorose lor fatiche tante.

15Giostrato avrian per quella anco i pregiati
di Namo eredi, e corso ogni periglio,
se con Carlo a Pavia fussero stati,
come altrove eran col maggior suo figlio.
Con Carletto in Guascogna erano andati
e col lor padre pien d’alto consiglio,
ove ancor di Vienna andò il marchese
e colui ch’a Marfisa il petto accese.

16Non men la giostra essendovi schifava
per tal regina Astolfo d’Inghilterra,
ma solo allor gli Antipodi cercava,
bramoso di veder tutta la terra.
L’arme in tanto e i cavalli apparecchiava
la gioventù più valorosa in guerra,
che sì bella e sì nobile mogliera
con la lancia acquistar disposta s’era.

17Mentre ciascun s’adopra per più adorno
entrar di tutti e meglio armato in giostra,
il sol, già corso più di mezzo il giorno,
l’ora prefissa al fiero giuoco mostra.
Allora il re, co i franchi duci intorno,
tra lieti suoni, con superba mostra
vien ne la piazza ove combatter dessi,
e in seggio altier s’asside ivi con essi.

18Seder tra i primi principi e più eletti
Marfisa, Orlando e ’l buon Turpin si vede,
e con molti altri illustri giovinetti
Luigi, che fu poi di Carlo erede,
Dudon santo e Grifon, guerrier perfetti,
né tra gli ultimi Gan l’iniquo siede.
Già di cavalli e d’uomini è sì piena
la piazza, e d’arme, che gli cape a pena.

19Non con più maestà gli antichi Augusti
sedendo ornàr gli anfiteatri alteri,
quando i romani giovani robusti
v’esercitàr di Marte i giuochi fieri,
di quella onde venuto in campo fusti,
Carlo, seder tra tanti cavalieri,
che né quei fur di te più degni eroi,
né i lor più chiari ancor de i duci tuoi.

20Cinque di Francia i giostratori sono
che oppor si denno a i due rivali amanti,
e già le trombe con terribil suono
del venir lor dan segno a gli aspettanti.
Rallegra e infiamma gli animi il lor tuono,
eccogli in piazza giugner tutti quanti.
Nobile compagnia con pompa altera
ne vien con essi in ordinata schiera.

21Colma di gaudio ognun l’apparir loro,
va il lieto militar grido a le stelle.
Lampeggian l’armi, adornan gemme et oro
le livree, e l’imprese altere e belle;
loda altri l’invenzione, altri il lavoro,
queste più ricche son, più vaghe quelle.
Nitriscono i cavalli e sembran fuoco,
mentre il suon de le trombe empie ogni loco.

22Eran gli illustri barbari amatori
de la NorveggiaS | Novergia e di Svezïa regi,
et ambo innanzi a gli altri giostratori
venian con arme ricche d’aurei fregi.
Per esser re stranieri or questi onori
lor fanno gli altri cavalier egregi.
Da loro e da molti altri accompagnati,
entran ne’ marziali ampi steccati.

23Quivi, fatta di lor più altera mostra,
in due piccole schiere son divisi,
e a’ luoghi andando ch’altri lor dimostra,
volgon l’un contra l’altro i fieri visi.
Stan quei che giudicar debbon la giostra
quivi in bei seggi con Ullania assisi.
Legato in mezzo a lor lo scudo pende,
che d’aurei lampi d’ogni intorno splende.

24I primi a cominciar sì fiera danza
son l’ardito Beltramo e ’l forte Ernando,
quello di Bertolagi di Maganza
è figlio, e questo del signor normando.
Già scuote a tutti il cor tema e speranza
che stan l’incontro lor dubbi aspettando.
Danno il segno le trombe a i cavalieri,
allentano essi i freni a i lor corsieri.

25Quei sembrando saette spinte e mosse
da forte arco d’acciar, sen vanno a volo.
Abbassano i guerrier le dure e grosse
lance, e al lor fiero incontro trema il suolo.
Fan Beltramo cader l’aspre percosse
e stordir di Riccardo anco il figliuolo;
nel petto il maganzese il colpo greve
e ne la fronte Ernando lo riceve.

26Esce il caduto giovane, di rabbia
colmo e di duol, de lo steccato fuore.
Ma l’altro, ancor che i sensi al fin riabbia,
che avea smarriti, e appaia vincitore,
pur fu sì presso a gir sopra la sabbia
ch’ognun vederlo in sella ebbe stupore,
perché lasciar le staffe, e in su ’l destriero
riverso il fe’ cader lo scontro fiero.

27Ma ripreso il vigore, un’altra lancia
per giostrar nuovamente altiero prende.
Gli vien contra Gisuarte, a cui la guancia
non anco il primo pelo adorna rende,
ma però tra i più degni eroi di Francia
già in sì verdi anni il suo valor risplende.
Minor fratel del forte Sansonetto
è questo ardito e fiero giovinetto.

28Desiata gran tempo occasione
di pugnar con Ernando avea costui,
né men di venir seco a paragone
vago il forte normando era di lui:
una d’arme onorata emulazione
accendea questa voglia in ambidui.
Veder tal prova ogni altro ancor bramava
per saper chi di lor più meritava.

29Tacer fa intanto i mormorii, già desti
tra i parziali de’ garzoni arditi,
la tromba, e par che muto il campo resti,
tosto che i bellicosi annunzi ha uditi.
A pena dato il segno esser diresti
che ambidue si son mossi, ambi feriti;
colto è il normando alter nel braccio manco
e ’l fier Gisuarte nel sinistro fianco.

30Piega a forza in arcion l’incontro e scuote
l’onorato fratel di Sansonetto,
ma il suo avversario già piegar non puote,
ché scarso il colpo fu del giovinetto,
ond’ei se ne arroscisce ambo le goteS | gotte,
l’altro s’adira ch’al suo incontro ha retto.
Nel campo alto rumor di voci s’ode
accusare e scusar, dar biasmo e lode.

31Pugnar di nuovo insieme è da gli altieri
giovani chiesto, e lor non è concesso,
perché più d’una volta due guerrieri
non doversi affrontar Carlo ha commesso.
Ben rigiostrar con gli altri cavalieri
franchi è lor dato, e ch’in un tempo stesso
ciò faccian anco a l’uno e a l’altro è imposto,
perché in giostra i due regi entrin più tosto.

32Ordinò Carlo, che co i regi amanti
non s’affrontasse in giostra alcun campione,
se non avesse tutti gli altri avanti
sospinti ad un ad un fuor de l’arcione.
Né volea che venisser due giostranti
però più volte insieme a paragone,
perché con più prestezza al vincitore
potesse opporsi il barbaro valore.

33Van da l’un lato Ernando e ’l fier Gisuarte,
irati ch’ambo indarno abbian conteso.
Di Grifone il fratel da l’altra parte,
e Baldovin le lancie hanno già preso.
Di questi quattro tuoi seguaci, o Marte,
con somma attenzion l’incontro è atteso,
ma già, del militar rame canoro
al suon, muovon veloci i destrier loro.

34Non con volo più ratto e più furore
Settentrione e Borea, Affrico et Ostro
girsi incontra veggiam cinti d’orrore
quando pugnan tra lor per l’aer nostro,
né con impeto urtarsi anco maggiore
di quel che allor nel bellicoso chiostro
correr quei fieri giovani a incontrarsi
fur visti, e d’urto orribilmente darsi.

35Rimbomba sì ch’altrui porge spavento
de i gravissimi incontri il suono orrendo.
Volano al ciel le lancie in più di cento
schieggie, una folta grandine facendo.
Ernando e Baldovin con ardimento
e forza egual l’un l’altro percotendo
a un tempo ambo s’atterrano egualmente,
e preme gli altri due nuovo accidente.

36Però che i lor cavalli furiando,
cozzano insieme a guisa di montoni:
l’un si stordisce e l’altro muor, restando
però i signori lor sopra gli arcioni.
Baldovin de le sbarre esce e ’l normando,
e sol vi lascian gli altri due campioni,
a’ quai si danno altr’aste, altri corsieri,
perché affrontino i barbari guerrieri.

37In man le lance i regi hanno già tolte,
de la vittoria o di morir bramosi;
fur l’altrui viste in lor tutte rivolte,
per notar d’ambo gli atti generosi,
ch’essendo fama aver gran prove e molte
fatte i reali amanti valorosi,
a tutti alto desir pungeva i petti
veder s’eguali al nome avean gli effetti.

38Ecco intanto a gli arditi cavalieri
ferir l’orecchie i marziali accenti.
Sembran folgori al corso i lor destrieri,
se paruti son gli altri orribil venti.
Assordan col lor suono i colpi fieri,
e ingombran l’aria di faville ardenti.
Scontra il svezio il figlio d’Uliviero,
Gisuarte l’altro barbaro guerriero.

39Gravemente percosso è ne l’elmetto
l’onorato signor de la Norveggia,
sì ch’a dietro piegarsi in guisa è astretto,
ch’ei lascia il freno, e par che cader deggia.
Ma de l’asta sua rotta al giovinetto
Gisuarte entra in un omero una schieggia,
perché, cogliendo ove il braccial s’allaccia,
rompe la fibbia, e ’l legno al vivo caccia.

40Tosto il fiero garzone, acceso d’ira,
sanguigno il trae con la sua destra fuore;
per terra il gitta, e verso il ciel sospira
che acquistar gli si vieti un tale onore.
Così Aquilante il suo avversario mira,
sdegnoso ch’ei l’agguagli di valore,
perché ambidue si rupper ne gli scudi
l’aste, e resser di par gli incontri crudi.

41Pari di merto tutti quattro in questa
giostra i forti guerrier son giudicati,
pur de’ barbari sol la coppia resta
dentro, e l’altra esce fuor de gli steccati.
Vuol così Carlo, a cui par cosa onesta,
che più tosto i due regi innamorati
abbian, che gli altri due, la donna bella,
poi che son contra lor rimasti in sella.

42Perché se lei per militar virtute
mertan non men de i due giovani arditi,
per saldo amor, per lunga servitute
vie più son degni d’esserle mariti.
Comanda il re ch’in giostra risolute
tra lor de l’aureo scudo sian le liti.
Ricusano essi che sol l’asta sia
ch’una vittoria tal lor tolga o dia,

43dicendo che commetter ne le spade
vogliono in tanta impresa la lor sorte,
disposti o d’acquistar l’alta beltade
o guadagnarsi una lodata morte.
Consente Carlo a ciò, ma perché cade
già ne l’Ibero il sol con guance smorte,
al nuovo giorno prolungando questa
battaglia, ha fin quel dì l’altera festa.

44Segno ne fan con alti allegri suoni
tamburi e trombe e militari accenti.
Smontan del palco Carlo e suoi baroni,
e disgombran la piazza l’altre genti.
Egli e’ suoi duci a i regi padiglioni,
e tornan gli altri a i propri alloggiamenti;
indi la copia da la regia mensa
cibo a tutto l’esercito dispensa.

45Cenar fa seco il re tutti i più egregi
duchi, e ciascun secondo i merti onora,
ma sopra tutto i duo barbari regi
più favorisce, e la donzella ancora,
la qual l’alta bellezza e i sommi pregi
narra de l’onorata sua signora,
il senno e la beltà ch’in lei riluce,
tal che quivi ad amarla ognuno induce.

46Poi ch’ebbe fin la real cena altera,
u’ la copia e ’l diletto ministraro,
piovendo omai la notte umida e nera
i dolci sonni, a posar tutti andaro.
Ma i due che debbon far la pugna fiera,
stan quasi desti ognior fin al dì chiaro,
e se pur gli occhi loro il sonno preme,
si sognano a battaglia essere insieme.

Preparazione del duello privato tra Argante e Germando (47-63)

47Ecco, che avendo il sol co i biondi crini
dipinta l’aria di color di fuoco,
a ritrovar i due re vanno i padrini
che den condurli al bellicoso giuoco.
Gli guidano a invocar prima i divini
soccorsi, a adorar Cristo al sacro loco;
quivi offerti a l’altar doni e promessi
voti, a le tende lor tornan con essi.

48Dudon con l’un, Grifon con l’altro resta,
ch’essi fur de i due re padrini e guide;
ognun di lor ne la memoria desta
quanto oprar seppe mai con l’armi fide,
com’un si scherma dal piede a la testa,
com’or tarda la spada or ratta guide
mostra al suo combattente, e come e quando
contrastar col pugnal debba e lottando.

49E in util d’ambidue con egual cura
ognun l’apparecchiate armi rivede.
A l’uno e a l’altro Carlo una armatura
da pedestre guerrier la sera diede,
però ch’ambi provar tanta ventura
disposer leggermente armati e a piede,
perché solo il valor del cavaliero
vinca, e non la virtù del suo destriero.

50Vestir sol coscie, busti, braccia e teste
posson quest’armi de le membra loro.
L’armi di ferree lame son conteste,
confitte in un da spessi chiodi d’oro;
seta le copre di color celeste,
e sopra quella, con gentil lavoro,
composti i chiodi in forma d’auree stelle
le rendono oltra modo ornate e belle.

51Maggior l’una de l’altra è alquanto, come
di membra l’un de l’altro anco è maggiore.
Il norveggio è il minor, che Argante ha nome,
ma più massiccio e rosso di colore.
Bianco è il svezio, e bionda barba e chiome,
detto Germando, cui più affliggeS | afflige Amore,
perché vie più che Argante ama costui;
d’età son pari, e giovani ambidui.

52Avea già Febo del diurno usato
camin la sommità di fiamme accesa,
quando, in piazza lo stuol sendo adunato
per veder de i due re l’alta contesa,
vennevi da la corte accompagnato
il difensor de la romana Chiesa,
che l’uno e l’altro barbaro signore
tenea per man, per far ad ambi onore.

53Le trombe a l’apparir de i combattenti
e del gallico re l’aria intonaro,
onde gli spettatori a tali accenti
et a tal vista gli animi allegraro.
I duo padrini ad eseguire intenti
l’attesa pugna ne le sbarre entraro,
ma prima entrovvi Orlando cui in sua vece
Carlo quel dì signor del campo fece.

54V’entran sol de le spade armati e a piede,
bench’uno, oltra a spada, un’asta ha in mano,
e questi è di Milon l’invitto erede
come signor del campo e capitano.
Ma già de lo steccato il suol rivede
Dudon forte, e Grifon s’è saldo e piano.
Già mettono a le sorti ivi il vantaggio
del loco ove men nuoce il solar raggio.

55A Dudon tocca, onde nel campo allora
entrar fa da quel lato il suo guerriero;
così fa il suo Grifon da l’altro ancora,
bench’ivi fusse il sol nocivo e fero.
Lesse l’araldo poi senza dimora,
sì ch’udì l’uno e l’altro cavaliero,
Orlando e i lor padrini; lesse i patti
ch’insieme avean per la battaglia fatti:

56«I patti son che ’l vincitor la bella
regina in premio, e l’aureo scudo ottegna».
Gli riconferma questa parte e quella,
poi l’armatura ad ambi si consegna.
L’Angelo intanto, a cui muover la stella
di Venere diè Lui ch’eterno regna,
dal ciel rimira con pietoso ciglio
de i due guerrieri il prossimo periglio.

57Vede ambi omai con animi crudeli
l’un contra l’altro il ferro indosso porsi;
e perché osservatori eran fedeli
de le sue leggi, vòl che sian soccorsi,
tal ch’egli fa pietà scender da i cieli
nel sen d’Ullania, e con acuti morsi
trafiggere il cor suo per li due amanti
che combatter allor le denno avanti.

58Ond’ella a Carlo, al cui sublime scanno
sedeva a canto, umil parla in tal guisa:
«È pur gran danno, o re, pur fia gran danno,
ch’oggi sia qui sì nobil coppia uccisa.
So ch’ambidue la vita si torranno
se la pugna tra lor non è divisa,
perché è ciascun di lor sì ardito e forte
che per l’onor disprezzerà la morte.

59Deh, dunque non lasciar ch’un l’altro uccida,
ma tra lor breve spazio si contrasti,
e benché il ferro a fatto non decida
la lite lor, tu per troncarla basti;
né de la mia regina, che per guida
t’elesse, sian però gli ordini guasti,
se adoperata che avranno ambi la spada
per sposo un le ne dai, qual più t’aggrada.

60E questo far con pace d’ambidue
né grave a te, né faticoso fia,
perch’un d’essi a pugnar tra l’armi tue
venne non più per la signora mia
che per sfogar l’amoros’ire sue
contro la nobil dama di Prussìa,
la qual da lui, che l’ha gran tempo amata,
per uno ingiusto sdegno fu lasciata.

61E perché allor la mia regina impose
la legge de lo scudo a chi più l’ama
con gli altri a tale impresa anch’ei si pose
per oltraggiar l’abbandonata dama.
Ma ben ch’ei tenga le sue voglie ascose,
ben so che lei più ch’altra donna brama,
e ch’ella e ’l padre suo non men desia
che sposo sopra ogni altro egli le sia.

62Costei che nulla di virtute, e poco
a la signora mia di beltà cede,
per lui si strugge in amoroso fuoco,
e del paterno scettro è sola erede.
Or tu che tra i più saggi hai primo loco,
poi che ciò far a te sol si concede,
questi due amanti e queste due donzelle
conserva, e gli accompagna ambi con quelle».

63Qui tacque, e Carlo a lei benignamente:
«Piacemi aver questa ragione udita,
perché così sarà più agevolmente
la buona intenzion nostra eseguita,
avendo anch’io già fermo ne la mente
ad ambi questi re salvar la vita.
E benché or segua l’ordinata pugna,
provisto ho ancor ch’a tempo si disgiunga».