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L’amor di Marfisa

di Danese Cataneo

Canto IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 18:31

Battaglia notturna tra le schiere di Albino e Orlando: Orlando resiste al primo squadrone longobardo (1-28,4)

1Or rinforza, tu Musa, alza e rintuona
il roco, basso e debole mio canto,
che ’l gran furor di Marte e di Bellona
ridir non può senza ’l tuo aiuto santo;
lascia l’onde sacrate d’Elicona,
e meco a canto al Po t’assidi alquanto,
sì ch’al suon de’ tamburi e de le trombe
chiara la voce mia per te rimbombe.

2Già de le faci il lume e de gli ardenti
fuochi, onde il franco alloggiamento splende,
gli occhi d’Albin ferisce e di sue genti,
e già discernon padiglioni e tende.
Già a mezzo il ciel salita a passi lenti
la notte a gli antri suoi men tarda scende,
quando a men d’un trar d’arco a gli steccati
Franchi s’appressa Albin co’ suoi soldati.

3Orlando, ch’esser tregua tra i nimici
sapeva e Carlo, e pace anco aspettarsi,
posto non avea cura a i chiari indici
del suo periglio nuovamente apparsi,
onde senza temer cose infelici,
bada il suo stuol, dormendo, a riporarsi,
mentre muti a le tende i Longobardi
accostando si fan con passi tardi.

4Et ecco che color cui son commesse
le guardie scopron l’inimico inganno,
ond’«Arm, arm, arme» con voci alte e spesse
gridando, arditi incontra a lor si fanno.
Deste son le persone meno oppresse
dal sonno a i gridi ch’a le stelle vanno,
et «Arm, arme» iterar ciascun che gli ode
si sente, e farne rimbombar le prode.

5Scorre per l’ossa a i paurosi un gielo,
gli arditi a tal gridar s’arman veloci.
Subito i Longobardi alzano al cielo
ogni bellico suon, tutte le voci,
si squarciano da l’arme il negro velo,
e i Franchi ad assalir corron feroci.
Candida, larga attraversata fascia
veder sopra gli usberghi ognun si lascia.

6Spiegano altiere i lor vari colori
l’insegne, per gli oscuri aerei campi;
feriscon gli occhi, e fan tremar i cori
del nudo acciar gli spaventosi lampi;
alzan tamburi e trombe aspri rumori,
par ch’entrar ne le sbarre ognuno avampi,
le guardie, aste adoprando, dardi et archi,
ostan ch’el fosso alcun di lor non varchi.

7Già a rosseggiar comincia il verde smalto,
già i gridi e i suoni son da lunge uditi.
Si sveglian tutti a fatto al fiero et alto
rimbombo quei che dormono, e smarriti
dal grave orror del repentino assalto,
con arme e senza, sparsi e disuniti,
chi per difesa sua, chi per suo scampo
di qua, di là correndo erran pe ’l campo.

8Tal, se mentre la notte ognun riposa,
fuoco improviso e orribile s’appiglia
in gran palazzo, dove numerosa
stanzi col signor suo real famiglia,
ella, svegliata da l’impetuosa
fiamma, tosto ch’a quella alza le ciglia
qua corre e là, confusa, e qual via prenda
non sa perché l’incendio non l’offenda.

9Giugne tra queste genti spaventate
Orlando, che al rumor con molti è corso,
e grida: «Or dove sì confusi errate?
Onde tanta viltà? Perché soccorso,
miseri, a voi medesimi negate?
Chi vi fuga, e spaventa? Sol ricorso
al ferro aver possiamo, armivi il core
l’usato ardir, scacciate il van timore.

10Vane apparenze di nimica offesa
la paura e la notte vi dimostra,
e se l’ardire e ’l lume a voi palesa
il ver, vedrà ’l suo error la mente vostra;
ma sia che vuol, ch’a noi schermo e difesa
solo, oltra Dio, far può la spada nostra:
dunque adopriam le spade, invochiam Dio
che il primo servitore esser vogl’io.

11Su fratelli, su figli, su compagni
volgiamo a questi iniqui il ferro e ’l petto;
prendete ardir, che i soliti guadagni
non pur, ma i gradi accrescervi prometto.
Or via, che tutti armato n’accompagni
l’Angel di Dio, dal qual vittoria aspetto.
Alzino il suon le trombe, e con ardite
grida e con pronte mani or mi seguite».

12Così dice, et ognuno al cielo alzando
le voci intorno a lui si stringe e serra,
come intorno al lor re fan l’api, quando
muovono armate a’ lor nimici guerra.
Fremon di Marte i suoni e rimbombando,
sembra tonar il ciel, muggir la terra;
con suon sì orrendo e con sì alte grida,
seguono arditi l’onorata guida.

13Et egli innanzi a tutti, «Avanti, avanti!»
gridando, il primo a gli steccati corre;
e le sue guardie, che nimici tanti
più non posson frenar, tosto soccorre,
come i Troiani allor che più tremanti
fuggian pe ’l campo soccorreva Ettorre,
quando strage ne fea, col forte Aiace,
il fiero Achille et ogni suo seguace.

14«Ah fidi amici, ah forti combattenti,
eccovi aiuto, or rinfrancate i cori»,
dir s’ode Orlando, e le nimiche genti
urta e percuote ov’han forze maggiori.
Il primo che del numer de’ viventi
gli orribili suoi colpi traggan fuori,
è il primo che a sua vista s’appresenta,
che altier sopra le sbarre ascender tenta.

15A costui ch’ivi alzar pugna, e contrasta
da molti altri seguito la sua insegna,
trapassando l’uno omero con l’asta
temerario esser men, ma tardi, insegna.
Fu il secondo un guerrier che rompe e guasta
l’alto steccato ov’egli entrar disegna;
con una grande accetta lo percuote,
e già rotto l’ha sì che entrar vi puote.

16Costui che quasi ha membra di gigante,
e di cento soldati è capitano
trafitto è sì dal principe d’Anglante
che, tratto un grido orribil, cade al piano.
Cade sopra le sbarre ch’egli ha inante,
fracassa quelle, il suon s’ode lontano;
ond’ei ch’entrarvi e romperle vivendo
volea, le rompe et entravi morendo.

17Sembra una grande annosa quercia alpina
che dal ferro o dal vento rotta o tronca,
spezza, cadendo, l’arbore vicina;
e ne geme ogni valle, ogni spelonca.
Mentre giù sì gran corpo ivi ruina,
alza un soldato una tagliente ronca
sopra il conte di Brava, in quel che spinta
gli ha contra l’asta sua di sangue tinta.

18L’asta una poppa al misero trapassa,
benché d’usbergo fin s’armi e di maglia;
ei l’innalzata ronca intanto abbassa
e l’inimica lancia a mezzo taglia:
ma che gli giova, se la vita lassa,
senza che di colpo tal si prevaglia?
Anzi, perché dal paladin accende
l’ira, i compagni suoi molto n’offende.

19Qual se de l’Appennin per l’aspro dorso
scendendo il verno rapido torrente
gli abbia tronco un gran masso il fiero corso
crescon sì l’acque sue subitamente
che ’l sasso avanza e, sopra quel trascorso,
riprende il suo camin più violente,
e seco arbori e sassi in giù traendo
ruina al fondo con rimbombo orrendo,

20tale essendo di Roma al senatore
tronca la lancia, e del ferir la strada,
fassi l’impeto in lui molto maggiore,
e tratta fuor la fulminante spada,
segue al ferir la via con più furore.
Fa ciascun colpo suo ch’un guerrier cada,
e più tal volta, empiendone quel fosso
già del lor sangue orribilmente rosso.

21Piegan già a dietro i miseri, che forza
da resister non han; ma il forte Ugone,
d’Albin locotenente, gli rinforza,
ché al lor piegar con alto ardir s’oppone;
anzi a spingersi avanti anco gli sforza,
benché di più lor mal ciò sia cagione,
perché tanti al morir n’affretta quanti
al loro ucciditor ne spinge avanti.

22Feroce toro tra rabbiosi cani
che ne trae con le corna in aria parte,
e parte in terra ne percuota e sbrani
di Milon sembra il figlio, anzi di Marte,
il qual, già stretto il ferro ad ambe mani,
e braccia e busti e capi or tronca or parte,
d’ogn’intorno spargendone aere e terra,
e ferendo ove più lo stuol si serra.

23Imitarlo si sforzan, con altrui
strage e ruina, i suoi seguaci tutti,
da i quali uccisi i miseri e da lui
fanno a le stelle udir gli estremi lutti.
Ma visto Ugone il paladin, la cui
spada ha i soldati suoi sparsi e distrutti,
da dodici guerrieri arditi e fidi
seguito, affronta lui con alti gridi.

24Sei di spade a due man, d’acuti spiedi
son gli altri armati, egli una lancia ha tolta;
splendon di bianco acciar dal capo a’ piedi,
piuma adorna i lor elmi lunga e folta.
Cinger lor tosto Orlando e ferir vedi;
gli è da l’asta d’UgonS | Gli è da l’asta Ugon la gola colta;
gli colgon gli altrui ferri il capo et ambe
le braccia, i fianchi, gli omeri e le gambe.

25Ma urtar a tutti adamantina ruota
d’un lungo acuto ferro armata sembra,
col cui taglio girando ella percuota,
squarci e tronchi aspramente le lor membra,
perch’ei, che attorno orribilmente ruota
la spada, tosto ognun lacera e smembra:
a tre le gambe, a quattro il collo, a due
troncan le braccia le percosse sue.

26Da l’omero sinistro, al dritto fianco
taglia un di questi miseri a traverso,
un dal costato destro al lombo manco
ne recide in due tronchi d’un riverso.
Dal capo al ventre fende l’altro, et anco
al forte Ugon nel petto ha il ferro immerso.
Egli è l’ultimo ucciso, perché scudi
gli altri gli fur da i colpi orrendi e crudi.

27Al cader del lor misero rettore,
e di quei dodici uomini sì forti,
colmi i soldati suoi d’alto terrore,
fuggon davanti a l’orride lor morti,
qual gregge che atterrar vede il pastore
dal lupo, ch’a lui intorno i cani ha morti,
esterrefatto fugge, e si confida
nel fuggir sol, perdute e guardie e guida.

28Mentre in tal fuga lor, gli impetuosi
Franchi strazio maggior fanno di quelli
che non fan lupi a punto, e i più rabbiosi,
d’abbandonate pecore et agnelli,
a canto al Lambro ancora sanguinosiAlbino uccide il giovane Lelio, quindi è stordito da Orlando (28,5-58,2)
fannosi i prati e orribili macelli,
ch’ivi accesa ha Sifulfo, e la sua schiera,
contra il forte Grifon battaglia fiera.

29Grifon, c’ha in guardia i franchi alloggiamenti
che son su ’l Lambro, a sì improviso assalto
ristrette insieme le sue sparse genti,
che sbigottì terror subito et alto;
scostar fa da le sbarre i fraudolenti,
del lor sangue tingendo il verde smalto,
e mentre i suoi con gli altri hanno contesa
egli aspra pugna con Sisulfo ha presa.

30Ma perché in questa asprissima battaglia
taccio del fiero Albin gli empi furori?
Ei, qual leon famelico che assaglia
d’improviso un armento e suoi pastori,
che ben che de le corna assai si vaglia
contr’esso alcun de’ più feroci tori,
scanna quel , questo atterra, altri ne smembra,
tuono al ruggir, lampo al guardar rassembra,

31tal ei d’uccider uomini bramoso,
ben che gli volga ognun la fronte ardito,
di mille aspre lor piaghe sanguinoso
fa crudelmente il ferro e ’l verde lito.
Aggiugne a i colpi suoi sì spaventoso
gridar, che con tremor da molti è udito;
le viste ancor con l’armatura offende,
che quasi fiamma orribilmente splende.

32D’acciaio di color di fiamma ardente
cui fregia argento ha le sue membra armate;
rosse penne ornan l’elmo suo lucente,
or qua, or là dall’aria ventillate.
Quindici cavalieri similmente
armati ha seco d’alta nobiltate;
costor, c’ha sempre a canto, strage orrenda
fan seco di ciascun che si difenda,

33benché omai pochi più da furor tanto
si procaccin con l’arme ivi difesa;
anzi la fuga, poi che fatto han quanto
possono, per riparo è da lor presa.
Ma il bel Lelio nipote al Pastor santo
che allor reggeva la romana Chiesa,
a rivoltar la fronte gli costringe
e contra al fiero duca indi si spinge.

34Questo onorato giovane romano
di cui il più bello in quella età non era,
e cui tenne il Pontefice Adriano
suo zio di Francia ne la corte altiera,
l’insegne anch’ei del paladin soprano
allora seguitò con la sua schiera;
onde, alloggiando presso al loco dove
combatte Albin, vèr lui ratto si move.

35Movesi contra lui con diece arditi
de la sua patria giovinetti egregi,
d’acciar simile al suo tutti guarniti,
ch’ornavan perle et or d’immensi pregi.
De l’imagin di Venere scolpiti
hanno gli scudi con gemmati fregi;
gialle piume in su gli elmi per cimieri
tengon gli undici illustri cavalieri.

36E grida alzando al cielo ardite e fiere,
corron con l’aste a’ lor nemici addosso;
cinque di lor fan subito cadere,
rendendo il prato del lor sangue rosso.
Contra lor spingon le fugate schiere,
ond’è chi le feria da lor percosso,
tal l’onde spinte da crudel tempeste
s’urtano or queste in quelle or quelle in queste.

37Lelio, che allato al duca furibondo
un d’essi al primo colpo ha posto in terra,
ardito contra Albin move; il secondo,
ma non già lui, come il compagno atterra.
Anzi Albin, che ’l sanguinoso ferro a tondo
vibrando nel colpir giamai non erra,
gli tronca l’asta in quel ch’ella il percuote,
tal che nocergli o poco o nulla puote.

38Egli il resto avventandogli c’ha in mano,
lo fier nel capo e ne la manca spalla,
onde se ’l ferro de la lancia in vano
l’ha colto, a corlo il calce almen non falla.
Il colpo è tal, che quasi il manda al piano
mezzo stordito; ei qua e là traballa.
Tratto il giovane intanto il brando fuore,
l’assal con esso pien d’alto furore.

39Generoso caval pien d’ardimento
non domo ancor, non uso a sella e morso,
che co i denti, e co i calci al proprio armento
contra al fiero leon porga soccorso,
benché ei vegga il crudel sanguinolento,
quel con l’ugne sbranar, questo col morso,
par Lelio, mentre al proprio stuol fa scudo
contra il feroce Albin, col ferro nudo.

40E lui d’un colpo fier sopra l’elmetto
ferisce in quel che balenar lo vede,
tal che porre un ginocchio è in terra astretto
Albin, che mal può sostenersi in piede.
Raddoppia la percossa il giovinetto,
che atterrarlo con essa al tutto crede,
ma non lascian che sopra ella gli cada
tre che oppongon gli scudi a la sua spada,

41né pur gli scudi, ma i lor ferri ancora,
per offender non men che per difesa,
benché aita al bel Lelio diano allora
gli altri romani c’hanno ivi contesa.
Rizzasi intanto Albin che, quasi fuora
de’ sensi uscito, ha già lena ripresa;
e con impeto estremo fulminando
strigne contra i nimici il crudel brando.

42E se ben l’ira il senso allor gli offosca
non men che s’abbian fatto le percosse,
non però quella, né la notte fosca
pon far che ’l bel garzon che lo percosse
egli non bene osservi e riconosca,
benché meschiato tra i compagni fosse.
Così il supero re de l’altre fere,
riconosce tra molti ognun che ’l fiere,

43e di rabbia spirando fumi ardenti
per bocca et occhi, a la vendetta inteso,
non resta fin ch’ei tinga artigli e denti
nel sangue di colui che già l’ha offeso,
contra il bel Lelio allor non altrimenti
fa il duca fier da gran furor acceso.
Sol Lelio assal, contra lui sol si serra,
fermo a no ’l lasciar mai, se non l’atterra.

44Non però si spaventa o indietro fassi
Lelio, ma ’l viso e ’l ferro ardito volta,
e fa con lievi salti e destri passi
ch’in van colpisce Albin più d’una volta.
Per forza è, miser, ch’un gli fiera e passi
l’arme e la gola al fin, con furia molta.
Ahi crudel mano che sì gran beltade
struggi nel fior de la sua verde etade!

45Tira a sé l’empio la sanguigna spada,
traendone col sangue l’alma fuori.
Giovane pianta che languendo cada
tronca dal ferro anzi gli estivi ardori,
prima che il sol le cangi e la ruggiada
in dolci pomi gli odorati fiori
sembra Lelio al cader, pria che produtti
i fior di sua virtute abbiano i frutti.

46Pianse Venere in ciel l’aspro et amaro
troppo immaturo fin del bel garzone,
per cui l’angoscie in lei si rinovaro,
ch’ebbe morendo il suo diletto Adone,
quando trafitto dal crudel cinghiaro
insanguinò la cipria regione.
Seco piansero ancor molt’alte stelle,
che videroS | viddero atterrar membra sì belle.

47Ma chi l’alto dolor, che passò il petto
a i compagni di Lelio dir potria,
quando, percosso, il nobil giovinetto
cadde invocando il nome di Maria?
Essi, piangendo sì spietato effetto
con voce tal che fin al ciel s’udia,
s’avventano altri sopra al duca fiero,
altri sopra il caduto cavaliero.

48Questi con dolorosi alti lamenti
prendono in braccio il corpo miserando,
e ’l portan ratto a i propri alloggiamenti,
che non sia forse ancor morto sperando.
Quegli altri solo a vendicarlo intenti,
vibran con rabbia contra Albino il brando;
né, morto Lelio, più temon morte,
e ben tosto lor diella acerba sorte.

49Perché due di sua man tosto n’atterra
l’empio, il furor di cui sempre è più ardente;
a gli altri in sì gran numero si serra
d’intorno intorno la crudel sua gente
che, quantunqueS | quantunche essi ancor bagnin la terra
del sangue altrui, pur cadon finalmente.
Onde ben il lor fin, miseri, in fretta
veggon, ma non di Lelio la vendetta.

50Mentre ivi dando Albin morte e spavento
a i Franchi, il suol fa crudelmente rosso,
ecco a guisa d’irato orribil vento
dal qual sozzopra il mar dal fondo è smosso
e alzato al ciel con fiato violento,
questo naviglio infranto e quel percosso,
giungervi Orlando, che l’avversa schiera
solo distrugge, e atterra ogni bandiera.

51Molti gridando gli fuggiano avanti,
non già dal suo furor si fugge Albino,
ma, qual galea che i remi a le sonanti
procelle oppon, seguendo il suo camino,
tal egli ardito, sol fra tutti quanti,
va con la spada contra al paladino.
«Ah,» dice «non fuggite, ognun stia fermo,
ch’io sol da i colpi suoi vi farò schermo.

52Troppo al vostro valor fate grande onta,
fuggendo un uomo sol voi tutti insieme».
Così parlando il gran guerriero affronta,
e grida: «Or ecco, Orlando, un che non teme».
«Et ecco (rispond’ei) la spada pronta
a romper de l’insidie tue la speme».
Il dir questo e ’l percuotersi ambidue
di due gran punte in un sol tempo fue.

53Schermiscono e da questo e da quel brando
gli scudi a l’uno il petto, a l’altro il viso,
mena al duca un man dritto intanto Orlando
col quale il capo allor gli avria diviso
s’Albin, la testa subito abbassando,
non fuggia il colpo ond’è il cimier reciso;
egli, che non perciò si sbigottisce,
d’un gran riverso un fianco a lui ferisce.

54Ma non però, se ben l’arme gli taglia,
di lui l’impenetrabil carne offende.
Mira dubbioso ognun l’aspra battaglia,
che tra i due forti eroi più ognor s’accende;
cuoprono il suol di tronca piastra e maglia,
risuonano l’alte lor percosse orrende,
che spargon l’aria oscura di faville,
Ettore sembra l’un, par l’altro Achille.

55Albin che sa se mortalmente nuoce
il fatal brando de l’invitto conte,
desto ha l’occhio a schermirsi e ’l piè veloce,
non men ch’abbia le mani a ferir pronte.
Pur far non può ch’un colpo aspro e feroce
non lo percuota al fin sopra la fronte,
e spezzigli lo scudo ch’ei gli oppone,
gittandolo stordito in su ’l sabbione.

56Alzano al suo cader languido e mesto
grido i Lombardi, e i Franchi lieto e fiero,
fermo credendo e quello stuolo, e questo
che morto al tutto fusse il duca altiero.
E ben del morir suo, che altrove e presto
si vide, avriano allor creduto il vero,
ma il Ciel, ch’ad altra man serbar lo volse,
fe’ che di piatto Durindana il colse.

57Ben dal crudel taglio, e da l’acuta
sua punta gli altri miseri son colti,
che, del lor duca la vista caduta,
si son rabbiosi al paladin rivolti,
perché ogni loro speme aver perduta
stimando, di morir s’eran risolti,
ma care almen le lor vite infelici
vender con molto sangue de’ nimici.

58Pur poco sangue i Franchi, e nulla Orlando
spargendo, per vil prezzo compran quelle;
tal loro a fronte i miseri durando,Rosmonte incendia le navi franche, ma con una preghiera Orlando ottiene da Dio una provvidenziale pioggia (58,3-73)
qual fragil barche a rapide procelle,
che sol del conte il formidabil brando
quel fa di lor che il lupo de l’agnelle;
benché pecore no, ma sì mordenti
cani sembrino a quello e a le sue genti.

59Chi de l’occorse quivi orrende e gravi
cose tanto dir può, che non sia poco?
Ecco che dentro a le francesche navi
tratto Rosmonte, artificioso fuoco
già ne la pece e ne le curve travi
fieramente s’accende in più d’un loco,
onde la fiamma rapida e molesta
gli addormentati naviganti desta.

60E chi mezz’arso, ah miser, chi acceso
o barba o panni o crin, chi da spavento
sol de l’incendio e non da quello offeso
si lancia o sopra il lido o a l’acque drento.
Salgono al ciel le fiamme, già s’è appreso
dentro le biade il fuoco violento,
dal qual molti che scampan, per ria sorte,
trovano in altra guisa la lor morte.

61Ch’altri nel Po s’affoga, altri o sul lito
s’infrange o ucciso v’è da lance e spade,
perché ferisce l’inimico ardito,
ciascun che da le navi o salta o cade.
Gli altri, i cui legni ancor non han sentito
de la fiamma crudel la feritade,
troncan le funi e scostan da la riva
le navi, e ’l più di lor l’incendio schiva.

62L’incendio il cui terribile splendore
che rilucer fa intorno e colli e prati,
fère già gli occhi e sbigottisce il core
de i Franchi che difendon gli steccati.
S’odono in mezzo a tanto e tal orrore
gridar i naviganti spaventati:
«Aiutate, aiutate gli infelici
ch’arsi son ne i navigli da i nimici».

63Tosto là dove al ciel fiamme e faville
manda ognior più l’acceso orrendo fuoco,
corso il fiero Aquilante con ben mille
guerrieri, avendo in guardia egli quel loco,
per le navi salvar chi assalille
subito affronta con furor non poco,
né men cerca ammorzar gli accesi legni,
premi offrendo a chi ’l faccia ricchi e degni.

64Visto Orlando le fiamme, agghiacciar l’ossa,
svegliere il cor, fuggir l’alma si sente,
e lasciando ivi chi resister possa
vassen con altri al Po velocemente.
Quivi, dove già l’erba han fatta rossa
di sangue e la lombarda e la sua gente,
con sì orribile aspetto s’appresenta
l’incendio a gli occhi suoi che si spaventa.

65Onde sprezzando ogni rimedio umano,
con gli occhi al ciel rivolti così dice:
«Porgi Padre del Ciel, porgi al cristiano
popol la santa tua destra aiutrice
sì che l’empio desir riesca vano
di questa gente iniqua e traditrice.
Noi pur siam quei ch’eletti a la difesa
hai col gran Carlo di tua santa Chiesa.

66A spegner queste fiamme umano effetto
non basta; Tu, Signor, sol far lo puoi.
Io d’innalzarti un tempio qui prometto,
con nome pio di Salvator di noi».
Qui tace, e colmo di speranza il petto,
come esauditi siano i preghi suoi,
con quel furor percuote i nimici empi
con cui folgor percuote e torri e tempi.

67Grida «Ah nipote egregio! Ah guerrier forti!
Ecco che vi soccorre il vostro Orlando».
Porge a i Franchi tal grido alti conforti,
terrore a gli altri, onde l’udìr tremando.
E mentre ei cuopre il suol d’uomini morti,
Iddio, le sante luci al Po voltando,
scuote la fronte e ’l mondo tutto in segno
che ’l prego suo far vuol di grazia degno.

68E pronto a piover gli alti suoi favori
sì che dal fuoco il più de’ legni scampi,
tosto ingombrar con tenebrosi orrori
fa d’atre nubi l’aere, e accesi lampi
scender di cielo in terra; alti rumori
seguon di tuoni orrendi, già su i campi
del Po tant’acque oscuro nembo versa
che pare in ampio mar l’aria conversa.

69Fuggon chi qua, chi là l’armate schiere;
trema ciascuno a gli accidenti orrendi.
Cadono spessi da l’acquose e nere
nubi gli ardenti folgori tremendi.
Risurge Albino, stupido in vedere
contender la gran pioggia e i fieri incendi,
ch’alzano al ciel caliginosi fumi,
e accrescon l’acque d’ambidue que’ fiumi.

70Già ruina da i monti e i campi innonda,
nato di pioggia tal, più d’un torrente;
già l’acqua tanto in su l’arene abonda
che ’l Po dal lido poco è diferente,
tal che molti, credendo per la sponda
correr del fiume gonfio e violente,
corron ne l’acque e vi s’affogan, mossi
a fuga dal terror che gli ha percossi.

71Spinge superbo il Po dal suo profondo
letto de l’onde fuor l’altiera fronte,
e ’l diluvio e l’incendio furibondo
pugnar veggendo e aver forze sì pronte
teme o che Giove un’altra volta il mondo
summerga o ch’arda quel nuovo Fetonte,
e ch’egli allor sia fulminato attende
poi che di tante il ciel saette splende.

72Ecco tra i molti folgori che morte,
e terror grave a’ Longobardi danno,
due n’avventa dal cielo il braccio forte
del giusto Dio, che spezzano e disfanno,
lampeggiando e tonando, con le torte
fiamme le nubi ove rinchiusi stanno,
e già l’un presso Albin cadendo in terra,
a lui davanti un suo nipote atterra.

73Esterefatto da spettacol tanto
crudel, fuggendo, Albin bestemmia e mugge.
Coglie l’altro Rosmonte, e tutto quanto,
misero, allora allor l’arde e distrugge.
O giustizia di Dio, chi dal tuo santo
furor la pena meritata fugge?
Col terren fuoco i legni arse costui,
Tu col celeste fuoco ardesti lui.

All’alba cessa la battaglia, Orlando constata che le navi con le vettovaglie non sono state bruciate (74-80)

74Ma già spenti ha gli incendi spaventosi
l’orribil pioggia, omai la furia affrena.
Spariscono i non più negri et acquosi
nuvoli, e l’aria asciuga e rasserena
l’oscura umida faccia a i luminosi
fuochi de l’alba, che già il dì rimena.
Rimena lieta il desiato giorno,
gigli e rose spargendo d’ogni intorno.

75Al suo lieto apparir lo sbigottito
spirito ognun ravviva e rassicura.
Lascian le tende i Franchi, ov’han fuggito
la pioggia, spinti da crudel paura.
Scorrono al Po le piovut’acque, e ’l lito
scuoprono e l’innondata sua verdura;
fuggono ove i cavalli lor lasciaro
quei Lombardi che allor vivi restaro.

76Orlando, ch’anco al lido è col nipote,
perché trar pioggia o furia altra veruna
da i lor luoghi i magnanimi non puote,
vedute l’arse navi, il volto imbruna;
e ’l cor doglia non lieve gli percuote,
credendo esser de l’altre arse ciascuna,
perch’ei non sa che allor da l’altro lito
del Po l’incendio ogni altra abbia fuggito.

77Ma qual cangiato ha il ciel faccia e colore,
al disparir del tenebroso nembo
e a l’apparir de l’alba che bei fiori
versa da questo e quel purpureo lembo,
tal ei cangiasi tutto entro e di fuori
tosto che tanti al re de’ fiumi in grembo
vede salvi restar de’ suoi navigli,
scampati da sì gravi alti perigli.

78Stanno quelli a l’altr’argine del fiume
con le funi e con l’ancore legati.
I naviganti, apparso il nuovo lume,
e da gli amici essendo richiamati,
con più lieto gridar del lor costume
l’ancore svelgon, già rassicurati;
e di gioia mostrando aperti segni,
spingon co i remi a l’altra riva i legni.

79Quivi approdar gli fanno, ove d’Anglante,
con gli altri insieme, il principe gli attende,
il qual mentre il suon lieto e rimbombante
de le trombe e de i gridi in alto ascende,
gli occhi levando al ciel, quivi con sante
parole, grazie a Dio debite rende,
che da l’aguato de’ nimici teso
con ferro e fuoco a lui, l’abbia difeso.

80I naviganti poi con lieto volto
riceve, lauda e premio a tutti offrisce;
né con men gaudio ognun di loro è accolto
dal franco stuol, che tutto ne gioisce.
Ma già al nostro emispero il sol rivolto
l’aureo suo carro, ond’ogni ombra sparisce,
con gli aurati suoi raggi, auree le fronti
render parea de’ più superbi monti.