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L’amor di Marfisa

di Danese Cataneo

Canto VIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 18:28

Marfisa parte verso Genova assieme al proprio contingente, a cui si aggiungono le dieci donzelle armate (1-8,4)

1Mentre d’uomini e d’arme e di destrieri
feano apparecchio, in campo ritornaro
le diece damigelle e i cavalieri,
ch’a veder le città vicine andaro.
Oh com’elle e Gisuarte ir volentieri
s’apprestan con Marfisa! Oh quanto è caro
a le spose ambedue, poi che Guidone
in premio a chi meglio opra si prepone!

2Chieder fa Carlo intanto a Desidero
se cangiato proposto ha la sua mente,
poi che son tese da l’empio Raniero,
con tregua, insidie a la francesca gente.
Si scusa il falso re, ch’esser ciò vero
non crede, se novella altra non sente;
ma che se vero sia conoscer chiaro
faragli e tosto quanto gli è discaro.

3E ch’è la mente sua, con quella ancora
di tutti i duchi suoi pronta a la pace,
né due volte uscirà la bella Aurora
co i fiori innanzi a la diurna face
che con accordo stabile gli fòra
da lui mostrato ch’ei non è mendace.
Ah, fraudolente re, pur sai che menti,
sai pur s’ordini accordi o tradimenti.

4Teco pur anco i perfidi rettori
d’Asti, di Pisa e di Milan lo sanno;
sallo pur anco il re de’ traditori,
Gano, inventor d’ogni malvagio inganno.
Oh quanto allegran lor le fronti e i cuori,
quanto a te di piacere e gioia danno
Marfisa e ’l buon Dudon ch’al nuovo lampo
del sol, con tante schiere escon dal campo.

5Ben lor dal campo uscir, con gran letizia
vostra al sol nuovo, perfidi, vedete,
strugger la sparsa gallica milizia
con insidie sperando empie e secrete.
Ma non vedete il Sol de la giustizia
che attristar vi vuol l’alme in vano or liete;
già l’Angel contra voi la spada ha presa,
per salvar Carlo e la romana Chiesa.

6Veggiol coprir sotto il celeste scudo
il Pontefice sacro e ’l franco stuolo,
e d’intorno vibrando il ferro ignudo,
ferir voi tutti e gravemente ei solo.
Veggiol del sangue vostro (oh fiero, oh crudo
spettacolo!) innondar già il verde suolo,
e aggiunto al sangue e fame e peste, e al fine
il giogo, trarvi a l’ultime ruine.

7Vuol così il giusto Dio de le vendette,
perché a ciascun tra noi chiaro apparisca
come egli con l’asprissime saette
de l’ira sua la fraude in noi punisca.
Ei questa volta ancora a te permette,
perfido re, ch’altrui gabbi e tradisca,
perché co i Franchi in un dia l’Angel suo
fine a’ tuoi tradimenti e al regno tuo.

8Or poi che ’l sol con raggi men lucenti
de l’usato apparì, quasi indivino
del preparato mal, prendon le genti
francesche verso Genova il camino.
Già d’esequir l’insidie i fraudolentiCarlo Magno, prevedendo l’imminente battaglia, rassicura i suoi soldati e rivede le difese dell’accampamento (8,5-44,4)
ferman prima che splenda il dì vicino,
perché col tardar lor non torni Orlando
nel campo, ogni lor ordine guastando.

9L’ordine è tal che ’l duca di Milano
la notte assalti il paladin per via,
e Desidero e ’l principe astigiano
debban Carlo assalir sotto Pavia,
e che Marfisa da uno aguato strano
oppressa con Dudon l’altro dì sia.
E già i duchi e ’l re loro accinti a l’opra,
solo aspettan che d’ombra il ciel si copra.

10Mentre per adempir sì obbrobrioso
frodo attendono i rei che ’l dì sia spento,
ecco che d’alto il sol con odioso
sguardo mirando l’empio tradimento,
di tenebre e di sangue il luminoso
volto tutto ricuopre in un momento,
e sanguigno et oscuro dentro a l’onde
del mare innanzi sera si nasconde.

11Del regio Po, del limpido Tesino
tremano orribilmente ambe le prode;
urlar dal vicin monte e dal vicino
bosco ogni fera et ogni ninfa s’ode.
«Salva i fedeli tuoi, Rettor divino,
che la fé violata è da la frode»,
gridar con mesta voce al campo intorno
si sente et alta al dipartir del giorno.

12Questi orrendi prodigi allor dal cielo
mostri con grave altrui tema e stupore,
spargon per l’ossa un agghiacciato gielo
de la romana Chiesa al difensore,
e di mestizia un tenebroso velo
gli avvolgon tosto intorno al forte core.
Da due gran pensieri è la sua mente
indi assalita, ond’alto affanno sente.

13Da l’un gli è il pentimento, gli è il sospetto
nel mestissimo sen da l’altro posto:
temer questo gli fa dannoso effetto
da qualche tradimento a lui nascosto;
quel di grave dolor gli colma il petto,
ch’abbia il suo campo a tal periglio esposto,
col trarne e tante schiere e i capitani,
che del corpo di quel son core e mani.

14Dal corpo del suo stuolo erano sceme,
fuor che la testa, le più forti membra,
e qual può il capo e ’l resto avere speme
se da sé il cor, da sé le braccia smembra?
Quella aver può Dio, ch’anco in più estreme
necessità de’ servi si rimembra,
e gli aiuta anco in vie maggior periglio
pur che vèr lui con fede alzino ciglio.

15Come con fede allora alzò la fronte
vèr te, Dio de gli eserciti, il gran Carlo,
come, fur l’armi e le tue grazie pronte,
queste a confortar lui, quelle a aiutarlo.
Indi avutoS | havuta da te, di pietà fonte,
conforto, al regio stuolo anch’ei vuol darlo,
perché languido il vede e sbigottito,
e sospirare e mormorar l’ha udito.

16Tosto a i guerrieri, de la tromba al suono
raccolti e resi taciti et intenti,
Carlo, che asceso è sopra il real trono,
parla così con alti e chiari accenti:
«Perché in poter de gli uomini non sono,
o fidi amici, i primi movimenti,
confesso ch’al principio fatto m’hanno
temer questi prodigi immenso danno.

17Ma poi ch’in me potuto ha la ragione,
e che armato m’ha Dio d’alto conforto,
dar tal annunzi di temer cagione
a i fraudolenti sol mi sono accorto,
non a me, ch’a la fede offensione
fatta non ho, né far altrui comporto.
Minaccian dunque gli adirati cieli
i perfidi, e ammoniscon noi fedeli.

18Ammoniscon noi fidi che dal frodo
guardar de’ Longobardi ci dobbiamo,
che forse ordito avran mentre dal nodo
de la tregua legati ci fidiamo,
per assalirne ad improviso modo.
Ma ciò non fia, poi che avvertiti siamo:
non più, poi che da ciel n’abbiamo aviso,
assalir ci potranno a l’improviso.

19Ben doversi in lor danno le celesti
minaccie in opra por tosto preveggio,
cotanto è grave a Dio ch’altri calpesti
la data fede: e che si può far peggio?
Dal Ciel dunque aiutato, temer questi
perfidi vinti et assediati deggio,
non temuto avend’io, d’assedio cinto,
Affrica e Spagna, onde fui quasi estinto?

20S’allora dunque in tanto alto periglio
non pur non si smarriro i nostri cori,
ma struggemmo Agramante con Marsiglio,
de’ vinti or tema avrem noi vincitori?
Anzi pe’l loro universal consiglio,
sendo i lombardi principi e signori
tutti in Pavia, d’aver chiusa in prigione
tutta vo’ dir quest’empia nazione.

21Non sono l’altre sue membra in poter nostro,
s’ivi ogni capo suo per noi si serra?
Ben presto, e mal per lei, le sarà mostro
quando in cambio di pace ami la guerra,
ché ognun perir, che scampi il ferro vostro,
vedrà di fame l’assediata terra,
benché avrà tutta Italia ancor gran danno
per fame, così estrema fia quest’anno.

22Ma non già a noi potrà far danno, poi
che di rimedio omai s’è proveduto:
diman non finirà che fia da voi
qui in campo il mio nipote riveduto;
da lui dimane e da i compagni suoi
di vittuvaglia avrem sì largo aiuto
che ci fia schermo da l’ingorde brame
de la già preparata orrenda fame.

23Oltra che ’l poter lor col nostro insieme
crescerà ardir a noi, tema al nimico,
cui forse or fa men timido la speme
c’ha posta nel tradir, vizio suo antico.
Ma sia ciò vero o no poco mi preme,
sendo ammonito da prodigio amico,
perché il non più di questi rei fidarmi
potrà de’ loro inganni assicurarmi.

24S’io schifo il frodo lor, qual altra offesa
pon farmi, volpi e non lioni essendo?
Sol con l’insidie offendon, sol difesa
far sanno o stando chiusi o ver fuggendo.
S’usan forze a schermirsi, o fan contesa
con l’arme, voi per testimoni prendo,
voi che gli avete già fugati e vinti,
voi che d’assedio or gli tenete cinti.

25Or se con voi non han forza né ardire,
se d’ingannarvi è lor chiusa la via,
se ’l Ciel, per fargli a tutti noi punire,
ce gli ha come in prigion chiusi in Pavia,
e se i prodigi scuopron le giust’ire
di Cristo contra a questa gente ria,
teman sol essi il mal, speriam noi ’l bene;
diam segno, amici, omai di tanta spene».

26Ciò detto il glorioso capitano,
mostra ogni suo guerrier con lieto grido
e con alzar la destra armata mano
quanta speme et ardir gli armi il cor fido.
Va il rumor lieto al cielo, e ’l monte e ’l piano
rimbombar fa del ticinese lido.
Egli poi che ’l conforto ha in loro indutto,
visita co’ suoi duci il campo tutto.

27Va con lor rivedendo in tutti i lati
ogni ordine, ogni squadra, ogni bandiera.
Muta e raddoppia intorno a gli steccati
a scolte e guardie, e rimeschia ogni schiera.
Qua capitani, e là cangia soldati,
per impedir in lor se fraude v’era.
Fuor de i ripari a ciaschedun l’uscita
da lui con morta pena è proibita.

28Indi, come pugnar si debba allora,
tutto fa por l’esercito in battaglia,
sì che ordinato uscir dal campo fuora
possa quando il nimico ivi l’assaglia.
E vuol ch’al loco suo fin a l’aurora
riposi ognun vestito a piastra e maglia,
e che la notte a canto a i cavalieri
tutti pascan sellati i lor destrieri.

29A ciascun poi il buon re colmo di senno,
una camiscia candida fa tòrre,
perché, quando bisogni, ad un suo cenno
si possan quelle sopra l’armi porre.
Ma mentre ad ordinar quanto far denno
i suoi guerrieri, per lo campo scorre.
Oh come resta sbigottito e mesto,
come stupido Gan veggendo questo!

30Ben vede il reo da tal provedimento
interrotto in gran parte il suo disegno,
no ’l lasciando eseguir l’intendimento
ch’avea col capo del lombardo regno.
Teme non sia l’ordito tradimento
palese, da che il Ciel n’ha fatto segno.
Pargli la pena al fallo suo vicina
veder, non senza estrema sua ruina.

31Non sa il fellon, non sa sotto qual manto
coprir le quasi note empie sue colpe,
non trova astuzia ond’egli asconda un tanto
frodo, bench’ei sia vecchia esperta volpe.
Trema che tanto Desidero quanto
Carlo di tradimento non l’incolpe,
perch’ei l’accuserà di doppio inganno
non servandosi l’ordin che post’hanno.

32Posto con Desidero ordine avea
farlo in campo la notte entrar sicuro,
dal lato ove guardarlo il reo facea.
Ma impediti ambidue da Carlo furo,
perché il mutar le guardie lor rendea
impossibile ciò, non ch’aspro e duro;
né può l’iniquo pur di sì improviso
disconcio dar a i Longobardi avviso,

33perché l’uscir del campo il real bando
con grave mortal pena a ciascun vieta.
Riman confuso il perfido, e tremando
che allor de le sue colpe il frutto mieta,
di tanto e tanto duol viensi aggravando
l’egra sua mente, e l’anima inquieta
che, no ’l potendo il corpo indebolito
regger, da febre subita è assalito.

34Scaccian da l’aere intanto ogni splendore
l’umide de la terra ombre moleste.
La notte di lugùbre atro colore,
e non d’allegro e lucido si veste.
Sparsa di crudel sangue e d’empio ardore
l’oscura gonna ha in quelle falde e in queste,
annunziando altrui, con tali orrendi
panni, aspre morti e spaventosi incendi.

35Oh che imagini fiere e minacciose
prepara a i Franchi e a’ Longobardi il sonno,
per far lor inquiete e travagliose
quelle tre ore ancor che riposonno,
e predir le vicine orribil cose
che sapute però schifar non ponno!
E già chiude lor gli occhi, poi che dato
al corpo suo ciascuno ha il cibo usato.

36Ma Carlo con parole e con effetti,
avendo di paura i fraudolenti
e di conforto pieni i fidi petti,
entra ne’ suoi reali appartamenti,
né quivi espone il corpo a i pigri letti,
ma ben la mente a cure aspre e pungenti,
perché come e da chi tradito sia
ricerca col pensier per ogni via.

37Dover Gano tradirlo al fin pur trova,
col farlo ivi assalir da i Longobardi,
mentre abbia e’ poche forze, e per la nuova
tregua da l’armi lor poco si guardi.
Esser ciò vero gli dimostra e prova
l’averlo indutto il reo così gagliardi
duci a mandar lontani e tante schiere,
smembrando le sue forze prima intiere.

38Ben sapea Carlo odiato esser da Gano,
sol perché molto i suoi nimici amava;
gli eran nimici il sir di Montalbano,
Ruggier, la sposa e ’l gran conte di Brava,
che avean co i lor congiunti, di lor mano
gran parte uccisa di sua stirpe prava,
né però ne fur mai dal re puniti,
anzi più premiati e più graditi.

39Perché con lor mostrò più grati segni,
vinto di Spagna e d’Affrica il furore,
che con ogni altro, e ben d’altrui più degni
fur d’ogni ricco don, d’ogni alto onore.
Quinci nacquero in lui que’ gravi sdegni,
e quel fiero odio contra al suo signore
ch’a distruggerlo allor con fraudolente
modo spinser l’iniqua empia sua mente.

40Come altre volte il reo cercato ancora
la sua ruina avea con altre frodi,
de le quai, benché il re, prima che allora
avveduto si fusse in vari modi,
ciò coprendo però, si tacque ogniora,
sì lo stringevan del rispetto i nodi.
Gli annodava la lingua il gran rispetto
che aver al fraudolente era costretto.

41Settantadue contadi co i lor conti
ubidivan l’iniquo, oltra il suo stesso,
e più di trenta milia uomini pronti
con l’armi a servir lui gli diero spesso.
Per tal suo stato il re non gli esser conti
gli inganni suoi fingeva, anzi era ammesso
il perfido da lui, con gran periglio
di sua corona, nel real consiglio.

42O de’ supremi re malvagia sorte,
che benché giusti sian, forti e prudenti,
tengon però talor vasalli in corte
sciocchi, timidi, ingiusti e fraudolenti,
e impongon lor qual più negozio importe,
sol perché grandi son, ricchi e potenti,
e non perch’essi, a manifesti segni
non gli conoscan di tal carco indegni.

43Questi lor consiglieri, essi rettori
di provincie e d’eserciti son fatti,
ond’or danni a’ lor principi e disnori
recan con l’armi, essendovi poco atti;
or ribellarsi i popoli a i signori
sforzano i lor tirannici misfatti,
or del lor re facendo il cor palese,
le gran perdite causan d’alte imprese.

44Come la quasi vinta impresa a Carlo
forse il perfido Gan perder faceva
col tradimento suo, se ’l Ciel col farlo
avvertito di ciò, no ’l soccorreva.
Ma mentre al mal previsto et a schifarloDio manda l’angelo Samael in aiuto ai Franchi, con il compito di scorrere tutti e tre i fronti e favorire i cristiani: dapprima fa animo ai guerrieri di Orlando in vista della battaglia (44,5-53,6)
con discorso prontissimo intendeva,
già per la via con ogni suo naviglio
s’era alloggiato di Milone il figlio.

45Là ’ve del regio Po l’acque profonde
inghiottiscono ognior, Lambro, le tue,
alloggiò il paladin sopra le sponde
e di quello e di te le schiere sue,
sì che in due lati le munivan l’onde
e gli argini superbi d’ambidue,
da gli altri due le fosse e gli steccati,
e i navigli a le rive fur legati.

46De’ cieli intanto il Regnator supremo
vedendo la presente orribil notte
aver con fraude i Longobardi scemo
Carlo di forze e lor promesse rotte,
e già le franche schiere in grave estremo
pericol di ruina esser ridotte,
perché l’amica gente non perisse,
a l’Angel Samael rivolto, disse:

47«Va’, fortissima parte de la nostra
milizia, scendi ne l’Italia or ora,
e quivi le nimiche insidie mostra
al re de’ Franchi et a Marfisa ancora,
che troppo al reo ch’a la tartarea chiostra
spinser già l’armi tue permisso fòra,
troppo da lui sarebbe audacia presa
s’opprimer gli lasciassi la mia Chiesa.

48La mia diletta Chiesa, de la quale
distrugger l’empio i difensori spera,
che sono i Franchi, ond’ella poi di tale
suo scudo priva, agevolmente pèra.
Già tra i vivi, a tal fin, da l’infernale
stanza mandata ha l’infernal Megera,
che la dianzi proposta pace in terra
scacciando, or vi raccende nuova guerra.

49Or movi ratto il volo, e tieni occolto
de i nimici ad Orlando il rio disegno,
ché, se bene improvviso è da lor colto,
con lor strage e fin sia del lor regno»,
disse, e di tanto fuoco il divin volto
tutto avvampando, che fu d’ira segno,
splender non pur fe’ ’l ciel con l’alme sante
ma ancor l’aere e la terra in uno istante.

50In tal guisa il balen per l’aere splende,
ch’a la saetta orribile precede,
e ben tal lampo annunziò l’orrende
percosse ch’a i Longobardi il Ciel poi diede.
Samaelle in tal lume il volo prende,
e giù quasi balen dal ciel si vede
scender sopra la sponda del Tesino
ove attendato è il figlio di Pipino.

51Trova lui desto, e pien di gravi cure,
ma de le squadre sue dorme gran parte,
benché abbian tutte indosso l’armature,
e sian poste in battaglia con grand’arte;
vede ei che da l’insidie son sicure,
e in loro accende il fiero ardor di Marte,
che seco trasse da la quinta sfera
per la franca infiammarne amica schiera.

52Spira ne’ petti il marzial ardore
a i dormienti come a i desti amici;
accresce a’ corpi e a gli animi il vigore
creando speme in lor d’opre felici.
E perché vuol che al gallico rettore
mostri il Sonno gli agguati de’ nimici,
gli impon che quando sian per assalirlo
debbia, e dice in qual forma, a lui scoprirlo.

53Però che chiuder dèe le ciglia ancora
il re, che di vegghiar già stanco fia,
un’ora avanti ch’a suoi danni fuora
escan l’armate squadre di Pavia.
Ciò fatto Samael, senza dimora
là ʼv’è Marfisa con Dudon s’invia,
ma già, fuor che le guardie, addormentatoAlbino arringa i suoi e li dispone per attaccare Orlando (53,7-75)
s’era quasi d’Orlando ogni soldato.

54La notte distendea per l’aere intorno
cinta d’orror, le tenebrose penne,
quando il feroce Albin, che ascosti il giorno
in un castello i suoi soldati tenne,
poi che tutti le membra ricreorno
col cibo e col dormir quanto convenne,
con quelli verso il Po la strada prende
là dove poste Orlando avea le tende.

55Non di luna splendor per l’aere oscuro,
né lume di facelle ivi appariva,
non di tromba, di corno o di tamburo,
né suon d’umana voce ivi s’udiva,
ma tra silenzi e tenebre sicuro
premea del Lambro ognun la destra riva,
e per meglio occultar lor tradimenti,
coprian con negro vel l’arme lucenti.

56Con quest’ordine, giunto il coraggioso
duca a i Francesi un miglio e men vicino,
sua gente ferma, e falle col riposo
discacciar la stanchezza del camino.
Poi, reso il corpo ognun più vigoroso
con pan da lor recato e nobil vino,
ei che cibar ancor gli animi vuole
dice con alto ardir queste parole:

57«Qui presso, o forti, o fidi miei compagni,
è il luogo in cui con nostra eterna gloria,
e con nostri comuni ampi guadagni,
tosto avrem de’ nimici alta vittoria;
né fatto avran nostri avi illustri e magni
cosa più degna d’immortal memoria
di noi, ricuperando con le spade
la quasi omai perduta libertade.

58Quasi perduta è ben, poi che sol otto
duchi di trenta ch’in Italia siamo
a l’aspro giogo de’ Francesi sotto
ancora posto il collo non abbiamo.
Ma perché il regno nostro non ridotto
intieramente in servitù vediamo,
distruggansi per noi, che possiam farlo,
costor ch’in tal miseria or cercan trarlo.

59Né già la pace dal lor re promessa
assicurar può noi d’un tal periglio
perché sol ci sarà da lui concessa
col far d’Italia re Pipin suo figlio;
questo sappiam per veritade espressa
concluso nel secreto suo consiglio,
e bench’ei celi a noi sì rio pensiero
pur v’è chi l’ha scoperto a Desidero.

60Ond’ei per conservarci il regno antico,
e tanto a noi schifar danno e disnore,
prevenir vuol l’insidie del nimico,
ché lecito è l’ingannar l’ingannatore;
però fermato ha con ciascuno amico
di nostra libertà, del nostro onore,
che ’l franco stuol così sparso e diviso
sia di notte assalito a l’improviso.

61Questa è la fatal notte, onde eseguire
l’ordine posto al tutto ci conviene;
or tocca a noi costor prima assalire,
che alloggiano del Po sopra l’arene,
il che ben far possiam con alto ardire
e di vittoria con sicura spene,
ché, sprovisti assalendogli mentr’essi
dormon, sol dal terror saranno oppressi.

62Né d’Orlando vi caglia, che sol io
tutti i suoi colpi sostener prometto:
mostrò seco in Piemonte il braccio mio
s’ho forza a solo a sol di stargli a petto.
Così a pugnar con lui m’avesse Dio
per fin de la comune guerra eletto,
come ardirei di farlo, e son qui molti
da opporgli a corpo a corpo, e l’arme e i volti.

63Vinti qui noi costor, vinti a Pavia
avrà quegli altri ancor re Desidero,
perch’ei, quando da me dato gli sia
segno de la vittoria, ch’aver spero,
assalir con Eudone in compagnia
dèe Carlo, e gli fia ’l vincerlo leggiero
dando al suo debol campo un così grande
assalto all’improviso e da più bande.

64Debole è il campo suo, perché n’è fuora
non pur la gente a cui siam presso uscita,
ma con Dudone e con Marfisa ancora
molta altra, ch’oggi vèr Liguria è gita;
benché come da noi fia questa or ora,
così sarà quell’altra anco assalita:
per via l’assaliranno i Genovesi,
c’han duri lacci a lei d’insidie tesi.

65Ecco come i nimici nostri tutti
ha il Ciel disgiunti e in vari luoghi sparsi,
perché più facilmente sian distrutti
per le man nostre, onde non ponno aitarsi.
Dio così vuol, cui troppo odiosi e brutti
vèr noi gli inganni del lor re son parsi:
con fraude noi disfar l’empio vorria,
con fraude egli da noi disfatto fia.

66E qual re, vinto lui, non che scemare
può imperio a i Longobardi vincitori,
ma vietar che con l’arme in terra e in mare
non rendano i confini anco maggiori?
Qual vittoria a noi lode sì chiare
come questa dar può? Noi salvatori
detti saremo ognior del nostro regno,
egregio nome e di tant’opra degno.

67Voi dal re nostro grandi onori e doni
avrete, oltra l’ostili altere prede,
e fatti esenti, larghe provigioni
godrete ognior con vostro erede.
Ma perché il tempo, non che si ragioni
or più, ma che si venga a l’opra chiede,
l’incominciata impresa, di che abbiamo
fatta la maggior parte, omai finiamo.

68Fatto n’abbiam già il più, poi che sì ascosi
qui giunti e senza alcun disconcio semo,
e il men, ch’è il vincer questi sonnacchiosi,
tosto al primo assalirgli anco faremo.
Ma per mostrarvi che vittoriosi
ci stimo al tutto e che di nulla temo,
dà di vittoria il segno, tu Rosmonte,
tosto ch’io sia con gli inimici a fronte.

69Ardi in sul lito ogni nimico legno
e i fuochi artificiosi in farlo adopra,
onde al re nostro il desiato segno
con danno lor, con lor terror si scopra.
Or convien che da noi destrezza e ingegno,
non men che forza e ardir sia posto in opra,
sì che improvisamente il ferro e ’l fuoco
tosto opprimerS | oprimer gli possa in più d’un loco.

70E se di noi s’accorgon, discoprendo
gli aguati nostri che cotanto celo,
alzin tamburi e trombe un suono orrendo
e squarci ognun da l’arme il negro velo,
ché farem lor l’assalto più tremendo,
qual le pioggie e le grandini fa il cielo
qualor di lampi splenda e che di tuoni
con rimbombo terribile risuoni.

71Or via felicemente, uomini forti,
ch’io so ben quanto è in voi voglia e prontezza
di far un’opra tal ch’a tutti apporti
tant’util, tanto onor, tanta grandezza».
Ciò detto Albino, i suoi, d’alti conforti
colmi, il pregano a girne con prestezza;
lo consente egli, ma le schiere pria
vòl ordinar che si riponga in via.

72Quivi rimaner fa tutti i destrieri,
che mille son tra sette milia fanti,
su i quali i capi vennero e gli alfieri,
con gli uomini più nobili e prestanti.
Questi cavalli a mille altri guerrieri
dà in guardia, e non gli lascia andar più avanti,
perché i silenzi lor non impediti
sian dal lor calpestio, da i lor inniti.

73E poi ch’al duce dello stuol che guarda
tanti destrieri ha il suo voler commesso,
muover fa il capitan de la vanguarda,
che due milia soldati avea con esso.
Ma la battaglia in numero gagliarda
di mille uomini più, move egli stesso;
segue la retroguarda, che di gente
non è da la vanguarda diferente.

74Di queste tre ben ordinate schiere,
su ’l Po la prima con Rosmonte manda,
e che abbrusci i navigli, e le bandiere
spinga sopra i ripari gli comanda.
La terza dietro a sé fa rimanere,
perché assalga i nimici in altra banda;
di questa il sir di Lodi è capitano,
genero suo di cor pronto e di mano.

75A costui, che Sisulfo è nominato,
che presso al Lambro dia l’assalto impone.
Ei, per reggergli tutti, lo steccato
franco assalir nel mezzo si dispone,
sì che la prima dal suo destro lato,
dal manco abbia la terza legione.
Indi con lor la via tacitamente
riprende verso la nimica gente.