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L’amor di Marfisa

di Danese Cataneo

Canto X

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.03.15 18:33

Compianto di Orlando per Lelio, cerimonia funebre e discorso commemorativo (1-19,4)

1Finite l’accoglienze e i lieti uffici,
e cheto il grido e ’l suon festoso e grato,
ordina Orlando ch’ivi a i morti amici
il funeral debito onor sia dato,
ond’altri quei ch’uccisi han gl’inimici
tosto a cercar si dan per ogni lato,
altri que’ che summersi erran per l’onde
e quei che stesi ha ’l folgor per le sponde.

2Quivi i Franchi l’uccisa amica gente
scieglier si veggon tra i nimici mista;
quivi adunando van pietosamente
le tronche membra lor con faccia trista.
Ah quanto altrui de’ morti da l’ardente
fulmine porge orror la fiera vista!
Ch’altri n’è fesso, altri trafitto, altri arso,
e qua n’ha un membro alcun, là un altro sparso.

3Perché molti non pur de’ milanesi
guerrieri ucciser quei tremendi fuochi,
ma percossero ancora tra’ Francesi
forti soldati alcun, quantunque pochi.
E quei pochi che fur dal cielo offesi,
perché tra noi son gli’impii in tutti i lochi,
furo i bestemmiatori e i violenti
ch’erano allor tra le francesche genti.

4Oh quanto apportan duolo i pianti e i gridi
di quelli a’ quali ucciso o figlio o padre,
o fratello o compagno o amici fidi
han l’acque o ’l fuoco o le nimiche squadre!
Ma più d’ognun, piangendo alzan gli stridi
sopra le membra giovani e leggiadre
del morto Lelio e de’ compagni privi
di vita i quattro che rimaser vivi.

5Quattro vivean de’ nobili garzoni
compagni già del morto giovinetto,
che lo portaro allora a i padiglioni
quando Albino il crudel passogli il petto,
ond’essi, le lor aspre passioni
crescendo al fiero miserando aspetto
de gli altri sei, non pur di Lelio, quelle
col pianto fean sentir fin a le stelle.

6Feriscon quei di dolorosi accenti
del figliuol di Milon l’orecchie e ’l core,
e, intesa la cagion de i lor lamenti,
a lor ratto sen va pien di dolore.
Né più di perle e d’or l’armi lucenti
vede al nipote del roman Pastore,
né a’ morti compagni, ma ben tutte
di sangue (o crudel vista) tinte e brutte.

7Sanguigne son, forate, tronche e fesse
con l’arme le lor membra anco in più lati.
Rose onde altera già siepe splendesse,
gigli onde lieti già ridesser prati,
e quelle da man rozza infrante e presse,
e questi da vil piè poi calpestati
sembran le faccie lor per sangue e piaghe
guaste e macchiate, ch’eran pria sì vaghe.

8Tosto che gli occhi in que’ meschini fisse,
tratto un grave sospir dal cor dolente,
«Ah miseri garzoni,» Orlando disse
«perché fu il fin di voi così repente?
Perché sì tosto il termine prescrisse
il Cielo al viver vostro, il cui crescente
valor tante acquistar degne vittorie
n’avea promesso e tante eccelse glorie?

9Ohimè, quanto sia mesta e lagrimosa
Roma, che ritrovar per voi dovea
l’antico onor, se morte invidiosa
di tanta gloria sua non vi uccidea!
Ahi Pastor santo, qual più dolorosa
novella apparecchiarti il Ciel potea
che ’l crudo acerbo fin di sì onorato
nipote che da te fu tanto amato?

10Dunque in tal guisa, ohimè, reso ti sia
il tuo bel Lelio, cui con amor tanto
raccomandasti a la custodia mia
quando venni a baciarti il piede santo?
O qual di tal perduta compagnia
verserà il pio Luigi amaro pianto,
Gisuarte, e gli altri, e qual grave dolore
dèeS | Die tosto a Carlo trapassarne il core?».

11Così dice egli, e perché sian condutte
de’ morti giovinetti a Roma l’ossa,
le lor persone in nave fa por tutte,
e far per gli altri morti una gran fossa,
che le lor membra insieme ivi ridutte
nel cupo ampio suo ventre chiuder possa.
Fa intanto che Grifone, in compagnia
d’altri feriti, medicato sia.

12L’avea dianzi ferito e gravemente
Sisulfo, al qual poi tolse egli la vita.
Né pur la sua, ma la nimica gente
fa medicar che resta ivi ferita;
Ansaldo è tra costor d’Albin parente,
cavalier prode, al qual se tosto aita
la bontà del nimico non porgeva
quivi col sangue l’anima perdeva.

13S’ammira Ansaldo co i compagni e molto
trovar soccorso dove men spera.
Ma già ’l francesco stuol s’è intorno accolto
ad un altar ch’ivi inalzato s’era;
quivi ognun loda Dio che l’abbia tolto
dal gran periglio de la pugna fiera,
mentre la santa messa con divote
menti ascoltando stan dal sacerdote.

14E, sopra ognun, di tanto beneficio
grazie Orlando a Giesù debite rende.
Dato fine al cristiano sacrificio,
ecco che l’una e l’altra riva splende
di ben mille facelle, ch’a l’ufficio
funebre la francesca gente accende,
tal che temendo un altro incendio ancora,
trae ’l capo il regio Po de l’onde fuora.

15Risuona il funeral supplice canto,
ch’ivi si fa pe i miseri defunti,
risuona il sospirar di quelli e ’l pianto,
che di sangue o d’amor lor son congiunti.
Fatto ivi a’ morti ognun tanto onor quanto
si può là ’ve gli ha ’l caso sopraggiunti,
ripiglia Orlando nel finir l’esequie
la fin de la cantata estrema requie:

16«Dà lor pace, Signor, come vittoria
hai dato a noi contra i nimici feri.
Io qui il tempio in tuo onore et in memoria
farò de i morti intrepidi guerrieri,
e di questi altri vivi, ch’in tua gloria
pronti a morir son sempre e volentieri,
il tempio ch’innalzarti allor giurai
che aiuto, e non in van, ti dimandai.

17E noi tutti, o compagni forti e arditi
che schifato un periglio abbiam sì estremo,
d’esserne fuor sì egregiamente usciti
quanto il gran Re del ciel lodar dovemo!
Ei dal ferro e dal fuoco, onde assaliti
stanotte in mezzo al sonno stati semo,
difesi n’have, e qual di servi suoi
presa ha per sua pietà cura di noi.

18È ben ch’un dono tal d’ogni fatica
nostra, il più degno, il maggior premio sia;
non sa ciascun di voi, senza ch’io ’l dica,
se premiato dal gran Carlo fia
sapendo s’ei con larga mano amica
et oro e gradi a i vincitori dia?
Qui intanto io la mercede a voi proferta
nel fatto or vi darò, come ognun merta.

19Ma perché omai seguiam nostro viaggio,
prendasi tosto il cibo, e per la torta
riva del Po partianci, sì che il raggio
del giorno oggi a Pavia ci faccia scorta».
Così parlato il guerrier forte e saggio,Orlando prepara la partenza e vede passare in cielo un Angelo (19,5-36,4)
di nave ogni vivanda ivi si porta,
e quivi poi con men turbata faccia,
ognun la fame, ognun la sete scaccia.

20Indi al partir l’esercito s’appresta,
ch’ivi insieme raccolto, il lido ingombra;
e come al fin d’una solenne festa
la piazza il popol radunato sgombra,
spargesi tutto in quella parte e in questa,
chi le tele distacca, ond’avea l’ombra,
chi prende il seggio suo, molti disfanno
i palchi, al ciel gli strepiti vanno.

21Così spartisi intorno i radunati
guerrieri, i padiglioni altri raccoglie;
sconficca altri, e disface gli steccati,
tai cose entro i navili altri raccoglie.
Questi intanto i cavalieri hanno sellati,
quei poste in nave l’acquistate spoglie,
tra le quai metton Lelio e gli altri sei
romani, quasi in mezzo a’ lor trofei.

22Ma già tutti i soldati a le bandiere
loro, a cavallo e a piè raccolti sono;
già tutti a farsi in mostra rivedere
chiama di trombe e di tamburi il suono.
Passan davanti in ordinate schiere
tutti al lor duce, il qual per guerrier buono
lodando ognun, lor porge gli stipendi
promessi ne i notturni assalti orrendi.

23Trecento e men, tra cavalieri e fanti,
nel fargli annoverar scemi ne vede:
cinque milia eran pria fra tutti quanti,
mille a cavallo e quattro milia a piede;
trenta destrieri sol mancan fra tanti,
ch’esser fuggiti per terror si crede.
Sol tre navi trova arse, onde chiS | che il resto
salvò dal fuoco a premiar è presto,

24perché il dar pronto premio a l’opre belle,
a più belle infiammar gli animi suole.
Ma già del giorno le due prime ancelle
fornito il lor viaggio avean col sole,
già davan loco a l’altre lor sorelle,
quando d’Anglante il sir, che partir vuole,
Cristo invocando in su ’l destriero ascende,
che anitrendo e raspando ivi l’attende.

25La longobarda gente che ferita
sopra il lido arenoso langue e geme,
così quella che può sperar la vita,
come quell’altra ancor che morir teme,
lasciar fa quivi, e chi le porga aita
ne’ suoi bisogni restar seco insieme.
Pur vuol che Ansaldo, e i capitani tutti
seco, benché feriti, sian condutti.

26Poi dice: «La pietà ch’a voi si mostra,
mostrata a’ vostri morti ancor saria
dando sepolcro a lor, come a la nostra
gente abbiam fatto; ma perché ognun sia
con maggior pompa ne la patria vostra
sepolto, a voi lasciam questa opra pia.
Or vada, e rompa Albin con tradimento,
la data fé, la tregua e ’l giuramento.

27Goda l’onor ch’avuto ha del suo inganno,
fin che pregio più degno ne riceve:
che non sempre le spalle il salveranno,
ma n’avrà giusta pena in tempo breve».
Qui tace; essi ch’aita in tal affanno
lor dia ringrazian lui quanto si deve,
et ei tutti i feriti suoi guerrieri
salir fa in nave, e tutti i prigionieri.

28Dugento a custodirle destinati
arcieri scelti ancor v’entran con essi.
Intanto per marciar tutti i soldati
da i lor sergenti in ordine son messi.
Cavalli e fanti a i luoghi loro usati
si pongon là più rari e qua più spessi.
Accompagnan le voci de’ sergenti,
di tamburi e di trombe gli alti accenti.

29Di tre mila secento armati fanti
fannosi tre quadrate eguali schiere:
l’una dietro i navigli, a lei distanti
poco in su ’l lido spiega le bandiere.
L’altra, a la destra sua, le passa avanti
tanto che udir la può non che vedere.
Fan che la terza di non men distanza
pur da man dritta la seconda avanza.

30Dividersi in tre parti anco si vede
tutto lo stuol de gli uomini a cavallo,
e da la destra de gli armati a piede
disgiungersi con debito intervallo.
A queste schiere nel camin precede
quella che cavar suol le fosse al vallo,
spianar i passi, e racconciar per via,
e venticinque arcieri ha in compagnia.

31Novanta i cavalieri più espediti,
più pronti al corso e d’arme più leggieri,
per scoprir se sian lor più inganni orditi,
si scostan poi da gli altri cavalieri;
e già ben mezzo miglio e più son giti
lunge da tutti i gallici guerrieri;
trenta innanzi a la fronte, da l’un fianco
trenta altri, e dietro al tergo lor non manco.

32Già per far contra al corso violento
del re d’ogni altro longobardo fiume
tirar le navi, vi si legan cento
cavai, che di condurle avean costume.
Già de le trombe al fier comandamento
l’esercito movea, quando un gran lume
qual fiamma viva, sopra al gran figliuolo
del buon Milone apparve, et al gran stuolo.

33E mille folgorando ardenti raggi
d’aureo color, sopr’essi al ciel salia.
Era chiuso in tal lume un de’ messaggi
celesti, che da Carlo allor venia;
venia da consolarlo per gli oltraggi
che gli avea fatto il popol di Pavia,
dal qual la notte fu assalito, quando
diè ’l fiero Albin l’assalto al forte Orlando.

34Né già questo del ciel chiaro splendore
spavento o cecità ne’ Franchi induce,
qual fe’ cieco et empì d’alto stupore
Saulo e i compagni la divina luce,
ma sicurezza, conforto e vigore
piove in lor tutti e nel lor saggio duce,
il qual gli occhi e le mani alzando al cielo
così parlar s’udì con santo zelo:

35«Sacro splendor, ch’ad annunziar camino
a noi felice e a confortarci vieni,
a te che innanzi al gran Rettor divino
ritorni or lieto ne gli empireiS | Emperij seni,
a te qual cosa santa umil m’inchino,
poi ch’i cuor nostri hai di speranza pieni.
Sicuri dunque omai la via prendiamo,
compagni, che da Dio guidati siamo».

36Ciò detto alzano i Franchi un lieto grido,
mandan tamburi e trombe al cielo il suono;
e già pe ’l Po le navi e per lo lido
mosse al viaggio lor le schiere sono.
Riede l’Angelo intanto al suo bel nido,Rassegna di vari personaggi contemporanei, che il poeta immagina impegnati in una futura crociata (36,5-90)
ove, di Dio prostrato avanti al trono,
adora Lui, dal quale è allora accolto,
e da’ suoi eletti ancor con lieto volto.

37Così benigno principe tra noi
con la sua corte lietamente accoglie
un de’ più forti capitani suoi,
d’ostili adorno e trionfali spoglie,
con le quai vincitor ritorna, poi-
ch’egli adempite ha del suo re le voglie,
sì come anco il voler de l’alto Dio
allora a pien quell’Angelo adempio.

38Samael vincitor quell’Angel era
che venne a far le franche schiere accorte,
quello a cui mover diè la quinta sfera
il gran Rettor de la celeste corte,
ond’ei sol la divina spada fiera
a punir l’opre altrui crudeli e torte
adopra, ei sol le schiere vincitrici
spinge contra gli eserciti infelici.

39Ei con militar fuoco e ferro atterra
e distrugge città, popoli, e regni.
Egli arde con naval terribil guerra,
frange e profonda in mar gli armati legni.
Egli leggi, costumi e lingue in terra
muta o corrompe a forza, eterni segni
tra noi lasciando con altrui ruina
de la tremenda giusta ira divina.

40L’ebrea, la greca e pria l’assiria gente,
e la romana poi fede ne fèro,
a cui fece ei con destra violente
leggi e lingue cangiar, perder l’impero,
perché oltraggiando il prossimo innocente,
né Dio temendo a mal oprar si diero.
Ma come la sua spada sempre offese
gl’iniqui, così i buoni ognior difese.

41Quante volte del sangue la dipinse
de gl’idolatri Egizi e di Babelle,
de’ quali or cento, or più migliaia estinse
quando il popol afflisser d’Israelle?
E quante contra al gran furor la strinse
de lo stuol di Maumetto a Dio ribelle,
un numero ammazzandone infinito
per conservar di Cristo il sacro rito?

42Ducento milia uccisene in difesa
di quei cristiani ch’erano in Soria,
mentre sommo Pastor di santa Chiesa
fu Sergio, aspro nimico d’eresia.
Trecento milia allor ch’ebber contesa
col gran Carlo Martello, e passar pria
i Pirenei con l’arme de la Spagna,
restando esca de’ lupi a la campagna.

43Indi più d’altretanti ne percosse
là dove corre il Farfaro e ’l Giordano,
quando i cristiani principi commosse
il Pontefice pio secondo Urbano
a girvi armati, perché a gli impii fosse
la Siria e la Giudea tolta di mano,
a’ quai quattrocento anni e più suggette
stetter dal dì ch’Eraclio le perdette.

44O bella, o santa, eroica azione,
Pastor felice, che con dir facondo
e giusto già movesti il magno Ugone,
due Ruberti, uno Stefano, un Ramondo,
e co i fratelli il buon Giufrè Buglione,
e Tancredi e ’l fortissimo Boemondo
a far con gli altri duci il grande acquisto
de’ luoghi u’ nacque, visse e morì Cristo.

45Così imitarti in ciò fosse da Dio
per ben del cristianesmo conceduto
al suo Vicario in terra, al quarto Pio,
com’or fora a grand’uopo un tanto aiuto,
pria ch’a l’oriental tiranno rio
convenga tutta Europa dar tributo,
mentre l’un contra l’altro ogni cristiano
per giuste e ingiuste leggi ha il ferro in mano.

46Quali impii diabolici furori
v’acciecan, Franchi invitti, oggi le menti,
sì ch’esser de la Chiesa correttori
vogliate voi con modi violenti?
Son del divin Pietro a i successori
quest’opre, e non a voi convenienti:
difendergli, ubidirgli et osservarli
è vostro, e non correggergli e sforzarli.

47Non per esser a lor co l’arme, come
a Pio siete oggi et a voi stessi crudi
v’ornàr di mitra imperial le chiome,
ma sì perché a la lor voi fuste scudi,
né men di cristianissimi il bel nome
diedero a voi perch’oggi i vostri studi
a guastar i lor ordini volgeste
ma sì perch’esequirgli altrui faceste.

48Lasciate omai, lasciate, empi, le spade,
riserbandole a giusta e lecit’opra;
sol ragion col Signor, sol umiltade,
non forza, non superbia il servo adopra.
Al Pontefice in noi ben potestade,
ma non già in lui a noi data è di sopra:
ei vicario è di Cristo, ei ben altrui
giudicar puote, ma non altri lui.

49Dio sol di lui, Dio sol giudicio faccia;
«Non toccar i miei Cristi» è scritto, e quelle
cose ch’essi vi dicon far vi piaccia,
non quelle ch’essi fan, send’empie e felle.
Ah, come fia che le robuste braccia,
che già moveste contra le ribelle
genti del sacro successor di PieroS | Pier,
moviate or contra lui, contra il suo clero?

50Da chi dunque sarà ne’ suoi perigli
soccorso de’ cristiani il santo Padre,
se voi già cristianissimi suoi figli
spingete a’ danni suoi l’armate squadre?
E chi difenderà più gli aurei Gigli,
chi il vostro re con la regina madre,
se voi sudditi lor già sì fedeli
siete or con essi perfidi e crudeli?

51Difenderagli Dio, potente in guerra;
dal gran Dio de gli eserciti soccorso
sarà chi tien di Cristo loco in terra,
se non ponete al furor vostro morso.
Già l’Angel contra voi la spada afferra,
già de’ gran Pirenei per l’alto dorso
move in vèr voi l’ispane insegne altere
e in altra parte le fiamminghe schiere.

52Già fa l’Italia armar, perch’oggi a vostra
distruzione spinga i figli suoi
di là da l’Alpe, che più volte a nostra
ruina armati in qua passaste voi.
Di Savoia il gran duce anco a far mostra
sforza di quanto or l’animo gli annoi
del suo real nipote l’aspra offesa,
onde ardito s’accinge in sua difesa.

53Or movendovi contra Italia e Spagna,
Savoia e Fiandra armata e l’Angel santo,
chi fia, chi fia tra voi che a la campagna
d’opporsi a tante forze si dia vanto?
Spaventar vi dovria pur de Lamagna
l’esempio fresco ch’ella, un tale e tanto
stuolo a Carlo e al Pontefice opponendo,
vinta in modo restò così stupendo.

54Stupor fu che, avend’ella prevenuto
con l’arme Cesar, quasi inerme al tutto,
gli provedesse il Ciel di largo aiuto
quando vederlo ognun credea distrutto.
Ma miracol fu poi non più veduto,
che, essendo il verno a guerreggiar ridutto,
là dove è il ghiaccio a mezza state ancora
fu la fredda stagion tepida ogniora.

55Perché sì alta impresa a fin traesse,
grazia dal Ciel sì grande Augusto ottenne
maggior ch’a Giosuè Dio non concesse
quando Febo il suo corso in ciel ritenne,
ché, acciò che Carlo il giel non offendesse,
star con Chiron tre mesi il sol convenne.
O superna bontà, che ’l tuo favore
spesso ci porgi con altrui stupore.

56Come anco alto stupor al mondo desti,
allor che a la catolica Maria,
d’Anglia regina, la tua man porgesti
contra al suo popol colmo d’eresia.
Tu l’arme a piè di lei depor facesti
da l’ampio stuol, che contra le venia;
per te fu debil femina possente
a domar sì feroce armata gente.

57L’Inghilterra per te, l’aste e le spade
deposte, onorò lei qual sua regina.
Per te la Francia ancor mostri umiltade
con Carlo e con l’egregia Caterina.
S’una donna frenò la feritade
de l’Anglia, ch’or per torta via camina,
al franco orgoglio or, tua mercé, non meno
ponga una donna et un fanciullo il freno.

58Illumina i lor occhi, o pio Signore
de le misericordie, sì che il vero
scernendo chieggan del lor grave errore
perdono a Carlo e al successor di Piero.
Se la morte non vuoi del peccatore,
ma ch’ei viva tornando al buon sentiero,
deh, più che giusto, mostrati pietoso
con questo popol cieco e furioso.

59Ché se non fia la tua giustizia vinta
da la misericordia, io veggio tutta
di civil sangue, ohimè, la Francia tinta,
e da fiamma civil quasi distrutta;
veggio anco la sua gente esser estinta
da schiera esterna, or contra i rei condutta,
e dal forte Angel tuo, cui veder parmi
già sopra gli empi alzar la destra e l’armi.

60Ma prima ch’al ferir de la sua spada,
de l’italica, ispana e franca insieme,
l’iniquo stuol de gli ugonotti cada,
e provi in un le sue ruine estreme;
deh, ridurlo ti piaccia a dritta strada,
com’hanno i servi tuoi desire e speme,
sian da te le sue squadre a pace astrette,
senza mostrarti Iddio delle vendette.

61Sforzale a chieder pace, ad inchinarsi
a Carlo, a Pio, che tu sol farlo puoi,
indi a far guerra, e rigide mostrarsi
col re de’ Turchi, e non co i servi tuoi,
sì che ’l perduto nome racquistarsi
possan di cristianissimi tra noi,
racquistando il terreno ove la carne
prendesti in cui ti piacque di salvarne.

62Ora è tempo, Signor, pur che la mano
ci porga Tu, di far la santa impresa:
che avendo Italia, il re franco e l’ispano
la spada a strage de’ ribelli or presa,
se emendi i rei, se contra Solimano
con gli armati in pro de la tua Chiesa
gli spingi e l’Angel tuo lor guida sia
qual forza è tal che loro a fronte stia?

63Ma veggio (o lieta vista, o dì felici
quando ciò fia), già veggio ch’esauditi
i giusti preghi e insieme tutti amici
resi i cristiani, in una legge uniti,
gli movi armati a danno de’ nimici
nostri comuni, verso i traci liti.
Oh quante, oh quante veggio armate schiere,
quante al vento ondeggiar varie bandiere!

64Veggio offuscando al sole i raggi ardenti,
salir del ferro al ciel gli orrendi lampi.
Veggio mille spiegar già vele a’ venti,
ingombrando del mar gl’immensi campi.
Veggio al Danubio ancor d’arme e di genti
coperti i lidi spaziosi et ampi.
De i tamburi il suon fiero e de le trombe
fa che l’aere e la terra e ’l mar rimbombe.

65Di qua per mar l’armata in vèr l’Egitto,
di là ’l cristiano esercito per terra
tien verso Macedonia il camin dritto
per far la tanto omai bramata guerra.
Ma qual di tutti è il capitano invitto,
cui stuol d’Angeli armati intorno serra,
tra quai d’orror, d’acciar cinto e di scudo
primo vien Samael col brando ignudo?

66Egli è il gran re de la superna gloria,
il domator de l’infernali squadre,
quel ch’ebbe de la morte alta vittoria,
colui che nacque di vergine madre,
di Dio Figliuol diletto, in cui si gloria,
in cui ben si compiace il sommo Padre.
Veggiol sopra le nubi in loco, dove
le nostre e navi e schiere altero move.

67La ferrea verga ne la destra tiene,
ne l’altra un libro, che le lettre ha d’oro.
L’insegne, ond’egli a l’alta impresa viene,
portagli avanti de gli Angeli il coro:
la Croce santa un d’essi alta sostiene,
e portan la colonna due di loro;
chi tien la lancia e i chiodi, e chi le spine
che le sue già ferìr membra divine.

68Vuol questo eccelso duce, il cui gran nome
le celesti, terrestri et infernali
ginocchie tutte inchinan, che sol dome
da i Carli sian le forze orientali:
per questo il gran Filippo e Cesar, come
sian de’ Carli i gran nomi in ciò fatali,
a i due Carli magnanimi lor figli,
guidar fanno l’esercito e i navigli.

69Va Cesar con l’esercito, et a Carlo
suo figlio pria ne dà lo scettro in mano.
Veggio i Madruci illustri seguitarlo,
e con essi ogni principe germano,
e ’l franco stuolo, e l’armi accompagnarlo
di Napoli, di Roma e di Milano:
queste il gran Guidobaldo regge, e il duce
fortissimo di Ghisa quel conduce.

70Di Pollonia vi son le regie schiere,
van gli ungheri cavalli a gli altri avanti.
Di Ferrara e di Mantoa le bandiere
quivi son mosse ancor da l’aure erranti.
Ma con le tante in mar navi e galere,
ch’a gara or solcan l’onde alte e spumanti,
va il gran Filippo e capitan di quelle
fa Carlo, c’ha in favor tutte le stelle,

71Carlo suo figlio, or dal divin Rettore
per sommo duce a tanta impresa eletto,
perch’ei del quinto Carlo imperatore
al giusto alto desir dar possa effetto,
ch’era il voler di servitù trar fuore
la Grecia e Soliman farsi suggetto,
e racquistar la Città Santa insieme,
la cui voglia adempir dèe nel suo seme.

72Non vede il sol tra quanto il mar circonda,
nobiltà pare a quella che accompagna
per la mediterranea acqua profonda
il gran rege e ’l gran principe di Spagna.
O quanti degni d’apollinea fronda
duci l’ondosa liquida campagna
adornar veggio, e quanti d’alti pregi
scorgo signori e cavalieri egregi!

73Con quanti uomini armar può ’l suo paese
veggiovi di Savoia il chiaro duce.
Le parmigiane schiere il gran Farnese
Ottavio e le castrensi vi conduce.
V’è d’Alva il duca, avvezzo a l’alte imprese;
ma quel di Sessa, il cui valor riluce
d’ogni altro a par, non può, come ha desire,
perch’ei regge Milano, il re seguire.

74Ben lo veggio seguir de’ Catelani
al viceré magnanimo García;
fagli il Mendozza illustre con gli ispani
legni, e ’l gran contestabil compagnia.
Veggio il d’Avila, e ’l Peres, per le mani
de’ quai alta impresa scritta fia.
Del Carretto il marchese, il cui consiglio
del gran Filippo regge ogni naviglio.

75Di Sicilia e di Napoli l’armate
triremi muove Antonio, or de la Doria
stirpe splendor, le ligure guidate
son dal giovane Andrea, ch’è pien di gloria.
Di Malta il gran maestro le ferrate
sue prore spinge avanti, e la vittoria,
con ben mille onorati cavalieri,
par ch’ottener sopra ad ogni altro speri.

76De l’eccelsa adriatica regina
move un Filippo in mar l’armate squadre,
nato de la gran casa Bragadina,
ch’ancor di te, Tomaso illustre, è madre;
di te, la cui bontà quest’alma inchina,
di te, di cortesia ministro e padre:
così i gran merti tuoi ben sapess’io
lodar, come di farlo ho gran disio.

77Veggio ancor di tua stirpe il generoso
Antonio, che di bello ha ’l bel cognome,
render con le sue prore il mar spumoso,
et altri duci di ch’or taccio il nome.
Ma già non taccio quel del valoroso
Sforza ch’in mano ha ’l gran governo; e come
tacer di te poss’io, Giordano egregio,
de l’Orsina progenie eterno pregio?

78Te Girolamo illustre Martinengo,
voi chiari Savorgnani, il forte Astorre,
et altri ch’ora a nominar non vengo,
d’intorno al Leon d’or veggio raccòrre.
E te Boldier, cui tanto obligo tengo,
te nobil cavalier veggio ritorre
il già lasciato ferro, et adoprarlo
per Cristo, col seguir l’ispano Carlo.

79Per Cristo anco il Fregoso Ercole l’armi
ripiglia, ch’a Benaco ha già deposte,
mentre fa il loco ornar di sculti marmi,
ove fur le paterne ossa riposte.
Et è ben dritto che per Cristo or s’armi
se a gran perigli ha già le membra esposte
per gloria umana, e ’l sa ’l Piemonte, dove
fe’ col ferro e col senno egregie prove.

80Veggiol tra quei ch’in Gallia han più splendore
seguir l’insegne anch’ei de gli aurei Gigli,
le quai move di Francia il gran priore
sopra gli armati gallici navigli.
Non ha Fiandra e Inghilterra uom di valore
che a gara per Giesù l’arme non pigli:
co i legni inglesi di Pembruch il conte,
e co i fiamminghi vien quel d’Agamonte.

81Ma di Fiorenza il principe e di Siena,
con quel d’Urbino, ambo d’Italia speme,
ove lass’io, ch’una milizia piena
conducon d’alto ardir, di forze estreme?
Quegli il Vitello illustre seco mena,
e del duca Alessandro il nobil seme,
co i due Fregosi, e spinge le sue prore
Baccio Martel, de’ Turchi percussore;

82questo il forte Antenor, cui tanto pregia
Marte, ha seco, e Renier, che i monti onora.
Con ambi questi principi l’egregia
tua prole, Ottavio invitto, veggio ancora,
il tuo maggior figliuol, ch’è ne la regia
corte del gran suo zio nutrito ogniora,
ove e te, Fulvio, de’ Rangoni luce,
tien di Ferrara il glorioso duce.

83Come i suoi zii, chiarissimi ambidue,
don Francesco et Alfonso anco ha mandati
con Augusto, a guidar le schiere sue,
e ’l Bentivogli illustre fra i lodati.
E così girvi con l’insegne tue,
tu, duca mantovan, fai gli onorati
Luigi e Cesar, cugin questo, e quello
di te minor magnanimo fratello.

84Tu le partenopee real bandiere
in Tracia spingi, intrepido Castaldo;
tu signor di Pescara l’armi fiere
d’Insubria con prudente animo e saldo;
e con Cesar da Napoli le schiere
di Pio, tu Borromeo; ma Guidobaldo
a tutti voi però per capitano
dà il gran Filippo, e ’l buon Pastor romano.

85Ecco Alvaro, ecco Sange e Berlinghiero,
di Dio campioni, che per la sua fede
de’ Turchi hanno sofferto il giogo fiero,
ecco ch’a tempo ognun libero riede.
Oh con che gioia il sir del lido ibero,
catolico alto re, gli accoglie e vede!
Oh con che gaudio ognun di lor, con quanta
prontezza ir veggio a questa guerra santa!

86Ma qual tra tanti duci e cavalieri,
e qual tra questo e quel principe amico
di Cristo, a impresa tal più volentieri
veggio ir di te, magnanimo Alberico,
per liberar da i Turchi iniqui e feri
la Grecia, ond’uscì già ’l tuo seme antico?
Perché da i greci illustri antichi eroi
scesero i gloriosi avoli tuoi.

87Né pur questa onorata alta cagione,
ma il servir il gran re cui tanto osservi
al tuo pronto volere è acuto sprone,
perché servendo lui, Cristo ancor servi.
Veggioti quanta intorno al Carione
in pace col tuo fren gente conservi,
armata appresso, oltra a la regia schiera
ch’obligo ha d’ubidir tua insegna altiera.

88Teco Alderan, tuo figlio, veste il petto
d’acciar, lasciando i fanciulleschi panni,
per te rassimigliar, che giovinetto
provar volesti i marziali affanni,
onde il romano esercito fu retto
da te ch’a pena giunto eri a venti anni:
Perugia anch’oggi ammira il tuo valore,
di cui già fusti duce e difensore.

89Ma il carco santo, ch’or tra i cinque lustri
e i sei per Cristo appo Filippo hai preso,
farà più ch’altro i tuoi gran merti illustri,
e ’l tuo nome immortal da quel fia reso.
Già parmi udir che da i gagliardi industri
di marmi cavatori, venga offeso
questo e quel monte tuo con gravi e spessi
sonanti colpi, onde sian rotti e fessi.

90Si fendono i tuoi monti, e lunghi e grossi
marmi trattine fuora, a la vittoria
cristiana statue, tempi, archi e colossi
veggio innalzar con tua perpetua gloria.
Veggio i più degni calami già mossi
a farne alto poema, e chiara istoria,
ove tra tali eroi, tra duci tali
saran l’alte tue lodi anco immortali.