Invocazione alla musa e giustificazione della digressione precedente (1-5,2)
1Ma torna, o Musa amica, torna omai
al lasciato da te proprio camino:
troppo uscita ne sei, né tanto mai
n’uscisti in verso alcun greco o latino,
né men nel tosco, benché scusa n’hai,
poi ch’ora, spinta dal furor divino,
per narrar le presenti, le passate
cose vie più del dritto hai tralasciate.
2L’Angel che move il brando luminoso
contra i Turchi ribelli or t’è presente,
e de’ cristian lo stato periglioso,
che l’un di fé da l’altro è differente,
onde ammonir gli erranti e in suon pietoso
pregar Giesù ch’allumi lor la mente
t’è convenuto, e che vèr Tracia volte
sian l’armi c’hanno un contra l’altro or tolte.
3Presente ancor t’è la futura chiesta
grazia da’ preghi tuoi che, uniti in Cristo
noi tutti e armati in quella parte e in questa,
siamS | Sian mossi a far del suo sepolcro acquisto.
E potevi in men versi manifesta
far la gioia del ben da te previsto;
pur s’oltra modo uscita or sei di via,
per sì giusta cagion lecito sia.
4Ora a gli antichi gesti de l’istoria
c’hai tralasciata rendi i versi tuoi,
diva Polinnia, ch’a l’eterna gloria
con chiara tromba sacri i grandi eroi.
Rinova col tuo canto la memoria
de l’Angel Samael quando tra noi,
per dar soccorso al figlio di Pipino,
mandato fu dal Regnator divino,
5narra le cose, o dea, che fatte pria
che ritornasse al Ciel da lui qui furo.
Egli, poi che lasciò sotto PaviaSamael raggiunge il quartiere di Marfisa, fingendosi un pastore ottiene udienza ì e la informa della frode di Eudone (5,3-29,2)
da l’altrui fraude il franco stuol sicuro,
e diede ordin ch’al re, se pur dormia,
mostrasse il Sogno a tempo il mal futuro,
se n’andò ratto cinto d’aurei lampi
là dove Staffa e Coppa innonda i campi.
6Quivi, mentre la notte in fosca veste
si mostra, umana forma l’Angel piglia,
l’ale, il crin d’oro e l’abito celeste
lascia, prendendo inculte e chiome e ciglia.
Mostra aspra barba e rozzi panni veste,
d’un baston s’arma, ond’un villan simiglia
del paese d’intorno abitatore
al vestire, a l’effigie et al colore.
7Già sopra un colle, prossimo egualmente
a Silerano et a Chiasteggio, avea
fatta alloggiar Marfisa quella gente,
ch’insieme con Dudone ella reggea;
quivi incontro a la guardia, che con mente
desta a le tende intorno allor scorrea
per saper se i nimici avesser presso,
Samael sì cangiato offre se stesso.
8Chi sia chieggono a quello, e che lor scopra
dove e perché la notte attorno vada.
Tace egli, e per fuggir già i piedi adopra,
ma gli è da l’armi lor tronca la strada;
tosto lo cingon tutti, già già sopra
più d’una lancia gli è, più d’una spada.
Grid’ei: «Non mi uccidete, che più vivo
giovar vi posso, che di vita privo.
9Cosa vi scoprirò ch’esservi caro
potrà di non m’aver la vita tolta».
Così l’Angel gridando, raffrenaro
l’arme i Francesi e l’ira in lor raccolta,
e qual volesse allor gli dimandaro
cosa scoprir, che fusse loro occolta.
«Solo al capitano vostro, e non altrui,
vo’ dirla», fu risposto allor da lui.
10Onde, qual suol menarsi uomo in prigione,
trasserlo ove l’esercito alloggiava,
e di Marfisa andaro al padiglione,
u’ sospirando armata passeggiava,
perché l’aspra amorosa passione
da le sue membra il sonno discacciava.
A lei subito avanti il trasformato
Angelo fu da i Franchi appresentato.
11Ella, saputo ciò ch’egli ha promesso,
Dudon fece chiamar, perché volea
questi secreti non udir senz’esso,
per mostrar che ’l compagno in pregio avea.
Tosto ch’ei ne la tenda fu intromesso,
fuor n’uscì ogni altro, come uscir dovea.
Indi ambidue rivolti al prigioniero
così parlavan con sembiante altiero:
12«Su dinne, ardito, quel che dir ne dei,
discopri a noi queste importanze ascose,
che avrai gran premi, se verace sei».
Ond’egli allora umil così rispose:
«Se sian veraci o falsi i detti miei,
tosto faran conoscervi le cose
ch’a i vostri occhi medesmi s’offriranno,
mostrando s’io v’apporto utile o danno.
13E, quantunque parer nimica spia
vi possa qui venuta ad ingannarvi,
pur propizio sarovvi, pur vi fia
fido il mio dire e pur potrò giovarvi
s’io scopro a voi l’occulta fraude ria
de’ Longobardi, or pronti ad assaltarvi.
E s’in lor danno queste cose or dico,
né del lor sangue son, né loro amico.
14Ma ben, né senza causa, amo i Francesi,
come a voi tosto mostrerà l’effetto,
e che ’l nimico inganno or vi palesi
cagione è questo mio debito affetto.
Cristo, da la cui man siete difesi,
vòl che per la mia lingua or vi sia detto
che Desidero, Albino e d’Asti il duca
son per tradirvi pria che ’l dì riluca.
15Stanotte il preparato tradimento
d’esequir questi iniqui ordine han posto;
e già dal loco u’ preso alloggiamento
ha Orlando il fiero Albin poco è discosto,
tutto pien di speranza e d’ardimento
d’opprimer lui con le sue schiere, e tosto
darne al duca et al re col fuoco il cenno,
dopo il qual Carlo anch’essi assalir denno,
16sicuri che star lor non possa a fronte,
e sia la gente sua nel sonno involta.
E già per questo far le schiere ha pronte
e move quelle Eudon con fretta molta,
né meno a piè de l’Appenino monte
la genovese nazione occolta,
mente al vostro viaggio, insidie tende;
e qual sia ’l passo udite ove or vi attende.
17Da Genova non lunge è una valle
tra due gran monti che le fanno sponde,
ov’entra e ond’esce per angusto calle
chi va in Liguria, né passar può altronde;
sol pietre smosse e sterpi han l’alte spalle
de’ monti, entro a le cui grotte s’asconde
d’uomini arditi e destri armata schiera,
ch’ivi uccidervi tutti al tutto spera.
18Né, s’incauti v’entraste, non distrutti
da l’empie loro insidie esser potreste
perché, quand’ivi fuste entro condutti,
nulla de l’armi proprie vi varreste
con quei, che d’alto saettarvi tutti
con fuochi, dardi e pietre ivi vedreste.
Men salvarvi potria la fuga ancora,
perché il poterne uscir tolto vi fora.
19Vietato a voi l’uscir quindi saria
da gente ch’in due boschi già s’è ascosa,
vicini a l’una e a l’altra angusta via
di questa valle cupa e perigliosa.
Ma con lor morte prevenuta fia
da voi l’empia lor fraude insidiosa,
quand’io del vostro stuol parte stanotte
guidi ove son que’ boschi e quelle grotte.
20Però che sopragiunti a l’improviso
da l’armi vostre i perfidi saranno,
da le quai sia il camino anco reciso
a gli Astigiani ch’a Pavia sen vanno;
e giusto è ben se con insidie è ucciso
chi uccider altrui vuol con inganno.
Or queste, ch’io v’ho detto, le secrete
cose son, che da me saper potete.
21S’util fia ’l saperlo, com’io spero,
laudisi sol del sommo Padre il Figlio».
Così parlò il celeste messaggiero,
e spirò nel lor sen fede e consiglio,
onde e debbano a lui creder il vero
e trovar sappian schermo in tal periglio.
Essi intenti ascoltàr le sue parole,
come cosa ascoltar grata si suole.
22Et oltra l’uso uman risplender gli occhi
e sonar la sua voce udito e visto,
credono a lui, dal ver ne l’alma tocchi,
stimando ivi mandato esser da Cristo.
Poi trattisi in disparte, e dove scocchi
lo stral nimico col pensier previsto,
terminan, dopo un breve lor discorso,
che sia Carlo e Gualtier tosto soccorso.
23E perché a l’uomo ardito e diligente
ne l’opre, alto favor porgono i cieli,
fattisi ivi chiamar secretamente
due de’ lor capitani più fedeli,
che faccian con silenzio armar la gente
comandano e ch’ognun l’arme si veli.
Indi a l’ignoto prigionier rivolti
così gli parlan con arditi volti:
24«Chiunque tu ti sia, Cristo ci induce
a creder per veraci i detti tuoi.
Ma dinne, che camin tien d’Asti il duce?
quanto esser puote omai lunge da noi?
quanta è la gente e qual ch’egli conduce?
con che ordine guida i guerrier suoi?
E che numero è quel de’ Genovesi
da’ quai ci son per via gli agguati tesi?».
25Et ei: «Per me d’oprar non si rimagna
la lingua, acciò per voi s’opri la mano.
Tra la Staffa e ’l Corone ha una campagna,
il cui loco è due miglia a voi lontano;
di quella, le cui sponde anco il Po bagna,
cavalca il duca per l’immenso piano.
Son nove milia a piede i suoi guerrieri,
e tre migliaia e più sopra i destrieri.
26Ne l’arme il più di loro esperto è poco,
bench’abbian duce in ogni impresa buono;
da lui fatti marciar per sì gran loco
in quadra forma, con bell’ordin sono.
Non risplende tra lor ferro né fuoco,
né men vi s’ode alcun bellico suono;
sol tra silenzi e tenebre sen vanno
per non far noto altrui sì occulto inganno.
27Due milia i Genovesi e cinquecento
son ch’al passo v’aspettano aspro e stretto:
due milia in selve, e ’l resto a gli antri drento,
che far per fraude speran l’empio effetto.
Ma tosto, con lor danno, a salvamento
condurvi in questi luoghi vi prometto;
e dovvi me medesimo per pegno
fin che abbiate del ver più certo segno».
28Qui tacque; et essi a lui con modi grati
risposer che da lor, quando sian certi
de la sua fede, avrà premi onorati
e gradi non indegni de’ suoi merti.
Fatti ivi poi chiamar tre lor soldati
di tutti i passi di Liguria esperti,
trovan che di quegli aspri angusti passi
de l’Angelo il parlar col lor confassi.
29E ch’anco a pien conosce ivi ogni strada,
ond’ambi più che pria fede gli danno.
Indi ove e come a prevenir si vadaMarfisa manda Dudone verso Genova e varca con l’esercito un torrente in piena (29,3-45,4)
il genovese e l’astigiano inganno,
sì che il mal sopra i fraudolenti cada,
consiglio tra lor due subito fanno,
e come scuopran di Pipino al figlio
a tempo de gli aguati il gran periglio.
30Ma perché a l’opra espedizion si dia
né sian più l’ore senz’effetto spese,
escon fuor de la tenda, avendo pria
tra lor due compartite ambo l’imprese:
tocca a lei l’assalir Eudon per via,
e i Liguri al figliuol del buon Danese.
Trovano uscendo fuor, secondo il dato
lor ordine, lo stuol già tutto armato.
31Già de l’armi nascosto è ’l fiero lume
e ridutta a l’insegne è la lor gente;
quivi non gridi o suon, come è costume,
sentirsi tra l’esercito si sente,
ma solo un mormorio, che quel d’un fiume
sembra, che corra al mar quietamente,
o quel de l’apiS | l’Alpi quando a i nuovi albori
furano il cibo a questi et a quei fiori.
32Tosto al conte Ansuigi, uom tra i guerrieri
franceschi d’ardir pieno e di prudenza,
dannosi trenta scelti cavalieri
perché allor vada a Carlo in diligenza
e gli discuopra de i nimici feri
l’insidie, acciò far possa resistenza.
Al conte occultamente ciò s’impone,
ond’ei, senza altro indugio, in via si pone.
33Tra lor la gente poi con pronta cura,
ma non con egual numero è divisa:
due terzi, e la più grave d’armatura,
ne prende la magnanima Marfisa,
da lei dovendo in mezzo a la pianura
la strada al duca d’Asti esser recisa;
Dudone il resto poi, d’armi men greve,
ch’a pugnar ne’ luoghi aspri usar si deve.
34Ma perché ancor nessun guerrier s’accorge
perché sia desto e perché armato allora,
fan chiaro ognun ch’in mano il Ciel lor porge
una gran preda, e maggior gloria ancora,
e come Dio, ch’a tanto onor gli scorge,
vuol senza alcun lor rischio anzi l’aurora
ch’essi il lor re con l’arme vincitrici
liberin da l’insidie de’ nimici.
35Questo et altro parlar per lor s’adopra
a spronar i soldati a i fieri effetti;
voglia e prontezza d’eseguir tal opra
spira il messo celeste ne’ lor petti,
onde convien ch’ognun l’animo scuopra,
con basse voci almen, poi che disdetti
i gridi a tutti son da i capitani,
e con alzar le destre armate mani.
36Parton poi con bell’ordine guidati
dal colle, e perché occulto il partir sia
lascianvi accesi i lumi e i fuochi usati
e gente ch’a nutrirgli ivi si stia.
Ma già prende Dudone e suoi soldati,
con Samael vèr Genova la via,
e verso la vicina ampia campagna
la vergine, cui guida altra accompagna.
37Accompagnala Dio, non pur la scorta
ch’ella ha de’ luoghi esperta e de’ lor passi.
Già dove seco furibonda porta
la Staffa alto fremendo arbori e sassi
giugne; ma chi le mostrerà la porta
per l’acque sì ch’a l’altra riva passi,
che alzate han sì le pioggie che la guida
stessa trovarne il varco si diffidaS | difida?
38Facella ivi non luce, ivi nasconde
la luna l’alma sua faccia lucente
tal che ’l rimbombo e ’l furiar de l’onde,
giunto al notturno orror, la franca gente
non pur ma le sue guide ancor confonde
nel trovar vado al rapido torrente.
S’offron gran premi a chi primier lo trova,
ma in van per ritrovarlo ognun fa prova.
39Mostralo al fine Dio, l’alto favore
del quale in ogni impresa a i Franchi è duce.
Ecco che con altrui gioia e stupore
scende da l’alto cielo una gran luce
con rai d’argenteo lucido colore,
che sopra l’onde e ’l lido lor riluce,
qual sopra Betelem lucente e bella
apparve a i santi Re l’amica stella.
40Traggon le viste a lor quei raggi ardenti,
che accender mostran l’acque e le sue prode.
«Miracol!» grida ognun con bassi accenti,
et ella così dir suplice s’ode:
«Quai voci, o Re del Ciel, sarian possenti
a darti d’un tal don debita lode,
che senza aspettar prego or d’alto aiuto
al gran nostro bisogno hai proveduto?
41Tu le difficultà facili e piane,
Tu sicuri i pericoli ne rendi.
Te seguiam dunque, che non mai l’umane
speranze a te rivolte vilipendi.
Quai voglie in te fermate restan vane?
Chi fia tra noi, se di tua fé l’accendi,
ch’este acque non pur varchi arditamente,
ma non passi anco ignudo il fuoco ardente?».
42Con tal parlar l’intrepida donzella
ringrazia Dio, rincora i suoi guerrieri;
i quai con detti e cenni arditi a quella
mostran pronti a gli effetti i lor voleri.
Ma già l’apparsa lucida facella
celeste a’ due francesi cavalieri
non che a le guide il varco ivi ha mostrato,
che avean pochi dì avanti ambi passato.
43Entran ne l’acque torbide e profonde
tutti, invocando il Re de l’alte stelle;
fendono, e con la schiuma imbiancan l’onde,
i lor cavalli, e risonar fan quelle;
già il ventre ognun di lor dentro v’asconde,
e vi avrebbono ascoste anco le stelle,
ma le ninfe de l’acque i destrier presi
dal basso fondo gli tenean sospesi.
44Così nell’Albi, allora ch’ivi fusti
vittorioso, a te, Cesare, avvenne,
quando per castigar gli empi et ingiusti
eretici varcarlo ti convenne.
Te, quinto Carlo, onor de’ grandi Augusti,
l’Angelo sopra l’Albi allor sostenne
quando la spada tua di sangue il tinse,
e venisti, vedesti, e Cristo vinse.
45Passa per l’onde rapide, guidato
da Dio, lo stuol de la regina altiera,
che de le diece armate dame allato
avea la leggiadra armata schiera.
Ella in tanto da parte a sé chiamatoMarfisa dispone l’esercito mandando un’avanguardia a attaccar battaglia (45,4-61,4)
il sir d’Alvernia Uberto che quivi era,
vèr lui, che l’era noto a molte prove,
così la lingua in bassa voce move:
46«Te per lo tuo valor scielgo fra tutti
perché a la pugna dia cominciamento,
che avrà felice fine, poi ch’indutti
da divino vi siam comandamento.
Dunque a i mille cavai da te condutti,
de i mille altri n’aggiungi cinquecento:
perché, varcato c’hai questo torrente,
con lor facci un camin tacitamente.
47Un miglio cavalcar con tali schiere
lungo il corso de l’acque ti conviene,
e quivi poi fermar le tue bandiere,
fin che s’appressi Eudone a quelle arene.
Al giugner suo si spogli de le nere
vesti ciascun che sopra l’armi tiene,
indi con le camiscie per tal opra
già preparate, subito le cuopra.
48Con grand’impeto poi da tutti insieme
sia l’astigiano esercito percosso,
perch’egli, cui nessun sospetto or preme,
o fia dal primo assalto a fuga mosso
o, se pur pon ne la difesa speme,
avrà da tergo i miei soldati addosso;
che incamisciati anch’essi, a ferir pronti
fien questi iniqui, ognior che tu gli affronti.
49Ma perché al tuo partir non più dimora
s’accresca, e danno a questa impresa dia,
varcar con gli altri puoi l’onde tu ancora
e porti col tuo stuol subito in via.
E da me sarà dato ordine or ora
ch’ubidiente ogni guerrier ti sia,
perché a tua voglia cinquecento eletti
ne siano appresso a i mille da te retti.
50San Giorgio è il nome, onde la nostra gente
l’usata conoscenza fia scoperta.
Or parti senza indugio arditamente,
che promessa n’ha Dio vittoria certa».
Ciò detto, e datale egli la prudente
risposta che ’l parlar di lei si merta,
l’acque a varcar si pon con gli altri in fretta;
ella a farlo ubidir manda un trombetta.
51Ma poi ch’è già passata ogni sua insegna,
con le donzelle anch’essa entra ne l’onda.
Liete ch’abbianS | c’habbiam tra lor dama sì degna,
l’alzan le ninfe da l’acqua profonda;
e beata colei che par si tegna
che ’l varco più le agevola e seconda.
Falle il celeste lume anco favore,
che accresce, mentre passa, il suo splendore.
52Ella, altiera, il cavallo oltra cacciando,
e da le diece sue dame seguita,
sembra la generosa Clelia quando,
mal da l’etrusche guardie custodita,
le sue compagne in Roma rimenando,
fu di passar la notte il Tebro ardita.
Marpesia par, che con ardita fronte
varchi il grand’Ebro, o Artemia il TermoodonteS | Termoodonte.
53Al fin da’ suoi soldati allegramente
con l’altre è vista uscir de l’onde fuora.
Giunta in su l’altra riva del torrente,
ond’Uberto partito è pur allora,
ristrigne insieme la sua sparsa gente,
e in battaglia la pon senza dimora.
De’ cavalli due parti, e uno squadrone
sol, ma gagliardo, fa d’ogni pedone.
54E perch’esser non può molto intervallo
di tempo la battaglia a cominciarsi,
comanda a i fanti e a gli uomini a cavallo
che debban le camiscie apparecchiarsi,
perché con esse nel sanguigno ballo
di Marte a suon di trombe possa entrarsi
quando ’l cominci co i nimici Uberto,
dal qual fia ’l segno a lor tosto scoperto.
55Fianchi a la fanteria, di cui la guida
vuol esser ella, i cavalieri fanno:
l’inglese Enrico la metà ne guida,
e l’altra parte il parigino Armanno,
guerrieri de’ quai molto ella si fida,
per l’onorate prove che fatt’hanno.
Indi il militar nome chetamente
dà loro e a’ capi ancor de l’altra gente.
56Qual barbari cavai che tardar poco
debbano de’ lor corsi la contesa,
che né fermarsi ponno o trovar loco
mentre è la voce de la tromba attesa,
scuotono i crini, e spiran fumo e fuoco,
geme la terra da’ lor piedi offesa,
e con nitriti e fieri movimenti
mostrano aver al corso i cori ardenti,
57tal i soldati di pugnar bramosi,
si struggon tutti il fatto ritardando
di trarre i ferri e fargli sanguinosi,
un anno ciascun attimo stimando;
ond’ora stringon quelli più animosi,
ora arruotano i denti, ora squassando
l’aste, or movendo l’uno or l’altro piede
fan del desir lor generoso fede.
58Ma chi dir mai potria con quanto ardore
le man brami Marfisa insanguinarsi?
Saltale dentro al petto il nobil core,
né pon le fiere sue membra posarsi,
che dal fuoco di Marte entro e di fuore
sente, e da quel d’Amor tutta avvamparsi.
E s’al suo grado non disconvenia,
più fieri segni ancor mostri n’avria.
59Miserissimi voi, che destinati
siete esca al suo furore! Or chi da lei
vi scampa e da’ suoi colpi, se guidati
son da le man di due sì fieri dèi?
Da’ quai con un de’ tuoi compagni armati,
tu ancor Gisuarte stimolato sei,
te ancora, et Andronoro infiamma il fiero
Marte non pur, ma il cieco alato arciero.
60Perché se per la bella Floridena
Amor t’ha l’alma accesa, a lui scolpita
in mezzo il core ha la beltà serena
de la compagna sua Lampedia ardita,
e tratto sol da sì gentil catena,
anch’ei teco ha Marfisa ivi seguita.
A la qual ambi voi star presso ogniora
veggio, perché vi stan le dame ancora.
61Ma s’entrar brama alcun ne la battaglia,
lo braman le due spose di Guidone,
poi ch’ivi a qual di lor più in arme vaglia,
in premio un tal marito si prepone.
Or mentre ognun bramoso è che si assagliaUberto con il suo drappello arriva in prossimità dell’esercito nemico, sprona i suoi uomini alla battaglia (61,5-75)
tosto lo stuol de l’astigiano Eudone,
già Uberto, a cui di farlo il carco è dato,
quasi un miglio di strada ha cavalcato.
62Giunto ove andar dovea, sopra l’arene
ferma lo stuolo, et in tre schiere il parte.
La prima, e la maggior, per sé ritiene,
la seconda e la terza altrui comparte:
dalle a due giovanetti d’alta spene,
l’un nomato Bronteo, l’altro Agrimarte,
ambo cugini, ambo in amor fratelli,
benché sia nel valor gara tra quelli.
63D’Uberto è figlio l’un, l’altro nipote;
e porta ad ambi egual paterno amore.
Già comincia a spuntar per le lor gote
de la lor verde etade il primo fiore.
Ma le prodezze lor son anco ignote,
che pur dianzi di Francia il regnatore
cavalieri gli fe’, né poi vedute
s’erano prove ancor di lor virtute,
64onde affamato astor non così brama
d’insanguinarsi il rostro in altri augelli,
come ambo ingordi d’onorata fama,
d’insanguinar le spade han desir quelli
di tale occasion, che allor gli chiama
a provar se sian degni de i novelli
avuti gradi. Oh, come han lieto core,
mostrar tosto sperando il lor valore!
65Or posti ivi in battaglia i suoi guerrieri,
e dato a i capi il nome il prode Uberto,
manda a spiar per tutti quei sentieri
un cavaliero del paese esperto,
perché mentre riposano i destrieri,
ov’è il nimico stuol gli sia scoperto.
Quei dal lido si slarga, e chetamente
cerca in più lati se lo vede o sente.
66Né di ferro splendor, né veder puote
mover per l’aria scura aste o bandiere;
non voce o suon l’orecchie sue percuote,
né segno appar de le nimiche schiere;
ma per provar se gli ponno esser note
in altra guisa, smonta del destriere,
le redini in man prende e, in su ’l sabbione
messa l’orecchia, ad ascoltar si pone.
67Sente un gran calpestio non di lontano,
ch’esser presso i nimici gli fa fede:
onde a caval risale, e ’l capitano
con tal nuova a trovar subito riede.
Ciò inteso Uberto, perché l’astigiano
stuol doversi affrontar già il tempo chiede,
tosto a i guerrieri intorno a lui ristretti,
a l’arme accende il cor con questi detti:
68«Qua siam venuti ad acquistar con certa
speme, o compagni, preda e gloria immensa,
né mai sì larga occasion n’ha offerta
chi le grazie tra noi dal Ciel dispensa:
gente ricca d’arnesi e poco esperta
ne l’arme or presso abbiam, che assalir pensa
stanotte, in compagnia di Desidero,
il nostro re, ma van fia ’l suo pensiero.
69Ché, sì come dar vuol l’assalto in campo
a lui, ch’in tregua essendo non l’aspetta,
a lei darem per via, perch’altro inciampo
aver nel suo viaggio or non sospetta;
né far difesa, né trovar può scampo,
benché a fuggir, benché a pugnar si metta,
perché assalirla ancor deve improvisa-
mente, oltra noi, l’intrepida Marfisa.
70Ella che le sue schiere e l’arme ha pronte,
tosto che da le tromba oda che noi
percosso l’inimico abbiam da fronte
da tergo il ferirà co i guerrier suoi,
le persone de’ quali a noi sien conte
per le camiscie ch’essi, come voi,
terran sopra gli usberghi; or preparate
le vostre, perché omai ve ne copriate.
71Con tal segno e col ferro, danni estremi
al nostro re schifando, avrem vittoria,
per la qual ei, con nostri onor supremi,
terrà sempre di noi grata memoria.
Taccio i degni che avrete e gradi e premi
da la sua man, perché desir di gloria
e di trar lui d’un tal periglio fuori
non d’altro acquisto accende i vostri cori.
72Ma ben vo’ dir che nosco a questa impresa
sia Dio, come in ogni altra è sempre stato;
Ei per la spia, ch’abbiam pur dianzi presa,
a noi scoperto ha l’inimico agguato,
perché dal difensor de la sua Chiesa
un sì grave periglio sia schifato
e perch’i rei possiam opprimer nui
che volean questa notte opprimer lui.
73Or poi che, duce Dio, tanto al re nostro
gioviamo, onore et utile acquistando,
pongasi in opra il senno e ’l valor vostro,
che già il nimico a noi viensi appressando.
Ma a che nel dir più lungo or mi vi mostro
per riscaldarvi a sì bell’opra, quando
da l’ardente virtù de gli onorati
animi vostri a ciò siete infiammati?».
74Detto così l’egregio capitano,
s’udì tra i guerrier suoi suon generoso
d’ardite voci, ancor che basso e piano,
che scuopre ognun del fatto esser bramoso;
e col crollar la testa, alzar la mano,
e scuoter l’alte membra di riposo
schife dan di battaglia cenni fieri,
né men di lor ne danno i lor destrieri.
75Perché al moto e al gridar de’ lor signori
anitrendo, scotendosi, broffando
le nari ardenti, ond’uscian fiamme fuori,
e con impeto il fren quasi sforzando,
fieri veltri parean da i cacciatori
tenuti a lasso con gran forza quando
più romoreggia il bosco, ch’altri a pena
i gagliardi lor moti e ’l furor frena.