Battaglia fra gli eserciti di Marfisa ed Eudone: Uberto attacca i Longobardi e li mette in rotta (1-25,4)
1Indi da l’acque rapide discosto
ben mezzo miglio, fa l’egregio Uberto
andar Bronteo con le sue schiere tosto
per la campagna tacito e coperto,
prima al figlio Agrimarte avendo imposto
che se le trombe non lo rendon certo
ch’esso a battaglia col nimico sia
fermo con la sua schiera ivi si stia;
2ma subito ch’avrà ’l rimbombo udito
del cavo marzial rame canoro
mova i destrieri suoi sì che assalito
l’avverso stuol per fianco sia da loro.
Dati gli ordini istessi anco a l’ardito
suo nipote Bronteo dal suo dir foro,
che al suon de i vòti bellici metalli
spinga da l’altro lato i suoi cavalli.
3Egli, lunge egualmente dal nipote
e dal figliuol, sen va co’ suoi guerrieri
ove meglio il nimico affrontar puote,
che tosto passar dèe per quei sentieri.
Et ecco che l’orecchie lor percuote
rumor che fan correndo più destrieri:
tosto a saper quel ch’era son mandati
da lui trenta a cavallo uomini armati.
4Fa che i guerrieri poi subito sopra
l’arme si pongan le camiscie in fretta;
egli è il primier che con la sua si cuopra
l’usbergo, e quivi gl’inimici aspetta.
Mentr’esso e gli altri attendono a tal opra,
vèr lor volando a guisa di saetta
due de’ lor cavalieri apparir fanno
la cagion del rumor ch’ivi udit’hanno,
5che avendogli a spiar del longobardo
esercito mandati il capitano,
fugati eran da quei, ch’a buon riguardo
vanno avanti a i nimici per quel piano.
Cerva sì ratta mai non fuggì pardo,
com’essi fuggon chi gli segue in vano;
non gli fuga timor, ma desir solo
che sappia Uberto ov’è il nimico stuolo.
6Scontrano i due fuggenti i trenta amici
cavalli, e così gridano ambidui:
«Tornate a dietro, che son qua i nimici;
eccone parte qui che seguon nui».
Così gridando giungon con felici
corsi al lor duca, e ’l tutto aprono a lui,
il qual, udendo aver l’avverse genti
vicine, così parla in alti accenti:
7«Or suoninsi le trombe, avanti, avanti,
corriam contra i nimici, andiam sicuri
del vincer, che per noi gli Angeli santi
pugnan con questi perfidi spergiuri».
Ciò detto, ecco di Marte i rimbombanti
suoni de l’aria empir gli spazi oscuri;
ecco, seco movendosi il suo stuolo,
tremar d’intorno orribilmente il suolo.
8Mentr’ei facendo il rosso, il verde e ’l giallo
color di sue bandiere al vento sciòrre,
seguito da mill’uomini a cavallo
ristretti in un contra i nimici corre,
già i due cugini al sanguinoso ballo,
nel qual ciascun di lor brama il piè porre,
chiama il strepito orribil di Bellona
che già a l’orecchie lor forte risuona.
9Non così lieto a qualche allegra festa
per danzar con sua dama acceso amante,
con fint’abito e volto andar s’appresta,
sì ch’ivi il suo rival non giunga avante,
come lieto ciascun la bianca vesta
di lin si pone indosso in uno istante
per gir a danza sì terribil dove
l’amata sua, ch’è la Vittoria, trove.
10E vestir fatto il lino anco al lor stuolo,
l’accendon con dir breve al fiero Marte;
indi, con trombe il ciel, col moto il suolo
ferendo, dal suo loco ognun si parte.
Tuon rassembra tal suon, tal moto un volo,
di qua Bronteo, di là move Agrimarte:
cinquecento cavalli ognun di loro
spinge feroce al marzial lavoro.
11Chi gruppi mai di più d’un fiero vento
vide improviso urtar navi o galere
solcanti il salso liquido elemento
senza contrasto alcun per via temere,
che a dietro da l’incontro violento
spinte una in altra orribilmente fère,
quelle infrante ne son, queste sommerse,
parte per l’onde rapide disperse;
12chi ciò mai vide, pensi che tal fosse
de’ Francesi l’assalto orrendo e fiero,
e fusser tali ancor l’aspre percosse
che i Longobardi allor ne ricevero.
Chiuse in tre gruppi contra lor son mosse
tre schiere con gran furia a l’aer nero,
mentre, senza sospetto d’alcun danno,
per la campagna taciti sen vanno.
13Ma udendo il fiero suon ch’intorno scuote
con terribil rimbombo il piano e ’l monte,
trema e fa smorte ognun di lor le gote;
e mentre «All’arme!» dan con voci pronte,
ecco che con sua schiera gli percuote
Uberto con grand’impeto da fronte,
e poco dopo urtar questo e quel fianco
da Bronteo, dal cugin si senton anco.
14Mille e più ferri da le lor tremanti
membra sanguigni subito son fatti,
mill’anime in un tempo d’altretanti
corpi, e tanti e più gemiti son tratti.
Chi dir sapria quanti ne cadon, quanti
et uomini e cavalli esterrefatti,
con mesti gridi, per l’assalto orrendo
precipitosamente van fuggendo?
15E chi gli occorsi miserandi effetti
nel fuggir lor saria che dir potesse?
ché ciecamente alcuni i propri petti
feriscon nel cader con l’armi istesse,
altri indietro correndo, ove più stretti
sono i compagni lor, gli urtan con esse:
quei cozzan ne l’altrui fuggendo, e questi
da i lor propri cavalli son calpesti.
16Non in Affrica mai gli artigli e i denti
di leoni per fame empi e rabbiosi
con sì gran furia atterran grossi armenti
rendendone quei campi sanguinosi
con quale abbatton le lombarde genti
l’aste de i Franchi di pugnar bramosi,
bramosi del lor sangue, di cui rosse
l’erbe han già fatte l’aspre lor percosse.
17Già rotte le sanguigne lance e fuore
tratte ciascun le fulminanti spade,
«Francia, Francia!» gridando al gran furore
de’ colpi lor lo stuol contrario cade,
come a falce cader del mietitore
soglion la state le mature biade,
perché volgon pochissimi la faccia,
ma sol le spalle a chi gli uccide e caccia.
18E benché con la lingua e con le mani
al lor fuggir si sia più d’uno opposto,
vani i lor detti son, gli effetti vani,
che ne’ piedi ogni speme hanno riposto.
Ma né il lor duca, non che i capitani
di lui, se ben gran premio ha lor proposto,
se ben gli prega e gli minaccia ancora
frenar la fuga lor può per allora.
19«Perché, miseri (grida), or tutti insieme
fuggendo voi medesmi abbandonate?
Così la data a me sì ferma speme
da le vostre promesse ora troncate?
Ove son quei che fin a l’ore estreme
volean seguirmi con tal fedeltate?
Perché in periglio tal, da van timore
sospinti or lascianS | lasciam dunque il lor signore?
20Ah, sia l’usato ardire in voi raccolto,
e ’l ferro a gli inimici omai volgiamo.
Mostri almen ch’ancor le mani e ’l volto
non i piè sol, non sol le spalle abbiamo,
ch’a qualunque vèr lor vedrò rivolto
con l’opre mostrerò che molto l’amo.
Voi pur fuggite, ah, non però fuggire
crediate, pusillanimi, il morire,
21che s’esco del periglio, ove la vostra
viltà mi pon, farvi impiccar vi giuro.
Ah, vituper de la milizia nostra,
vediam se più il fuggir vi sia sicuro.
Su su, chi m’ama facciane qui mostra,
ammazzandoS | amazzando chi scampa, che men duro
ci fia, morti costoro, il far difesa,
poi che tanta ci fan fuggendo offesa».
22Così gridando, tra ’l suo stuol fuggente,
col ferro in man, pien di furor si caccia;
e seguito dal fior de la sua gente,
chi uccide, chi ferisce e chi minaccia.
Ferma tra molti alcun c’ha il cor più ardente,
ma rari, e fatta a quei volger la faccia,
n’accresce, ma di poco, i suoi seguaci,
ché pochi sempre fur gli uomini audaci.
23Ma né perch’ei con tante spade orrenda
strage faccia di lor, la fuga arresta.
Come signor lo cui palagio accenda
fuoco improviso, poi che ’l manifesta
la fiamma tosto, acciò che men l’offenda
con acqua et altro ancor da quella e questa
mano aiutato ogni rimedio tenta
perch’anzi che più cresca ella sia spenta,
24né ciò giovando, perché almen le vieti
l’arderlo tutto, con picconi e accette,
troncar e romper fa travi e pareti,
che vi fur già con gran dispendio erette;
né avvien però che ’l suo furor acqueti
l’incendio che terror altrui già mette,
ma sempre al ciel più s’alza, infin che tutto
il superbo edificio abbia distrutto,
25così il cader Eudon de le sue schiere
regger non può con arte né con forza,
mentr’ei con l’arme in van di ritenere
de la lor fuga l’impeto si sforza.
Mentre Uberto e ’l suo stuol le uccide e fère,Interviene Marfisa attaccando i Longobardi alle spalle (25,5-50)
e contr’esse il furor sempre rinforza,
di Marfisa a l’orecchie, quasi un tuono,
giugne di Marte il formidabil suono.
26Scuote l’alto rimbombo e infiamma a quanti
guerrieri ha seco i generosi cori,
e con fremito fier, fieri sembianti,
mostran de la battaglia il desir fuori.
Et a gridar «Arme, arme! Avanti, avanti!»
gli sforzan, Marte, i tuoi feroci ardori.
Nitriscono i magnanimi destrieri,
né più frenar gli ponno i cavalieri.
27Ma la superba vergine spronarsi
sente a la pugna più de gli altri tutti,
e se non la sforzasse a raffrenarsi
la cura de i soldati ivi condutti,
sola andria tra i nimici a insanguinarsi,
sicura d’aver quei sola distrutti.
Onde i guerrieri suoi queti et intenti
subito rende, e parla in tali accenti:
28«Veggio, e molto ne godo, o forti amici,
quanto d’adoprar l’arme ognun desia,
e ch’ogni gran contrasto co i nimici
al vostro alto valor piccol saria,
non che questo sì lieve, u’ con felici
princípi, ardito ognun di noi s’invia;
che a combatter non già, ma n’andiam solo
ad uccider fuggente e rotto stuolo.
29Vestianci dunque le camiscie omai,
ch’indosso Uberto e i suoi l’han similmente.
Tu con la schiera tua t’allargherai
mezzo miglio da noi tacitamente,
invitto Armanno, e qui fermo starai
tu, magnanimo Enrico, e la tua gente.
Né alcun, se le mie trombeS | se le trombe a la battaglia
nol chiaman prima, gl’inimici assaglia.
30E perché i fraudolenti lasciar vivi
l’uomo non dèe, nocendo essi a ciascuno,
sian questi empi da noi di vita privi,
né la vita perdonisi a nessuno,
perch’altri poi, col loro esempio, schivi
il tradimento e non più inganni alcuno,
come stanotte con l’inganno loro
volevan Carlo e noi tradir costoro.
31Ma Dio, che suoi fedeli ognior soccorre,
per la spia che prendeste a noi l’ha mostro
perché possiam del gran periglio tòrre,
ov’è per questi perfidi il re nostro,
e perché, in pena del lor frodo, porre
gli possa a fil di spada il braccio vostro.
Dunque adempiam di Dio la volontade,
occidan questi rei le nostre spade.
32E s’a quelle il lor sangue è ben poch’esca,
poco onor non fia a noi sì nobil fatto,
quando per noi d’un tal pericol esca
Carlo, e sia questo esercito disfatto.
Or con fermo sperar che ben riesca
l’impresa, movi, Armanno, cheto e ratto;
movi lo stuol, che ’l mio movo ancor io;
andiam, compagni, omai che nosco è Dio».
33Così dice ella, né in accesi legni
crebbe per olio sparsovi mai fiamma,
come a que’ detti audaci e di lei degni
l’acceso animo lor vie più s’infiamma,
onde in desir di sangue a fieri segni
mostran di consumarsi a dramma a dramma;
lo mostran i lor bassi arditi accenti,
benché vietati, e gli atti e i moti ardenti.
34Salita già la vergine superba
è sopra Ippolion veloce e fiero,
che da le due ch’in sé nature serba
tien di leone il nome e di destriero.
Rugge, e co i piè percuote e cava l’erba,
scuote il crin folto e morde il freno altero;
s’aggira, sbuffa, e ’l suo furor a pena
retto è da lei di sì gran nerbo e lena,
35ché de’ cavai di Marte men feroce
non era il mostro altier, né men gagliardo.
Cillaro più di lui non fu veloce;
men terribile è il fulmine e più tardo;
né più lodato con sì chiara voce
fu Brigliador, Frontin, né ’l fier Baiardo,
poi ch’ella cavalcò destrier sì egregio
che tolse a gli altri tutti il vanto e ’l pregio.
36Rignir, broffar le nari ond’esce il fuoco
si sentono, e ferir co i piedi il piano
ancor gli altri cavalli, udendo al giuoco
di Marte fier chiamarsi di lontano.
E men posson quetarsi o trovar loco
quei de le diece dame, e men la mano
obedir di Gisuarte e d’Andronoro
voglion de gli altri i fieri destrier loro.
37Gli altieri giovinetti, che allargarsi
non lascia Amor da l’inclite donzelle,
a la vergine ardita intorno starsi
arditi e fieri si vedean con elle.
Potrebbe a te, Bellona, assimigliarsi
quando da le tue fiere armate ancelle,
da i fieri armati tuoi ministri cinta
sei da desir di sangue in campo spinta.
38E già ti veggio dal ciel quinto scesa
qua giù, del franco esercito in favore;
e teco Marte aver già l’aria accesa
del ferreo suo terribile splendore;
e seguirvi ambi in così fiera impresa
l’Ardir, la Forza, l’Impeto e ’l Terrore,
da’ quai mossi e da voi contra il nimico
corre Armanno e Marfisa, e resta Enrico.
39Udir più intanto, e più sempre udir fassi
di Marte il fiero orribile rimbombo,
e lor più sempre con fugaci passi
l’inimico s’appressa, qual colombo
ch’in fuggir dal falcon convien che passi
là ’ve sopra gli vien l’aquila a piombo,
né se n’accorge fin che non gli è addosso
l’adunco artiglio e ’l rostro ond’è percosso.
40Così il lombardo stuolo un mal fuggendo
ad un peggiore incauto s’avvicina.
Va co i compagni incontro al suono orrendo
ratta la ferocissima regina,
e in quadra forma i fanti suoi movendo,
con lor due tratti d’arco non camina,
ché di chi fugge il grido e ’l correr s’ode,
che sonar fa del lito ambe le prode.
41Tosto ch’innanzi a sé correr gli sente,
qual pecore c’han dietro i lupi ingordi,
a la tromba e al tambur sì orribilmente
fa il suono alzar, che par che ’l mondo assordi.
Subito Armanno, Enrico e la lor gente,
fatti a sì fieri suoni i lor concordi,
le grida alzando al ciel, con furor grande,
contra i nimici corron da due bande.
42Qual fulmini che fatte abbian più prove
d’uscir de l’atre nubi, e tutte in vano,
e ch’al fin poi dal ciel l’irato Giove
allarghi al lor furor la fiera mano,
che con tanta maggior furia gli move
tanto essi offendon più ’l poter umano
quanto più, contra l’alto impeto loro,
dal divin braccio a fren tenuti foro,
43tosto spezzando il nuvol che gli serra,
e tuoni e lampi la lor furia scocca,
già d’orror cinti, furibondi in terra
piombano, e quel fracassa un’alta rocca,
questo un palazzo il più superbo atterra,
l’altro una torre con ruïna tocca;
e trema il suolo e gli uomini e le fiere
là ’ve tanto del cielo impeto fère,
44tal i tre capitani e i lor soldati
tanto contra ’l nimico andar veloci
si senton quanto a farlo han più frenati
gl’invitti corpi e gli animi feroci.
Splendon di ferrei lampi l’acque, e i prati
rimbomban d’aspri suoni e d’alte voci.
Eccogli lor già addosso: or da qual parte
fuggiran da i tre folgori di Marte?
45Ché la lor fronte, il destro lato e ’l manco
percuote la lor forza furibonda.
Gli urta l’inglese dal sinistro fianco,
ove la Staffa tien la manca sponda;
gli assalta il parigino ardito e franco
dal destro, ove il Coron quel piano innonda;
e da la fronte in mezzo a la campagna
gli fièr colei ch’Amor sempre accompagna.
46Seguitan quella, in fiero gruppo strette
con Gisuarte e Andranor le dame altiere;
cinque d’esse con lancie e con saette
feriscon l’altre le nimiche schiere;
e d’aver l’arme degnamente elette
far cercano a l’esercito vedere,
come anco i due garzoni illustri segni
mostran d’esser di quelle amanti degni.
47E tal per meritar premi et onori,
fan tutti a gara cavalieri e fanti
d’esser primi e più forti feritori
contra i nimici a i tre lor duci avanti.
Cervi, che ne le man de’ cacciatori
urtin, fuggendo i cani, sembran quanti
fuggon l’armi d’Uberto e di sue genti,
poi ch’incontran più ferri e più pungenti.
48Cadon l’un sopra l’altro, orribil monte
de’ corpi stessi i miseri facendo.
Rimbomba d’ogn’intorno il piano e ’l monte
allo strepito, al grido, al suon tremendo.
Di sangue un largo spaventoso fonte
dipinge e innonda il campo in modo orrendo.
Cuoprono il lido omai con l’infelici
tronche e sparse lor membra gl’inimici,
49ché de’ Franchi ogni colpo spinge in terra
morto, o ferito a morte, almeno un d’essi,
e due e tre talvolta ancor n’atterra
un colpo sol, sì son calcati e spessi,
perché la fuga in un così gli serra,
ch’oltre che molti uccidon loro istessi
ne gli altrui ferri urtando, ogni percossa
coglie più d’un, che contra loro è mossa.
50Che den, miseri, far? chi di lor puote
de la morte fuggir la crudeltade,
se con la falce, ond’ella ognun percuote,
chiuse lor tutte ha del fuggir le strade?
Cingongli Uberto, il figlio et il nipote
con mill’aste in tre luoghi e mille spade;
Marfisa, Enrico e Armanno circondati
gli hanno anch’essi col ferro da tre lati.
Eudone riesce a riorganizzare le sue truppe e si batte strenuamente (51-70)
51Né d’un sanguigno tal cerchio tremendo
il mezzo più sicuro han de gli estremi,
ché se di loro i Franchi strazio orrendo
fan d’ogni intorno, son nel mezzo scemi
di numero dal duca che, uccidendo
chi fugge, a la viltà dà giusti premi,
poi che non voglion, vinti dal terrore,
difender né la vita né l’onore.
52Ma non trovando i miseri soldati
loco onde alcun di lor fuggendo passi,
volgon, d’ogni salute disperati,
verso il lor duca i lor tremanti passi,
qual fere che, fuggendosi, serrati
tutti dal cacciator trovino i passi
ch’a la lor tana, ancor che mal sicura,
tornan, donde le trasse la paura.
53Ciò visto Eudone alquanto l’ira ammorza,
e mostrando ch’in lui ’l furor s’acquete,
grida: «Pur converravvi a viva forza
ricorrer qui, donde scampati siete.
Ecco che pur a me tornar vi sforza
quel medesmo terror, per cui m’avete,
fuggendo, abbandonato; or sia ’l fuggire
volto in pugnar, la tema in tanto ardire.
54Su, su, de l’armi omai prove facciamo,
prima che il poter farlo a noi sia tolto;
miglior via per salvarci non abbiamo,
che a gli inimici oppor le spade e ’l volto.
Col proprio ferro omai le strade apriamo,
ch’or chiude il ferro altrui vèr noi rivolto.
Serrianci dunque tutti ardite insieme,
e ne l’armi poniam l’ultima speme,
55ché, quando l’armi pur non salvin noi,
fatto debita almen prova n’avremo,
morrenci almen da guerrier forti poi-
che ’l morir vendicato in parte avremo.
Ma la morte e ’l timor ch’or danno a voi,
s’adopriam l’arme a lor forse daremo,
ché non son tanti né di tal valore
di quale e quanti a noi mostra il terrore.
56Né temo, s’union tra noi si mette,
che affrontandogli o in questa o in quella parte
non cedano a le nostre in un ristrette
spade, le loro in tanti sparte».
Queste dal duca altier parole dette
fan ch’assai del timor da lor si parte,
e che, qualche speranza anco ripresa,
si dispongano a far tutti difesa.
57Tosto, ma con fatica, il forte Eudone,
avendone sei milia in un rimesso,
fanne in forma di cuneo uno squadrone,
per fender il crudel cerchio con esso;
il ferreo cerchio, ond’in mortal prigione
rinchiusi, uscirne a forza è sol permesso.
Indi a battaglia, con le voci orrende
di tamburi e di trombe i cuori accende.
58Essi, ristretti, senza star a bada
con le spade e con l’aste a i Franchi opposti
spingonsi arditi avanti, a farsi strada
tra lor per forza od a morir disposti.
Sta in mezzo a tutti, la sanguigna spada
alzando, il duca lor, da cui proposti
son larghi premi a tutti i guerrier suoi,
benché il prometter van morte fe’ poi.
59Rinier, del Monferrato allor marchese,
è seco, e ’l fiero Alfegro, al quale ei diede
Fossan pur dianzi in dono e ’l suo paese,
di cui morì il signor senz’altro erede.
V’è Adolfo, in molte esperto illustri imprese,
che Ceva e ’l territorio suo possiede.
Spiega al ciel Clefi la ducal bandiera,
signor di Somma riva e di Cervera.
60Evvi Agilante il giovinetto egregio,
che Voghera, e Sanguincio a fren tenea,
e ’l superbo Argolasto, c’ha in dispregio
gli uomini e ’l ciel, di forma gigantea.
Costui, ch’appo ’l suo duca era in gran pregio,
quanto è tra Stura e ’l Tanaro reggea,
e come general locotenente
comanda a l’astigiana armata gente,
61ch’Eudone in quella impresa il capitano
volle esser ei di tutti i suoi guerrieri.
V’era anco Odronte, e l’empio Rodilano,
quel la Chiusa ubidia, quest’altro Chieri.
Stan da la destra, e da la manca mano
del superbo squadron quei cavalieri
che la disperazion raccolti ha insieme
per far de l’armi lor le prove estreme.
62Così di tanti corpi un corpo solo,
così di tanti cor fatto un sol core,
da rabbia spinto il longobardo stuolo
va contra i Franchi pien d’alto furore.
Trema al lor moto il già sanguigno suolo,
va al ciel di gridi e trombe il gran rumore.
Urta il terribil cuneo quella parte
ov’è Andronor, Marfisa e ’l fier Gisuarte.
63Sembra galea ch’abbia Austro e Borea posta
in gravi d’affondar perigli estremi
che, benché la lor furia in giro opposta
a lei di sarte e d’arbore la scemi,
ella, ogni opra in suo scampo a far disposta,
tutti adoprando con gran forza i remi
vincer questa s’affanna e quell’altra onda,
questo e quel vento fier che la circonda.
64Ma come Eolo e Nettunno congiurati
a far ch’ella si laceri e sprofonde,
tanto più quello i furibondi fiati
rinforza a i venti contra le sue sponde,
tanto più questo lei da tutti i lati
fier col tridente e con le rapid’onde,
quant’ella, opposta a l’alto lor furore,
più tenta uscir del gran periglio fuore,
65così Uberto e Marfisa, che le genti
nimiche uccider tutte eran già fermi,
tanto più son di farne strage ardenti,
quant’elle di più far col ferro schermi,
ch’essi, sdegnando il nuocer a i fuggenti,
fin ch’aver non le videro i piè fermi,
fin ch’elle il viso a lor non ebbe volto
vèr quelle si mostràr men fieri molto.
66Ma la pugna per lor ben si rinforza,
ben raddoppiano i colpi orrendi e gravi,
or che l’altrui disperazion gli sforza
a mostrar quanto sian feroci e bravi,
or che i nimici adoprano ogni forza
perché il pugnar de le lor man gli cavi.
Meschiasi la battaglia; ah quanto orrore,
quanto v’è sangue, strepito e furore!
67Crolla qual terremoto ivi il terreno,
di trombe alto rumor, d’arme e di gente,
che fin nel alto ciel di stelle pieno,
fin nel profondo abisso ancor si sente.
Innonda quasi un fiume al lido il seno
già l’uman sangue sparso orribilmente
dal fiero acciar, che mandar mille intorno
lampi si vede e far di notte giorno.
68A tal crollo, a tal strepito, a tal lampo,
con l’empia Uccision, la Crudeltade
tutto dentro e d’intorno occupa il campo,
tutte le lance altrui move e le spade,
tutti empie i cori del suo orribil vampo,
scaccia fuor d’ogni petto ogni pietade;
non perdona ad alcun, tutti percossi
son dal suo braccio, e ’l più di vita scossi.
69Quivi con rabbia ognun combatte, quivi
non si fa alcun prigion, non d’oro speme
né d’altro lasciar fa gli uomini vivi:
sete di sangue sol gli animi preme.
Sol «Sangue, sangue» e «Morte, morte» udivi
gridar tu, Marte, con Bellona insieme,
mentre da te, da quella e da Marfisa
tanta gente era e con tal furia uccisa.
70Ohimè, tante a ridir morti, e sì acerbe,
trema il parlar, la mente si confonde.
Ma, voi de l’armi dii, le cui superbe
destre a que’ fiumi fèr sanguigne l’onde,
e di trafitte e tronche membra l’erbe
sparsero allor de le lor meste sponde,
ditemi voi da chi in tal pugna, e come,
fur morti i cavalieri di più nome.