ARGOMENTO
Cade Papirio e la sua schiera eletta;
assalta Brenno il Campidoglio e cede;
discende Fabio ove pietà gli detta
e va sicuro in fra i nemici e riede.
Si sparge il Gallo ove la fame affretta,
Camillo accorre e lo sconfigge e fiede.
Tentan Cedizio e Gondro il gran Romano,
ma colui vince e costui tenta in vano.
Brenno sbaraglia l’esercito di vecchi Romani, tenta un assalto ma viene respinto e cinge il Campidoglio d’assedio (1-25)
1Ma ruppe l’alba al fin l’ombroso velo
che chiuse il sen di quella notte orrenda,
e, quasi mal suo grado aprisse il cielo,
s’avolse il crin di dolorosa benda.
Scoprì però quel che la fiamma e ’l telo
distrutto avean ne la città tremenda,
che dal più nobil grado e più supremo
era caduta al precipizio estremo.
2Surge il gallico duce e d’ogni parte
scorrendo va con la sua gente armata,
e del nemico a le reliquie sparte
o l’alma è tolta o la catena è data.
Perduta è nel Roman la forza e l’arte
onde solea guardar la patria amata,
o se talor resiste e se contrasta
ha troppo disegual la squadra e l’asta.
3Ma giunge al fin Brinon là dove affiso
fra cento senator canuti e fieri
stava Papirio, e col seren del viso
scherniva il tuon de l’arme e de’ guerrieri.
S’arresta il Gallo e mira intento e fiso
la nova maestà de’ vecchi alteri,
pensa però fra se medesmo e crede
vedergli alzar per riverirlo in piede.
4Stan saldi i generosi e non fan motto,
né gli spaventa il re con tutta l’oste,
ond’egli è quasi a giudicar condotto
veder di tanti dèi le facce opposte.
Il pianto de la plebe era dirotto,
l’alterezze de’ Padri eran deposte,
ed han costor sì vigoroso il core
ch’inanzi a lor par vinto il vincitore.
5Non son però sì stupide e confuse
le genti ch’avea seco il re de’ Galli
che Rodoan non sgridi e non accuse
le dimore del sangue e gl’intervalli:
«Vedrò ben io se son cotanto escluse
le colpe di costor da gli altrui falli,
che per quel che peccàr di Roma i messi
non debban sostener la pena anch’essi».
6Così s’avanza, et a Papirio tocca,
per modo di schernirlo, il crin canuto,
ma ’l vecchio gli sospinge entro la bocca
del baston che tenea l’avorio acuto.
Il barbaro supin sul suol trabocca,
ma surge repentin dond’è caduto,
e tratto il ferro incontinente e stretto
al franco senator trafigge il petto.
7Segue l’essempio suo l’atroce schiera
ch’al celtico signor cingeva i fianchi,
e con vendetta obbrobriosa e fiera
sparge di sangue i crin canuti e bianchi.
Non leva il vecchio stuol voce o preghiera
onde gli spirti suoi non paian franchi,
ma con virtù che non vacilla o langue
offre le vene a le percosse e ’l sangue.
8Chi con la testa in fiera guisa aperta,
chi con la gola orribilmente offesa
fa del suo sangue a la sua patria offerta,
dona le membra sue per Roma accesa.
Ed evvi alcun che de la morte incerta
non sostenendo l’alma aver sospesa,
la piaga che men presta il cor gli offende
con rigorosa man si squarcia e fende.
9Stupisce il re de’ Galli a la costanza
de’ vigorosi vecchi, e par che senta
scemarsi in lui l’orgoglio e la baldanza
e divenir la man più pigra e lenta;
ritien però la brama e la speranza
di veder Roma sterminata e spenta,
e per tentar le vie da disertarla
così ne l’oste sua propone e parla:
10«Assai col vostro ferro e la mia spada,
valorosi guerrier, per noi s’è fatto,
non è magion ch’in Roma omai non cada,
né sangue od uom che vi rimanga intatto,
ma fin che non si spianti e non si rada
quel muro ove di lei s’è il fior ritratto,
non sembra a me ch’io possa assicurarmi
che Roma a danni nostri ancor non s’armi.
11Stringiamo dunque a quella rocca intorno
le nostre squadre, e con feroci assalti
battiam, senza cessar, la notte e ’l giorno
fin che si salga entro le mura e salti.
Fulminar, divampar vergogna e scorno
portar d’Italia a i cor superbi ed alti
non po fermar le basi al nostro soglio
se non prendiam con Roma il Campidoglio».
12Come qualor d’orribil onda e grande
rompe Amfitrite il fiero corso al lito,
le spume che cadendo asperge e spande
percoton mormorando altrui l’udito,
così le destre e le sinistre bande,
onde lo stuol de’ Galli era partito,
seguìr con mormorio concorde e fiero
le voci che proruppe il re guerriero.
13E l’insegne repente e gli stendardi
piantan del Campidoglio a le radici,
et appoggian le scale a i bellovardi
e s’avanzan co i piè su le pendici.
Piovon da i difensor quadrelli e dardi
e i difensor son grandi e son patrici,
e ’l Tribun de’ patrici i petti affida
e del Tribun l’amor di Roma è guida.
14«Coraggio (esclama) o generosi, e senno,
non è già tanto Roma in su l’occaso
che contra l’armi et il furor di Brenno
non veggia qualche schermo in noi rimaso.
Corra ciascun de la mia destra al cenno,
contrastiam tutti a la fortuna e ’l caso,
e la città che per morir non nacque
conduciam salva in tra le fiamme e l’acque».
15Ciò detto scorre, e d’arme e di ripari
dove fa più mestier provede e copre,
e de la lingua a i sensi arditi e chiari
congiunge de la man l’imprese e l’opre.
Batte Brinon con fieri ordigni e vari
dove men forte il muro a lui si scopre,
ma quando pensa vinta aver la prova
stesa la gente in sul terren si trova.
16Cangia consiglio, e scudo aggiunge a scudo,
e stringe tergo a tergo a’ suoi guerrieri,
e con assalto impetuoso e crudo
gli spinge de la rocca a i gioghi alteri.
Finge Sulpicio e lascia un luogo ignudo
perché l’assalitor v’intenda e speri,
ma come già col pugno il merlo afferra
surge improvviso e ’l ripercote in terra.
17E con le faci e le palanche e i sassi
e con le spade e le zagaglie e l’aste
le testudini rompe e frena i passi
e copre il suol d’orride stragi e vaste.
Altri gli spirti han ricreduti e lassi,
altri le teste han fracassate e guaste;
molti son pigri a vendicar l’offesa,
tutti son pronti abbandonar l’impresa.
18Seconda il duce ove al gente inchina
e le machine toglie e l’arme arresta,
ma con più certa speme a la ruina
del Campidoglio orribil cerchio appresta.
Gira le squadre intorno e s’avvicina
e s’allontana in quella parte o questa
se vicino o lontan ne l’alto muro
po steccar il nemico e star sicuro.
19Quindi sì forte assediati e stretti
sono i Roman che penetrar soccorso
non po tra lor donde sicuri i petti
tengan di non provar de’ Galli il morso.
Si forman de la fame i fieri aspetti
né san dove contr’essa aver ricorso,
ma contr’ogni disastro et ogni pena
san ben come serbar costanza e lena.
20Da l’altra parte il re nemico ascende
dove non è chi regga o chi resista,
e col furor de le sue man tremende
vari trofei su gli altri colli acquista.
Il sangue d’ogni parte allaga e scende,
la polve d’ogni man di sangue è mista,
il foco in ogni tetto avampa e bolle,
la plebe in ogni lato il pianto estolle.
21Ma di tante ferite e tante morti
si sazia al fin la fiera gente e stanca,
e, ne l’onda falerna i labbri assorti,
colorisce la faccia e ’l cor rinfranca.
Lacia la man le violenze e i torti,
riposan l’armi e scema l’ira e manca,
e gli assalti notturni e i matutini
son le lascivie e le vivande e i vini.
22Non stringe però men l’assedio in tanto
de le barbare squadre il duce altero,
e minaccia da lunge angoscia e pianto
se non cede la rocca al regio impero.
«E tu chi sei, ch’aspiri a sì gran vanto?»
grida de i senator lo stuolo intero,
«Non sai che fin che viva un sol Romano
tu cingi e stringi il Campidoglio in vano?».
23«Io son colui (ripose il re feroce)
c’ho presa et arsa Roma in un momento,
e che pareggerò con piaga atroce
cotesta rocca ancor col pavimento».
Quindi raggira il corridor veloce
e volge il guardo in ogni parte intento,
et ond’aver po cibo e vettovaglia
rompe le strade a l’avversario e taglia.
24Ma non po già vietar che fra i maggiori
onde splendesse mai la Fabia gente,
un Fabio allor non comparisse fuori
più che pensar si possa alteramente,
e che fra le minacce e fra i terrori
d’un’oste sì spietata e sì potente
passar de la pietà col solo invito
sul poggio Quirinal non fosse ardito.
25Quivi sacrificar per vecchia usanza
devea quel dì de la sua stirpe alcuno,
ond’ei fra tanti armati ebbe baldanza
di presentarsi e disarmato et uno.
Stupiro i Galli a la sua gran costanza,
stordì mirando il suo vigor ciascuno.
La meraviglia i colpi in aria tenne
ed egli andò sicuramente e venne.
Brenno invia truppe a procurare vettovaglia, queste si spingono fino ad Ardea (26-28)
26Ma mentre Brenno assediando aspetta
che si disperi il Campidoglio e renda,
e la sua gente a ricercar costretta
dove per pascolar rapisca e prenda,
il soverchio desir di far vendetta
ond’ella suscitò la fiamma orrenda
fe’ che dove giungendo il foco afflisse
ogni biada, ogni cibo ancor perisse.
27Una parte però de l’oste immensa
scorre predando a le campagne intorno,
e, quasi nube ingiuriosa e densa,
tempesta piaghe e piove angoscia e scorno:
col ferro intende a proveder la mensa,
con le percosse a procacciar soggiorno,
con le facelle ad assalir gli alberghi,
con le rapine a caricare i terghi.
28E discorrendo in questa parte e quella
presso le mura d’Ardea arriva al fine,
dov’al furor de la civil procella
eletto avea Camillo il suo confine.
Sbigottisce la plebe a la novella
e paventa gl’incendi e le ruine,
onde sentito ha già che vinta e doma
dal re de’ Galli è la città di Roma.
Camillo organizza una sortita notturna e sbaraglia il drappello dei Galli (29-44)
29Corre però da’ cittadin più saggi
nel caso instante a dimandar consiglio,
ma questi anch’essi han de la mente i raggi
confusi al suon di così gran periglio.
Freme Camillo a rimembrar gli oltraggi
onde porta Brinon superbo il ciglio,
e vago d’impugnar la spada ultrice
così propon fra gli ardeati e dice:
30«Che tema, o cittadin, vi turba e move,
quando più saldo aver dovreste il petto?
Contro i Roman, se nol sapete, ha Giove
lo stuol de’ Galli a castigargli eletto;
essi con furie inusitate e nove
fur quei che trasgredìr nel suo cospetto
quando color che per messaggi andaro
contro il celtico re le destre armaro.
31Voi de la colpa lor non foste a parte,
et io, benché roman, ne fui lontano,
onde la rabbia et il furor di Marte
ne sbigottisce e ne spaventa in vano.
Congreghiam pur le nostre genti sparte
e prendiam l’arme arditamente in mano,
che mentre i petti abbiam sinceri e giusti
avrem le braccia e i colpi ancor robusti.
32La gente che temiamo assai maggiori
spiega le membra e leva in ciel le teste,
che non ha saldi i petti o fermi i cori
per contrastar de l’armi a le tempeste.
Il vino e ’l sonno estingue i suoi furori
e stende i corpi in quelle parti e queste:
usciam pur là dov’ella scorre e guasta,
e vedrem se preval la tazza a l’asta».
33Riprendon gli Ardeati a le parole
de l’inclito guerrier coraggio e lena,
e di far ciò che stabilisce e vuole
consenton tutti a viva voce e piena.
«Voglio (dic’ei) ch’al tramontar del sole
quando men chiara è l’aria e men serena
la gente più robusta e più sicura
si stringa nel confin di queste mura,
34e che quando da me fia dato il segno,
mi segua a mostrar fronte a quel nemico
che con vergogna e vituperio indegno
ha turbato d’Italia il lume antico.
Questa destra, credete, e quest’ingegno
scenderan con l’opra a quel che dico,
e s’egli interverrà ch’io sogni ed erri
offrirò queste vene a i vostri ferri».
35Così dicendo ad esseguir s’accinge
quel che gli ha posto il suo coraggio in mente,
e chiama ed arma e persuade e stringe
un valoroso stuol d’eletta gente;
e quando già del velo il sol si cinge
ch’asconde la sua chioma in Occidente,
move con esso, e gira e scende e poggia.
e giunge là dove ’l nemico alloggia.
36Quivi non è guerrier che vegghi o guardi
che non sian tese insidie a gli steccati,
ma son fitte nel suol le lance e i dardi
e stravolti su l’erbe i disarmati.
Caggion le ciglia all’oscurar de’ guardi,
spuman le bocche al raddoppiar de’ fiati,
e ’l cibo che soverchia e ’l vin ch’offende
atterra i corpi in varie guise e stende.
37«Di gente addormentata dunque abbiamo»
dice Camillo «a tagliar vene e petti?
Et io, che pur Romano ancor mi chiamo,
troncherò membra in su le coltri e i letti?
Ah non sia ver; le voci e i gridi alziamo,
perché ’l nemico i nostri colpi aspetti,
e si ripari il Gallo e si difenda
perché più chiaro il valor nostro intenda».
38Levan le trombe a questa voce il suono
che i ferri al sangue et a le piaghe invita,
ma come rompe insieme il lampo e ’l tuono
fischian le spade ov’han la tromba udita.
Resta Camillo e dà la vita in dono
a la turba che trova ancor sopita,
ma tra color che vede in piè risorti
pavimenta il terren di stragi e morti.
39La sua gente però chi giace e dorme
con repentin furor percote e taglia,
e contra le sue leggi e le sue norme
di sangue ha sete e non di piastra o maglia,
né guarda il battaglier l’usate forme
ma confonde il macel con la battaglia,
e pur che rompa i petti e sparga il sangue
sostien di soverchiar chi dorme e langue.
40Novo spettacol fu, stracciate e tronche
compaion sul terren membra infinite,
e recise le braccia e le man monche
e son mozze le teste e son partite.
Empion di caldo sangue orride conche
le piaghe d’ogni parte e le ferite,
e i gridi di chi taglia e di chi more
batton la terra e ’l ciel con vario orrore.
41Altri senza saper da chi né come
passa dal breve sonno al sempiterno,
ed altri al por de l’elmo in su le chiome
si sente profondar nel lago averno.
Molti riprende il capitan per nome
e chiama e danna i dèi del ciel superno,
ma vien Camillo e d’una punta il tocca
che ’l fa morir con la bestemmia in bocca.
42Colui che gli occhi aprì, vibrar davanti
si vide l’asta assai più tosto e ’l telo
ch’a discoprir le region stellanti
potesse sollevar la fronte in cielo,
e chi con le parole e co i sembianti
vincer tentò de la paura il gelo,
di sprovveduto sangue asperso e tinto,
cadde trafitto in su la polve e vinto.
43Le teste aprian l’orror de le cervella,
le bocche scaturian di sangue e vino,
le piaghe scoprian l’ossa e le coltella
spargean di varia strage il suol latino;
né surse prima in ciel l’ardente stella
ch’annunzia col suo raggio il sol vicino
che la rapace turba e vinolenta
non fosse tutta sterminata e spenta.
44E se pur d’essa in fuga alcun si mise
diè ne le torme appresso e ne’ cavalli,
ch’in varie parti il capitan divise
per troncar tutti a la salute i calli.
Quindi rimaser poi le vie precise
da levar le prede al regnator de’ Galli,
e fe’ Camillo al comparir del giorno
con la sua gente a la città ritorno.
Brenno tenta tramite messi di raggiungere un accordo con Camillo: gli offre la corona di Roma in cambio di una tregua; al contempo giunge un’ambasciata dei Romani che gli offre il comando dell’esercito (45-63)
45Ma l’orgoglioso re, che presa ed arsa
con sì veloce man già Roma avea,
e la cenere sua divisa e sparsa
con sì felice piede allor premea,
non così tosto inanzi a lui comparsa
sentì de’ suoi la strage acerba e rea
che contro a l’armi sue trovar contrasto
gl’incominciò scemar la furia e ’l fasto.
46E ’l valor di Camillo e l’opre intese,
onde per la sua patria in campo uscendo
avea recate a fin sì grandi imprese
che ’l suo nome e ’l suo grido era stupendo,
e i contrasti d’Italia e le difese
contro i barbari gioghi al fin temendo
pensò con modo inusitato e strano
trionfar de i Roman per un Romano.
47Chiama però fra i suoi baron più saggi
un che la lingua avea spedita e sciolta,
e che sapea domar con quegli oltraggi
ond’ella i cor sossopra aggira e volta.
De le genti straniere e de’ linguaggi
tenea costui varia scienza e molta,
il suo nome era Gondro e i suoi maggiori
portàr sovente in Gallia i primi onori.
48Gli scopre il re ciò c’ha pensato e ’l manda
perché Camillo a disarmarsi inviti,
ed ei senza curar cibo o bevanda
move repente ad Ardea i piè spediti,
per essequir quel che Brinon comanda;
le voci ha pronte ed ha gli spirti arditi,
giunge a le mura e quivi al tempo istesso
ritrova il giunto ancora un altro messo.
49Cedizio era costui, ch’a la sconfitta
onde cadde il roman del Tebro in riva
de’ rimasi guerrier la squadra afflitta
salva condusse in fra i Veienti e viva.
Quivi, s’alto dolor l’alma trafitta,
de le barbare spade i fischi udiva,
e senza più poter contr’essi armarsi
sentia le fiamme a Roma in cielo alzarsi.
50Ma come la novella a lui pervenne
di quel che contro i Galli osò Camillo,
ardito anch’egli a contrastar divenne
e dispiegar contr’essi il suo vessillo.
«Di ciò (diss’egli a’ suoi) che n’intervenne
sul fiume, onde di sdegno ardo e sfavillo,
venuto è ’l dì, se ’l mio pensier non sogna,
che ci possiam sottrar da la vergogna.
51Camillo, il più gran duce e ’l più sovrano
che da che Roma nacque in campo uscisse,
ha preso l’arme arditamente in mano
e stringe chi ne strinse e ne sconfisse.
A noi mancava solo un capitano
che le speranze nostre invigorisse,
il cielo, ecco, nel mostra: andiam repente
et armiam noi di guida e lui di gente».
52Piacque l’invito a gli altri e la proposta,
ma mover campo e dispiegar bandiera
non parve a lor però se prima esposta
la mente loro al capitan non era.
Temean che male in esso ancor disposta
fosse contro i Roman la mente altera,
che dispettose voci in lui vibrando
l’avean cacciato ingratamente in bando.
53Voller però che disarmato e solo
Cedizio in Ardea a supplicarlo andasse,
e de l’essilio suo vergogna e duolo
ne la romana plebe a lui mostrasse,
e che d’armargli un valoroso stuolo
sopra la fede sua l’assicurasse,
ond’ei con nova e fortunata guerra
mettesse Italia in cielo e Gallia in terra.
54Cedizio adunque fu quel ch’era giunto
ad Ardea allor che Gondro ancor vi giunse,
onde salendo in un medesmo punto
l’un de l’altro messaggio il piè raggiunse.
Trovàr quel grande in nobil trono assunto
cui Roma afflisse indegnamente e punse,
fra cittadin togati e fra guerrieri
parlando, essercitar sovrani imperi.
55Saluta il messo gallo e si palesa,
riverisce il Romano e non fa motto,
sta con la mente il circostante attesa
chi l’un o e l’altro quivi abbia condotto.
Freme Camillo, a cui la propria offesa
non ha l’amor sì torto e sì corrotto
che nel veder chi la sua patria offende
non senta il duol ch’a la vendetta accende.
56Si tempra nondimeno et al messaggio
del barbaro signor che dica impone,
ed ei comincia: «O Furio, il tuo coraggio
t’ha fatto amico al mio signor Brinone.
Non prese egli in Italia il gran viaggio
perché ’l pungesse ingiurioso sprone,
ma perché nel terren ch’a gli altri avanza
cercasse al popol suo rifugio e stanza.
57Né contra a Roma armò la fiamma e ’l foco
perch’invido velen gli aprisse il petto,
ma per punir color ch’a farsi gioco
di lui punirgli i Fabi avean disdetto.
E perché la vendetta in parte loco
ha dato a l’ira ond’ei fu punto e stretto,
e perché l’ira in lui tu non movesti
vuol che se resta Roma a te sol resti.
58Ma chiede a te però che del Senato
che fu sì pronto a fargli ingiuria e torto,
l’arbitrio pienamente a lui sia dato
o vivo il voglia od abbattuto e morto.
Pensa, Camillo, al fin come trattato
fosti ancor tu dal fiero editto e torto,
e per vendetta del tuo essilio indegno
prendi dal nostro re di Roma il regno».
59Non po tenersi il messaggier romano
che non prorompa ratto e non risponda:
«Il nome regio a Roma è troppo strano,
è strano in lei chi ’l brama e chi ’l seconda.
Oppon, Camillo, il tuo valor sovrano
perché costui si parta e si confonda,
e contro il regno ond’ei si stringe e serra,
stringi la spada e ’l re de’ Galli atterra.
60La squadra che raccolta entro le mura
del Veiente vicin si salva e scampa
sotto la tua condotta oltre misura
di liberar la patria arde et avampa.
Sa che la legge in te de la natura
la libertà sì salda imprime e stampa,
che per altro desir che punga e ferva
tu non puoi veder Roma oppressa e serva.
61Ella mi manda a te perch’io ti chiami
contro il barbaro re campione e guida,
e perché rompa Italia i suoi legami
col fil de la tua spada ardente e fida.
Consenti, o generoso, e se tu brami
levar quel suon che sparge i nomi e grida,
la man c’hai già per altra gente armata
non disarmar per la tua patria ingrata».
62Così parlando e l’uno e l’altro messo
drizzan l’orecchio a la risposta attento,
e l’uno e l’altro in quella guisa espresso
manifestan co i guardi il mal talento
che fan due cani a la vivanda appresso
che sta per dispensar lo scalco intento,
mentre dubbiando a chi di lor ne tocchi
si saettan fra lor col ceffo e gli occhi.
63E ’l barbaro ripiglia: «Or che corona
avrà per te, Camillo, ancorché renda
con gl’impeti di Marte e di Bellona
la tua gente che trema al fin tremenda?».
«Sarà (dice ’l Roman) sì gran persona
che chi si cinge il crin di regia benda
sotto ’l valor de la sua man suprema
abbasserà lo scettro e ’l diadema».
Camillo accetta la proposta romana, ma pretende di essere investito dal Senato del ruolo di imperator (64-71)
64Ma ’l buon Camillo, a cui del re straniero
non avea tocca l’alma il dolce invito,
e ch’oltre a quel ch’arrivi uman pensiero
del vivo amor di Roma era ferito,
«Proposto a noi,» risponde «o messaggiero,
in nome del tuo duca hai gran partito,
ma son troppo fra sé diverse e strane
le barbare corone e le romane.
65Corona di chi nasce in grembo a Roma
è lo scacciar da lei corone e scettri,
e giudicar de l’alma indegna soma
le vesti regie e i preziosi elettri.
Con questi diademi ornar la chioma
sogliam sovente, e dar materia a i plettri,
e numeriam color fra i re più degni
che fan più guerra a le corone e i regni.
66Così vo’ che tu dica a chi ti manda
che contro a lui son d’esseguir disposto,
e che se Roma mia talor trasanda
non mi fa men Roman né men composto.
Le teste del Senato, ond’ei dimanda
che sia l’arbitrio a la sua furia esposto,
risponder gli potrai che guarderemo
per fulminar di lui l’editto estremo».
67Così l’uno accommiata, e la richiesta
de l’altro ambasciador Camillo intende:
«La mia spada sarà veloce e presta
per contrastar chi la mia patria offende,
né la tua voce a la pietà mi desta,
che sol per se medesma il cor m’accende.
Farò non quel che debbo a chi m’offese
ma quel che son tenuto al mio paese.
68Ver è ch’imperador non vo’ chiamarmi,
d’essercito roman se dal Senato
non sento prima imperador crearmi
che scenda con le squadre in campo armato.
Non dan le leggi nostre arbitrio d’armi
a chi non è per esse a lor chiamato:
dispongan prima i Padri et i Quiriti
che noi secondaremo i vostri inviti».
69«Le leggi, o Furio (il messaggier ripiglia)
aver poteano a Roma imperio e loco
quando chi regge in essa e chi consiglia
non si mirava intorno il ferro e ’l foco;
ma sian pur ferme ognor: gran meraviglia
sarebbe a me quel ch’a te sembra un gioco,
ch’ove sì stretto il Campidoglio è cinto
potesse un messo a i Padri esser sospinto».
70«Fin che son vivi i Padri e ferme e vive
le leggi son (Camillo dice) ognora,
né mancherà chi ’n Campidoglio arrive
se resta in noi romano spirto ancora.
Stringi le sparse genti e fuggitive,
né ti turbi l’indugio o la dimora,
ché la fame ch’affligge i Galli in tanto
ne darà poi di lor più certo il vanto».
71Ubidisce Cedizio e fa ritorno
dove lasciò bramando i suoi guerrieri,
e sparge voci e manda messi intorno
e stringe duci e fanti e cavalieri;
pensa la notte e non riposa il giorno
fin che non vede il fin de’ suoi pensieri,
e cinge spade e porge lance e dardi,
e raccomanda insegne e dà stendardi.