Serenissima Altezza
Non ad altri dovea dedicarsi poema eroico che ad un eroico prencipe, né io, benché d’anni grave et agitato in continua mostruosa tempesta di travagli, sono così debole di vista che non sappia non solo mirare ma ammirare le amabilissime qualità di Vostra Altezza Serenissima, né l’età senile o il lungo spazio d’anni (ben più di venti) trascorso ha potuto render men viva la memoria che impressa conservo de’tratti umanissimi e magnanimi che si degnò usar meco in Germania, quando per lo spazio di quattro anni godei del titolo di suo attual servo.
Non saprei dunque affermar se debbasi chiamar dono o pur debito questo ossequio che a Vostra Altezza Serenissima fa la mia penna dedicandole il ritratto d’un vero eroe delineato ne’ suoi inchiostri, poiché se si ha riguardo all’altezza del suo gran merito non doveva certo la mia penna volar meno alta per non dichiararsi tarpata et inabile al volo, se si considerano poi le innumerabili mie obligazioni alla sua sempre indefessa beneficenza, non doveva medesimamente ella scrivere in fronte al mio poma altro nome che il suo, se non voleva incontrare nel biasmo o d’ingrazia o di poco avida di gloria. Viene dunque volando da Roma in Germania per presentarsi in sua corte et offerirle se medesima e questo suo diletto parto, e, conservando in sé il costume della calamita, non si fermarà mai se non riguardando il suo polo, sicura di godere fra le gelide pruine del settentrione l’aura benigna d’una magnanima protezione che in altro clima più temperato dell’Italia.
So certo che riceverà volentieri Vostra Altezza Serenissima da me questo ossequioso tributo, perché anco so certo che conoscerà in esso *** sentimenti cordiali di riverente affetto, co i quali lo invio, argomenta doli più dalle amabilissime prerogative che possiede l’animo suo eroico che dall’espressioni della mia penna, e profondamente inchinandomele mi rassegno per sempre di Vostra Altezza Serenissima.
Devotissimo ossequiosissimo obbligatissimo servo perpetuo,
Tiberio Ceuli
Saggio lettore
So che, a pena comparso nel mondo il mio poema, apriransi le bocche de’ critici a censurar non tanto i difetti che vi fossero quanto l’ardire della mia penna, che a fronte del gran Tasso abbia drizzato il suo volo verso le più sublimi cime del Parnaso. Ma perché è proprio costume de gli animi vulgari il biasmare e irridere non solo chi conseguisce ma anco chi aspira a grandi imprese, poco o nulla mi perturba il cicaleccio di sì vili detrattori.
Non pretendo sentenza da costoro, e, se pur temerariamente volessero sentenziare, anco avanti che pronuncino me ne appello al tuo tribunale, dal quale son sicuro che non riceverò aggravio. Né voglia mai alcuno credere che per immoderato desiderio di gloria io brami vincer sì gran lite, perché io godo che termini solo secundum acta et probata, doppo che avrai letta la mia scrittura e che sarai ben informato dammi pur tu, saggio lettore, la sentenza o contraria o favorevole, come ti parrà giustizia, che in qualunque modo pronuncierai ti renderò grazie della tua integrità. È costume degli animi iniqui raccomandarsi a i giudici per ottenere sentenze ingiuste con l’oppressione della verità, come per il contrario è debito d’un animo sincero il desiderare solo quello che gli si deve per ragione.
Ti ricordo solo che abbi riguardo nel giudicare all’angustia del campo che rimane oggi a’ poeti moderni, essendo che da gli antichi, così latini come toscani, siano stati occupati i più belli posti del teatro, onde bisogna stringersi et urtarsi per poter sedervi; come anco che facci reflessione alla scarsezza dell’erario poetico, rimanendo oggi quasi esausto delle più belle gemme e de’ più preziosi fregi che in esso si riserbavano, de’ quali si sono serviti et arricchiti gli antecessori.
Aggiungo a questo, perché tu con maggior equità possa giudicare la mostruosità quasi incredibile della mia sempre avversa fortuna, e ti dico ingenuamente, che in me non si è mai verificato il detto: Carmina proveniunt animo deducto sereno. Appena nato, la felicità di mia casa sparì; morì mio padre che io era ancor fanciullo; fui spogliato dell’eredità considerabile di mio zio, non so se per colpa di fortuna o d’altri, acciecati nell’interesse e ne’ rispetti mondani; sono stato soggetto a frequenza d’infirmità; necessitato a lunghissimi viaggi sino in Dania, allo stretto del Sont su ’l Mar Baltico. Tutte queste amare concorrenze ti devrebbero render più dolce ad usare equità nel giudicarmi e più pronto a considerare l’animo mio stoico, ché fra tante tempeste ha saputo navigare contro acqua e cantare quando vi era impulso di piangere.
Ma ti svelerò liberamente il secreto, et è questo: che io non ho mai stimato la fortuna né i suoi doni; e se ella ha fatto ogni sforzo per deprimermi, ho gareggiato sempre con essa nel disprezzarla. E se ben so che ella si vanta contro la poesia, che se questa sa dire ella sa dare, e che questa dà fiori ed ella tesori, io però rispondo che la sua opinione è menzogna e sogno, perché se ella può dare la comodità del corpo non può dispensare la felicità dell’animo, il che solo alla virtù appartiene, e che per questa ragione i suoi doni sono più gravi e più desiderati da’ materiali ingegni, perché sono terreni e corporei, ove quelli della virtù sono immateriali, invisibili e divini. Nulla curano gli animi superiori alle opinioni del volgo ch’abbino dato materia alle lor vesti o una pecora o un verme, non altera la mente d’un filosofo un color superficiale d’un manto sia pur tinto o nel sangue della murice o nel succo di piante e d’alberi, mentre egualmente a lui serve per coprirsi; il bianco e la candidezza dell’animo nel suo concetto è il più bel colore di tutti, perché s’assomiglia al sole, che è l’imagine di Dio, Candor morum et sibi conscia virtus, o la maggior pompa che adorni l’animo umano.
Da queste considerazioni non fondate nell’apparenza dell’opinioni popolari ma vere e stabilite da i più sublimi intelletti de’ trasandati secoli, estrassi io l’antidoto contro il veleno della malignante fortuna, onde sempre ridendo, anzi irridendo, ho offerto lo sforzo delle sue tiranniche persecuzioni; quindi, non perturbato né impedito da tanti contrari venti, ho spiegato le vele per giungere al porto bramato, e se ho navigato ad orza non mi sono sommerso ma vivo e viverò *** a dispetto della morte se tu mi soministrarai l’aure di vita.