Argomento
Pensa d’Asia far guerra al gran tiranno
e raguna gran gente all’alta impresa
Baldovino, e fra mostri e grave affanno
verso Alteo saggio vecchio ha la via presa.
Alessio fa consiglio; o caso o inganno,
la reggia intanto è in fiamme orrende accesa;
fugge la figlia Oronta ignuda e sola
e incontra Armindo ch’il suo duol consola.
Proemio (1-4)
1Canto del pio guerrier l’armi e ’l valore
che, d’Oriente il fier tiranno estinto,
all’Asia il giogo in trionfale onore
sciolse, gli oppressi a sollevare accinto.
Dopo lungo soffrir fu vincitore,
ma vinse sol per liberare il vinto,
vago non già sol di terrene glorie
ma d’eternare in Ciel le sue vittorie.
2Musa, tu ch’in sublime augusto trono
splendi colà su nell’empireo regno,
regola tu de la mia lingua il suono,
tu l’ali impenna al neghittoso ingegno;
col tuo favor, ch’ebber sì pochi in dono
cui di fronde immortal festi il crin degno,
canti mia tromba, e in gloriosa guerra
di sonoro rimbombo empia la terra.
3Magnanimo Giovanni, il cui consiglio
lieve a te fa d’ogni cura il pondo,
che le tempeste altrui mandi in esiglio
co’ benefici rai, Giove secondo
che con la destra e col benigno ciglio
rendi al tuo nome ossequioso il mondo,
l’orecchio inchina a’ nostri carmi e godi
mirar ne’ gesti altrui le proprie lodi.
4Mille bocche la fama apre al tuo vanto
or che sue pompe a te Parnaso aduna,
e più risplende a i rai di Febo intanto
l’aureo splendor de la tua nobil cuna;
gradisci or dunque di mia Musa il canto
or ch’ad onta del Tempo e di Fortuna
pomposo ancor di trionfali allori
fatto Pindo il Tarpeo nudre gli allori.
Baldovino raccoglie un esercito per combattere il tiranno Alessio (5-17)
5Reggea Bizanzio e le città soggette
empio re, formidabile e severo
per valor, per tesori e genti elette,
forte non men che celebre guerriero.
Son da costui le region costrette
soffrir di servitù giogo sì fiero
che può (né alcun v’è di pietà ritegno)
su le ruine altrui fondar suo regno.
6E così vasta ambizion lo punge
stender de’ regni suoi l’ampio confine
ch’ognor guerreggia, e spesso novi aggiunge
scettri a le man, nove corone al crine,
e quanto acquista più, mira più lunge
l’avaro cor de le sue brame il fine,
et in tal guisa è di se stesso amico
che re non è ma ben commun nemico.
7Bramoso sol di cumular tesori,
pur che crescan gli erari altro non cura,
e de la plebe misera i sudori
sotto vari pretesti avido fura.
Sovra il popolo ognor cresce i rigori
e più ’l vede languir più l’alma indura,
et ha pensier sì scelerato et empio
che fa fin del suo sangue orrendo scempio.
8Alessio è detto, e par ch’il nome solo
temano omai dell’Oriente i regi
che dall’uno se ’n passa all’altro polo,
benché di ferità veli i suoi pregi,
Crudo nemico de la pace, solo
d’inumano valor vien che si pregi,
et, a nessun ne’ vanti suoi secondo,
già teme angusto a le sue glorie il mondo.
9Feano i prossimi regi uniti insieme
contro tanto furor scarse difese,
quando nobil di gloria, ardita speme
nel regio cor di Baldovin s’accese.
– Dunque (tra sé dicea) fin nell’estreme
parti del mondo in gloriose imprese
de la fede di Cristo a sì gran danno
dilaterà l’imperio empio tiranno?.
10Oh vergogna commun, dunque si tarda
e sì vil alma anco serbiamo in seno?
che devesi aspettar, ch’abbatta et arda
l’Europa e ponga all’alta Roma il freno?
or qual timor sì gran pensier ritarda?
Tosto adombran le nubi un bel sereno,
or ch’opportuno è ’l tempo e la fortuna
n’invita, a che frapor dimora alcuna?
11Or ch’ei lontan da la regal sua sede
Arabi et Indi a debellar s’affretta,
e brama sol, vago d’ingiuste prede,
di soggiogar la gente altrui soggetta,
or che nostro consigli ei non prevede
ché non prendiam del crudo re vendetta,
e, sprezzando vicina alta vittoria,
a noi togliam di vincitor la gloria?
12Forse giusto parrà ch’a punir gli empi
siam neghittosi et, a vil gloria intenti,
facciam di noi medesmi acerbi scempi,
ne le vittorie ancor sempre perdenti;
et ove di pietà veraci esempi
esser dobbiamo a le future genti
resti di noi che petto abbiam sì duro
odiosa la fama e ’l nome oscuro? -.
13Quindi senza indugiar con vari messi
già varie genti alla battaglia incita,
e in saggi detti i suoi deliri espressi
campioni amici all’alta impresa invita.
Egli dicea: «Per liberar gli oppressi
dèe magnanimo core espor la vita.
Mercar non sdegna uom generoso e forte
la comun libertà con la sua morte.
14Perché dunque tardiam, forti campioni,
a liberar dell’Oriente i regni?
perché contro quei barbari ladroni
non muovian l’armi, non destiam gli sdegni?
Già già parmi ch’il mondo omai risuoni
de’ vostri fatti gloriosi e degni.
Ecco l’Asia già doma al vostro merto,
ecco a’ vostri trionfi il Cielo aperto».
15Così ragiona e i suoi consigli approva
ciascun che l’ode, e ’l gran desio seconda,
e raro è quel che non s’appresti a prova
e che non pronto a’ preghi suoi risponda.
Già par ch’all’armi ogni città si muova,
già d’accolti guerrier la Francia abonda
o di trombe e tamburi, e in ogni parte
vedi lampi di ferro, orror di Marte.
16E nono solo il felice almo paese
che bagna Senna armi e soldati aduna,
ma l’Italia, il Germano e ’l regno inglese
n’assolda ancor senza dimora alcuna,
né d’argentei splendori al sol s’accese
quattro volte di nuovo in ciel la luna
che ne i gallici porti, se non tutti,
la maggior parte almen eran ridutti.
17Ma ’l saggio eroe, benché d’armate genti
esercito più grande abbia raccolto,
pur non s’affretta e le sue brame ardenti
raffrena, e ’l core in pensier vari ha involto:
pria ch’esponga l’armata all’onde, a i venti
a preveder l’opre future è volto,
e cauto cerca anzi di far partita
in sì grand’uopo a’ suoi consigli aita.
Baldovino si reca dall’eremita Alteo per avere una previsione sulla guerra (18-57)
18Lungi al gallico lido, in mezzo all’onde
dell’oceano un’isoletta giace,
di cui su le felici amene sponde
sempre benigna arde del sol la face.
Ciò c’han di vago mai piagge feconde
o Tempe o d’Ibla o ’l ciprio suol ferace
in lei s’aduna, e qui con riso eterno
sempre cinta è di fior l’estate e ’l verno.
19Non mai spirano qui piovosi venti,
non velan nubi al sol l’aureo splendore,
e sol di pioggie in vece ha di cadenti
rugiade il vivo e prezioso umore.
Qui fra le piaggie di bei fior ridenti,
acceso il petto di celeste ardore
un vecchio alberga, e in parte alta e romita
gode tranquilla e solitaria vita.
20Questi, che già fin da i primi anni a vile
ebbe il vano piacer e ’l senso infido,
in virtù solo a se stesso simile,
lieto viveasi in quel remoto lido,
saggio così, ma benché saggio umile,
che men chiaro è per lui d’Atene il grido.
Alteo s’appella e ben in sé rinchiude
maggior de la sua fama alta virtude.
21Or qua veloce Baldovin s’invia
d’udir bramoso il suo fedel consiglio,
ma trova dura e faticosa via
di spavento ripiena e di periglio.
Così ciascun che là passar desia
incontra d’empie fere il crudo artiglio,
ch’il mar che scorge a quei felici chiostri
nutre in torbido sen schiere di mostri.
22Qui di mille Gorgoni e mille immondi
draghi, idre, arpie l’orribil flutto è pieno,
che da gli antri d’abisso atri e profondi
usciro ad infettare il ciel sereno.
Livido è ’l mar d’intorno e par ch’abbondi
vie più che d’acque di mortal veleno,
e qui, cred’io, dal sen più cupo e interno
quanto ha d’orrendo vomitò l’Inferno.
23Pur senza tema il gran guerriero invitto
passa fra’ mostri e le donzelle infide,
e casto e forte nel mortal conflitto
di lor furor, di lor beltà si ride,
e ’l sentier prende più sicuro e dritto
per cui rado passar legno si vide
quando l’aria si turba e violento
spinge le vele e scote l’onde il vento.
24Sorge notte improvisa, ombroso velo
carco d’orror si stende all’aria intorno.
Resta sepolto infra le nubi il cielo,
pallido e fosco e senza sole il giorno.
Cade torbida pioggia accolta in gelo,
lascian liberi i venti il lor soggiorno,
freme e rauco s’accorda Africo e Coro
dell’onde irate al mormorar sonoro.
25Ondosi monti di volubil flutto,
orride valli in procelloso stuolo
forma, dal vento fier sconvolto tutto,
il vasto sen dell’ocean profondo.
Par che già fuor de’ lidi suoi condutto
esca a portar nuovo diluvio al mondo,
par ch’indistinti foco, aria, terra, onda
novo caos gli elementi in un confonda.
26Raggio non è ch’in tanto orror risplenda,
sembran d’inferno omai del cielo i campi,
e splendon sol con fosca luce orrenda
nunzi di morte in mezzo all’ombre i lampi.
Par che l’aria e la terra allor s’accenda
e che fra l’onde un grand’incendio avampi,
ma in un momento ecco s’estingue e pare
da’ suoi splendor fatto più oscuro il mare.
27Il suo legno fra tanto, e vana è ogni arte,
agitato dall’acque errar si mira,
e veloce si volge in quella parte
là dove il vento a sé contrario il tira.
Con moto incerto, ora ritorna or parte,
or se medesmo obliquamente aggira,
or grave in giù precipitando scende,
or in cima dell’onde al cielo ascende.
28Il magnanimo eroe, benché nel core
ha qualche tema del vicin morire,
pur il nascente gel del vil timore
cede al calor del generoso ardire,
e invitto in mezzo al tempestoso orrore
sprezza de’ venti le minaccie e l’ire,
e ravvivando ne i nocchier la speme
lieto in sembiante il timor frena e preme.
29- Chi s’arretra a i perigli eccelse imprese
(pensa fra sé) conseguir crede in vano.
Solo in mezzo a gli assalti, a le contese
illustre fassi valorosa mano.
Non lancia o spada o guerriero altro arnese
ma solo arme è dell’uom l’ardire umano;
vada di questo un nobil core armato,
sia di ciò che rimane arbitro il fato -.
30Mentre così fra l’orgogliose spume
pur ardito s’inoltra il gran guerriero,
cangiansi i venti e de l’usato lume
già si riveste il ciel turbato e nero.
Zefiro spira e come è suo costume
frena lo sdegno al mar cruccioso e fiero,
sì ch’ogni vela che ’l timor raccolse
lieto il nocchiero all’aure amiche sciolse.
31E già molto non lunge era la nave
che volar sembra all’isoletta amena,
quando un albero d’or lucido e grave
mira apparir su la vicina arena.
Argentei rami ha, d’oro i frutti et have
purpurea scorza, che di notte è piena
in guisa tal misteriosa e bella
che tace al volgo, a i saggi sol favella.
32Ripercosso dal sol fiammeggia e splende
e un tesoro di luce in sé raccoglie,
e i vivi lampi suoi più chiari rende
il tremolar de el lucenti foglie.
Chi non a pien gli occulti sensi intende
dal prezioso allor frutto non coglie,
ma Tantalo novel tra folli brame
pasce col guardo la delusa fame.
33Stupido Baldovin mira la luce
che sparge intorno il folgorante alloro,
e dal pino disceso omai s’adduce
su l’aurea sponda ov’è sì gran tesoro;
e già puossi mirar dal franco duce
il saggio Alteo, quando più presso foro,
e ’l vede in atto pur come a sé il chiami
all’ombra star de i luminosi rami.
34Giunse al fin là dov’è il gran vecchio e modi
par che non trovi d’onorarlo a pieno;
ma quei, cortese, che sa ben quai lodi
merta il campion, si mostra a lui non meno.
Al fin disciolti i cari amplessi e i nodi
che fèr l’amiche braccia al collo, al seno,
lieto in sembiante incominciò primiero
in tal guisa parlar l’alto guerriero:
35«O tu, che sovra il mortal uso in queste
romite piaggie ove ha virtute albergo
vivi, benché mortal, vita celeste,
e ’l mondo e ’l van piacer ti lasci a tergo,
e del pensier su l’ali agili e preste,
ov’altri in fango vil palustre mergo
sen giace involto, al ciel t’inalzi e scerni
sue meraviglie, e ne’ suoi rai t’interni,
36e puoi gli orbi mirando, onde discende
a noi qua giù sorte benigna o dura,
tanto talora il tuo saper si stende,
render presente anco l’età futura,
tu, ch’a ciascun che i tuoi consigli attende
sei ne’ dubbi pensier scorta sicura,
deh tu mi scorgi, o mostra almen qual fine
a la guerra futura il Ciel destine».
37«Non giungi a me «rispose il vecchio allora»
come credi improviso, o gran guerriero,
ché di tue brame il Ciel, che tanto onora
questo suo servo, già m’aperse il vero.
Prendi pur l’armi, io verrò teco ancora,
va in guerra pur che la vittoria io spero.
Dio per tua scorta già m’elesse, in lui
confida e atterra gli avversari sui».
38Ciò detto, per sentiero aspro e sassoso
a la cima del monte Alteo lo scorge,
e steso il forte braccio, ancor che annoso,
perché saglia più lieve aita porge.
Com’è giunto colà, bosco frondoso
di lauri e palme verdeggianti ei scorge,
ove nel mezzo a la gran selva amena
forma gran piazza solitaria scena.
39Quivi di rami prezioso e d’oro
ricco palagio in verso il ciel sorgea,
adorno sì ch’al nobile lavoro
la materia ricchissima cedea.
Là s’inviaro, e com’entrati foro
una gran sala ivi il guerrier scorgea,
ove d’intorno in chiare pietre scolti
vedea de’ prischi eroi spiranti i volti.
40Mirava ancor d’altri guerrier illustri
su ’l nobil muro effigiate imprese,
di cui l’onor ne’ già trascorsi lustri
d’emula invidia il mondo tutto accese.
Dall’arte egregia de’ pennelli industri
e voce e moto il finto volto apprese,
ingannato a i color l’occhio e ’l pensiero
vivo crede l’estinto, il falso vero.
41Vedeasi qui dal grand’Urbano accolta
contro il barbario imperio oste possente,
solcar l’onde su i legni a vela sciolta
e veloce passar nell’Oriente.
Vedi turba di navi immensa e folta
gravida il sen d’innumerabil gente:
qui Goffredo e Rinaldo, e appresso vedi
Eustazio e Guelfo e con Dudon Tancredi.
42V’è Soliman, de’sue feroci schiere
contro l’armi cristiane in van difeso,
ch’al fin lor cede, e già gli puoi vedere
d’ira e di scorno il mesto volto acceso.
Piega a lui presso le sue corna altere
il tiranno Aladin, già vinto e preso,
Goffredo il vince e, l’empia gente e ria
scacciando, al gran sepolcro apre la via.
43Miri non lunge la regal cittade
albergo già d’empi tiranni indegni
lieta per la novella libertade
di letizia mostrar ben mille segni.
Gode ch’ove di lei già l’empietade
fea crudo scempio in lei, pietà sol regni;
par che le vie mostrando ampie e spedite
a la gran tomba il pellegrino invite.
44D’incontro poi, con bei color distesa,
istoria illustre il franco eroe scorgea:
qui finto un mare e a guerreggiare intesa
gemina armata il dotto fabbro avea;
previde il saggio e la futura impresa
pria che succeda ivi mirar godea,
che presago additar par che si glorie
de i cristiani campion l’alte vittorie.
45Qui del gran Pio le fortunate antenne,
qui puoi veder l’esercito possente
ch’a scorno già di tutta l’Asia ottenne
trionfar della luna in Occidente.
Fiammeggiar gli elmi e sventolar le penne
rimiri, e ’l mar d’aurei fulgor lucente;
già sorger l’ira, incrudelir lo sdegno
e darsi già de la battaglia il segno.
46Pugna il Trace d’incontro e sotto immenso
stuol di navi infinite il mar s’asconde;
freme irato e da gli occhi orrido e denso
di mortiferi strai nembo diffonde.
Stringonsi insieme e, di furore accenso,
l’un con l’altro si mesce e si confonde.
Cadon le turbe in ogni parte e pare
angusta tomba a tanti estinti il mare.
47Vedresti qui di sanguinoso flutto
rosseggiar l’onde orribili e spumanti,
lampeggiar l’aria, ardere il mare e tutto
scotersi a i bronzi concavi e tonanti;
sorgere i venti e, quasi stuolo instrutto,
contro l’empio pagan spingersi avanti,
pugnar per Cristo e congiurati insieme
ne’ suoi guerrier rinvigorir la speme.
48Scorgi, tanto è la pugna aspra e crudele,
volger le spalle omai lo stuol pagano,
ché Dio stesso guerreggia e l’infedele
contro l’armi del Ciel s’affanna in vano,
ceder già vinto e le fuggenti vele
seguir già vedi il vincitor cristiano,
e già sovra i suoi legni il Turco atroce
mira inalzar la trionfante croce.
49Ecco l’insegna trionfal se ’n torna
e forma in Ciel vittoriosi giri,
oh come par che di bei raggi adorna
per l’aereo sentier lieta s’aggiri!
Non splender più con l’argentate corna
ma in ecclisse mortal languir già miri,
e nell’onde cader torbida e bruna
tinta di sangue l’ottomana luna.
50V’è poi Matilda, e di maschil valore
adorno mostra in feminil sembiante.
Chiude vasti pensieri il nobil core,
di gloria solo e di virtute amante.
Molle cura amorosa o vil timore
non frenò l’alma o ritardò le piante;
amò sol, perché l’empio a terra cada,
dell’ago in vece esercitar la spada.
51Con magnanimo ardir fra l’armi avvolta
là pone in fuga le nemiche schiere,
qui con novi trionfi a Dio rivolta
offre al tempio sacrate armi e bandiere.
Poscia di nuovo a guerreggiar disciolta
vince pietosa inique genti e fere,
e fa del suo valor possente e chiaro
al gran Pastor romano alto riparo.
52Per lei trionfa e ’l già perduto regno
per lei racquista il successor di Piero;
poi, dilatando a’ suoi confini il segno,
crescea genti e dominio al Sacro Impero.
Tutto ripien di generoso sdegno
splende il bel volto, e placido e severo,
e sembran gli occhi suoi stelle gioconde
a i vizi infauste, a le virtù seconde.
53Mostra, nova Camilla, accolte e presse
le chiome d’or sotto il pesante acciaro,
né fuor ch’il ferro rilucente in esse
fregio sa por più luminoso e chiaro.
Di sì vaghe figure al vivo impresse
illustri fabri il nobil muro ornaro;
gode il guerriero, e in rimirar si sente
d’alte brame di gloria il petto ardente.
54Allor dissegli il vecchio: «O qual t’aspetta
premio d’onor s’ad emular t’invogli
que’ forti eroi, se contro l’empia setta
armato il regno al crudo re ritogli.
Su su, veloce i tuoi trionfi affretta,
va’ dunque, e ’l fren d’ogni timor disciogli;
io sarò teco ognora, e pronto vegno
a impiegar in tuo pro l’arte e l’ingegno.
55Sol di ciò dei temer, ch’affatto ignoto
a la tua mente a te vo far palese,
ch’a me per somma e rara grazia noto
ha fatto col suo lume il Ciel cortese:
fra tuoi guerrier vive un garzon devoto
che sante voglie ha in casto petto accese,
e com’è di beltà di fuor ripieno
non minor santità serba nel seno.
56Or s’egli immoto a le lusinghe, a i preghi
del senso serberà l’animo invitto,
né fia già mai ch’a vil piacer si pieghi
che tu vinca e trionfi in Cielo è scritto.
Né ti sdegnar ch’ora additarti i’ neghi
il guerrier casto omai fra i divi ascritto,
ché giusto è che, s’al Cielo, anco a te piaccia
che mentre anco è in periglio il nome io taccia.
57Veggio ben io, quasi per nebbia, un lume
che fa vedermi i tuoi trionfi e ’l vanto,
e come in van non sol beltà presume
con lui pugnar ma forza anco d’incanto;
e parmi già ch’il candido costume
invitto serbi in cor pudico e santi,
e porti trionfando in commun gloria
all’essercito tuo fatal vittoria».
L’esercito parte per nave dalla Normandia (58-61)
58Sì disse, e col guerrier sul pino asceso
ratto correa que’ perigliosi umori,
né provò già, ch’ognor vi passa illeso,
di tempeste o di mostri ire e furori.
Placa l’onde Nettuno e spiana inteso
a riverirlo i flutti suoi onori;
spiran placidi venti, aure seconde
sin ch’approda il suo legno in su le sponde.
59Ma come giunse e col sembiante altero
accrebbe altrui di trionfar la spene,
disse lieto al gran duce: «Alto guerriero,
ben tempo è omai d’abbandonar l’arene;
sciogli le vele e per fatal sentiero
a certo onor la tua virtù ti mene».
Ma già ’l suon de le trombe a la partita
ogni soldato, ogni nocchiero invita.
60S’empion le piaggie e di guerrieri e d’armi,
indi le navi, e un mormorio s’aggira
qual in selva talor s’incontro s’armi
Africo o Borea impetuoso spira.
Odi cantar le trombe in lieti carmi,
spiegar sue vele ogni nocchier si mira,
di strepito e di suoni un misto grido
s’ode intorno e ne rimbomba il lido.
61Volan ratte le navi e già fuggiti
a chi verso la terra ha il guardo intento
sembran della Normandia i porti e i liti,
a lor così spira secondo il vento;
e già son de la terra omai spariti
tutti i confin sul liquido elemento,
e sol d’intorno a i riguardanti appare
ne’ lor spazi infiniti il cielo e ’l mare.
Alessio tiene consiglio, decide di difendersi usando l’inganno (62-84)
62Mentre l’armata in guisa tal s’affretta,
udendo Alessio sì crudel novella,
cauto se ’n riede al patrio regno e in fretta
al gran Consiglio i suoi ministri appella.
Quivi ciascun ch’entro a parlar s’ammetta
de’ regi affar con libertà favella;
ode il re tutti e ciò ch’a lui più giova
fra lor consigli a suo talento approva.
63Ragunati che furo, il fiero tiranno
in cotal guisa incominciò primiero:
«D’uopo non fia ch’io vi rammenti il danno
che vicino sovrasta al nostro impero;
ma prepari il cristian forza et inganno,
dal saper vostro la vittoria spero.
Ciascun dunque, o miei fidi, in sì grand’opra
ciò che stima opportuno a noi discopra».
64«Tempo non è «disse Idraote allora,
ch’appo il re primo consiglier sedea»
di star qui chiusi, et uscir pronta fuora
la tua gente, signor, prima devea.
A che dunque tardar? Breve dimora
esser potria di nostra morte rea.
Spesso s’arretra e spesso vinto cede
quando è assalito uom ch’assalir si crede.
65Qual pensi tu s’ad incontrarla ardito
già fosse andato esercito possente
quando era anco non lungi al patrio lito
fosse rimasta la nemica gente?
All’assalto improviso sbigottito
fora il cristian pria di pugnar perdente,
ov’or sen viene a disturbar tua pace,
fatto da noi, da’ timor nostri audace.
66So che pensier diversi il lento Armondo
nudre nel cor, ch’è d’un vil ozio amante,
e sol con l’armi d’un parlar facondo
di vincer sogna a la battaglia avante,
ma fia pur di minaccie egli secondo
e con la voce trionfar si vante:
di noi ciascuno a guerreggiar s’affretti,
sian le spade le lingue, i colpi i detti.
67Ma già che, siasi elezione o fato,
il porto ancora ogni tua nave serra,
fa tu, signor, che stuol di navi armato
omai se n’esca a provocarlo in guerra.
Cada il nemico al valor nostro usato
pria che giunga nella greca terra,
e il mar del nome suo, ch’or sì rimbomba,
resti ignobil sepolcro e muta tomba».
68Tacque, e rispose Armondo, uom che severo
a gran senno congiunge ardir feroce:
«Odi Idraote, tu che contro il vero
parli sì fier con temeraria voce:
non tanto già quanto tu speri io spero,
spesso più che il timor la speme noce,
e son sovente inaspettati figli
di soverchia speranza anco i perigli.
69Chi vuol sicuro riportar l’onore
dell’alte imprese a paventar s’accinga,
e benché sia di forze assai maggiore
al suo nemico a lui minor si finga.
Gran fabro di difese anco è il timore,
né con false promesse il cor lusinga;
troppo è la speme insidiosa e spesso
chi di lei si fidò rimase oppresso.
70Onde, com’è ragion, ben meglio fora
l’oste nemica d’aspettar su ’l lido,
che facendo noi qui tanta dimora
d’aver vittoria a gran ragion confido,
ove uscendo a pugnar del porto fòra,
le navi esposte all’onde, al vento infido
prima ancor de la pugna incerta sorte
incontrar ponno e naufragio e morte».
71Ma colui replicò: «Ben lodo anch’io
in magnanimo cor tanto timore,
ma non sì pigro et al pugnar restio
come par che s’annidi entro ’l tuo core.
Pur, gran re, te presente il ferro mio
soffre della sua lingua il folle errore,
all’onor, ch’a te dessi, a te s’ascrive
s’ei non cade a i miei piè, se parla e vive.
72Allor con luci disdegnose e torte
l’un guarda l’altro, e ’l duol nell’alma preme,
e con orror del volto suo la morte
par che minacci, e si contorce e freme.
Ma disse il re: «Nessun qui guerra apporte,
ove in mio pro vi ho ragunati insieme.
Cessin l’ire, o guerrier, nessun offende
chi per publico ben parla e contende».
73Ma Sartabano, uom sagace e molto
esperto in machinar bellici inganni,
«Signor, «dicea «deh rasserena il volto,
ché già pronto ho ’l remedio a i nostri affanni,
e tosto fia ch’il temerario e stolto
cristian provi pe me gli ultimi danni.
Fian lor armi trofeo di nostra gloria,
noi senz’armi pugnando avrem vittoria.
74Più che col ferro, con l’insidie, o sire,
di superar l’oste nemica ho speme,
senza che debban le tue genti uscire
a guerreggiar con le cristiane insieme.
A me sembra l’uscir soverchio ardire,
e ’l saggio Armondo ha gran ragion se teme
ch’al fin meglio è schivar del mar lo sdegno
e difender sedendo il proprio regno.
75or odi come il mio disegno i’ voglia
porre in effetto: sconosciuto e solo,
cinto di pastoral rustica spoglia,
n’andrò per l’onde in picciol legno a volo;
giunto poscia colà dove s’accoglia
l’empio ch’a noi minaccia estremo duolo.
A lui m’accostarò tacito e cheto,
in atto di scoprirgli alto secreto,
76poscia dirò che s’a’ miei detti fede
vorrà prestar sarà felice in terra,
e che non tanto il greco re possiede
né tanto l’Asia ne’ suoi regni serra
quanto egli avrà se con veloce piede
prima d’esporsi a perigliosa guerra
vorrà eco venirne ove fortuna
un immenso tesor per lui raguna.
77Poi fingerò d’aver trovato un monte
mentre il gregge pascea ne’ lidi nostri,
che d’oro asconde un prezioso fonte
ne’ sotterranei suoi lucidi chiostri,
et a i detti accoppiando audace fronte
parlerò sì ch’ei pregherà che ’l mostri:
allor penso condurlo ove s’inalza
non lungi al fiume Asopo orrida balza.
78Quivi farò da’ guastatori accorti
prima cavar cent spelonche e cento,
a cui solo una bocca il passo porti
che sia ministra al desiato intento.
Come gl’incauti sian là dentro scorti,
troveranno in gran copia oro et argento,
e in mille lochi in fra la terra molle
sparse ad arte auree glebe, argentee zolle.
79Correrà la cristiana avida gente
dell’oro a saziar l’ingorda sete,
le schiere tutte a la gran preda intente
toccar godran de lor desir le mete.
Allor per calle incognito e latente
farò scorrer sotterra acque secrete,
che, dal mar tolte sotterranea via,
a la gran bocca di quegli antri invia.
80Come con orgoglioso alto furore
uscendo fuor per dirupati calli
cadon precipitose onde sonore
del bel Velin ne le profonde valli,
spuma e ribolle il ripercosso umore
solvendo in fumo i chiari suoi cristalli,
e col rumor dell’acque sue sonanti
al famoso Appennino accresce i vanti,
81così veloci e impetuose l’onde
con sonoro fragor cadendo in giuso,
empiran le caverne atre e profonde
ove sarà l’empio cristian rinchiuso.
Fremerà rauco fra l’anguste sponde
nel gran seno del monte il mar diffuso,
e darà qui con l’acque sue frementi
strano naufragio all’inimiche genti».
82Soggiunse allor Bimarte, e con sembiante
lieto così dicendo al re si volse:
«A che dunque nudrir schiere cotante?
a che sì grand’esercito s’accolse,
se Baldovino e le sue forze e quante
perfide genti ha contro noi raccolte
senza spada impugnar, senza saette
un sol nostro guerrier vincer promette?
83Ben hai tu senza insanguinar le mani
vinto altre volte, o Satraban diletto,
né restar ponno i tuoi consigli vani
e da lor solo la vittoria aspetto,
ché per vincer gli avari, empi cristiani
l’or più che ’l ferro hai con ragione eletto,
poiché in lui rivolgendo i desir loro
più che il sacro lor legno adoran l’oro».
84Tacque, e ’l re poi concluse: «A noi conviene
pria ch’esporci mal cauti all’onde, a i venti,
munire i porti e le vicine arene
con torri e navi e numerose genti.
Poi s’all’insidie ancor volgiam la speme
e speriamo così restar vincenti
ben caro avrò che senza oprar la spada
noi stando in pace il mio nemico cada».
Il palazzo regale va in fiamme, Oronta fugge ignuda ed è salvata da Armindo (85-108)
85Mentre così ragiona ecco repente
alta fiamma d’intorno arder si mira,
che con rapido passo ognor crescente
mista a i globi del fumo atra s’aggira.
Tosto ciascun attonito e dolente
resta all’incendio ch’improviso ammira,
e tutti a prova in più sicuro loco
cercan fuggir, ma chiude il varco il foco.
86Arde l’antica reggia e ancora ascosa
è la cagione onde l’ardor s’apprese.
Narra la fama al fin ch’insidiosa
l’oppressa gente il grand’incendio accese,
e che contro il tiranno ella è bramosa
di vendicar le ricevute offese,
e ch’ora più vien che sua speme affidi
che s’invia Baldovino a i traci lidi.
87Era la notte oltre l’usato oscura,
cinta di nubi il tenebroso volto,
e d’ora in ora anco più ’l ciel s’oscura
lasciando il mondo in cieco orror sepolto.
Risplende sol con luce orrenda impura
l’alto palagio in nere fiamme avvolto;
arde il gran foco in mille parti a gara
e ’l fosco della notte apre e rischiara.
88Forma gran nube il fumo denso e invita
al pianto gli occhi et a i sospiri il core,
e già tenta ciascun trovar l’uscita,
scorto dal lume del nemico ardore,
né de’ più forti sol più l’alma ardita
del vicino morir rende il timore
ma il sesso imbelle in passi audaci e presti
l’orribil fiamma calpestar vedresti.
89Sembra il palagio un labirinto ardente
ch’il piè dubbioso ove partì raggira
sì che confusa e attonita la gente
in meandro di foco intorno gira.
Ciascun vede la morte omai presente
e più l’incontra ove a fuggir aspira,
pur molti al fin, scorti da vario duce,
consiglio o caso al ciel aperto adduce.
90E perché del palagio ov’ha la porta
la parte anterior prima s’accese,
più d’uno allora per la via più corta
da le regie finestre in giù discese;
né pronte scale avendo o pur ritorta
di funi, in vece lunghe fascie prese:
di questa altra si franse, altra dall’altro
non giunse al basso e gli sforzaro un salto.
91Gran turba allor di fabri e di serventi
quanto più può sgombra dal foco i passi,
pronti versando su le fiamme ardenti
gelid’acque in gran copia e terra e sassi.
Sudan altri d’intorno le cadenti
mura forando, onde alcun fuor ne passi;
percotono altri il tetto onde ruine
e dia cadendo a tant’incendio il fine.
92Fuor dell’ardente porta escono molti,
ma trovan dura e perigliosa uscita,
ché in quel gran fumo e in quelle fiamme involti
prima ancora d’uscire escon di vita.
Dentro le regie camere sepolti
rimangon altri, attonita e smarrita
stassi gran parte, altri ripien d’ardire
non paventa il morir per non morire.
93Uscì Alessio fra questi e altronde uscìo
la figlia Oronta ancor, ch’in su le piume
senza tema dormia, ma gli occhi aprio
al fosco dì di quel funesto lume.
Versa amaro di pianto un largo rio
e par se stessa nel gran duol consume.
Repente poi lascia i riposi e in fretta
per sentiero di fiamme esce soletta.
94Passa la regal porta e non paventa,
vergine ignuda, abbandonata e sola,
e del foco il furor che la sgomenta
dal cor pudico ogni rispetto invola.
Sen va guardinga e ne’ suoi moti lenta
senza mirar, senza pur far parola,
né pur la copre vel, nel suo periglio
di vesti ignuda e non men di consiglio.
95Irresoluta per l’ignote strade
pensa in qual parte indirizzare i passi,
ma distinguer non sa muri o contrade
né per dove si torna o donde vassi,
e fra gridi e tumulti e faci e spade
pallida e sbigottita e immobil stassi,
pur s’incamina ove men calca vede
ma pigro move e mal sicuro il piede.
96Si dilata la fiamma e scorre intorno
a le mura fumanti et ella intanto
a spettacol sì fier del viso adorno
non cessa i fiori d’irrigar col pianto,
e più s’affligge e n’ha vergogna e scorno
di star sì nuda a sì gran turba a canto,
e s’alcun la travede ella s’aggira
in quella parte ove splendor non mira.
97Copre dell’ombre il vel gl’ignudi avori
e i bei rossor del virginal sembiante,
ma pur la face de’ crescenti ardori
al fin la scopre al suo fedele amante.
Armindo è questi, che d’occulti amori
languia per lei non lungo tempo avante;
destollo amore e benché cieca guida
all’amata beltà fortuna il guid.
98Figlio è costui del principe Rosmondo,
ch’è del gran regno di Britania erede,
di cui giovane guancia e capel biondo
par ch’all’alto valor tolgan la fede.
Dell’armi a pena sostener il pondo
potea che volse a guerreggiare il piede,
et or ch’in lui più adulta speme ei scorge,
all’alta impresa il genitor lo scorge.
99Vago mirar della città l’aspetto,
capo e fede real di tanti regni,
sconosciuto in Bizanzio entrò soletto
Armindo, con occulti alti disegni,
ma vista Oronta appena entr’il suo petto
cessàr ben tosto i marziali sdegni,
e cangiata in un punto alma e pensiero
più che di Marte è già d’Amor guerriero.
100Or mira appresso il suo bel sole e ’l vede
assai più chiaro, senza nubi intorno,
ma non ben s’assicura e appena il crede
ch’apra fra l’ombre a lui sì lieto il giorno.
Move per farsi a lui vicino il piede
ma teme poiché n’abbia oltraggio e scorno,
pur lascia ogni rispetto e, amante ardito,
incontra di fortuna il dolce invito.
101E pien di speme ora ch’al suo nel foco
dan fiamme infauste inaspettata aita,
s’inoltra e prende ogni periglio a gioco
e ratto va là dove Amor l’invita.
Ma come è giunto ove in secreto loco
sta la donzella timida e smarrita,
mentre fulmina Amor con doppio telo
vicino al suo bel sol fassi di gelo.
102Ben se n’avvide e ’l riconobbe e in fretta
moveva Oronta il fuggitivo piede;
ma sì rapido allor la sua diletta
segue ei ch’a pena orme segnar si vede,
tal rapace falcon quando s’affretta
dietro lo stuol de el volanti prede
vola sì lieve e in sì veloci giri
ch’in un momento e mosso e giunto il miri.
103La man le prende e ’l predatore ardito,
ch’è pur preda di lei, seco l’invola,
ed a coprirsi col suo manto invito
fatto a lei, con tai detti ei la consola:
«Real donzella, il mio servir gradito
se fia da tau beltà, ch’è al mondo sola,
felice amante è a par di me giocondo
non vede il sole in suo girare il mondo.
104Felice amante, e chi giamai ventura
d’Amor nel regno ebbe a mia sorte eguale?
chi nel mezzo all’orror d’alta sciagura
trovò pari alla mia gioia fatale?
Ma sta, vergine bella, in me sicura,
ché la mia brama riverente è tale
che morir prima in quelle fiamme accese
vorrei che teco usar forza scortese.
105E forse ancor, se a te non fosse ignoto
del mio chiaro natal l’alto splendore,
piegar non sdegneresti il cor devoto
a chi ti diè già per tributo il core.
Ma se tempo verrà ch’a te fia noto
di mia stirpe real l’antico onore,
allor godrai de’ miei grand’avi il nome
giunga nova corona a le tue chiome.
106Ma qual vano timor? Beltà celeste
esser non può se non cortese e pia,
né sdegnerà che di me stesso in queste
voci al suo merto io tributario sia.
E ben sper’io, se fiamme atre e funeste
fuggisti già, che tu ricetto or dia
a le fiamme d’Amor, che in suo giocondo
incendio nudre e in un conserva il mondo.
107Ma già che fare in tua magion ritorno
nega il foco a te crudo, a me pietoso,
ben ricovrar nel mio vicin soggiorno
potresti, e prender quivi alcun riposo,
ché star più qui di tua bellezza a scorno
fra popolo sì folto e numeroso
non lice, e tanto più ch’omai non copre
più l’ombra e ’l sol tua nudità discopre.
108Nulla Oronta risponde, e benché senta
crescer la fiamma in altro tempo accesa,
e benché l’alma a’ prieghi suoi consenta
non però il labro il suo pensier palesa.
Frettolosa è nel cor, nel passo è lenta,
e finge dal suo dir restare offesa,
pur com’a forza del suo caro duce
all’albergo vicino ella s’adduce.