Argomento
Contro il tiranno il popolo sdegnato
fa di ribellion moto improviso;
Osman se ne fa duce; il re celato
si salva, mentre il figlio Ormeno è ucciso;
condotto è a lui davante imprigionato,
ma resta il re dal suo parlar deriso.
Gl’intima guerra il re d’Egitto; Aronte
già navi e genti in sua difesa ha pronte.
Osmano guida una rivolta popolare e uccide il figlio di Alessio (1-20)
1Cresce intanto l’incendio, ardono insieme
non che la reggia anco i vicini tetti,
e già ’l popol fra l’ombre errante freme
e s’odon già sediziosi detti,
e l’ira che gran tempo entro il cor preme
par che l’offerta occasione affretti.
Già furor cieco d’improviso Marte
in varie schiere lo raguna e parte.
2Braman del re la morte, antico sdegno
ne’ petti lor novelle fiamme accende;
più di tema o d’amor non v’è ritegno,
chi ’l ferro impugna e chi le faci prende.
Fra questi è Osman, che non vulgare ingegno
e gran facondia venerabil rende,
uom ch’a bassi natali anima grande
congiunge, e chiaro intorno il grido spande.
3Con la sinistra man sulfurea face,
qual nova Aletto od infernal Megera,
presa costui «Tempo non è di pace»,
disse con voce orribilmente altera,
«ecco il fato n’invita, animo audace
sol non può conseguir ciò che non spera.
Ciascun me segua, io v’aprirò la strada,
è giunto il dì ch’il fier tiranno cada.
4Troppo, ahi pur troppo l’inesplicabil mostro
s’è pasciuto fin qui del nostro sangue,
pur troppo aprì, vorace augello, il rostro,
e velen vomitò l’orribil angue.
Or se giusto furor nel petto vostro
contro ’l crudel, com’è dover, non langue,
pèra il commun nemico e fia quell’empio
con la sua morte a gli altri mostri esempio».
5Sì disse, e accompagnò sue voci estreme
rauco stridor d’un mormorio concorde,
e già ’l popolo tutto – Arme, arme – freme,
né alcuno v’è ch’abbia pensier discorde.
S’inalza al ciel di voci unite insieme
sì grand’il suon che par ch’il mondo assorde,
ed or in or la turba e ’l romor cresce,
e l’un con l’altro si confonde e mesce.
6Gridava Osmano allor: «La palma è certa,
valorosi compagni, il Ciel ne guida.
Veggio di libertà la strada aperta,
seguite pur, che la fortuna è guida.
Il giogo vil, la servitù sofferta
sproni a voi siano ond’il crudel s’uccida.
Ecco già ne promette amica sorte
il publico gioir ne la sua morte».
7Così dice ei correndo avanti, e in alto
erge la spada quanto può distesa,
e, qual vessillo in militare assalto,
alza il gran lume a la notturna impresa.
Seguon le turbe il duce, e a salto a salto
passan le vie senza trovar contesa;
stuol precorre di spie, perché riveli
dove l’empio tiranno allor si celi.
8Di qua, di là ciascun s’aggira e al fine
de la fiera bramata orme non trova,
e bench’arso e fumante ogni confine
del gran palagio a ricercar si prova;
ma qual s’appiatta in fra ginepri e spine
belva talor se il cacciator si mova,
tale il fiero tiranno, a cui ben tosto
volò l’avviso, è in loco ignoto ascosto.
9Ma non lascia però la traccia e l’orme
seguir del crudo re l’armata gente,
e cerca, avida pur, ch’alcun l’informe,
ognior nell’ira e nel desio più ardente.
Intanto per celarsi il fier non dorme,
e per salvarsi aguzza allor la mente,
e tanto più dal gran timore è oppresso
quanto più sa de’ propri error l’eccesso.
10Mentre scorron d’intorno, a caso scopre
Pirga, d’Alessio in vece il figlio Ormeno,
che in servil manto si ravvolge e copre
per timor de la morte il volto e ’l seno,
né giova a lui che i piè fugaci adopre,
giunto, preso e ferito è in un baleno;
chi l’urta, chi ’l trascina e chi ’l calpesta,
e in un momento lacerato ei resta.
11Tal la timida lepre allor ch’i cani
seguon veloci il fuggitivo piede,
che giunta al fin là ne gli aperti piani
stuol di veltri guerrier lacera e fiede,
e i vicini non sol ma i più lontani
giungono al fin per farne stragi e prede,
e l’uno a l’altro in gran furor la toglie,
chi la carne divelle e chi le spoglie.
12In vista allora orribile e funesta
Osman sopra lunga asta inalza e move,
tinta d’atro squallor, la regal testa,
ch’anco fuor delle vene il sangue piove.
E ancor non sazio, alcun spezza e calpesta
l’ossa infelici e fa ferine prove,
altri a gara in varie parti
han già suoi membri dissipati e sparti.
13Forse erede colui, come del regno
stato saria, dell’empietà paterna,
quindi immaturo con maturo sdegno
cader lo fe’ la Providenza eterna,
e ’l volle estinto e lacerato a segno
che reliquia di lui più non si scerna,
e spento affatto nel suo figlio il seme
del reo tiranno e di sua stirpe insieme.
14Cresce in tanto la turba, e folta e spessa
segue il furor del valoroso Osmano,
che in passo accorti il re cercar non cessa
ma ’l serba il fato a più spietata mano.
Deluso al fine, «O nobil patria oppressa,
non s’armò «disse «questa destra in vano:
se salvò fuga vile il rege indegno
cada sovra i ministri il nostro sdegno.
15Cercate gli empi, che non son men rei
del reo tiranno, i suoi ministri ingordi
se fur sempre, sprezzando uomini e dèi,
ciechi all’altrui miserie, a i preghi sordi,
pronti pur sempre a’ vostri danni e a i miei
e di sangue innocente intrisi e lordi,
che sotto manto di pietà velaro
più fieri de le tigri il core avaro».
16Patre al suo dir stuolo d’armati e in fretta
il duce Ormusse *** a lui condotto avante,
ricinto il piè, la man tra lacci astretta,
torvo ne gli occhi e pallido in sembiante.
Il consegna ai custodi e poi s’affretta
la turba in traccia con veloci piante,
e in breve avien che incatenati guidi
altri ministri, al re più cari e fidi.
17Nella gran piazza al regio albergo avanti,
ove Osman gli attendea, condotti furo,
ove ancor si vedean fiamme fumanti
arder el travi e giù caderne il muro.
«O voi, che di superbia alti giganti,
mostraste a i pianti altrui petto sì duro,
provate or qual sia duol, pianto deriso
che ha in vece di pietà lo scherno e ’l riso.
18Dell’albergo real l’aurate travi
a voi fian degno rogo, anime auguste,
né fia, cred’io, che d’esser qui v’aggravi
in sì nobile pira arse e combuste.
In queste fiamme lo splendor de gli avi
vedrete, e lampeggiar glorie vetuste;
godete dunque or ch’il destin vi diede
fra sì vivi carbonchi aver la fede».
19Sì parla Osmano, a la cui destra ardita
scettro improviso diè lingua faconda,
mentre l’irata plebe insieme unita
d’ardenti legni i corpi lor circonda.
Mostran membra tremanti e impallidita
sembianza, e giù da gli occhi un rivo inonda,
ma già li copre il denso fumo e intanto
già la fiamma crescente asciuga il pianto.
20Ma non moion sol questi, altrove ancora
molti amici del re cadono uccisi.
Chi vien di ferro e chi di foco mora,
quanto già più prezzati or più derisi;
così godeva vibrar fortuna allora
su i più potenti ancor colpi improvisi.
Sembra la gran città di faci piena
fra notturni splendor tragica scena.
La guardia reale seda la rivolta, Osmano è imprigionato, rimprovera ad Alessio il suo comportamento tirannico (21-48)
21La regal guardia in tanto esce repente
e i seguaci del re seco raccoglie,
e passa in mezzo ala confusa gente,
stretta in sue schiere, e il ferro in man già toglie,
e qual da nube suol fulmine ardente
sovra i rubelli rapida si scioglie.
Non teme Osman con la sua gente a piede
benché a cavallo i suoi nemici ei vede.
22Fassi intrepido avanti, e ’l ferro in alto
leva di sangue ancor caldo e vermiglio,
e al capitan con improviso assalto
parte a scherno dell’elmo il destro ciglio.
Quegli giù cade, ei sul destrier di salto
monta, e porta correndo alto scompiglio,
e sciolte ad arte rapide carriere
tenta così disordinar le schiere.
23Disperato furor più forte il rende
e certezza di morte il fa più fiero,
né ancor fra tanti rischi alcun l’offende
e pur fère in passar più d’un guerriero.
Ma l’orror de la notte e lo difende
col corso velocissimo il destriero,
sin ch’a suoi torna e in lor risveglia l’ire,
che già senza di lui perdon l’ardire.
24Gli rincora il feroce, e in detti alteri
quanto il tempo concede a lor ragiona.
Stringonsi insieme e ne gli assalti fieri
con gridi orrendi alto rumor risuona.
Calpestan la vil plebe i cavalieri
sì ch’omai cede, e ’l campo egra abbandona,
non però affatto il volgo in fuga è spinto
ma spesso è offeso il vincitor dal vinto.
25Fra mille lumi in mille parti accesi
lucide miri lampeggiar le spade,
d’elmi e scudi percossi ed altri arnesi
s’odon per tutto rimbombar le strade.
Turba de’ vecchi in su i balconi ascesi
pugna, e di sassi una tempesta cade,
e le femine imbelli in varie guise
d’alto pugnando han varie genti uccise.
26Di gridi feminil, d’amari pianti
tutta d’intorno la città risuona.
Donne miri e fanciulli errar vaganti
ove or la tema ora l’amor gli sprona.
Chi morto il padre e chi il marito avanti
vede che già la vita egro abbandona,
e madri e spose fra i languenti e i morti
cercano i cri figli e i lor consorti.
27Scorron già per le vie caldi torrenti
che gran pioggia di sangue insieme accoglie,
mentre di sospir misto e di lamenti
e di minaccie un turbine si scioglie.
morti insepolti e vivi ancor languenti
e tronche membra e insanguinate spoglie,
spade, lancie, bandiere intorno sparte
forman orrida scena al crudo Marte.
28Fa quanto può l’invitto Osmano e versa
misto al sudor da molte piaghe il sangue,
e, la faccia a i nemici ognor conversa,
or quest’or quel giù fa cader esangue.
E benché minacciar fortuna avversa
senta nel core, il suo pensier non langue,
ma già turba d’armati intorno il cinge,
e sopra il suo destrier l’annoda e stringe.
29Gli fan guardia d’intorno, e come fosse
rabida tigre o pur leon feroce,
se talor gli occhi o pur la lingua mosse
temono i guardi ancor non che la voce.
Gridò sovente e le catene scosse
per porre in fuga il corridor veloce,
ma ’l cauto stuolo numeroso e folto
co’ nudi ferri è sempre a lui rivolto.
30L’aurora intanto, oltre l’usato in cielo
purpurea in volto e sanguinosa appare,
cinta il lucido crin d’un fosco velo
per cui debile e incerto il sol traspare.
Vento che porta su le penne il gelo
con orribil fragor sconvolge il mare,
dan lampi e tuoni e ’l mar turbato intorno
principio infausto a tenebroso giorno.
31Ma ’l crudo re, benché pur sempre desto
quanto durò la notte egli sia stato,
non s’accheta però, ma nell’infesto
popolo ognor vie più si mostra irato.
Pur non gli è tanto il rio pensier molesto
nell’udir che già Osmano è imprigionato,
e scemando il furor che il cor gli accende
avanti a sé con gran desio l’attende.
32Giunto Osmano alla reggia, il re primiero
l’irate luci in lui fissando dice:
«Tra i lacci dunque avidità d’impero
t’adusse o di follia, mostro infelice?
Apri pur gli occhi; ancor ti sogni, o fero
che dorma l’ira mia vendicatrice?
questi è dunque ch’osò, campione egregio,
di mie rotte corone a sé far fregio?
33Questi è colui che dal vil fango oscuro
dell’umil plebe all’improviso sorto
contro la patria e contro me sì duro
mia morte appella universal conforto?
Da lui sedotti i miei *** furo
perché io restassi entro il mio sangue absorto?
E forse l’empio ancor si prese a gioco
nella mia reggia suscitar il foco.
34Questi è ’l fellon ch’al mio figliuol diletto
l’alma involò dal lacerato seno,
ch’il regio capo in cima a un’asta eretto
osò portar dell’innocente Ormeno.
Tanto in quel petto vil chiuso e ristretto
dunque bollia pestifero veleno
che seminar poté d’iniquo segno
improviso contagio entro il mio regno?».
35«Io son quello, «risponde «Osmano io sono,
sprezzator de’ tiranni invitto e forte,
né curo io già di tue minaccie il suono,
ch’è dolce premio a tal fallir la morte.
Quanto posso donar tutto ti dono,
al lingua ferirà se fra ritorte
oziose le mani or or non ponno
a’ tuoi lumi recar l’ultimo sonno.
36S’armato non paventi inerme lingua,
e se udir le tue lodi è a te giocondo,
non mi negar ch’i pregi tuoi distingua
fatto presso al morir cigno facondo.
Forse avverrà che la mia voce estingua
mille serpenti entro il tuo core immondo,
e, vipera innocente entro il tuo seno,
dia rimedio vitale al tuo veleno.
37Tu sovra gli altri di regnar sai l’arti,
ch’in te medesmo anco regnar non sai?
Tu pene e premi altrui dispensi e parti,
ch’allor servi e sol l’oro idol ti fai?
Tu in difesa commune ardisci armarti,
ché a ferir gl’innocenti armi sol hai?
Tu re ti chiami, a cui tal nome è ignoto,
né sei tu stesso a te medesmo noto.
38Ché credi tu la dignità regale
che data sia sol per raccor tributo,
come il prencipe debba il commun male
sol procacciar né dar ad altri aiuto?
Arte crudel d’empi ladroni è tale,
celar sol per rapir l’animo astuto;
come publico fonte il re sol deve
render a pro d’altrui quanto riceve.
39Cumuli gli ori mercenaria gente,
non sa grand’alma cumular tesoro,
né può re che regale abbia la mente
veder suoi servi impoverir fra l’oro.
A chi prega o non prega indifferente
pronto concede all’altrui mal ristoro,
e fonda sol d’immortal gloria degno
nell’alme e non ne’ muri il proprio regno.
40Or se tu sei di cotai pregi adorno,
perfido re, nol nego, errai nell’opra,
ma s’il nome regal d’infamia e scorno
con densa nube avvien ch’ognor tu copra,
io prego il Ciel ch’or or ti celi il giorno
e sol luce di fulmini ti scopra,
e teso l’arco dall’orror profondo
con la tua morte al fin vendichi il mondo».
41Così parla al tiranno, indi co i denti
tronca la lingua, e a lui la vibra in faccia,
né più curando proferir gli accenti
col muto scherno a lui gli error rinfaccia.
Attonite in mirar stanno le genti,
e ’l re, confuso anch’egli, avvien che taccia,
e mentre il sangue il volto a lui dipinge
pur di doppio rossor le guancie tinge.
42Commanda al fin che in carcere ristretto
si serbi fin che ha gl’altri in suo domino
che fur già seco, e per sua stanza eletto
have un forte castello al mar vicino.
E solo a lui che tiene in ceppi astretto
prolunga il miserabile destino,
perché far brama in memorando esempio
di tutti in un sol dì publico scempio.
43Ma molti di color che già s’armaro
fra le turbe che fur da Osman condotte,
doppo che molto il ferro insanguinaro
dell’erario del re le porte han rotte,
quei tesori schiudendo all’aer chiaro
che fur sepolti in preziosa notte,
e tutti a gara dell’avare brame
intenti stanno a saziar la fame.
44Chi zolle d’or invola e chi d’argento,
e quante puote onusto il sen ne rende;
pondo d’aurea ricchezza ora dà tormento,
ch’oltre il vigor di chi lo porta scende.
Rapir tutto vorrebbe in un momento
che d’or sete inesausta il cor gli accende,
e or pieno or vòto, ove il tesor soggiorna
con solleciti passi or parte or torna.
45Così fa là ne’ campi in folta schiera
stuol d’avare formiche i suoi viaggi,
ch’or parte or riede, e in linea lunga e nera
fatica ognior sotto gli estivi raggi,
e sue raccolte a la stagion più fiera
ripon negli antri o in cave quercie o in faggi;
ferve la nera turba e affretta il piede
e al suo tergo ineguai porta le prede.
46N’ode l’avviso il re dolente e in fretta
schiera d’armati all’aurea torre invia,
perché sia tosto in fra catene stretta
degli audaci ladron la turba ria.
Ma mentre quella il suo viaggio affretta,
giunge a costor precorritrice spia,
sì ch’ognun fugge e d’or le brame a forza
il timor del morir subito ammorza.
47Giunto il ministro intorno all’alte porte
dispon le guardie e nell’interne mura
s’inoltra audace, e con armate scorte
ogni angolo, ogni via scoprir procura.
le stanze tutte e per vie cieche e torte
cerca la parte sotterranea oscura,
e al fin, deluso, entro le mura ignude
de i rapiti tesor gli avanzi chiude.
48Freme Alessio di sdegno e solo incolpa
l’astuto Osman che fe’ la plebe ardita,
giurando il fier ch’a sì felice colpa
degno premio sarà perder la vita.
Indi il manto si squarcia e quasi spolpa
la guancia e fa con l’unghie aspra ferita;
par morir brami or che a suoi danni armato
de le ricchezze sue lo spoglia il fato.
Armindo e Oronta fuggono in nave e raggiungono Baldovino per mare (49-71,2)
49Ma fra tanto d’Amor ladro gentile
di più ricco tesor gl’invola i pregi,
ch’Armindo è in suo parlar si scaltro e umile
e così vaghi ha d’eloquenza i fregi
che non già prende sue preghiere a vile
ma par che d’ubidire anco si pregi
la bella Oronta e, a pena a lei richiede
che seco vada, a lui tosto il concede.
50Arde Armindo, arde Oronta e in fiamma eguale
vedi in gemin ardor languir duo cori,
ché non fu acuto men d’Amor lo strale
che lei punse o men dolci i suoi dolori.
A quei gloria di Marte, a lei non cale
lasciar la patria e in un le gemme e gli ori,
né ciò sol ma saprian l’alme ferite
l’una per l’altra abbandonar le vite.
51E tanto egli è del suo tesor geloso
che mai nol lascia incustodito un’ora,
né sa vegliar né sa goder riposo
lontan da lei ch’idolatrando adora,
sicuro in lei ma pur d’altrui dubbioso
infin che dentro la città dimora.
Né men Oronta corrisponde e in guisa
l’ama che par da se stessa divisa.
52Ella di genitor di rege irato
non cura i preghi o ’l minacciar paventa,
e sol figura a sé felice stato
che seco unirsi il bel garzon consenta;
egli sol spera divenir beato
s’ella in seguirlo ognior non sarà lenta:
così al bel foco di lor vaghi lumi
par ch’ogni’altro desire Amor consumi.
53Diceva Armindo alla real donzella:
«Già che meco venir tu non ricusi,
d’uopo sarà che tu ne monti in sella
e cangi in brando e in asta e gli aghi e i fusi;
e perché temo tua sembianza bella
con tacito parlar te non accusi,
con quest’onde, o mio sol, piacciati omai
cauto eclissarti in breve notte i rai».
54Nol nega Oronta, e scolorir s’accinge
de le mani e del viso i bianchi avori,
e l’or del crine in color fosco tinge
col finto orror d’industriosi umori.
L’elmo s’adatta e gli altri arnesi cinge
e guerrier sembra, ne’ paesi mori
nata colà dove Etiopia arsura
col pennel de la luce i volti oscura.
55Quasi in notturno ciel splendon due stelle
fra l’ombre allor del suo cangiato aspetto,
e sotto il vel di tenebre sì belle
celarsi il crudo Amor prende diletto,
e per poi meglio all’anime rubelle
tesser le frodi se ne sta negletto,
e come in fosca notte egli si cela
qual ladro, e in finto manto il volto vela.
56Partono insieme e ’l corridor veloce
per calle ignoto e l’uno e l’altro affretta,
e sembiante magnanimo e feroce
finge d’alto campion la sua diletta.
Già le guardie del re con franca voce
come sian suoi guerrier passano in fretta,
e fra speme e timor gli amanti fidi
giungono al fin del mar vicino a i lidi.
57Ed in un legno suo, che non lontano
per ricondurlo a i suoi costegiar suole,
l’accoglie, e ’l dorso al mar tranquillo e piano
fende così che sembra allor che vòle.
Ella stringendo al suo fedel la mano
par ch’in tal guisa i suoi timor console,
spesso mirando con turbato aspetto
la patria abbandonata e ’l regio tetto.
58Rivolta poscia al caro amante «O bella,»
dice «o dolce cagion de’ miei martiri,
ben vuol mia lieta e fortunata stella
che per bearmi intorno a te m’aggiri,
ecco te seguo ubbidiente ancella
pur ch’il fulgor de’ tuoi begli occhi io miri,
e fia premio all’amore, a la mia spene
che non si sciolgan mai nostre catene.
59Deh, perché non puoi tu come i sembianti
veder anco del cor gl’interni ardori,
e come miri nel mio volto i pianti
mirar l’amor che li distilla fuori?
Ma se non son le lacrime bastanti
per fede far de’ miei veraci amori,
ecco l’anima mia su i baci miei
che vola a te perché il suo or tu sei».
60Sì dice, e co i bei labri a lui la bocca
chiude, che dar risposta allor volea,
e mentre or l’uno or l’altra i baci scocca
con reciproca gioia Amor gli bea.
L’alma de l’uno e l’altra allor trabocca
nell’altrui core ***
sì che *** privi
*** cor son vivi.
61Ferma il vento ogni turbo, ogni procella
Nettuno, e par ch’a sua beltà s’inchini.
Corron tutti d’intorno a la novella
luce per vagheggiarla i dèi marini.
Come in applauso alla regal donzella
scherzan su l’onde e saltano i delfini,
e sembra il mar con l’onde sue sonore
che sotto al vago pin mormori Amore.
62Non di tanto tesor gravida il seno
tornò da Colco la famosa nave
quando di gloria più che d’or ripieno
fermò in porto Giason l’ancora grave,
né sì ricca di luce il ciel sereno
quella che nembi o flutti unqua non pave
corse già mai come il bel pin per l’onde
ch’i tesori d’Amore in grembo asconde,
63Ratto sen fugge, e Zefiro a le vele
ministra l’aure e per volar le piume.
nube non è ch’il sole adombri o vèle,
splende l’aria gioconda oltre il costume.
Entra nell’alto e par ch’omai si cele
il lido, e al sole e de le stelle al lume
segue il lungo viaggio, et in gran fretta
de’ suoi remi veloci il corso affretta,
64Né quattro volte in cielo erano apparsi
di Cinzia i rai crescenti incontro al sole
che videro l’armata avvicinarsi
di Baldovin, che sembra in mar che vòle.
E già vengono i legni ad incontrarsi
con gioia tal che vien ch’ognun console,
ch’a pena da fedeli allor veduto
d’Armindo il nobil pin fu conosciuto.
65Del principe all’arrivo anco da lunge
dà lieti segni la cristiana gente,
e baciando la destra a lui congiunge
Rosmondo e Baldovino anco presente.
Seguono i duci, e ad inchinarlo giunge
la plebe in atto umile e riverente;
egli a tutti cortese in vari modi
rende grazie a le grazie e lodi a lodi.
66Ma dal duce sovran poscia raccolto
ne la stanza più interna e più secreta,
e ’l guerrier seco d’Etiopia accolto
disse con faccia baldanzosa e lieta:
«Qual tra le nubi il luminoso volto
speso nasconde il lucido pianeta,
tal sotto queste tenebrose spoglie
emula al sol chiara beltà s’accoglie,
67Questa è del re c’ha sovra l’Asia impero
la figlia Oronta, e meco a voi ne viene
sprezzando il regno e ’l genitor severo,
tanta, signor, ne la mia fede ha spene.
Così l’alma ne strinse occhiuto arciero
amor d’indissolubili catene.
Venturiero campion da parti ignote
più nobil preda a voi recar non puote».
68La vergine fra tanto al lor cospetto
di pudico rossor tinge il bel volto,
ma non appare il vergognoso affetto
e resta l’ostro in quell’orror sepolto;
pur, benché fosco e in tenebre ristretto,
di tutti il guardo e il core ha in sé rivolto;
ma se fra l’ombre è sì di raggi adorno
che farà poi quando rinasca il giorno?
69A lei s’appressa il capitano allora
d’ossequio in atto, e poi così favella:
«Partisti, è ver, dal patrio regno fora,
ma regno anco avrai qui, vergine bella,
e se ’l tuo cor che falso nume adora
non avrà l’alma a nostra fé rubella,
potrà il tuo re nel tuo fedel consorte
invidiar de l’amor tuo la sorte.
70Felice amor, che con le sue catene
da rea prigione in libertà ti pose,
ed ogni tua ventura, ogni tuo bene
sotto il favor de le nostri armi ascose.
E ben tu sai qual fede aver conviene
del tuo padre nell’arti insidiose,
che se fe’ d’un fratel sì fiero scempio
non faria forse in te men crudo et empio».
71Sì le ragiona, e su ’l più nobil legno
regal albergo a lor concede, e parte.
Ma intanto Alessio fra timore e sdegnoIl re d’Egitto dichiara guerra ad Alessio, che prepara l’esercito (71,3-84)
per trovarla ricerca in ogni parte,
né sol de la città ma del suo regno
ogni confin, né più furor di Marte
ma di tenero amor novello affetto
di paterna pietà gl’infiamma il petto.
72Tenia talor ch’una medesma sorte
corsa abbia ancor col suo fratello Ormeno,
e ch’alcun de’ rubelli a lei la morte
abbia data o col ferro o col veleno;
teme talor ch’insidiose scorte
l’abbian gettata al mar vicino in seno.
Raffrena talora il mesto viso
sperano pur della donzella avviso.
73Spesso paventa, e quasi certo il crede,
non sia rimasta in fra le fiamme absorta,
benché gli faccia alcun non dubbia fede
che fuor la vide uscir dall’altra porta,
e che affrettare il fuggitivo piede
per ignoto sentiero anco l’ha scorta,
fra l’ombre allor ch’all’alta regia intorno
ardeano le fiamme, e che farà ritorno.
74Mentre in tal guisa il re dubbio e sospeso
de la morte d’Oronta il pensier volve,
giunge un guerrier tutto nel volto acceso,
di sudor pieno e sparso il crin di polve,
e ’l cor d’Alessio a pensier vari inteso
con rea novella in novi affanni involve,
dice: «O signor, del re d’Egitto io sono
messaggio, e de’ miei detti ascolta il suono.
75Veloce a te da pare sua ne vegno
per aprirti in usa vece il suo pensiero,
ch’egli arde contro te di giusto sdegno
perché il pregio non hai d’un cor sincero.
Troppo egli odia et aborre astuto ingegno
che con le frodi sue ricopre il vero,
e se tu più l’irriti ei ti promette
de la fé violata aspre vendette.
76Pensa, signor, che le discordie e l’ire
con veleno de i regni e de gl’imperi,
e se il tuo stato a mantenerti aspire
c’hai d’uopo ancor di principi stranieri,
e che dessi il vicin d’amor nudrire,
ch’a tuoi nemici aprir puote i sentieri,
e sai ben tu quanto maggior sostegno
siasi la pace che la guerra al regno.
77Ben ti ricordi, e ricordar te ’n dei ,
che promettesti a lui futura sposa
tua figlia Oronta, or se scordato sei
con l’armi in man di ricordarlo or osa.
Oltre il giorno prefisso altri dì sei
egli aspettò, tenendo l’ira ascosa;
a battaglia or ti sfida, e se tu tardi
ti manderà per messaggieri i dardi».
78Ciò detto del soldano a lui presenta
le carte, e ’l re, in leggendo i detti alteri,
come nel cor stimoli d’ira ei senta
mostra in fiero sembiante occhi severi.
Risponde poi: «Dubbio non ho che menta
o che sogni il tuo re ne’ suoi pensieri,
ma i dardi traci sì crudel proposta
più veloci ch’i suoi daran risposta».
79Replica allor colui: «Forse avran l’ali
contro le schiere ch’il mio re raccolse
più per fuggir che per ferir tuoi strali»,
e tosto a lui sprezzante il tergo ei volse.
Freme Alessio di sdegno e in tanti mali
l’audace lingua incontro il ciel rivolse,
poscia Aronte a sé chiama, alto guerriero
ch’è di sue genti il capitan primiero,
80e dice a lui: «Da tutti i lati cinto
io son d’armi nemiche e di sospetti:
l’audace volgo a ribellarsi accinto
mi porta guerra in fin de i patri tetti;
quinci il cristiano e quindi credo ha spinto
il re del Nilo i popoli soggetti,
et altri *** via
per rapir nostri *** invia.
81FA dunque tu che ne la greca terra
e ’l Perso e l’Africano e l’Indo e ’l Moro
sen venga in tanta occasion di guerra
di nove genti tributario e d’oro,
e ch’oltre i legni ancor ch’il porto serra
faccian fabri veloci altro lavoro,
ond’io rimiri poi di gente gravi
tosto scender in mar novelle navi»
82Così Alessio gl’impone, e riverente
ode i regi decreti il capitano;
poi risponde: «O gran re, venga presente
chi rapir vuol lo scettro a la tua mano.
Se tanto spera la cristiana gente
ché non discende a guerreggiar nel piano
e sdegnando l’arene in mar crudele
pronte sempre a la fuga apre le vele?
83Il re d’Egitto poi forse ha desire
più che col Nilo fecondar col sangue
l’arse campagne e, se non frena l’ire,
forse restarvi anch’ei medesmo esangue?,
ch’odo ben io, se in me l’usato ardire
e ’l valor tuo primiero in te non langue,
i tuoi nemici di superbia sgonfi
celebrar col lor pianto i tuoi trionfi.
84Sì parla, e pieno di speranza audace
del re gl’imperi ad ubbidir s’affretta,
e non men de lo sdegno in lui la face
arde, e ’l desio di strage e di vendetta,
Volgo stranier sotto il vessillo trace
assolda, oltre la gente a lui soggetta.
Odi lingue diverse e vari gridi
e trombe e corni rimbombar su i lidi.