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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:21

Argomento
Poco lungi all’Italia unita insieme
tutta l’armata in ordine si mira.
Dannato a morte, Osman morir non teme,
ch’il popol tutto a lui salvar sospira,
fugge a nuoto e a un delfino il tergo preme.
S’incontran le due armate, ognun sospira
a la vittoria; aspra tempesta sorge,
ferma la pugna e in Cipro i Franchi scorge.

Rassegna dell’esercito franco e suo arrivo in Grecia (1-45)

1Mentre il tiranno a la difesa armato
e navi e d’oro e nove genti aduna,
del suo regno spiegando in ciascun lato
guerriera pompa di regal fortuna,
già Baldovin, l’ampio ocean solcato,
entra lo stretto, et Abila nell’una
e Calpe mira nell’opposta parte,
foce del mar ch’in due la terra parte.

2Mirano Africa a destra e la feconda
famosa Europa a la sinistra mano,
e scorso il lungo mar videro l’onda
vicina omai del gran Tebro romano,
di cui non lungi in su l’amena sponda
siede il Tarpeo là nell’aperto piano.
Biancheggian l’acque e fra le bionde arene
tumido di sue glorie al mar sen viene.

3Forman due rami suoi vaga isoletta
e con sue torbid’onde entra nel mare,
e de la gran città su ’l lido eretta
par ch’al nobile grido ei si rischiare.
Roma del mondo al gran dominio eletta
dal cielo è questa, né maggior né pare
rimira il sol da i gemini emisferi
genitrice d’eroi, madre d’imperi.

4Passano avanti e in verso il ciel sublime
veggon di Circe, or solitario scoglio,
alzar dal lido le sassose cime
co i piè nell’onda in forma d’alto scoglio
Partenope gentil, poscia con l’ime
marmoree sponde al mar franger l’orgoglio.
Poi Mongibel con nevi e foco a i crini,
e dal mar cinti i siculi confini.

5Ma quando già l’Italia avean lasciata
lontana sì che più veder non puossi,
dell’adriaco leon la forte armata
dietro improvisa comparir mirossi.
Mentre con gioia ogni guerrier la guata,
per aspettarla ogni nocchier fermossi.
Suonan le trombe e i legni amici intanto
salutan liete con giocondo canto.

6Rispondon l’altre, e d’amicizia i segni
dansi da lunge in voci acute e chiare,
mentre l’ale de’ remi i cavi legni
aprian più pronte su per l’onde amare.
Giunte le navi, i capitan più degni
s’unìr nell’accoglienze usate e care;
poscia affrettava in numeroso stuolo
la grande armata al suo viaggio il volo.

7Una selva d’antenne in mezzo all’onde
mirasi allor da le vicine arene,
che del liquido mar le vie profonde
solca e vola su i flutti a vele piene.
Arme, genti e tesori in grembo asconde,
e ’l valor de l’Europa in sé contiene.
Vedi ratte passar le cave travi
di ferro tutte e d’or lucide e gravi.

8O Diva, tu ch’il furor saggio inspiri,
madre gentil d’armoniosi carmi,
tu ch’a’ mortali immortal vita spiri
e morte e ’l tempo a lor favor disarmi,
fa’ sì ch’in me la tua virtù s’ammiri
nel dispiegar le schiere accolte e l’armi,
e nel ritrar dal cieco oblio profondo
il valor di que’ duci al chiaro mondo.

9Il sovran capitano ecco primiero
solca sopra aurea tigre il campo ondoso.
Alza l’orrida belva il capo fero
fuor dell’acque, il ventre è in mare ascoso.
Vedi a i lampi del sol lo stuol guerriero
splender d’acciaio adorno e luminoso.
Qui de’ nobili è il fiore e in lieto viso
sta Baldovin su l’alta poppa assiso.

10Non lungi poscia comparir si mira
de i campion venturier l’invitto stuolo.
Nobil desio ch’a vera gloria aspira
spiega per l’onde de’ lor lini il volo.
Non vide mai dovunque mai s’aggira
dall’arse arene all’iperboreo polo
la fama, e se lor vanti osa spiegare
il ver narrando menzognera appare.

11Rosmondo è il dice, e ben sì forte schiera
nol può chiamar del nobil grado indegno.
Di regal sangue, che possente e fiera
destra congiunge a più sagace ingegno.
Nudre in cor generoso alma guerriera
ch’implacabil nell’onte arde di sdegno,
e come contro il vento accesa face
ne’ perigli maggior fassi più audace.

12Seco in tondi navili ha i suoi Britanni,
che bebber già del gran Tamigi l’onde,
di pronta man ne i marziali affanni,
ma di sembianze amabili e gioconde.
Altre schiere ha di Belgi e d’Alemanni
ed altri ancor che ne veniano altronde,
scelti guerrier e sprezzator di morte,
ben degni di seguir duce sì forte.

13Fra questi è Armonte, ch’a grand’alma ardita
pur gran corpo congiunge et è gigante,
sprezzator d’ogni rischio e de la vita,
che nulla cura e sol di gloria è amante.
Mostra presa in battaglia aspra ferita,
pur non resta deforme in gran sembiante,
e par che sia più da quel segno impresso
l’ardir feroce e ’l suo valore espresso.

14Vien poi Lindoro e, benché ’l vago volto
molle piuma crescente adombri a pena,
pur sotto l’armi il valoroso accolto
fra disagi e fatiche i giorni mena.
D’amor nemico, ogni pensiero ha volto
solo a gli onor di marziale arena.
Nato a i trionfi, imitator d’Alcide,
con man tenera e forte i mostri uccide.

15Sovra ’l candido collo aurate anella
forma, lacci dell’alme, il biondo crine,
e da la faccia, in un feroce e bella,
vibran dardi d’amor luci divine.
Resta al braccio non meno ogn’alma ancella
ch’a le vaghe sembianze e pellegrine,
misto a dolce beltà viril valore
cede Marte al suo brando, a gli occhi Amore.

16Non lungi all’Alpi ebbe la cuna in seno
de la fertile Insubria il giovinetto,
e gli avi suoi cento e più lustri il freno
resser di quella ov’han lor seggio eletto.
Traspare il cor nel volto suo sereno
e dell’alma il candor che chiude in petto,
né sol nel campo i suoi nemici atterra
ma i vizi e i sensi ne l’interna guerra.

17Segue Lavinia, e sotto l’elmo ascosa
tien l’aurea chioma e l’amoroso ciglio.
Su ’l Tebro nacque, in nobiltà famosa
ma più per ’l chiaro suo canoro figlio.
O come par che lieta e baldanzosa
a incontrar vada il marzial periglio!
O come in lei ben è da gli atti espresso
fassi forte e viril l’imbelle sesso!

18Vien seco Alinda, ch’ogni studio, ogn’arte
de lo stuol feminil fugge e disprezza.
Gli agi odiò, segu’ì Bellona e Marte
sin da i primi anni a guerreggiar avvezza.
Viver fra l’armi o in solitaria parte
più che fra molli pompe ama et apprezza,
e d’ogni altro desio posto in non cale
vaga è sol d’acquistar fama immortale.

19Costei di Fessa al re ben degna erede
ma dal zio fero in servitute astretta,
con forte cor, se con fugace piede,
da la reggia paterna uscì soletta.
Or brama ardita la regal sua sede
tòrre al tiranno, e farne aspra vendetta.
ha cinque lustri, e squadre oppresse e dome
più che d’oro, di lauri orna le chiome.

20D’ombre lucide e grate asperso ha il viso
l’ardente clima a la real donzella,
ma se rimiri ai dolci sguardi il riso
del germano candor non è men bella.
Sallo il re de gli Ansichi, all’improvviso
colto nel cor, se sa ferire anch’ella
e s’amor crudo in quell’oscuro orrore
ognior s’asconde a saettargli il core.

21Dal fero zio l’indomita guerriera
sola fuggia per ermi boschi errante,
quand’al rumor come d’ignota fera
seguì Casmor le fugitive piante.
Ella il crede il nemico e con l’arciera
mano al sen gli avventò dardo volante.
Cadde ei ferito, e piaghe più mortali
gli fèr de gli occhi poi gli ardenti strali.

22Il riconobbe la donzella e tosto
perdon gli chiede, e con pietosa cura
l’ira del core e in un l’arco deposto
la lieve piaga di fasciar procura,
né va poi baldanzosa ancor che posto
l’abbia in tal rischio, appresso lui sicura
come in trionfo, in tante guise e in tante
l’onora il re di lei già fatto amante.

23Viene dunque Casmor de la bellezza
d’Alinda acceso a la sua nave a lato.
Questi è re de gl’Ansichi e sua fierezza
pur raddolcisce al dolce sguardo amato.
Guida gran gente, ch’a nudrirsi è avvezza
d’umane carni, e vibra il dardo alato
con tal velocità che dalla cocca
pria che si ermi l’un venti ne scocca.

24Frange l’onda vicina e chiari lampi
vibra dell’armi sue l’audace Aldoro,
co suoi guerrier che da i bearni campi
presso Aspa et Oleron raccolti foro.
Secondan quei che di Nimes da gli ampi
piani veniano, e i tolosan con loro;
Arrigo gli conduce, uom d’età grave
ma provo all’armi e che pugnar non pave.

25Ecco Adolfo vien poi con la sua schiera,
ch’a gran sangue congiunge alta beltate,
e, mostro di valor, raccoglier spera
mature glorie in giovinetta etate.
Gira sguardo superbo e facci altera
ma nudre in sen magnanima pietate,
sì ch’emenda, cortese e generoso,
la fierezza del volto il cor pietoso.

26Ebbe dell’Arno in su l’aprica riva
il garzon valoroso il suo natale,
quindi gran gente a pugnar seco usciva
vaga nel nome suo farsi immortale,
accorto stuol che per virtù nativa
con l’opre molto e con l’ingegno vale.
Seco Edoardo ancor venir si vede
che a lui di sangue e di valor non cede.

27Segue gran turba i lor vessilli e vanno
amici fidi unitamente a stuolo;
commun la gloria et indiviso il danno
e in sì congiunti petti è un voler solo.
Esempi di pietà contro il tiranno
spiegàr tra i primi lor di vele il volo,
e fatto miri, ond’a virtù dispone,
un dell’altro campion stimolo e sprone.

28Scorgi dietro passar Cesare il forte,
ch’è de le guerre e de le Muse amico,
che provando contraria ognor la sorte
par che sappia pugnar col ciel nemico.
Guid ai Romani suoi con altre accorte
schiere tolte dal Tebro al campo aprico,
invitto stuol, ma pur si fa maggiore
nel valor della scorta il suo valore.

29Seguon color che del Cenon lasciaro
i vaghi colli e le feraci sponde.
Gli regge Enrico, di valor sì chiaro
che nel suo onor l’onor de gli avi asconde,
e ben la fama de’ gran fatti al paro
spiega il gran volo e a’ merti suoi risponde.
Scelta è la gente et è drappel ben degno,
né di seguir sì chiaro duce indegno.

30Carlo sue schiere da i fecondi piani
di Tarno e di Dordona in guerra adduce,
uom pronto al ferro, a insanguinar le mani,
forte non sol ma temerario duce;
ben lo sapranno i miseri pagani
come fiero in battaglia ei si conduce,
e come allor che più la turba il preme
fra i rischi oltre s’avventa e nulla teme.

31Non lungi a i cavalier vedi raccolte
ne i curvi abeti le pedestri schiere,
che in vari legni numerose e folte
spiegan varie fra lor armi e bandiere.
Ernier, ch’all’Istro le sue genti ha tolte,
su navi sottilissime e leggiere
tre mila ha seco, e ’l liquido elemento
solca e vola co’ remi al par del vento.

32Dopo questi altrettanti ancor venieno
abitator dell’arida Beossa
sopra aureo legno; è ’l duce or Mireno,
uom d’alto sangue e d’incredibil possa.
Spuma d’intorno dell’instabil legno
da mille remi lor l’onda percossa,
mormora dietro il flutto e par che sdegno
su ’l tergo sostener gli armati legni.

33Dell’adriaco leon spiegato al vento
mirasi poscia il formidabil segno.
Qui da lo stuol di nobiltà ben cento
raccolti son d’illustre sangue e degno;
di consiglio potenti e d’ardimento,
par ch’ogn’altra ventura abbiano a sdegno,
e che sia avversa al viver lor la sorte
se non l’illustra generosa morte.

34Il saggio Alviso è il capitan primiero
che se ben d’anni e di canizie grave
mostrasi a guerreggiar pronto e leggiero
e incontrare i più forti anco non pave.
In sembiante magnanimo e guerriero
risplende il fier su la dorata nave;
scorge otto mila su gli armati pini
nati colà dell’Adria in su i confini.

35Fra gl’altri legni i Veneti maggiori
sembran mobili scogli e torri alate,
che non temon del mar l’ire e i furori,
di grosse travi il sen robusto armate.
Vedresti qui fra i tempestosi umori
su l’Appennino o sovra l’Alpi nate
nuotar le selve, e rapidi e vaganti
splender di ferro e d’or vasti giganti.

36Passan due mila poi scelti guerrieri
ch’all’impresa assoldàr Dola e Beona,
gente di spirti impazienti e fieri,
a gli uffici di Marte eletta e buona.
Di ferro scarchi son, d’arme leggieri,
faretra et arco al tergo lor risuona.
Gli scorge Elmondo, uom di pietà, del dritto
in ogni caso difensore invitto.

37Ma non molto lontan la turba appare
che ne’ liguri lidi Elio raccolse,
allor che fatto gran corsar del mare
l’antiche offese a vendicar si volse.
Ma già gli emuli oppressi ove pugnare
per Dio doveasi, al fin le vele sciolse.
Sovra i lievi suoi pini ha mille fanti,
alla fatica avvezzi e tolleranti.

38Ecco sei mila poi ch’il ricco piano
nudria d’Angierse, e guida è il vecchio Irsonte,
che, s’a lui pur manca il vigor di mano,
già famoso è per opre illustri e conte.
Da i confini d’Orange e di Roano
sue schiere scelse al guerreggiar sì pronte
Gernier; nato è colà su i vaghi et ampi
che bagna l’Orno e ’l mar fecondo campi.

39Doppo costor ne vennero i cultori
del fertil suolo ove la Marna ondeggia,
e miri il mar ch’a i tremuli splendori
de gli scudi e de gli elmi arde e fiammeggia.
Son quattro mila, e de’ primieri onori
co’ più famosi il capitan gareggia;
Pirro si noma, al cui valor fan fregio
gran beltà, ricco stato e sangue regio.

40Vengon gli ultimi poi, che scelti foro
appo Garona, et è Clotario il duce.
Han d’aquile sembianza i segni loro,
che spargon d’armi intorno orrida luce.
Spiegan l’ale de’ remi argentee e d’oro
e l’onda scossa a i lampi lor riluce.
Son cinque mila e ben mostran di core
sofferendo e vincendo egual valore.

41Geme sotto l’incarco il mar sonante
rotto da’ remi in queste parti e in quelle.
Rapidi trapassar gli vedi avante,
ché fecondan lor corso amiche stelle,
onde non turba il liquido sembiante
o flutto irato o torbide procelle.
Fuggono le città, fuggono i regni
e sembrano volar gli alati legni.

42E così spira a lor secondo il vento
che già non lungi son l’arcade arene.
Lascian Creta a man destra e ’l volo intento
han verso il suol de la famosa Atene.
Veggon l’Eurota omai placido e lento,
né molto lungi è Pisa, Argo e Micene.
Scorrono intanto i legni a gonfi lini,
e veggon de la Grecia altri confini.

43Miran già Demetriade e Negroponte,
città del sen pelasgo illustri e chiare.
Già non lungi Ato, inaccessibil monte
su ’l singitico lido eccelso appare,
ch’opposto al sol con la sublime fronte
per lungo tratto stende l’ombre in mare,
e quasi in vista par nova Babelle
fender le nubi e minacciar le stelle.

44All’apparir d’armata sì possente
per valore e per numero sì grande,
intimorita, la vicina gente
già vien che messi e che tributi mande.
E già ’l temuto eroe fatto presente
su i greci lidi le sue schiere spande,
né alcuno v’è ch’ardisca opporsi e dome
cedon le genti pria ch’all’armi al nome.

45Né sol cedon a lui di Grecia molte
maritime città, ma pronte ancora
mandan già squadre numerose tolte
da’ lor contorni e van crescendo ognora.
E già varie lor navi insieme accolte
co’ Franchi legni in porto fan dimora,
né sol chiudon guerrier ne’ seni loro
ma carche son di vettovaglie e d’oro.

Alessio manda Aronte con la flotta ad incontrare Baldovino per mare (46-53)

46Vola intanto la fama e rea novella
porta in Bizanzio al barbaro tiranno,
che già unita è la Grecia, a lui rubella,
co’ suoi nemici a gran suo scorno e danno,
e che già scorsi nell’amena e bella
riva di Tracia depredando vanno,
e che presto vedrà, s’ei non s’oppone,
in fronte a Baldovin le sue corone.

47Tosto a consiglio il re de’ Traci aduna
i più saggi del regno e i più potenti,
e presago nel cor di sua fortuna
par che pria di pugnar morte paventi,
e freme il fier, né trova posa alcuna,
ora fra i timori or fra suoi sdegni ardenti,
e tutti uditi al fin vuol che prevaglia
d’Aronte il detto, che il cristian s’assaglia.

48Parte co’ legni suoi l’audace Aronte
senza indugio frapor, pien di speranza,
gran brama avendo di trovarsi a fronte
de’ suoi nemici, et oltre in mar s’avanza.
Poi fermo in porti, in voci accorte e pronte
colma il cor d’ardimento e di baldanza,
e quasi assiso in maestà reale
a’ suoi *** ragiona in guisa tale:

49«O del gran re dell’Asia invitto e forte
ministri eletti a sostener l’impero,
di cui con l’armi estinguerà la morte
al francese furor l’orgoglio altero,
al cui valor non che l’Europa in sorte
ma l’acquisto si dèe del mondo intero,
a cui di sprone acuto a nove glorie
bastan de gli avi sol l’alte memorie,

50gitene dunque, per voi stessi chiari,
non che per gli avi, a le vittorie usate,
Dal vostro ardir, dal vostro ferro impari
il superbo cristian la sua viltate.
D’oro, d’armi e di gente egli prepari
sue navi, a par di voi son disarmate;
sparga ei lampi dall’armi e d’oro e d’ostro
splenda, fulmini in tanto il valor vostro.

51O qual premio vi aspetta in guiderdone
de’ ben sofferti e gloriosi affanni,
arabi scettri, libiche corone,
etern’onor che viva al par de gli anni.
Itene, o forti, al barbaro ladrone
troncate dell’ardir gli’icarii vanni,
onde il suo sangue e le sue genti dome
lascin di franco al tracio mare il nome.

52Se l’oste avversa in numero prevale
ben si prepara anco maggior la preda,
scesa in mar tutta Europa ora v’assale
perché or vinta da voi tutta si veda.
Forse al vostro valor palma è fatale
che tutta in un sol punto ella vi ceda,
perché il trace Trionfi in regio soglio
e di Roma e del mondo in Campidoglio».

53Ciò detto impone aprir le vele a i venti
et a star pronto ogni guerriero armato.
Tosto i nocchieri, a lor fatiche intenti,
affrettano le navi al corso usato.
Risplenda il sole o sorgan l’ombre algenti,
sempre senza fermarsi ha il mar solcato
l’oste pagana, e già l’avviso giunge
che l’armata nemica è omai non lunge.

Baldovino arringa i soldati, Alteo dà consigli tattici (54-64,2)

54Ma Baldovin, che de’ nemici legni
omai s’appresta a rintuzzar l’orgoglio,
uniti insieme i capitan più degni
così anch’egli parlò dall’alto soglio:
«Ritardar le vittorie a i vostri sdegni
con più lunga dimora io già non voglio,
or che spinge sue genti il fiero mostro
et affretta i trionfi al valor vostro.

55Caro a Dio, caro al mondo e nobil zelo
ch’a gente oppressa le catene scioglie,
né cosa è in terra più gradita in cielo
ch’a lui sacrar d’un empio re le spoglie.
Ferir non può più nobil segno il telo
che regio scettro a indegna man ritoglie,
e con la morte d’un tiranno esangue
riserba in vita il popolo che langue.

56O qual gioia mirar caduto in terra
colui che calpestò mille innocenti,
che lupo orrendo con perpetua guerra
strage facea de’ miseri viventi,
né sì voraci fiamme al ciel disserra
Vesuvio là da le sue faci ardenti,
né sì rea peste i popoli divora
come il re ch’a sé regna e l’oro adora.

57Resterà la memoria a par del sole,
a par del mondo del gran fatto eterna
se fia giamai che il valor vostro invole
l’Asia al’empio signor ch’or la governa.
Ella piange e vi prega e già si duole
di sua sciagura, ché noi lenti scerna
girne a le prede et a gli onor dovuti,
a raccor le sue palme e i suoi tributi.

58Oltre ch’in Ciel, là, su l’empirea sede
premio s’appresta non di gemme e d’ori,
ma per breve servir lunga mercede
di vita eterna infra i beati cori.
Così, giudice Dio, ch’il tutto vede,
non caduchi promette ampi tesori
in guiderdon de la pietà ch’aita
gli oppressi e in loro scampo espon la vita.

59Or se lieve dolore e brevi affanni
fian tosto eredi d’un perpetuo riso,
chi fia che non incontri o morte o danni
perché omai resti il fier tiranno ucciso?
Spieghinsi dunque frettolosi i vanni
de i legni, e se v’è in grado il nostro avviso
e s’opportun o stima il saggio veglio
per la battaglia il dì seguente io sceglio».

60Sì parla, e pien di maestà celeste
e sereno nel volte oltre ’l costume
Alteo, pur come il gran pensier l’arreste,
volgeva intorno e l’uno e l’altro lume.
«Sveglierà «disse poi «fiere tempeste
nel dì che segue di Orione il lume,
e i freddi rai d’altre piovose stelle
minacciano dal ciel venti e procelle.

61Non però stimo ritardar l’impresa,
ché preparata hai già saggio consiglio,
ma le più grosse navi in tua difesa
scelte, girne a incontrar l’alto periglio;
quei legni poi che sostener l’offesa
d’irato mar mal ponno io ti consiglio
che tu gli lasci entro il sicuro porto
onde alcun d’essi poi non resti absorto.

62Così con cauto antiveder potrai
per gli ondosi tumulti ir più sicuro,
e con favor de’ contemplati rai
preparati a fuggir danno futuro.
Quindi del fier tiranno anco vedrai
nel mar sommersi in fato acerbo e duro
i legni, che di mole assai minori
esporrà mal accorto a i suoi furori.

63Così già fatte a te le nubi ancelle,
fatti già tuoi guerrieri e l’onde e i venti,
nel grembo là dell’orride procelle
fiano in gran parte i tuoi nemici spenti,
ché nel libro colà dell’auree stelle
o non lesse i caratteri lucenti
la greca gente, o se non sono ignoti
mal li distingue e sono a lei mal noti».

64Sì disse il saggio, e Baldovin s’appresta
ad eseguir ciò che ei consiglia intanto.
Dall’altra parte il tracio re non restaOsmano, messo al rogo, riesce a fuggire e si riunisce con Baldovino (64,3-87)
di sfogar l’ira sua nel commun pianto.
Si prepara ad Osman scena funesta,
ov’egli mora a’ suoi compagni a canto,
***
***

65Vien prima Osmano e intrepido e feroce
benché ferrea catena il sen gli cinge,
poiché non può con la feconda voce
i suoi pensier co’ gesti esprime e pinge.
Crolla il capo superbo e ’l guardo atroce
vibra a colui che già l’annoda e stringe
al palo intorno, e la terribil faccia
volge e morendo ancor morte minaccia.

66In molte parti ancor nel punto istesso
vedi già preparar roghi funesti,
vedi i miseri il volto in giù dimesso
mostrar sembianti impalliditi e mesti.
Legato il figlio al caro padre appresso
e l’amico all’amico or qui vedresti.
Chi muto langue e chi sospira e geme
e solo Osman fra tanti orror non teme.

67Gran turba accorre e di mirar sol brama
l’invitto duce, e innanzi a lui si stringe;
del memorando ardir la nobil fama
ciascuno a vagheggiarlo invita e spinge.
Padre commun, liberatore il chiama,
e già con l’armi a lui salvar s’accinge;
pugna ciascun, ministra l’armi l’ira,
e varia già confusion s’aggira.

68Fra le grida e i tumulti una sol voce
s’ode distinta risonar per tutto:
– Mora, mora il tiranno, arda il feroce
nel rogo ch’ad Osmano avea costrutto -.
Chi legato già fu, già fère e noce
e uccide altrui chi fu a morir condutto.
Sciolgonsi le catene e i tronchi istessi
ch’arder doveangli or son diffesa ad essi.

69Vedresti armata innumerabil gente
cominciar qui disordinata guerra.
Pugnan le guardie, e ’l popolo fremente
or con questo ro con quel si stringe e serra.
Altri langue, altri grida, altri fuggente
cerca salvarsi, altri sen giace in terra.
Grida, urli e pianti e minacciosi accenti
portan per l’aria in suon confuso i venti.

70Sciolto è già da’ suoi lacci e, ad un guerriero
tolta la spada, il valoroso Osmano
corre nel mezzo e con sembiante altero
fra i sergenti del re rota la mano.
Né mai l’incontra uom sì robusto e fiero
che non impiaghi o non abbatta al piano.
Fugge la turba impaurita e un solo
teme, e la sua fuga non è ma volo.

71Tal ne’ campi dell’aria allor che presso
del rapido falcon mira l’artiglio
stormo d’augelli in un ristretto e spesso
del vicino morir fugge ’l periglio,
mentre più d’un cade a i gran colpi oppresso
fulmine sembra il fero suo vermiglio,
né alcuno v’è, mentre il morir minaccia,
se non Gildar, che volga a lui la faccia.

72Stringesi il fier, ma con sembiante audace
passa rapido Osman col manco piede,
e risoluto con la man tenace
gli tien la destra e ’l petto allor gli fiede.
Passa al fianco la punta e già ’l vivace
vigor de gli occhi impallidir si vede.
Cade a terra e per due sanguigne porte
entra già nel suo cor gelida morte.

73Passa il campion vittorioso avante
e in voto campo trionfar si mira,
e col ferro di sangue anco stillante
per le vie, per le piazze intorno gira.
Tuona la voce, folgora il sembiante,
arde sì fier di formidabil ira
che come incontro a indomito leone
ciascun teme venir seco in tenzone.

74Mentre così terribile in aspetto
col ferro ignudo minacciando scorre,
scopre Ormin, garzon vago, il più diletto
ch’abbia il re in corte, e verso lui sen corre.
Fuggon paggi e serventi, ed ei soletto
resta, e appena la spada ardisce opporre
e sì tremante il braccio e ’l passo stende
che più la morte ch’il nemico attende.

75Vorria fuggir, ma pur vergogna il frena,
benché in fuga il timor lo sprona e punge,
quando un colpo mortal che in su l’arena
col tergo il manda a lui nel petto giunge.
Cade il meschino, anzi caduto a pena
fugge l’alma dal corpo e si disgiunge,
però che il ferro trapassando al tergo
divise il cor dove ha la vita albergo.

76Sorge intanto la notte e già confuso
erra ciascun, né v’è nemico certo.
Chi fu in lacci o in prigione avvinto e chiuso
di libertà trova il sentiero aperto.
Fugge anco Osman, lasciando il re deluso
e fra l’armi nemiche e ’l rischio incerto
armato il cor di generosa spene
s’avvolge sì ch’al fine al mar perviene.

77Entra nell’onde e va guizzando a nuoto
emulo a i pesci con le membra ignude,
e nel molle sentier drizza il suo moto
ove i legni cristiani il porto chiude.
Per dar ristoro ai bracci stanchi immoto
sen va su l’onde ei suoi furor delude.
Ripiglia poi con franca lena il corso
e frange ardito al mar cruccioso il dorso.

78Ma nel lungo viaggio era già lasso
quando, del fato inaspettata aita,
vede un delfin fra l’onde ascoso e basso
che qual destriero a cavalcar l’invita.
Verso lui move frettoloso il passo
e giunto il ferma con la mano ardita,
e in tal guisa varcar quell’acque infide
tentando sovra al tergo a lui s’asside.

79Quello, amico dell’uom per sua natura,
suppone il dorso e non ricusa il pondo,
sì che l’audace Osman più si assicura,
né teme più precipitar al fondo,
e con la destra la cervice dura
piega al delfin ch’è a i suoi desir secondo,
e ’l drizza là per le canute spume
ove già scopre in alta torre un lume.

80E già, benché assai lungi egli vedea,
o pur pareagli il desiato porto,
quando di Cinzia a i rai ch’in ciel sorgea,
ebbe d’appresso un picciol legno scorto,
e perché con la lingua ei non potea
voce formar pien d’ardimento accorto
lascia la belva e giunto presso al legno
con man faconda di pregar fea segno.

81Il cortese nocchier, ch’era cristiano,
vien che pietoso a lui salvar s’invoglie,
e stesa per raccorlo amica mano
dall’acque il tragge e dentro il pin l’accoglie.
Chiede a lui poscia con sembiante umano
chi sia, ma lingua il muto Osman non scioglie,
pur come meglio può sua mente piega
e co’ cenni e co’ guardi e parla e prega.

82E mostra ben nel suo sembiante altero,
benché turbato dal vicin periglio,
ch’anima ha grande e ’l suo valor guerriero
legger può nel suo volto accorto ciglio,
onde, lui rasciugando, il buon nocchiero
con benigno parlar gli dice: «O figlio,
confida in Dio, che dar aita suole
a i giusti, e inspira me ch’io ti console».

83Poi co’ remi veloci ove l’armata
chiude il porto vicin ratto il conduce,
e in breve carta qui ch’egli ha segnata
di sé dà pieno avviso al sovran duce.
Gode in leggendo Baldovino e guata
lo spirto che nel volto a lui riluce.
Gli stese al collo poi le braccia e affisse
più volte in lui le luci e così disse:

84«Valoroso campion, giunta fra noi
è già la fama a palesar tuoi gesti,
narrando altrui che fra i più degni eroi
di trionfo immortal degno saresti;
né d’uopo hai meco tu de’ scritti tuoi
per ché la tua virtù si manifesti:
a te scriver bastava – Osmano io sono -,
ch’il resto appresi de la fama al suono.

85De la tua lingua ella in narrar tuoi pregi
con mille e mille lingue empie il difetto,
sì che il tuo nome de i guerrier più egregi
e stupor e d’amor desta nel petto.
Degno è il tuo crin che già d’allor si fregi
e degno sei cui simulacro eretto
o sublime obelisco *** di gloria
serbi e in note marmoree eterna istoria.

86Vivi dunque felice, e fia tua mano
lingua eloquente a fatti noti al mondo,
e meco contro il re crudo e inumano
forte t’unisci se non più facondo,
e quando già di man dal’oceano
vedrai sorger l’aurora e il sol giocondo
con quella man ch’al reo tiranno è infesta
nove corone ad acquistar t’appresta».

87Tacque, e tacendo ancor grazie gli rende
in sua muta favella il gran guerriero.
Poscia ristoro in su le piume prende
infin ch’intorno l’orizzonte è nero,
ma tosto come il primo albor risplende
lascia i riposi, e impaziente e fero
l’armi chiede, e bramoso i lumi gira
s’anco sorger dall’onde il sol rimira.

All’alba si viene a battaglia navale: una tempesta disperde le navi di Aronte (88-122)

88Ma già ornati di rose i bei crin d’oro
l’aurora è in ciel su l’aureo carro uscita,
di raggi e perle un lucido tesoro
spargendo, e già i mortali all’opre invita.
Odi ne’ boschi de gli augelli il coro
che in lieti canti il sol vicino addita,
ed ei spuntando già dall’Oriente
specchio fa de’ suoi raggi il mar lucente.

89Escono già le torreggianti navi
dal chiuso porto ne gli aperti flutti,
onuste d’armi, rilucenti e gravi
di guerrier scelti a simil guerra instrutti.
E benché i fianchi di robuste travi
et insieme di ferro abbian construtti,
perle liquide vie lievi e correnti
co i piè ne l’onde apron già l’ali a i venti.

90Quasi mobil città su ’l piano ondoso
vola del mar la numerosa armata
in sembiante superbo e minaccioso,
pronta a gli assalti e in ordine schierata.
Splende il gran duce adorno e luminoso
su l’alta poppa d’aurei fregi ornata,
e già vede non molto omai lontani
accampati su ’l mar gli empi pagani.

91Già sono a fronte, e Baldovino intanto
spingeasi avanti con gli armati legni,
e cinto ogni guerrier di ferreo manto
par che la pugna prolungar disegni.
E già le trombe in bellicoso canto
s’udiano offrir de la battaglia i segni,
e d’altra parte ancor la gente infida
risponde, e in vario suon fa sua disfida.

92Già de i legni lunati i traci arcieri
avventano a i cristian nembo di strali,
né meno i Franchi impetuosi e feri
vibran da gli archi lor punte mortali.
Volan l’aste e le faci, e già i guerrieri
pini a più fretta zuffa affetta l’ali,
ma sembra ch’al pagan fatal timore
la mano arresti e instupidisca il core.

93Esce in tanto Lindor primo in battaglia
con la sua nave dall’armata fòra,
e come a lui punto il morir non caglia
s’inoltra presso i traci legni allora.
Vibra il giovine forte una zagaglia
al duce Ameto, onde convien che mora,
ch’al petto giunge, e in sì gran forza è spinta
ch’esce dal tergo fuor di sangue tinta.

94Né questi sol saettator felice
diè fausto augurio alle future imprese,
ma il romano campion, ch’all’infelice
Vilardo anco recò mortali offese,
né fermò già la man saettatrice
ma scelse novo dardo e l’arco tese,
e con tal furia sen volò lo strale
ch’a due la morte allor portò sull’ale.

95Ma in così lieto punto alto periglio
corse, e non se n’avide il campo tutto,
però che Solimer, d’Aronte il figlio,
con un sol colpo già l’avea distrutto.
Volava il dardo ove indrizzollo il ciglio
rapido, e quasi al segno suo ridutto,
ma incontrando per l’aria augel volante
lo traffigge nel collo e passa avante.

96Per dritta linea a Baldovin diretto
lo stral sen gia, ma non sì presto e lieve,
ch’al veloce suo moto il rese inetto
l’opposto augello e ’l fe’ più lento e greve.
Augel fatale a fatal volo astretto,
a le tue piaghe, al tuo morir si deve
se il mortifero stral l’impeto fiero
ripresse e cadde ai piè del gran guerriero.

97Ma non minor periglio in quell’istessa
ora passò d’irreparabil morte
la valorosa vergine di Fessa,
s’Amor non era e in suo favor la sorte.
Spinge Casmor, che ne venìa con essa,
sua gente là dove combatte il forte
Rimedon con sua nave, e mille strali
da gli archi allor dispiegan l’ali.

98Esce a pena da un arco una saetta
che la seconda già segue il suo volo,
e la terza e la quarta in tanta fretta
avventa i dardi suoi l’arciero stuolo.
Se la prima non coglie ov’è diretta,
giungono l’altre e danno or morte or duolo,
ancorché ferrei scudi a lor difese
talor ritardin le nemiche offese.

99Move fra tanto Rimedon la nave
appresso il legno ove Casmoro impera.
Ratto s’innoltra e d’incontrar non pave
fra tempesta di strai la turba arciera,
e lanciata qual ponte aerea trave
passa nel regio pin con la sua schiera,
e sotto l’ampio scudo egli si serra
e più d’un nel passar co ’l brando atterra.

100Casmor, che mira l’improviso assalto,
presso ad Alinda sua tosto si pone,
quasi scudo animato e ’l ferro in alto
levando al fier che la seguia s’oppone.
Ma la vergine forte allor di salto
gli passa avanti, e prima entra in tenzone,
quasi sdegnando con turbato ciglio
che la voglia Casmor trar di periglio.

101E mostra ben del suo valor tal prova
che più d’un cade a i suoi gran colpi estinto,
ed al superbo Rimedon non giova
d’elmo e di scudo esser coperto e cinto,
ché tra quell’armi al ferro suo ritrova
la via sì ch’entra e già di sangue è tinto.
Ma gran turba in quel punto intorno inonda
a la fiera donzella e la circonda.

102Il re, che vede la guerriera amata
in periglio di morte oltre s’avventa,
rotando il fier di curvo ferro armata
la nera mano ad impiagar non lenta.
Ma sanguinoso con la destra irata
in lui sfogarsi Rimedon pur tenta,
mentre tutti in quel tempo i suoi guerrieri
seguono Alinda impetuosi e fieri.

103Nell’assalto inegual d’alto valore
dà segno allora la vergine regale,
ma forz’è che raffreni i passi e ’l core
poiché sì folta turba ora l’assale.
Nel breve campo a così gran furore
mal far difesa e mal ritrarsi vale;
s’arretra e pugna e ’l volto non asconde,
fra tanto inciampa e cade giù nell’onde.

104Ciò visto il re corre non già ma vola,
deposto l’elmo e ’l ferro suo vermiglio,
e salta in mare e mentre all’un s’invola
s’espone all’altro anco maggior periglio.
Nuota già presso Alinda e la consola,
che già per tema ha lacrimoso il ciglio;
stende la mano e i pesci aguaglia al nuoto,
una a lei porge e *** in moto.

105Sotto il petto la regge et ella intanto
non s’abbandona e di nuotar non resta,
ma cercan molti del suo scampo il vanto
e di più d’un battel l’aita è presta.
mentre a lor van gli amici legni a canto
ben più d’un dardo di lontan gl’infesta,
ma senza offesa al fin su la regale
veneta nave Alinda e ’l re già sale.

106Ma Rimedon, benché di sangue asperso,
su ’l regio pino trionfar si mira,
e vedendo il suo stuol parte sommerso,
parte a morte piagato in van s’adira,
onde su ’l legno, già sua preda, verso
la Tracia armata in alto si ritira,
e mentre quanto può ne va lontano
più d’una vela il segue ancorché in vano.

107Rosmondo intanto con sua nave fuori
dal destro corno rapido si scioglie,
vibrando dardi et avventando ardori
da cava torre ove gran solfo accoglie.
Quasi nube tonante atri vapori
accende in lampi e fulmini discioglie,
e volando su ’l mar prendesi gioco
sovra l’acque versar nembi di foco.

108S’alza l’industre mole e torreggiante
sotto si mira le nemiche prore,
fatte con arte tal ch’ora in gigante
cresce, or quasi pigmeo si fa minore.
E ciò perch’Austro od Aquilon spirante
resistenza non trovi al suo furore,
e sol quando i suoi venti Eolo riserra
risorga e porti incendiosa guerra.

109Or cresciuta s’estolle, e fiamme orrende
sparge d’intorno, lampeggiando tuona,
e minacciosa a i riguardanti splende
e d’armi e genti gravida risuona.
Ripercossa dal sol le viste offende,
co i rai de gli elmi che le fan corona,
e per mezzo l’armata ovunque passa
di strage e di furor vestigi lassa.

110Qual già tumido il Po sovra le sponde
e per evi e per pioggie e per torrenti
più grosse inalza e impetuose l’onde
e invia ne’ campi l’acque sue correnti,
ciascun dal suo furor fugge e s’asconde
da città, da campagne, uomini e armenti,
fiere da gli antri, augei da’ nidi loro
parton de’ flutti al minacciar sonoro,

111tal la guerriera formidabil torre,
che versa in vece d’acque ardente foco,
s’inoltra avanti e folgorando scorre
e le difese lor si prende a gioco.
Legno non ha che le s’ardisca opporre,
et a lei cede ogni altra nave il loco,
sì spaventosa per gli ondosi campi
vomita dal suo sen fulmini e lampi.

112Ma d’altra parte con diversa guerra
il fiero Armonte co i pagan combatte,
e già del manco lato apre e disserra
le navi, e cose mostruose ha fatte.
Ei con la spada ch’a due mani afferra
spesso più d’un con un sol colpo abbatte.
A smisurate membra estrema forza
accoppia, e l’ira il suo valor rinforza.

113Adolfo et Odoardo aste e saette
vibrano a gara et han già molti uccisi,
nel difendersi ognor, ne le vendette
congiurati guerrier sempre indivisi.
Coperti son d’usberghi e d’armi elette
sì che nel saettar restan derisi
i fier pagani, veggendo a lor davanti
restar i dardi o rintuzzati o franti.

114Ma con esperta man rota et avventa
sferica pietra il frombator Girlano,
che sibila per l’aria e si presenta
nell’elmo a punto al cavalier toscano.
Stordisce Adolfo e trema e si sostenta,
pur cade al fin privo di senso al piano,
ma invendicato già l’altro no ’l lassa
e vibra l’asta e ’l fier Girlan trapassa.

115Corre poi frettoloso a dar aita
al caro amico e su le piume il pone,
e tenta richiamar l’alma smarrita
né cura, pur ch’ei viva, altra tenzone.
Ma già quasi a battaglia in campo uscita
urta le navi e gli ordini scompone
l’onda del mar, che in rauco suon fremente
naufragio e morte minacciar si sente.

116Nube gravida d’acque in ciel sospesa
sotto tenebre orrende il sol nasconde,
ch’ad or ad or d’infausti lampi accesa
miste a gelidi umor fiamme diffonde.
Cade un mar giù dal cielo e fan contesa
i gran flutti del mar del ciel con l’onde;
quasi a disfida il mar rauco risuona,
risponde il cielo e fulminando tuona.

117Pallido e sbigottito ogni nocchiero
fra i tumulti del mar dubbio s’aggira,
mentre e’ fulmina sopra il ciel guerriero
e l’onde sotto imperversar si mira.
Pur quanto può del turbo orrendo e fero
ceca placar l’insuperabil ira,
e cedendo al furor d’Austro crudele
con sollecita man cala le vele.

118L’improviso spavento ha da ogni core
tolto ogni sdegno e l’ire ardenti agghiaccia,
mentre che il mar nemico assai maggiore
egualmente la morte altrui minaccia.
A pena alcun del tempestoso orrore
osa mirar la formidabil faccia
or ch’aprendo voragini profonde
trionfante la morte erra per l’onde.

119Porta a sua voglia la fatal tempesta
gli erranti abeti per gli ondosi campi,
et altro lume al viaggiar non resta
che ’l folgorar de’ fiammeggianti lampi.
Ogni intrepido cor teme e s’arresta
sì par ch’il ciel d’orrida luce avampi,
e i pagan più son lacrimosi e tristi
ché di legni minori eran provisti.

120La trireme maggior, dove raccolta
era de’ Traci avventurier la schiera,
dall’impeto del mar sossopra volta
absorta ha già l’onda vorace e fiera,
e, de le travi l’union disciolta,
ciascun ch’ivi s’accoglie avvien che pèra,
pria di morir sepolta entro ’l fremente
gorgo piombò la miserabil gente.

121Né questo sol, ma in altre parti ancora
altri navigli il vasto mar s’inghiotte,
e quasi immense bocche apre e divora
le genti chin quei legni eran condotte;
così molti di lor trovaro allora
in grembo all’onde una perpetua notte.
Ma de’ cristian i legni assai maggiori
schernian dell’onde i tempestosi umori.

122L’irato flutto li raggira e scote
ma non però vien che già mai gli affonde,
ché la gran mole lor franger ben puote
l’orgoglio suo, ch’alta sovrasta all’onde,
e quando il sol le fiammeggianti rote
rivolge al mare e in Occidente asconde
dopo obliquo girar da i venti infidi,
sospinti al fin giunser di Cipro a i lidi.