Argomento
Gode l’oste cristiana ivi discesa
di Cipro in rimirar l’isola amena.
Argea regina a novo incanto intesa
la rende anco più vaga e più serena,
e mentre insidia altrui resta ella presa
d’Amor ne’ lacci, e ’l suo desir non frena:
ama il vago Lindor, per lui si strugge,
e quanto più lo segue egli più fugge.
I Franchi giungono a Cipro per volere di Argea, si distraggono in falsi amori: Baldovino parte lasciando sull’isola chi rifiuta di seguirlo (1-30,4)
1Già sciolte eran le nubi e in Oriente
senza alcun vel già comparia l’aurora,
e già co’ suoi bei raggi il sol nascente
le cime a i monti e ’l seno al mare indora.
Scende da i legni la cristiana gente
per rimirar l’ignoto lido allora,
e ’l duce ancor, benché al partire è inteso,
tratto da i comun preghi è al fin disceso.
2Di vaghe rose imporporata e piena
ride la piaggia d’odorati fiori,
e i verdi mirti ancor vezzosa scena
apron lieti alle ninfe et a i pastori.
L’aura è sì dolce e l’aria sì serena
e sì soave de gli augei canori
l’armonia s’ode e in sì leggiadre tempre
che par che di dolcezza i cor distempre.
3Spira Amor ciò che miri e i fiumi e i laghi
e i fonti e i sassi e gli antri e i boschi e l’ombre,
e par ch’in mille guise i sensi appaghi
e d’immenso piacer gli animi ingombre
sì ch’ogni noia in così ameni e vaghi
soggiorni vien da i petti lor si sgombre.
E dolce è il rimembrar del mar lo sdegno
che trasportolli in sì giocondo regno.
4Né s’odon sol de’ musici volanti
ne i boschi risonar voci faconde,
ma qui, maravigliosa arte d’incanti,
parlarn le selve e lingue son le fronde.
Mentre cantono queste, a le sonanti
note a gara da gli antri Eco risponde.
Odi gli accenti e voci umane credi
e gli alberi mirando altro non vedi.
5Pieno è ciascun di meraviglia e lento
move l’occhio a gli sguardi, a i passi il piede,
et ode i canti e ’l tutto osserva intento
e ciò ch’ode e rimira appena crede,
ed un soave insolito contento
sente nascer al cor, ch’ogn’altro eccede,
e quel dolce velen ratto trapassa
per tutti i membri e un lieto ardor vi lassa.
6Lampeggia intanto senza nubi il cielo
e radoppia la luce al sole e al giorno,
e par che stenda folgorante un velo
intessuto di raggi a l’aria intorno.
Ogni albero, ogni fiore et ogni stelo
verdeggia assai più dell’usato adorno,
scorrono i rivi e i cristallini umori
ravviva ne i riflessi i bei splendori.
7Ma fra tante vaghezze il più giocondo
oggetto è il suon d’armoniose cetre,
misto a sì dolce canto e sì facondo
che par ch’i sassi intenerisca e spetre.
S’ode intanto una voce e dal profondo
del bosco vien gli orecchi lor penetre,
che tremola e sottil soavemente
canta e in tal guisa risonar si sente:
8«Folli guerrier, che più ch’il capo e ’l seno
di duro ferro avete cinto il core,
e con desio di ferità ripieno
più che belve mostrate ira e furore,
tanto dunque odiate il bel sereno
di vita ch’il morir credete onore?
e per un van titolo di forte
gite mal cauti ad incontrar la morte?
9Pur troppo breve è de la vita il corso
senz’affrettar de l’empia morte l’ali,
e ben meglio saria stringerle il morso
per ritardar le punte sue mortali.
Ma voi godete supponendo il dorso
a le dure fatiche e a i gravi mali,
lasciar le rose e coglier sol le spine,
contro voi stessi machinar ruine.
10O quanto è saggio chi d’onor mendace,
a scherno avendo il favoloso grido,
gode in grembo al piacer tranquilla pace,
e ridendo del mar siede su ’l lido,
e mentre inalza al ciel l’onda vorace
e in tempeste sconvolge il seno infido
nulla temendo i procellosi umori
lieto se ’n giace in su l’erbette e i fiori».
11Così cantava, e replicàr suoi detti
in varie parti ancor ben cento allori.
E già da gli odoriferi boschetti
vedeansi uscir di vaghe ninfe i cori,
spargean all’aura ad arte i crin negletti,
tutti consparsi di novelli fiori.
Pastorelle di Cipro erano queste
ch’a diporto ne gian per le foreste.
12Nel vederle i guerrier s’imaginaro
ch’alcuna di esse già canto quei carmi,
che gl’incauti lauri allor cantaro,
ad ammollir possenti e tronchi e marmi.
Esse nel volto alquanto si turbaro,
vergogno sette in rimirar quell’armi,
ma spariscon le nubi e nel lor viso
più seren torna e più giocondo il riso.
13Tutto ciò fa l’incantatrice Argea,
donna di Cipro al greco re sorella.
Costei, ch’al fratel suo ben prevedea
alte sciagure e sorte iniqua e fella,
sospinti i legni al ciprio lido avea
che già scampàr dall’orrida procella,
sperando più che co ’l favor di Marte
vincer i Franchi con sua magic’arte.
14Ave ala maga non più udito altrove
fatto possente e mostruoso incanto
che s’altri alcuna ninfa a mirar prove
più bello appar di sua bellezza al vanto.
Spira amore il bel viso e, in guise nove,
misto a lascivi onor pudico e santo;
sembran gli occhi più vivi e più vermiglio
l’ostro del volto e via più bianco il ciglio.
15Al folgorar d’insolita bellezza
allor per mezzo de’ traditi lumi
scende nell’altrui cor strania dolcezza
che par che l’alme in vivo ardor consumi.
Ma quanto alcuna è amata più, più sprezza
preghi e sospiri, anzi di pianto i fiumi,
e, benché finga amor, serba nel core
odio crudele in guiderdon d’amore.
16Amor vola d’intorno e l’arco tende
et avventa ai guerrier gli strali aurati,
ma de le ninfe poi, ch’al varco attende,
con saette di piombo ha i cor piagati.
Così pur mentre n cavalier s’accende,
mostra l’amata sua pensier gelati,
e l’istesso arco che saetta i cori
or di gelo è ministro, ora d’ardori.
17Quei cavalier che sol trionfi e palme
volgean ne’ lor magnanimi pensieri,
dal dolce incanto effeminate l’alme
spoglian già di virtù gli abiti alteri,
e de i piacer deliziose calme
godendo, ognun depon spade e cimieri,
e d’amor con la scorta in lieta caccia
fere no ma le ninfe ognor rintraccia.
18Ma mentre ognor son più fugaci e schive
e negan di scortesi altrui beare,
tanto più par che’il fiero ardor s’avvive
quanto più son de’ lor tesori avare.
Così fra dolci esche e l’acque vive
famelico ciascun Tantalo appare,
e non mai sazie le deluse brame
più nel cibo vicin cresce al fame.
19Ma ’l saggio Alteo, che volti a i van piaceri
vede lor cori, gli rampogna e sgrida:
«Non è questa la strada, o cavalieri,
ch’all’alte cime di virtù ne guida.
Ne i fallaci d’Amor torti sentieri
tra i vaghi fior serpe crudel s’annida:
così cercando voi felice sorte
quivi poscia si trova infamia e morte.
20Ben cieco è quel che ’l cieco Amor per duce
prende, ch’al fine al precipizio guida,
a cui rado o non mai del ver la luce
risplende, e ben è folle uom che sen fida.
ben più che foglie assai spine produce
d’Amor la rosa, e benché par che rida
son gli ostri suoi mortifero veleno
e rugiade di pianto ha sempre in seno.
21Volgeste già verso quel nobil monte
dov’alberga virtute accorti i guardi,
et or di mirti incoronar la fronte
godrete, al vostro ben sì pigri e tardi?
Dunque fia ver che generose e pronte
brame di gloria un guardo, un crin ritardi?
e che più ch’archi traci, o meraviglia,
teman forti guerrier due vaghe ciglia?
22Dunque a voi stessi invidiate, o stolti,
d’Oriente l’Impero, anzi del mondo,
così bramando rimaner sepolti
ne l’ombre eterne d’un oblio profondo ?
Dunque di donne allettatrici i volti
per voi fian di Medusa il teschio immondo?
e i lor candidi seni e l’auree chiome
lacci e tombe saranno al vostro nome?»
23Così lor parla, e Baldovino intanto
con saggio avviso ancor al partir gli affretta,
che liberar da quel soave incanto
vorria così la gente a lui soggetta.
Ma nega questa d’ubbidire, e tanto
grato è quel loco e in guisa tal l’alletta
che quanto più ciò le commanda e prega
meno all’imperio e al suo pregar si piega.
24Anzi v’è alcun che con aperti detti
già contro a lui forte si lagna e dice:
«Dunque sarem sotto pio duce astretti
soffrir di servitù giogo infelice,
sì ch’all’ombre de’ boschi e in questi tetti
né pur brev’ora riposar ne lice?
dunque schiavi siam noi? Folle è se crede
legarne l’alma e incatenarne il piede.
25Certo ha costui, mentre al comun desio
opporsi gode, alma inumana in seno,
rigida tigre o crudo serpe e rio
gli diè in vece di latte atro veleno.
Così s’usurpa il titolo di pio
uom d’alterigia e di furor ripieno,
che sol gioisce allor quando n’ha scorti
in grembo a le tempeste et a le morti?».
26Ma non sol parlan questi altri concordi,
fremono ancor con somigliante suono,
al sovran duce irriverenti e sordi
non men ch’a i preghi a le minaccie sono.
né perché Alteo gli sgridi e lor ricordi
che beltà di natura è fragil dono
e ch’alme grande di virtù s’invoglia
cura alcuno i suoi detti o cangia voglia.
27Mentre così ne’ suoi pensier ben ferma
delira a prova l’oziosa gente,
e Baldovino in solitaria et erma
parte s’aggira tacito e dolente,
scorgendo ognor più traviata e inferma
nel van piacer di quei guerrier la mente,
Alteo di nuovo indi al partir gli sprona,
ed in tal guisa al capitan ragiona:
28«Qual di lenta dimora ignobil freno
ti ritarda, o duce, e i tuoi guerrieri,
che di vil ozio e di lascivia in seno
giaccion bersaglio a duo bei lumi arcieri?
Quanto più vaghi ha questo campo ameno
tanto più perigliosi ha i suoi sentieri,
che vestiti di fior serbano ascose
vipere micidiali in fra le rose.
29Dunque, signor, perché non lasci questi
di lusinghe e d’incanti alberghi infidi?
ch’aspetti, quando commendar devresti,
che chi deve ubidir t’insegni e guidi?
Chi brama i propri danni egli si resti,
tu pronto segui i miei consigli fidi;
t’affretta dunque a la partenza e sciogli
le vele e fuggi omai sirene e scogli».
30Così parlava, e Baldovin non lento
raccoglie insieme el se schiere sparte,
l’ancore scioglie e dà le vele al vento
e va seco de’ suoi la maggior parte.
Ma la regina, che ’l pensiero ha intentoArgea intrattiene gli ospiti con convitti e giochi (30,5-59)
contro i cristian con lusinghevol arte,
per tesser meglio la sua tela ordita
la bella Oronta all’alta reggia invita.
31Questa, ch’è sua nipote, in lieto volto
va con Armindo e l’alte scale ascende,
mentre di cavalier con vago e folto
corteggio ad incontrarla Argea discende.
Siedono a mensa, e tolti i cibi molto
di sua fuga ragiona, e ’l tutto intende.
Poscia lor guida ove il regale e grande
giardino al ciel le verdi chiome spande.
32Entra allor la regina e seco ancora
entra ciascun c’ha di mirar vaghezza,
et ella tutte in varie guisa onora
senza porre in oblio la sua grandezza.
Serena qui con più bel riso a Flora
magico incanto la natia bellezza,
nevi eterne hanno i gigli e non mai perde
gli ostri la rosa e l’erba molle il verde.
33Vedi strade lunghissime e da i canti
d’intesti allori verdeggiar le mura,
e machine superbe e torreggianti
frondeggiar nell’aperta ampia pianura,
e in ogni parte ancor statue spiranti
di marmi preziose e di scoltura,
e spesso ancor fra i verdi pini e i fagi
biancheggiar vaghe torri, alti palagi.
34Da un’altissima rocca ondosi fonti
scender miri, e del vento in su le piume
volan le stille ad irrigarne i monti
e ne trae l’ima valle un largo fiume.
Sovra l’acque correnti i ricchi ponti
spargon da chiare pietre un vivo lume;
scorre il fiume e fermando un piede vago,
quasi picciolo mar, vi forma un lago.
35In mezzo all’onde un’isoletta appare
di bianchi marmi, e un porto in seno accoglie,
ove pronta a solcar quell’acque chiare
aurata nave argentee vele scioglie.
In questa suol quell’onde Argea varcare
per giunger poscia alle marmoree soglie,
et altri vedi ancor legni minori
turbar co’ remi i lor tranquilli umori.
36Su l’aureo pin la nobil coppia accolta,
trapassa Argea su l’isoletta amena,
e qui miran di mirti ombrosa e folta
selvetta aprir deliziosa scena.
E perché usciva omai fra l’ombre avvolta
la notte, qui fermàrsi a lieta cena,
e qui vider ristretto in regia mensa
ciò che la terra, il mar, l’aria dispensa.
37Splende l’isola intorno e sotto il lago
quasi specchio raddoppia i suoi splendori.
Ardon le stelle, e in ciel sereno e vago
spiega l’astro bicorne i suoi candori.
Stuol di paggi e donzelle errante e vago
va spargendo nel suo nembi di fiori.
Cantan musici cori e a le gioconde
voci dal lido alta armonia risponde.
38Del superbo giardin veggonsi ancora
in altre parti apparecchiate mense,
e l’orror de la notte apre et indora
l’aureo fulgor di mille faci accense,
e in queste poscia i cavalieri onora
che seco andàr di sue delizie immense.
Poi lieti giochi il dì seguente impone
e ricchi premi a i vincitor propone.
39Sovra lucida nube intanto appare
in sembianza d’Amor con arco d’oro
vago fanciullo, e intorno a lui scherzare
mirasi ancor d’altri Amoretti li coro.
Sparge il bel labro acute voci e chiare
e con musica man legno sonoro
tratta, e non men con la sembianza vaga
che con dolce armonia l’anime impiaga.
40«Mirate «egli cantò «d’uomini e dèi
come trionfa un bel fanciullo ignudo.
Cede i fulmini Giove a i dardi miei,
non ha Marte superbo usbergo o scudo.
Cangiati in mio trionfo i suoi trofei
con la conocchia al fianco Ercole illudo.
Mira Antonio colà su le mie penne
volar appresso a le fugaci antenne.
41Mira Alessandro il trionfante invitto
terror de l’Asia e vincitor del mondo
da mia forza immortal vinto e sconfitto
che soffre anch’ei di mie catene il pondo.
Mira di tanti regi anco trafitto
nobil drappel dal dardo mio giocondo.
Mira i saggi di Grecia et altri invitti
da’ lacci miei, benché d’allor, ricinti.
42Ove Amor non impera? in qual remoto
angol del ciel, del mondo o dell’inferno
è il mio gran scettro, il mio gran nome ignoto,
che splende a par del sol istesso eterno?
qual cor non è del nume mio devoto?
qual valor prende mia potenza a scherno?
qual fera o pianta o freddo sasso algente
le dolci fiamme, il mio calor non sente?
43Giovani vaghi e voi, leggiadre e belle
donne, che de la terra il pregio sète,
deh mai non siate al mio voler rubelle
s’un perpetuo gioir provar volete.
Ristoro e vita nelle sue facella
e dolce libertà ne la sua rete
Amor vi serba, or se non sète sciocchi
perch’io v’entri nel core aprite gli occhi».
44Tacque, e tolte le mense ne gli aurati
legni sedendo l’isola lasciaro,
e da faci e da suoni accompagnati
al palagio regal quindi tornaro.
E perché già l’ombra a i riposi usati
gl’invita, su le piume al fin posaro.
Ma la turba fabril, che non giacea,
con pronta man palchi e teatri ergea.
45Già con fronte serena in carro d’oro
uscito il sol rendea la luce al mondo,
quando udissi d’intorno alto e sonoro
di tamburi e di trombe un suon giocondo.
Mormora pien di spettatori il foro
che si dilata in ampio spazio e tondo.
Vestonsi i palchi e fuor del balcon regio
pende con linee d’or purpureo fregio.
46Sotto un gran ciel, che luminoso splende,
d’aurati fior l’alta regina siede,
e seco in nobil loco ancora ascende
Oronta, e quindi il tutto osserva e vede.
La turba folta i lieti assalti attende
de’ lottatori, e largo il campo cede,
e ’l forte stuol nell’arenosa chiostra
già per meglio pugnar nudo si mostra.
47Stendono già le nerborute braccia
Orcan primiero e ’l greco Ismeno a fronte,
e di furto ciascun prender procaccia
l’altro, e già versa di sudore un fonte.
Ma con moto improviso Orcano abbraccia
ne i fianchi Ismen con mani ardite e pronte,
questi s’arretra e si contorce e piega
e per disciorsi ogni sua forza impiega.
48Quei di membra più grosso, a par d’Ismeno
sembra un gran monte a picciol colle appresso,
non però cede o nell’audace seno
ha gran timor di sua grandezza impresso.
S’avviticchia alla gamba e ’l tiene a freno
per non restar da la gran mole oppresso.
Da le braccia robuste al fin si scioglie
e d’un grand’urto in mezzo al petto il coglie.
49S’arresta Orcan allora, e in quel momento
Ismen co ’l destro piede il piè gli prende,
e ’l tragge sì che lo consegna al vento
onde giù ruinoso al suol discende.
Ridon le turbe e ’l popol tutto intento
a rimirar fuor de i balcon si stende.
Nel mezzo ei stassi e vincitore astuto
ha dal publico applauso alto saluto.
50Cadon poi molti e doppo varie lotte
resta Ismeno nel campo e ’l perso Irlano,
e con le braccia vigorose e dotte
cerca l’un l’altro far cader nel piano.
Spesso un dell’altro le catene ha rotte
col forte piè, con la robusta mano,
e con pari saper, con pari forza
e questi e quei l’arte e ’l vigor rinforza.
51Ma langue omai l’indebolita coppia
e in breve tregua allei prende riposo;
poi riede in pugna e mani a mani accoppia,
non men questo che quello impetuoso.
Ismen gli spirti e ’l suo furor raddoppia,
per sì lungo contrasto omai sdegnoso,
e ’l piega e sforza e del nemico stanco
fa su ’l duro terren batter il fianco.
52Ode Ismen, gran mercede al suo valore,
d’applauso popolar sonore strida,
E intanto i cavalier trombe canore
facean di giostra universal disfida,
quando esce in campo il cavalier d’Amore
che nel proprio valor molto si fida,
vago di mantener ch’Amor perfetto
non può altrove regnar ch’in nobil petto.
53Candido ha ’l manto e ’l suo destrier non cede,
colà nato su ’l Tago al bianco giglio,
rapido e velocissimo di piede
e ben puoi dir che sia de l’auree figlio.
Sovra i fianchi al guerrier splender si vede
sparso tutto di perle ostro vermiglio.
Gli diè la lancia de la guerra il nume,
e prestò Amore al bel cimier le piume.
54Seguon le squadre e i cavalier pomposi
a i superbi corsier premono il dorso,
che diresti volar ne gli arenosi
sentier, de’ lievi venti emuli al corso.
Auree briglie, aurei fregi e luminosi,
han d’oro i crini mordon d’oro il morso,
fremono impazienti e sembran tanti,
a i giri, a i salti, Pegasei volanti.
55L’Amor vulgar sovra dorato legno
sculto nel campo si vedea senz’ali,
bendato e, come già privo di regno,
disarmato, senz’arco e senza strali.
Questo era a i colpi il destinato segno
in cui romper dovean le lancie frali.
I cavalier già quivi accolti sono
e aspettan già de gli oricalchi il suono.
56Ma già invitan le trombe e già disciolti
volan con rapidissime carriere.
Drizzan le lancie e spesso gli occhi han colti
al bendato fanciul l’armi guerriere.
Stanno i giudici intenti, e i guardi han volti
per osservar chi meglio in fronte fère;
Poi bilanciano i colpi e vincitore
trionfa al fine il gran campion d’Amore.
57Gl’armonici metalli in lieti accenti
allor s’udiano risuonar d’intorno,
mentre su i volti a i cavalier perdenti
spargean gli onori altrui rossore e scorno.
Rivolse la regina i guardi intenti
a i vincitor dal suo balcone adorno,
et onorò de i giostrator non meno
di lodi e premi il lottatore Ismeno.
58Così tenea fra mille cure avvolto
lo stuol cristian l’insidiosa Argea,
e gran parte di lor, vago d’un volto,
a i dolci lampi idolatrando ardea,
e in grembo a i fior l’esercito disciolto
come in assedio vil lento giacea,
pur guerreggiando ma con dolci offese
fra danse e giochi in amorose imprese.
59E più ch’arco crudel dardo volante
teme due ciglia or torbide or serene,
e più che laccio al piè duro e pesante
d’un lieve crin le fragili catene.
Chi sospira di duol, chi festeggiante
di gioia va per quelle piagge amene,
d’impudica beltà fra risi e pianti
fatti già servi e di guerrieri amanti.
Argea si innamora di Lindoro, ottiene un incontro con lui presso un fonte ma il giovane è aggredito da un serpente mentre si riposa (60-100)
60Ma la regina intanto, a cui sol cale
che torpa amando la cristiana gente,
resta ferita d’improviso strale
e ’l mal ch’altrui procaccia ella già sente.
Medica man, dittamo ideo non vale
per trarlo fuor da l’infiammata mente.
Troppo Amor curvò l’arco allor che spinse
l’acuto dardo e a lei piegar s’accinse.
61De i cavalier cristiani in fra le schiere
mirò garzon d’alta bellezza Argea,
che col crin biondo e con le luci arciere
quasi Febo novel vago splendea;
di sì nobil sembianza e di maniere
sì grato ch’ogni sguardo in sé volgea.
Questi è Lindor, cui la ferace sponda
del puro Adige diè cuna gioconda.
62Gemina rosa in fra le nevi intatte
de le candide guancie in lui risplende,
né so dir s’è più vago il bianco latte
del volto o ’l bel vermiglio onde s’accende.
Par che dentro a i begli occhi Amor s’appiatte
onde a i cor l’arco inevitabil tende,
e di perle e rubini i denti e ’l labro
vincon l’argentea luce e ’l bel cinabro.
63Del bianco collo biondeggiar si mira
sovra i teneri avori il lucid’oro
ch’in se medesmo si ripiega e gira
e fa in cerchi vezzosi aureo lavoro.
Fra le turbe e i guerrieri il guardo aggira
spesso Argea rintracciando il bel Lindoro,
ei non s’avvede, o non veder s’infinge,
e di più stretto laccio allor la cinge.
64Nel dì ch’i cavalier corsero in giostra
egli non lungi in un balcon sedea,
e spesso la regina a dito il mostra
a sue donzelle che d’intorno avea,
spesso in viso si cangia et or s’inostra,
or tinta di pallore egra gemea,
né tanti colpi dier le lancie ardite
quante ebbe ella nel cor dolci ferite.
65E ben nel suo sembiante alcun già puote
certo mirar ch’in lei trionfa Amore,
ed ella istessa in sospirose note
già gli occulti pensier svela del core.
Mostra languidi lumi, esangui gote
e scopre il foco interno il suo pallore.
Or teme or spera, e a’ suoi pensier non dona
riposo, e in guisa tal seco ragiona:
66- Già di Bizanzio ad assalir le mura
da l’Occaso partì la franca armata,
ma pria di guerreggiar con man sicura
ha con armi d’Amor Cipro espugnata.
Misera Argea, di caten’aspra e dura
più che ’l piede o l mano il cor legata,
dunque perché resti il tuo core avvinto
le franche navi in questo porto hai spinto?
67Non portò fiamme tante in grembo ascose
di Troia in sen l’argolico destriero,
quante nel regno mio fiamme amorose
portò la nave del mio bel guerriero.
Ma son dolci martir, purché ritrose
sì non abbia le voglie e ’l cor sì fiero;
dolce ardor, dolce duol, dolci sospiri
pur ch’un sol guardo a me benigno ei giri.
68Son vinta, Amor, ma non voler ch’io pèra
pria che ’l mio caro un sol mio detto ascolti,
pria ch’il superbo con sembianza altera
abbia al men gli occhi al mio languir rivolti.
Deh piega tu l’alma inumana e fera,
tu ch’ivi hai tutti i tuoi tesor raccolti,
tu che nel regno tuo pompe più belle
certo non hai de le sue chiare stelle.
69Ove son le tue forze? a tue saette
costui fia dunque impenetrabil tanto
che sempre avrà le glorie tue neglette,
su i labri il riso et io su gli occhi il pianto?
Dunque a me sempre di veleno infette
godrai vibrarle, ond’io qui mora intanto,
né saprai co’ miei pianti e con l’ardore
mollirgli alquanto e riscaldargli il core?
70Come esser può che di bellezza un sole
fonte di fiamme abbia di gelo il seno?
ch’un sol raggio mi neghi e non console
in parte i miei martir, se non a pieno?
che quasi cieco i guardi e le parole
a mio favor tenga qual muto a freno?
che dia premio sol d’odio all’amor mio
e fuggir chi l’adora abbia desio?
71Affretta, Amor, le rapide tue penne
se pur giunger tu brami il mio crudele,
ché già ’l ved’io che su l’alate antenne
fugace a par de’ venti apre le vele;
sol per mia doglia estrema a portar venne
misto all’anima mia l’assenzio e ’l mèle.
Ahi già che vago è sol de’ miei martiri
pria che si parta il mio morir rimiri.
72Se la piaga ch’ei fe’ nega sanarmi
non neghi almen di replicar gli strali,
e col bel riso e con le lucide armi
de’ suoi begli occhi d’inasprir miei mali.
Magiche note, erbe potenti e carmi
al mio gran duol son medicine frali,
e sol vivrò se tu, cortese Amore,
come in volto a lui stai gli entri nel core -.
73Così duolsi inquieta, e più non pensa
dei guerrier franchi a ritardar l’impresa,
ch’estinguer può d’Amor la fiamma accesa
l’altra di sdegno c’ha nel petto accesa.
Perda Alessio la pugna e l’ira accensa
sfoghi in lui Baldovino, a lei non pesa;
cada al suol Bizanzio e sian vicine
al gran regno dell’Asia alte ruine.
74E quasi par che ’l suo regal decoro
più non rammenti, e cangia affetti e voglie,
e sol l’imago del suo bel Lindoro
fuori esclusane ogn’altra in mente accoglie,
e tanto ad or ad or cresce il martoro
che di lacrime spesso un nembo accoglie.
Il chiama e finge sue risposte, e intanto
dolce le sembra in mezzo al duolo il pianto.
75Ma l’amato garzone, a cui nel petto
anco Amor non vibrò le sue quadrella,
benché fido messaggio abbiagli detto
ch’a lui già fatta è la regina ancella,
né pur favilla de l’ignoto affetto
sente, e ricerca or questa selva or quella,
e qual privo di senso ancor non crede
ciò che l’occhio e l’orecchio et ode e vede.
76Segue le fere in dilettosa caccia:
or terribil cignal con l’asta uccide,
et or lepre fugace egli rintraccia,
et or pescando in riva al mar s’asside.
Seguita Argea del cacciator la traccia,
che di sì nobil preda incauto ride,
e bramosa ognior più quant’ei più fugge
il segue, e d’ira e in van d’amor si strugge.
77Sovente a lui con eloquenti note
manda e rimanda i suoi desiri espressi,
ma risposta già ma ritrar non puote
parton facondi e riedon muti i messi.
Di pudico rossor tinge le gote
e si turba leggendo i detti impressi,
cieco, sordo, empio e muto egli si tace
e non vede e non ode, o sprezza e tace.
78Tra i più fidi ministri il greco Arsite
il vanto ottien de la regal sua corte,
sovra gli altri diletto, et impedite
s’ei voglia entrar non son a lui le porte;
canuto sì ma di sembianze ardite,
di parlar pronto e di maniere accorte.
A questo suo leal più volte avea
l’occulta fiamma sua scoperta Argea.
79Ora a sé lo richiama e impaziente
fra la speme e ’l timor così gli dice:
«Torna all’idolo mio, svela mia mente,
e riedi con risposta omai felice.
Dì lui che langue l’alma mia dolente
nel gel del suo rigor fatta infelice,
e ch’omai sdegni di regina amante
nell’irrider gli ossequi esser costante.
80E scopri a lui che nel seguente giorno
a caccia me n’andrò per queste selve,
per depredar del suo bel volto adorno
un guardo sol, vaga non già di belve;
e quando udrà misto a i latrati il corno
quasi fera crudel non si rinselve,
e sì ’l disponi che pietà l’accenda
ed al fonte de’ mirti egli m’attenda.
81Parte Arsite veloce, e ’l cavaliero
doppo lungo cercare alfin rintraccia
che va per solitario aspro sentiero
de’ capri snelli e de’ cignali in traccia.
Lo raggiunge e palando il cor guerriero
con sua facondia d’ammollir procaccia,
e d’Argea gli disvela in vari modi
or le pene or i preghi et or le lodi.
82Gli dice poi ch’è tutto il mondo amante,
ch’ogni cosa è d’Amor soggetta all’ira,
ch’aman l’istesse fiere, aman le piante,
ch’il freddo pesce anco d’amor sospira,
che il ferro ancor che rigido e pesante
l’indica pietra a sé rapisce e tira,
e narra al fin che da gl’istessi dèi
Amor già riportò palme e trofei.
83Conclude al fin che lacrimosa e mesta
è quasi in forse di sua vita Argea,
per lui sospira, anzi a morir s’appresta
se con un detto suo non la ricrea,
e che nel dì seguente a la foresta
a punto andrà dov’egli andar solea,
e che sol brama che de’ mirti al fonte
non neghi seco rinfrescar la fronte.
84Entra allora nel sen del giovinetto
sotto ’l vel di pietà coperto Amore,
e ’l facondo parlar d’ignoto affetto
soavemente a lui riscalda il core.
Risponde al fine: «Io ne verrò soletto
dove versa il bel fonte il chiaro umore,
e là del dì ne la più fervid’ora
sin che là giunga Argea farò dimora».
85Lieto ritorna il messaggiero accorto
e ’l caro avviso a dispiegar s’accinge,
ed ella il volto impallidito e smorto
già di vivi rossori infiamma e tinge
udito il tutto; dal suo dir conforto
trae la regina, e più del ver si finge
e certo crede omai veder produtti
de la sua speme su i fior d’Amore i frutti.
86Misera, che vaneggi? Amor fugace
più per fuggir che per seguir ha l’ali;
quasi fulmine in man porta la face
vibrando ognor le fiamme sue mortali,
ma cieco, anzi pur sordo egli si face
e non vede e non ode i nostri mali,
e come il tuo bel cacciator s’ingegna
sempre a ferir ma risanar si sdegna.
87E se pur fosse a te pietoso Amore,
cieca fortuna i tuoi martir non vede,
e, se pur vede, di crudel rigore
armò lo stral ch’inevitabil fiede.
Ritira, Argea, rivolto altrove il core
dal penoso sentier l’incauto piede.
Fuggi, misera, fuggi, ama chi t’ama,
ciò che nega fortuna in van si brama.
88Di fallace speranza ebra e baccante
a la caccia futura ella s’appresta,
e diversa in un punto il bel sembiante
cangiar la miri, ora tranquilla or mesta.
E pria che l’alba in su le verdi piante
sparga le sue rugiade, ella si desta,
e già s’udia l’alto palagio adorno
di corni e trombe risonar d’intorno.
89Misto al rumor de’ paggi e de’ serventi,
di molossi e di veltri odi i latrati,
e de’ cavalli anco i nitriti senti
et armi risonar da tutti i lati.
Altri impugnano lunghe aste pungenti,
altri di spade et altri d’arco armati.
E già per l’ampie scale omai discende
l’alta regina ove il destrier l’attende.
90Sembra il pel tenebroso ebano oscuro,
di bianche nevi è il labro suo spumante,
col piè scote la terra e ’l dente duro
morde il fren ricco d’oro e lampeggiante.
Splende ogni fregio d’or lucente e puro
e calca l’or con le sonore piante,
freme inquieto e in moti impazienti
disfida al corso co’ nitriti i venti.
91Già siede in sella la regina e intorno
folto drappel di cavalier seguia,
mentre in lieto sembiante e in manto adorno
a le note foreste ella s’invia.
Ma già sorgendo ognor più chiaro il giorno
frettoloso dal ciel l’alba fuggia,
e fra i raggi del sol le sue gioconde
sembianze già Venere bella asconde.
92Al bel volto del sol toglie ogni velo
Zefiro intanto, che soave spira.
Non è flutto nel mar, nube nel cielo,
e tranquillo e seren l’un l’altro ammira.
Mostra sue perle il rugiadoso stelo
e smaltato di fiori il suol si mira.
Cantan gli augelli e da le verdi piante
fan lieti applausi a la regina amante.
93Rimbomba intorno per l’ombrosa selva
il suon de’ corni e in replicati accenti
risponde Eco da gli antri, et ogni belva
teme il rumor de le nemiche genti,
nel più folto s’appiatta e si rinselva
per occulto sentier co’ piè correnti;
timida di morir, l’avide brame
de i cacciator fuggendo oblia la fame.
94I minor cani in numeroso stuolo
erran de la foresta in ogni parte,
s’aggiran pronti et odorando il suolo,
caute spie de le fere, usan lor arte.
Or di rapido cervo il lieve volo
seguon de’ veltri lor le schiere sparte,
or le timide lepri et or cigniale
co’ fieri denti il can robusto assale.
95De gli applausi de’ cani e de le prede
o nulla o poco si rallegra Argea,
e move lento al suo destriero il piede
che desio d’altra preda in sen chiudea.
Lindoro intanto, poich’il sol già fiede
fervido i campi, al fonte il piè movea,
e colà giunto, affaticato e lasso
doppo lungo camin, raffrena il passo.
96Lo stanco sen su l’erba molle ei posa
e cangia i fiori in odorate piume,
e sotto una vago vel lor fiamma ascosa
gli chiude il sonno e l’uno e l’altro lume,
quando gran serpe orribile e squammosa,
che venir a quel fonte avea costume,
avvolta al collo delicato intorno
di monil velenoso il rende adorno.
97Corri, misera Argea, già la tua vita
preda è di morte e neghittosa giaci?
Già su ’l bel viso ond’Amor t’ha ferita
in vece tua da cruda serpe i baci.
L’abbraccia e stringe e, sua catena ordita,
fa di se stessa a lui nodi tenaci.
Tendi Amor l’arco, odi d’Argea gli stridi,
e ’l fier piton, Febo novello, uccidi.
98Gli stringe il collo e di legar non resta
l’angue che ’l varco omai chiude a la voce,
e già morte crudel con man funesta
scote dal sonno il giovine feroce.
Volge attonito il guardo e poi s’arresta
e mirar non ardisce il serpe atroce;
pur fatto ardito dal vicin periglio
col serpente pugnar prende consiglio.
99Con la mano sinistra il collo prende
e con la destra impugna il ferro e ’l fère,
ma ’l mostro micidial troppo difende
lo scudo de le squamme orride e nere;
e già la mano il dente acuto offende
sì che ucciderlo omai par che dispere,
non però cessa e al fin recisa resta
dal suo tagliente acciar l’orribil testa.
100Così tronca e sanguigna anco fa guerra
e gli avventa nel piè gli acuti denti,
stringe il collo la coda e ’l preme e serra
pur anco ma con nodi ognor più lenti.
Con la man generosa al fin si sferra
Lindor da quei tenaci avvolgimenti
ma che pro, se cadendo in grembo all’angue
anch’ei piagato e moribondo langue?