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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto IX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:39

Argomento
Segue d’Osman l’esempio Irene ardita
e contro il re gente rubella accoglie;
fugge al campo cristian, la frode ardita
da Pireno rivela e la discioglie.
Molti guerrier ch’al bel giardino invita
Argea transforma in vaghi fiori e foglie,
poscia contro Lindor voglie ha omicide;
scende un Angel dal cielo e l’empia irride.

Irene e altri avversari del tiranno fuggono dalla città e si uniscono ai Franchi, svelandogli di un attentato che si prepara ai danni di Baldovino (1-25,4)

1Siede l’ampia città del mar su l’onde
alzando al ciel le sue marmoree cime,
e sette colli entro il gran seno asconde
Roma emulando e al par di lei sublime.
Cingon le mura sue fosse profonde
che piene son d’acque palustri et ime,
e in quella parte che su ’l lido è stesa
la gran fossa del mar le fa difesa.

2De la cittate a fronte alza el tende
il capitano, e con ben salde e grosse
trinciere d’ogn’intorno arma e difende
quasi ampio scudo a le nemiche posse,
sì che a le schiere sue ch’ivi distende
quasi muro novello intorno alzolle,
onde ben può, sì ben munito et alto,
far resistenza ad improviso assalto.

3Così di fuor l’assediate mura
cingeva già l’esercito possente,
ma non più dentro è la città sicura
da l’ira occulta de l’oppressa gente.
La nipote d’Osmano alta congiura
volge gran tempo già ne la sua mente,
e, benché cinta di feminea vesta,
l’avo feroce ad imitar s’appresta.

4Al tiranno sottrarsi ella disegna
de la notte fra l’ombre ascosa e cheta,
ma di celare il suo pensier s’ingegna,
guardinga ognor, quanto più può secreta.
Contro i rubelli ad arte ella si sdegna
e di lor pene ancor si mostra lieta,
e s’avvien mai ch’in publico favelle
l’odiato tiranno erge a le stelle.

5Poscia in disparte con occulti detti
a fuggir seco or questo or quel dispone,
e facilmente gli adirati petti
move, faconda e libera in sermone:
«Dunque (dicea) fra queste mura astretti
più dimora farem lunga stagione,
ove il crudel di sangue ancor non sazio
fa de’ soggetti suoi sì fiero strazio?

6Che più s’aspetta? che ne tragga il sangue
da le viscere omai l’iniquo mostro?
Per nove stragi il suo furor non langue,
sempre è digiun l’insaziabil rostro.
S’atterrar non si può, fuggasi l’angue
che attosca sol col fiato il viver nostro,
anzi ch’un cenno, un guardo sol ch’a nui
vibri, qual basilisco uccide altrui.

7Dunque a nobile fuga ognun s’accinga,
e dal sesso men forte ardire apprenda.
La spada impugni e d’armi il sen si cinga,
e meco il cor di giusto sdegno accenda.
De la porta i custodi a morte spinga
quando la notte l’ombre sue distenda,
e dietro l’orme de l’invitto Osmano
meco ricorra al vincitor cristiano».

8Sì parla in vario tempo e in vario loco,
et ha già molti al suo pensier disposti.
Finge adunar gran gente in danza e in gioco,
per coprir meglio i suoi pensieri ascosti.
Così all’aride ceneri gran foco
spesso e vivi carbon stan sottoposti,
e la mina che l’arte asconde e vela
le chiuse fiamme a l’altrui viste cela.

9Giunto il giorno prefisso, occultamente
depone Irena le feminee spoglie,
e lieta sotto il grave elmo lucente
gli aurati fregi e ’l biondo crin raccoglie,
e si arma l’altre membra e immantinente
per cingerne il bel fianco il ferro toglie,
e presa in mano l’asta, a chi la guata
sembra in volto guerrier Pallade armata.

10Molte di lei seguaci anco s’armaro,
amazzoni novelle a l’alta impresa;
d’elmo la fronte e di lucente acciaro
copron le membra, e già la spada han presa.
E molti anco guerrier seco n’andaro
che di pari desio la mente accesa
frettolosi seguian con passo audace
de la vergine bella il piè fugace.

11Occulti stanno, e quando poi sotterra
splende la luna un tenebrosa notte,
mossa fra l’ombre inaspettata guerra,
le guardie uccise e già le porte han rotte,
sì che il varco già chiuso or si disserra
e già ne son le genti fuor condotte,
e veloci ne vanno ove l’attende
Osman colà ne le cristiane tende.

12La valorosa donna a tutti avante
qual capitan col suo drappel s’invia,
e nel rigor del fiero suo sembiante
par che più splenda la beltà natia.
Giunta poscia dà il segno e in quell’istante
ad incontrarla il forte Osman venìa,
la mira e tace, e ’l guardo il core esprime
e in vece di parole i baci imprime.

13La schiera allor che guidò seco Irena
tutta d’intorno al grande Osman s’aggira,
e versando ciascun per doppia vena
pianto di gioia il gran campion rimira.
Egli in sembianza placida e serena
verso il popolo amato il guardo gira,
gli amici abbraccia e lieto al sovran duce
la vergine guerriera indi conduce.

14Apron co’ suoi fulgor fra l’ombre il giorno
lumi notturni in varie parti ardenti,
e faci ossequiose a lei d’intorno
portano a gara le cristiane genti.
Giunta a la tenda, dal suo seggio adorno
a lei parla il gran duce in tali accenti:
«Ben tu mostri a i pensieri et a la mano
che sei degna nipote al grand’Osmano,

15vergine valorosa, il cui gran nome
già si prepara a celebrar la fama,
ben meco il Ciel, perché più presto dome
sian l’empie genti, a trionfar ti chiama.
Non d’aurei fregi le tue bionde chiome,
ma ben ornar d’eterni allori hai brama,
che se ben fuggitiva ora tu sei
hai ne la fuga ancor palme e trofei».

16Risponde: «Alto signor, ch’alma pietosa
chiudi nel sen, de’ re più grandi al paro,
da i gesti tuoi, da la tua man famosa
gli empi tiranni a debellare imparo,
de la tua gloria, a i rai sì luminosa,
spera farsi il mio nome illustre e chiaro,
e ben con la tua scorta io mi confido
ritornar vincitrice al patrio nido».

17Parte ciò detto, e col grand’avo accolta
dolce sonno prendea sotto le tende,
ma quando poi del sol l’aurea sepolta
luce il dì novo in Oriente accende,
fattasi avanti a Baldovino, «Ascolta»
dicea «come di te cura il Ciel prende,
mentre la frode che il tiranno cela
contro te per mio mezzo or a te svela.

18Poscia che Alessio a suo mal grado scorse
che vinto fu ne la naval contesa,
ambo le labra per dolor si morse,
di rabbioso furor la mente accesa.
A le solite frodi egli ricorse
già ch’eran l’armi a lui scarsa difesa,
pensa per vie d’inganno oblique e torte
se non può guerreggiando a te dar morte.

19S’offre Pireno, uom di feroce ingegno,
e ne’ chimici arcani esperto molto,
con la tua morte assicurar suo regno
e l’empia cura ha sopra sé già tolto.
Al re poscia palesa il suo disegno
e nel centro del core il tien sepolto,
perché la froda inusitata e l’opra
de’ suoi nessun a te già mai discopra.

20Rivela ei solo a la diletta moglie
ciò ch’egli ha in mente e ciò ch’al re promise,
ed ella, che fu sempre a le mie voglie
compagna, udir il tutto a me permise.
Scopre ogni arcano e la fé data scioglie,
tanto fortuna a’ miei desiri arrise;
quindi, istrutta, posso io col mio consiglio
la tua vita, signor, trar di periglio.

21Or odi dunque ciò che in mente ei volve:
egli, emulando del gran Giove i lampi,
chiuse fulmini e tuoni in poca polve,
che quando ei vuol vien che scoccando avampi.
L’oro in salso liquor prima ei dissolve,
del sol poscia l’asciuga a i dolci lampi,
così, tolto il fulgor ch’in lui riluce,
in combustibil atomi il riduce.

22Sferico globo ove dipinto appare
il mondo tutto, e le provincie e i regni
e le cittadi e i fiumi e il nostro mare
e l’ocean fuor de gli erculei segni
formò l’astuto fabro, e qui celare
gli occulti solfi suoi vien che s’ingegni,
perché poi quando il loco e il tempo il chieda
per recare a te morte arder si veda.

23Verrà poscia nel campo, e come esperto
ne l’arte cosmografica e guerriera
cercherà d’acquistar e lode e merto
parlando appresso a la più nobil schiera.
Così a te, sommo duce, il calle aperto
trovar l’infido agevolmente spera,
quindi introdotto et umile e facondo
ti farà il don del figurato mondo.

24Arderà poi quando egli fia lontano
dentro la tenda tua l’occulta mina,
e porterà con improviso e strano
incendio irreparabile ruina.
Godi dunque, signor, che non in vano
che a te prima io l’avvisi il Ciel destina,
e cauto, allor ch’il traditor ne viene,
lo scampo a te prepara, a lui le pene».

25Sì disse Irena, e Baldovino ergea
al ciel le palme, e de l’occulta fraude
a lui svelata in un co’ suoi godea,
onde lei ne ringrazia e le dà laude.
ma da gl’inganni suoi fra tanto ArgeaArgea crea un palazzo dove i cavalieri sono mutati in fiori (25,5-39,4)
non cessa, a cui lieto l’inferno applaude,
e perché l’oste indebolita e lenta
resti, nove arti e nove fraudi tenta.

26Essa non lungi a le cristiane tende,
del mar su ’l lido, ove è un palaggio eretto,
far incanto novel consiglio prende
entro le soglie de l’aurato tetto,
in guisa tal che di desio s’accende
chi volge il guardo a sì giocondo oggetto,
e più d’entrar chi lo mirò s’invoglia
quanto è più presso a l’incantata soglia.

27Miransi qui sovra le ricche mura
lucide gemme lampeggiar d’intorno,
et opre di pennello e di scoltura
render più vago il bel palagio adorno.
Forman miste fra lor viva pittura
minute pietre, ed il pennel n’ha scorno,
ma quel ch’ogn’altra meraviglia eccede
è il pomposo giardin ch’entro si vede.

28Quasi in terreno cel vaghe e ridenti
splendono a gara l’odorate stelle,
e qui vedi spiegar gli ostri lucenti
con fregi d’oro altere rose e belle,
e qui gigli e ligustri i bianchi argenti
mostrar vezzosi in queste parti e in quelle,
ed altri fior tra l’infinita schiera
superba trionfar la primavera.

29Ma serbano quei fior veleno ascosto
ne’ bei color de l’incantate foglie,
e chi ne svelle un sol cangiasi tosto
in quel medesmo fior ch’egli raccoglie,
e, l’umano sembiante allor deposto,
copresi il volto d’odorate spoglie,
fansi i piedi radici, un verde stelo
il resto, dentro caldo e fuor di gelo.

30Quasi in carcere chiuso uman pensiero
resta del vago fior sotto la scorza,
e trasformati da l’incanto fero
i membri suoi moto non han né forza.
Cerca ognun liberarsi e il prigioniero
piede in vano dal suo ritrar si sforza,
e quasi augel cui sottil rete è impaccio
vie più tenta fuggir, più stringe il laccio.

31In guisa tal la maga insidiosa
i cristiani guerrier si prende a scherno,
e mentre par de’ lor piacer bramosa
contro i crudeli move arme d’inferno,
né mai chiusa è la soglia aurea pomposa
che lor conduce al bel giardino interno.
Sol vaghe ninfe, con maniera accorta,
de l’albergo real guardan la porta.

32E vezzose e ridenti in dolci note
invitano i guerrieri al bel soggiorno,
né contente de i fior c’han ne le gote
portano il crin di vaghe rose adorno,
e mentre fanno con l’ardenti rote
di due pupille al sole oltraggio e scorno,
provansi a gara chi di lor per gioco
più dolce sparga da’ begli occhi il foco.

33Armindo il primo fu che nel fiorito
soggiorno entrò con la regal donzella,
e colse a pena un fior ch’impallidito
perdé il moto, il colore e la favella,
e nel medesmo punto sbigottito
vide in un fior che tramutassi anch’ella.
Così intorno spirando aura odorosa
egli un giglio divenne, ella una rosa.

34Serba anco nel sen l’affetto antico
e l’un vèr l’altro si distende e piega.
Scioglier vorriansi dal fatale intrico
che con laccio improviso i piè lor lega;
vorrian parlar ma fier destin nemico
gli affligge al suolo e libertà lor nega,
e mentre Armindo in van la lingua scioglie
parlano sol col suo pallor le foglie.

35Pirro entrò doppo questi e ad ora ad ora
altri moveano il curioso piede,
e se fior coglie alcuno d’essi allora
tosto in fior trasformato egli si vede,
ma mentre s’assottiglia e si scolora
confuso in suoi pensier, quasi nol crede,
entrano molti e mai nessun ritorna,
e il bel giardin di novi fior s’adorna.

36S’alcun poscia al giardino il tergo ha volto,
guida la maga in più secreto loco
e col bel riso e col sereno volto
nel cor gli desta di lascivia il foco;
poscia nel seno e fra sue braccia accolto
con mille vezzi suoi ne prende gioco,
e quando in ciel spento è del sole il lume
lo ritien seco in su le molli piume.

37Ma di morte feretro è il dolce letto
ove la cruda i folli amanti accoglie,
e sol dispensa a lor qualche diletto
perché in quello di vita al fin gli spoglie,
però ch’in guisa è su le basi eretto
che quando vuol si di scompone e scioglie,
e quindi avvien per ruinosa strada
chi giace in lui da le sue sponde cada.

38Sovra un grand’arco il ricco letto posa
di ponte in guisa assai lontan dal lido,
entro una stanza e d’ostro e d’or pomposa,
a i creduli guerrier soggiorno infido.
Ma poi, mentre dormendo alcun riposa,
in quel dolce d’amor fallace nido
cade improviso da l’aurata sponda
l’incauto allor e in grembo al mar s’affonda.

39Altri così, tanto d’Argea può l’ira,
resta sommerso in mezzo a i flutti amari,
altri cangiato in fiore in van s’adira
mentre scotersi a i venti avvien ch’impari.
Il capitan, che già mancar rimiraAlteo indice una processione, degli Angeli distruggono il palazzo (39,5-56)
molti guerrier nel campo in arme chiari,
richiede la cagion mesto e dolente,
perché non rieda la smarrita gente.

40Ma il saggio Alteo, che già scoperto avea
de l’incanto crudel l’occulto inganno,
e ch’al campo cristian ben prevedea
ruina ancor non che maggiore il danno,
rivolto al pio guerrier «La maga Argea»
disse «è cagion del tuo sì grave danno,
dunque se vuoi prender gl’incanti a scherno
movi l’armi del Ciel contro l’Inferno.

41Tosto ch’a noi diman l’alba novella
avrà ne l’Oriente acceso il giorno,
a debellar la schiera a Dio rubella
sen vada il clero in sacre vesti adorno.
L’Eterno invochi, e la sua pura ancella,
di cui nel grembo il figlio ebbe soggiorno,
e su l’altar che il sacro pan dispensa
inviti l’alme a la celeste mensa».

42Ciò ch’ei consiglia Baldovino approva
et ei primiero al gran ministro avante
spiega sue colpe e i suoi pensier rinova
con cor contrito e con umil sembiante.
Seguon l’esempio, a ciascun altro giova
narrar l’istoria di sua vita errante,
e supplice e pentito in flebil suono
del passato fallir chiede perdono.

43A l’apparir de la sorgente aurora
sovra il colle vicino ornan l’altere,
e su ’l candido lin ch’aureo s’infiora
splendon le faci luminose e chiare.
Ciascun piegate el ginocchia adora
del sangue sparso le memorie amare,
et a i suoi detti sotto bianco velo
sceso di nuovo il sommo Re dal cielo.

44Ciascun poscia devoto in sen l’accoglie,
pur troppo a sì grand’oste albergo indegno,
e pietoso tributo il pianto scioglie
al sangue ch’ei versò su ’l duro legno.
Tutti deposte le pompose spoglie
de l’interno dolor dan certo segno,
ma Baldovin più ch’altri a la gran fiamma
de’ celesti desiri il core infiamma.

45Quindi s’invia de’ sacerdoti il coro
verso il palagio in sacri manti avvolto
in lentissimo passo, e in suon canoro
l’usate preci a replicar rivolto.
Ma le squadre adunate avanti a loro
sen gian disposte in ordin lungo e folto.
Va solo Alteo doppo lo stuol guerriero
e de’ sacri ministri egli è il primiero.

46Ultimo è Ilario, in pontificia veste,
che sostien Dio fatto uom con mano accorta,
e sotto argenteo ciel che d’or conteste
ha ricche stelle in aurea sfera il porta.
Così a i mortali il sommo Sol celeste
splende celato in urna angusta e corta,
e quel Dio che non cape il mondo e ’l cielo
chiude fede cristiana in picciol velo.

47Va Baldovino al pastor sacro appresso
e ’l seguono da tergo armate schiere,
e pien di zelo in umil canto anch’esso
porge al gran re del ciel sante preghiere.
Ma l’empia mole ov’ognun resta oppresso
quando potean vicino omai vedere
allor più vivi e più d’affetto ardenti
rinforzano in tal guisa i sacri accenti:

48«Signor, per cui nel tenebroso fondo
allor ch’alzò le temerarie penne
l’Angel superbo e seco ancor l’immondo
stuol de gli empi rubelli a cader venne,
se con le schiere sue dal ciel giocondo
precipitò ne l’ira tua sostenne,
così speriam che da questa aria pura
per te ritorni entro sua notte oscura.

49Tu che dal Ciel per noi salvar scendesti,
anzi scender di novo anco ti degni.
Deh, scaccia tu gli spirti a noi molesti,
sprezza lor seggi e i magici ritegni.
Tu, che fatto uom per noi morir volesti,
mostra di tua pietà gli usati segni.
Tu, sovrano invincibile, immortale
vinci il nemico che i tuoi servi assale».

50Si ferma Ilario e seco ogni guerriero
a fronte allor dell’infernal magione,
e l’aurea sfera ov’arde il Sol primiero
sovra un altar ch’eretto avean ripone.
In atto umile ad adorarlo il clero
con ginocchia piegate allor si pone,
e Baldovino et ogni schiera ancora
prostrata in terra il suo gran nume adora.

51Comincia inno novello il sacerdote
e replica la turba i sacri accenti:
«O Re del Ciel, di cui la destra puote
d’abisso rintuzzar l’armi nocenti,
e del sol arrestar l’ardenti rote,
asciugar l’onde e fermar l’ali a i venti,
che nel suol gli alti monti e in mar gli scogli
scoti, e l’ardore al foco anco ritogli,

52deh salva tu da l’infernal tiranno
padre pietoso il popol tuo diletto,
e sciogli con tua man l’ordito inganno
da gli empi spirti nel tartareo tetto;
fuga i rubelli tuoi, ch’audaci stanno
ne le soglie incantate al tuo cospetto,
e col tuo cenno che dà legge al mondo
gli abissa omai giù nel tartareo fondo».

53Mentre così l’esercito canoro
porge a Dio sue preghiere, ecco improviso
stride per l’aria un fulmine sonoro
che cade su ’l palagio in tre diviso.
Splende d’Angeli intorno armato coro
su bianche nubi, quasi in carri assiso,
che col valor d’incontrastabil guerra
la stigia mole in un momento atterra.

54Cade il vasto edificio, alta ruina
con orrendo fragor s’ode d’intorno,
spuma scossa del mar l’onda vicina,
sibila il vento, impallidisce il giorno.
Quasi repente arda sulfurea mina
vomita fiamme il bel palagio adorno.
Fansi l’oro e le gemme arida polve,
e in nebbia e in fumo il bel giardin dissolve.

55Quei che furo cangiati in vaghi fiori
riprendendo in un punto umane forme,
stupidi uscìr da le ruine fuori
quasi uom che sogna e imaginando dorme.
Gli altri che preda fur de’ falsi umore
non vien che nova vita ore gl’informe,
e chi nel letto de la maga giacque
ebbe eterno sepolcro in mezzo a l’acque.

56Gridava allora il popolo festante
«Viva qua già quel Dio che in Cielo impera!
Viva ciascun de la sua gloria amante!
Viva chi presta a lui fede sincera!».
Rivolgea poscia a i padiglion le piante
pur Dio lodando la devota schiera,
e a lor voci armoniche e gioconde
da la valle e da i monti Eco risponde.

Dio invia un Angelo a liberare Lindoro (57-67)

57In tanto Argeo sovra la nube usata,
torna in rapido volo al ciprio regno,
or c’ha visto cader de l’incantata
sua magione ogni pompa, ogni sostegno.
Chiama i suoi spirti e lor favella irata:
«Così dunque negletto è il nostro sdegno,
che di turba anco imbelle una sol voce
sa porre in fuga il vostro ardir feroce?».

58Così l’empia parlò dal duol sospinta,
ma il più sublime del tartareo stuolo,
«Non ti lagnar, sotto le mura estinta
poco mancò non rimanessi al suolo.
Guerreggiò il Cielo e nostra schiera vinta
astretta fu di là partirsi a volo.
Pur lasciar te no volsi e con diletto
ti trassi fuor del ruinoso tetto.

59Ti trassi fuor perché tu a l’opre usate
lieta ritorni in più felici imprese,
onde al fin vincitrice a l’odiate
genti possa recar l’ultime offese.
Non temer dunque, in van le schiere armate
contro il nostro valor faran difese,
o nulla o poco al fin varranno a gli empi
vittime e preci e sacerdoti e tempi».

60Così parla la Furia, e al cor le inspira
novo desio di machinar vendetta.
Ma pur intanto a l’amor cede l’ira,
e vèr Lindoro il suo viaggio affretta,
e già di novo a gioir seco aspira
che nova speme ha del suo cor concetta,
e par che già del suo rigor si penta
e di più tormentarlo affanno senta.

61Dentro l’oscuro carcere s’invia
e ’l suo diletto prigionier ritrova,
né più crudele ma cortese e pia
con dolci vezzi a lui pregar si prova.
prega, piange, minaccia et ogni via
tenta perché il suo cor riscaldi e mova,
ma più cerca piegarlo, egli altrettanto
immobil sembra a le minaccie, al pianto.

62E già le piaghe a vendicare accinta
che co i dardi de’ rai le aprì nel seno,
volea da furor cieco al fin sospinta
dargli morte o col ferro o col veleno.
Ma mentre a lei ch’amor si tiene avvinta
casto e forte si mostra egli non meno,
da l’empireo suo trono a tanto zelo
volse il guardo pietoso il Re del Cielo.

63Poscia chiamando un dal celeste coro
de gli angelici spirti a lui favella:
«vattene, «disse «e ’l mio fedel Lindoro
libera da la maga a me rubella,
fa’ che poi miri l’infernal martoro,
scorgi poscia a l’empireo alma sì bella.
Ciò conced’io del suo candore al merto
che vagheggi anzi morte il Cielo aperto».

64Mentre così parlò fermossi il sole
e lampeggiàr di più bei rai le stelle,
fermò suoi giri la celeste mole
e immoti s’arrestàr venti e procelle,
et aprìr l’ale pronte a sue parole
de gli alati guerrier le schiere ancelle;
fermaro il canto i musici immortali
e d’urli rimbombàr gli antri infernali.

65Ratto spiegò l’infaticabil penne
con dritto volo il messaggiero alato,
e in mezzo a l’antro il volo suo ritenne
ove la maga ha il bel garzon celato.
Folgorò quasi lampo e non sostenne
l’empia il fulgor del volto suo beato.
Cadder le guardie abbarbagliate al suolo
ed ei seco il portò per l’aria a volo.

66Sovra lucida nube egli raccolto
invisibile altrui ratto sen vola,
seco l’Angelo siede e in lui rivolto
con detti soavissimi il consola:
«Giovane al Ciel diletto, hai tu ben molto
appreso già ne la divina scola,
degno che Dio tanto onor ti degni
che di sua grazia abbi non dubbi segni.

67Tu, vivo ancor, come il mi Re m’impose,
del cui scettro un sol cenno al mondo è freno,
le stanze inaccessibili e nascose
mirar meco potrai del Ciel sereno.
Ma pria ne le caverne orride ombrose
fisa lo sguardo del tartareo seno,
e mira quai comparta aspri tormenti
l’offeso nume a le dannate genti.