Argomento
Argea ritrova il suo Lindor diletto
ferito da un serpente e seco il guida;
amante se gli scopre, egli il suo affetto
disprezza, e vien ch’ogni suo incanto irrida.
Fa vezzi a Oronta e insidie chiude in petto,
e in partir la consegna a nave infida.
Prova Oronta et Armindo aspre vicende,
Rosmondo il padre liberi gli rende.
Argea trova e cura Lindoro, poi essendo rifiutata lo imprigiona e sprona le donne dell’isola a sedurre i Franchi (1-41)
1Già su ’l meriggio è il gran pianeta asceso
e già soletta in fra le selve errante
verso l’infausto fonte ha ’l camin preso
sitibonda d’amor la bella amante.
Giunse, e mirando il bel garzon disteso
qual fior reciso in fra le verdi piante
gelò, tremo sì languida ch’a pena
semiviva discese in su l’arena.
2Gli vede appresso l’orrido serpente
che morendo in se stesso anco si volve,
e la testa recisa ancor vivente
involta nel suo sangue e ne la polve.
Di stupor piena e quasi fuor di mente
in sudor freddo e in lacrime si volve.
Cadea, ma richiamò l’alma smarrita
il gran desio c’ha di tornarlo in vita.
3Sospirando s’appressa et «Ohimè «dice,
«ove mi guida la mia dura sorte?
Credea per me questo sentier felice,
ma questa è via che mi conduce a morte.
Dunque, o crudo destin, solo a me lice
queste labra baciar languide e smorte,
e già privo di luce in fosco velo
mirare il mio bel sol fatto di gelo?
4Misera, quando udir le tue parole
i’ mi credea, tu moribondo taci.
Tanto osò vil serpente a un vivo sole
di beltà dar suoi velenosi baci?
Caro Lindor, chi fia che mi console
se tu, che sol potevi, estinto giaci?
Io pur miro e non moro affatto spenti
nel tuo volto ecclissato i miei contenti.
5Chiudetevi occhi miei, non più mirate
in due stelle cadenti i vostri mali,
vaghe stelle in comete ora cangiate
che già d’amore or han di morte strali,
che quanto nubilose e più velate
vibran più fieri i fulmini mortali.
Chiudetevi, o miei lumi, o pur v’aprite
sol col pianto a lavar queste ferite».
6Così parla, e piangendo osserva e mira
s’ancor moto ha il suo core, e bocca a bocca
congiunge, e nel cercar s’egli respira
sembra spirar quando i bei labri tocca.
Mentre in tal guisa intorno a lui s’aggira
un sospir fioco all’improviso ei scocca,
sospir non già, che come a punto ha l’ale
le vola al cor fatto amoroso strale.
7Apre poscia i bei lumi e in doppia guerra
le avventa al cor doppo lo stral le faci,
ed ella intanto più si stringe e serra
al bel nemico e gli raddoppia i baci,
né pianger cessa, e da’ bei rai disserra
su i gigli del bel viso umor vivaci,
e par l’aurora in su i languenti fiori
ravvivar col suo pianto i bei colori.
8Le chiede allora il giovinetto aita,
e dice a lei che già morendo langue,
e ’l morso de la mano anco le addita
ch’impressa ivi lasciò l’orribil angue.
Ella mirando la crudel ferita
che versa fuor per doppia strada il sangue,
restò così che dal dolor già vinta
poco mancò non rimanesse estinta.
9Ma il forte Amor tutti i suoi spirti accolse
giungendo al debil cor forza e vigore,
sì che da un vaso che avea seco tolse
perch’ei ’l bea salutifero liquore.
Poi da la man piegata ella si volse
a trar quanto più puote il sangue fuore,
indi sopra il corsier che presso avea
salir *** l’innamorata Argea.
10Va la regina al vincitor ferito
quasi in trionfo incatenata avante,
godendo in sé ch’Amor le faccia invito
di più mostrarsi ossequiosa amante,
e talor nel sentier lungo e romito
passan le spine ad impiagar le piante,
ma ’l duol non sente il delicato piede
mentre amor con sue punte il cor le fiede.
11Potria ben ella cento spirti e cento
chiamar pronti ministri a le sue voglie,
e su le nubi e caminar su ’l vento
se le magiche note all’aure scioglie,
a par ch’abbia piacer del suo tormento
e ch’a sprezzar se stessa ora s’invoglie,
perché meglio rimiri il suo crudele
non dubi segni del suo cor fedele.
12Sol d’intorno raccoglie et ei nol vede
nuvolo denso, onde nessun la mira,
e non veduta in fra le turbe il piede
move, e dove a lei piace allor s’aggira;
e, giunta al fin dove la reggia siede,
ne le stanze più interne si ritira,
e qui di serva in atto il bel garzone
sovra il letto regale ella ripone.
13Perché poi da lui parta ogni dolore
magici detti a mormorar s’appresta,
e già nel bel fanciul torna il vigore
né più fassi la piaga a lui molesta.
Splende nel volto il solito colore
e riede il riso a la sembianza mesta,
e torna Amor più crudi e più mortali
da’ suoi begli occhi a fulminar gli strali.
14S’avvivan de’ bei lumi in lui le faci,
ma più s’avviva in lei l’acceso ardore,
e con parole e con sospir loquaci
a lui fa spesso testimon del core.
Ma ’l bel garzone con ripulse audaci
mostra a quei vezzi immobile rigore,
e in lei volgendo l’una e l’altra stella
troncando i preghi suoi così favella:
15«Taci, prego, regina, il pensier mio
troppo diverso è da’ desiri tuoi,
né bramar quel ch’aborre il mio desio
se, come brami, a me piacer tu vuoi.
Troppo a le nostre leggi infido e rio
certo sarei, come saper ben puoi,
s’agevolmente a’ tuoi lascivi amplessi
ad onta del mio Dio l’alma volgessi».
16Sì dice, ed ella impaziente, stolta,
fra le cure d’amor s’aggira e freme,
poscia risponde, a lusingarlo volta
che vane larve e vani sogni teme,
e che con gioia il ciel benigno ascolta
che l’alme amanti sian congiunte insieme;
ma perché ciò brama ognor più nega
mesta, anelante, a lui s’inchina e prega.
17Non ben s’accoppia e maestate e Amore,
si scorda esser regina e piega umile
al suol prostrata e le ginocchia e ’l core,
quasi adorando l’idol suo gentile.
Ma cinto quei del solito rigore
de’ suoi sospir prende gl’incensi a vile,
e quanto ella più s’ange e più sospira
ei più sprezzante incontro a lei s’adira.
18Sdegnosa al fine del suo sdegno parte,
e solo il lascia, e se non può co i preghi
tentar disegna con sua magic’arte
far sì ch’al fine al suo desir si pieghi.
E già vien ch’ella in solitaria parte
de gli empi detti il mormorar dispieghi,
stringesi l’aria e in un momento intorno
sorgon le nubi e si scolora il giorno.
19Usciti dall’abisso ubbidienti
vengon gli spirti, e lor che brama impone.
Prendon forma di ninfe e in dolci accenti
s’apprestano danzando al bel garzone;
scherzan insieme e in molli abbracciamenti
fan dolce guerra in amoroso agone,
si mesce poi di giovani fra loro
quasi amanti di lor lascivo coro.
20Mostrano allor le vaghe membra ignude,
chi lieta ride e chi sospira e geme,
fingon talora esser ritrose e crude,
spesso in nodo d’amor stringonsi insieme.
Questa il suo caro entro sue braccia chiude,
quella tremante i dolci assalti teme;
altra fuggendo a i membri alabastrini
velo si fa de’ suoi dorati crini.
21A sì vago spettacolo improviso
trapassa al sen del giovanetto un foco,
che quasi a forza ha il freddo cor conquiso
stupido in mezzo all’amoroso gioco.
Entra allora la maga e in lieto viso
anch’ella appar ne l’incantato loco,
e, nuda il sen, con sue tenaci braccia
quasi edra un sasso, il bel Lindoro abbraccia.
22Ma s’arresta egli a quel soave invito
e si sviluppa da le sue catene,
e fugge in passo libero e spedito
e quanto può lungi da sé li tiene.
Ogni suo sforzo allor vinto e schernito,
quasi di doglia Argea cade ed isviene;
oblia l’amore, e di furor ripiena
già de gl’incanti suoi cangia la scena.
23De le ninfe il drappel tosto disparve
e al nuovo orrendo sussurar de’ carmi
folto stuol formidabile comparve
d’alti giganti ch’avean faci et armi.
Non teme il bel guerrier l’armate larve
e del solito ardire avvien che s’armi,
benché in sembianza ognor più fiera e grande
ogni gigante si dilata e spande.
24Tratto l’ignudo ferro a lor fa guerra
e vibra i colpi e l’aure e l’ombre fiede,
e rotando l’acciar s’aggira ed erra
senza timor con risoluto piede,
quando orribil tremoto apre la terra
e ’l ciel tonando lampeggiar si vede,
cala una densa nube e in un momento
seco il rapisce per le vie del vento.
25Dentro al nuvolo oscuro allor raccolta
con l’armato nemico Argea sen ola,
e seco assisa in su la sabbia folta
non move sguardo né pur fa parola,
e de l’aereo carro il fren rivolta
al mar vicino e a la città s’invola,
e va là dove annosa selva apriva
verde scena del mare in su la riva.
26Nel più folto del bosco eccelsa torre
inalza al ciel la sua marmorea fronte;
largo fiume mai sempre intorno scorre
che versa da sue vene il vicin monte,
né colà dentro alcun si può raccorre
se il passo non concede il mobil ponte,
ché dall’una, ove eretto ei si sospende,
all’altra ripa aereo si distende.
27Siasi d’incanto o di natura effetto,
ognor densa caligine il circonda,
e tale è dentro l’infelice tetto
che vi è in mezzo del dì notte profonda.
Qui stuol di spirti avea la maga astretto,
custodi eterni de la soglia immonda,
ch’in forma di guerrier con varia cura
vigilan sempre in su l’armate mura.
28Nell’incantata orribile prigione
passa la nube e con gran fretta Argea
scende seco guidando il bel garzone
che gli occhi intorno stupido movea.
Poi minacciosa a lui breve sermone,
senza mirarlo in guisa tal sciogliea:
«O dar ristoro alle mie brame ardenti,
guerriero ingrato, o qui morir convienti».
29Sdegnoso ei la rimira e non risponde,
ed ella solo in quegli orrori il lassa,
ed a lui fra le stanze atre e profonde
sceglie la più caliginosa e bassa.
Ne la solita nube indi s’asconde,
e in un momento a la sua reggia passa,
ove s’appresta ognor più d’ira accesa
del franco duce a ritardar l’impresa.
30Ella, chiamate a sé le più potenti
donne e più chiare in nobiltà del regno,
l’occulte frodi sue con tali accenti
adornando affrettava il suo disegno:
«Benché sian degne le cristiane genti
più che del nostro amor, del nostro sdegno,
stimo con tutto ciò miglior consiglio
volger il core a lor benigno e il ciglio.
31E se già d’involar non ebbe a vile
l’antica Roma e le sabine spose,
vaga di prole, onde da Battro a Tile
stendesse poi l’insegne sue famose,
così con arte ancora noi simile
potrem, senza rapir, con amorose
sembianze e lieti vezzi e cari inviti
arricchirci di prole e di mariti.
32E certo, benché abbondi il nostro regno,
fertile e ricco di frumenti, d’oro,
non ha però gran numero e sostegno
d’uomini e d’armi, ch’è il maggior tesoro.
Dunque di voi ciascuna opri l’ingegno
per dar a tal difetto ampio ristoro,
e di sì nobil ospiti si veda
pronta a le brame e volontaria preda.
33Ite liete e cortesi, e le preghiere
non sol non disdegnate e i caldi pianti,
ma gli inviti non crude e non severe
cercate prevenir de’ vostri amanti.
Quelle che sian d’amor più pronte arciere
presso mia grazia avran maggior i vanti,
e in tale occasion pudico affetto
nel nobil regno mio farà difetto.
34Ma s’alcun pur di gelidi rigori
s’armasse contro l’amoroso foco,
raddoppiate de i guardi i bei splendori
per distrugger quel gelo a poco a poco;
e per meglio ammollir que’ duri cori
itene spesso insieme in danze e in gioco,
date a lor lodi e quell’offerto onore
ne’ petti lor sia precursor d’amore.
35Così dal soglio suo l’infida Argea
spiegò sua mente in lusinghieri accenti,
e ciascuna di lor già pronta avea
ad ubbidirla i suoi pensier intenti,
e in fin l’età senil già si vedea
pomposa andar d’insoliti ornamenti,
finger gli ori a le chiome e gli ostri al viso,
giunger lampi a i begli occhi e grazia al riso.
36Come cangia talor volubil scena
orrida selva in un giardin fiorito,
così deforme vecchia in più serena
sembianza il volto suo già scolorito,
né sol nobili donne in su l’amena
piaggia a le viste altrui fan tale invito,
ma le lontane ancor da i gradi primi
seguon l’esempio de le più sublimi.
37Le ninfe in tanto trionfando intorno
turba di schiavi in lor catene avvinti
conducon quasi in Campidoglio adorno,
liete godendo insuperbir ne i vinti.
Sorga la notte o pur ritorni il giorno,
festeggian sempre a nove gioie accinti,
mentre son le guerriere ardite e belle
e vincitrici e de i lor vinti ancelle.
38Ci sotto un antro e chi vicina al mare
con l’amato guerrier lieta s’asside,
chi presso all’acque cristalline e chiare
ove un bel fonte distillar si vide;
chi si mostra ritrosa e chi beare
gode gli amanti e chi di lor si ride,
chi con l’amato suo gelosa e sola
ne’ folti boschi a gli occhi altrui s’invola.
39Stanche talor del volontario esiglio
godon poscia formar musici cori,
né bastando ad Amor l’arco del ciglio
arco si fa de’ labri lor canori.
Fregiate il crin di vaga rosa o giglio
e inghirlandate di diversi fiori,
con gemina armonia, con doppio vanto
sciolgono a i balli il piè, la lingua al canto.
40Danzano al suon d’armoniosa lira
lunghe formando e mobili catene,
et ogni amante che con lor s’aggira
la mano avvinta a la sua ninfa tiene.
Quasi baccante il folto stuol delira,
indi si posa in lieti prandi e in cene.
Accolto poi dentro i lascivi tetti
nel dolce sonno oblia gli alti diletti.
41Dicea fra tanto a Baldovino il saggio:
«Troppo, signor, de la tua gloria il grido
porta co’ suoi favor danno et oltraggio
la maga Argea nell’incantato lido,
onde incominciato alto passaggio
far ne’ regni bramati omai diffido
se tu rigido al fin più che clemente
non affretti al tornar la nostra gente.
Baldovino dichiara fuorilegge chiunque non lo raggiunga entro nove giorni (42-47,4)
42Tu su gli altri hai lo scettro, a te conviene
rigore usar, dove è pietà negletta,
che sforza ad ubbidir tema di pene
ove l’amor sol persuade e alletta.
Se il re facil si piega a cader viene
in poter de la gente a lui soggetta,
supplice volgo a cui nulla tu neghi
su ’l tuo voler sa dominar co i preghi.
43Stringi il freno a i soggetti, acciò che poi
seguan più pronti di tua man l’impero,
che se a lor troppo rallentar lo vuoi
di riverenza perdono il sentiero.
Né dico già che dove alcuno i suoi
uffici adempie, abbia tu cor severo,
che ben sai ch’è quel re simile a Dio
che su i rei fulminando a i giusti è pio.
44Dunque s’avendo a scherno i detti nostri
piegar ricusa l’ostinata mente,
e là di Cipro da i fioriti chiostri
partirsi nega l’oziosa gente,
ben è ragion che quel che puoi tu mostri
e che pur lasci al fin d’esser clemente.
Spronar il vile e ben usar conviene
a chi sprezza pietà minaccie e pene».
45Sì disse, e ’l capitan, che i suoi consigli
già volgea nel pensier, così risponde:
«Ben approvo i tuoi detti, e ben consigli,
né spero aita a sì gran male altronde.
Se prender nega volontari esigli
l’effeminato stuol da quelle sponde
giusto è adoprar, se ’l chiede il tempo e il loco,
a imputridita piaga e ferro e foco.
46Dunque dichiari omai publico editto
che s’alcuno di quei che fan soggiorno
in Cipro all’oste non farà tragitto
pria che il sol ne riporti il nono giorno,
nel numer tosto de i rubelli ascritto
s’incida in marmo di perpetuo scorno,
e che s’in poter nostro al fin la sorte
il condurrà già mai, fia reo di morte».
47Così concluse, e già l’avviso in fretta
porta pronto ministro al ciprio regno,
e già molti di lor da la diletta
isola bella di partir dan segno.
Ma la perfida Argea, che sé neglettaArgea dà ai partenti una nave diroccata, che affonda: Armindo e Oronta finiscono in mano a dei pirati, prima di essere salvati da Rosmondo (47,5-80)
vede, a inganno novel desta l’ingegno,
lascia gl’incanti e in simulati modi
d’ossequio a lor sa fabricar le frodi.
48Forma nave pomposa e in guisa infide
sue giunture compone il fabro accorto,
che qual volta vorrà s’apre e divide
in mezzo al mar prima che giunga in porto.
Così resta ciascun ch’in lei s’asside
senza tempesta in grembo a i flutti absorto,
fatto il legno, che spera all’onde, al vento
scampo sicuro, al suo morir stromento.
49Di gran cigno ha figura, argentee penne
sembrano i remi onde volar si mira,
e bianchissimi lini in su l’antenne
spiega, e de’ venti in lor raccoglie l’ira.
Né così vago mai l’Adria sostenne
legno superbo o ’l mar Tirreno ammira:
seriche sarte e in lucido lavoro
mostra la poppa sua purpurea ed oro.
50Da la fuga d’Oronta Argea raccolse
sdegno crudele, ancorch’in sen l’asconde,
e sempre ad arte sotto il vel l’avvolse
di parolette placide e gioconde.
or contro Armindo e contro lei si volse
perché restin sommersi in mezzo all’onde,
né intepidir sì fiero sdegno puote
di fratello l’affetto o di nipote.
51Quindi a lor così parla: «Il ciprio regno,
già che sì tosto abbandonar volete
ed è il mio pianto a voi scarso ritegno,
ne la regia mia nave ir ne potrete.
Questa a voi serva del domini in segno
ch’in me medesma e ne i miei regni avete,
e, benché eguali a tanto amor non sono
segni, vi piaccia d’accettarla in dono.
52Dal terzo ciel sovra di voi discenda
di lieti influssi avventuroso nembo,
e nel tuo sen Venere bella accenda
fertili fiamme e ti fecondi il grembo.
Da lo sdegno de’ venti Eolo difenda
le vele, e l’onde del pin baci il lembo,
vi guardino da scogli i cieli amici
e vi guidino in porto aure felici».
53Rende a lei grazie il prencipe cortese,
e più col pianto che col dir risponde
la bella Oronta, che non sa l’offese
che la crudele entro i suoi vezzi asconde.
Già s’appressa la nave e già discese
son varie genti in su l’estreme sponde;
partoni i prenci e varia ancor s’invia
turba ch’al campo di tornar desia.
54Su l’aurea poppa la regal donzella
benigna in volto e maestosa siede,
e quasi Marte con Ciprigna bella
sederle appresso il bel guerrier si vede.,
né più lucente l’amorosa stella
su ’l carro dell’aurora il sol precede,
né mi lume sì vago e sì sereno
Cinzia mostrò dell’atra notte in seno.
55Sferzan l’onde co i remi e intorno miri
su l’acque infrante biancheggiar le spume,
e par ch’il vento sì soave spiri
come tema nel mar bagnar le piume.
Sembra nel sen de i liquidi zaffiri
che fiammeggi del sol più chiaro il lume,
e lo splendor di sì giocondo volto
par ch’abbia in gioia il mare e ’l ciel rivolto.
56Gode nel cor d’alta letizia pregno
fra le pompe d’Amore e di fortuna
felice Oronta, e di sua gioia in segno
Armindo abbraccia, e vezzi a vezzi aduna,
quando si frange in un momento il legno
e de’ lor volti il bel seren s’imbruna;
s’apre nel mezzo e, quasi a duro scoglio,
franto lo copre già del mar l’orgoglio.
57Sovra l’onde la morte in fiero aspetto
formidabile appare a i naviganti,
e già ciascun dal gran timore astretto
mesce all’onde del mar l’onde de i pianti.
Chi nuota e chi tenacemente stretto
afferra alcun de’ lievi legni erranti,
chi mentre incauto il suo compagno abbraccia
a due, per non morir, morte procaccia.
58Nuotan l’aurate vele e sparsi aggira
remi ed antenne l’ondeggiante flutto.
Altri immerso già spira, altri sospira,
altri nel fondo è già del mar ridutto;
così la morte trionfando gira
e l’ondose campagne empie di lutto.
Pochi salva fortuna e pur tra questi
vien ch’Oronta et Armindo in vita resti.
59Non ungi molto, ove s’aprì la nave,
cinta di scogli un’isoletta sorge,
ch’ad alcun d’essi, che ’l morir già pave,
pur qualche speme di salvarsi porge.
Nuota Armindo, d’umor sordido e grave,
con braccia ardite, e seco Oronta scorge,
ella lui segue, e fa d’un lieve segno
all’inesperto ardir fido sostegno.
60Per diritto sentier quanto più puote
ratto nuotando all’isola s’invia,
e benché lungi co’ sospir l’ignote
bramate arene salutando gia,
giungono al fine, e su la dura cote
prendono alpestre e solitaria via.
Osserva Armindo tra ferine forme
se ravvisar di piede uman può l’orme,
61e mentre accorto il solitario sasso
cercando va per dirupato calle,
discopre al fin, volgendo gli occhi al basso,
stagnar placido lago in una valle,
e qui molti guerrier ch’in lento passo
onusti d’acque a lui volgon le spalle.
Lor chiama e prega che colà brev’ora
non neghin far pria di partir dimora.
62Aspettan questi, ei con Oronta giunge,
e in un va con essi, in su ’l naviglio ascende,
ma dall’isola molto eran non lunge
quando in lor brama di predar s’accende,
desio dell’oro e più gl’instiga e punge
l’alta beltà ch’in fronte a lei risplende.
Già gli legano entrambi e già lor fiede
dura catena il delicato piede.
63L’un guarda l’altro e nell’altrui tormento
inasprisce pensando il suo dolore,
né sa voce formar, formar lamento
fra tante angoscie instupidito il core.
Che gl’involino Oronta alto spavento
affligge Armindo, e questo è il mal peggiore,
misero, e pria ch’a lui sì cruda sorte
giunga brama il meschin naufragio e morte.
64Intanto Oronta, di crudel fortuna
preda infelice, in sì dubbioso stato
non vedea strada di salvarsi alcuna
tanto l’è avverso il suo destin spietato.
Già l’empia turba contro lei s’aduna
con fier sembiante, anco fra vezzi irato;
sforzar la tenta et ella è stabilita
pria ch’il virgineo fior perder la vita.
65Odia la sua bellezza, Amore accusa,
e condanna egualmente uomini e dèi,
et aver brama il volto di Medusa
ond’abbia forza ad impetrir quei rei.
Stupida stassi e nel gran duol confusa,
e gli occhi in tanto affissa Armindo in lei.
Ella lui mira, e con sembiante esangue
nel commun duolo e l’uno e l’altro langue.
66Mentre sono in tal rischio, alzando i gridi
misti col pianto, pallida e tremante,
prostrata a i piè di quei ladroni infidi
così dice ala sfortunata amante:
«Questo dunque è quel porto ove mi guidi,
empio destin, doppo sciagure tante?
me dunque in mezzo al foco e in mezzo all’acque
sol per mio maggior mal salvar ti piacque?
67Deh, se pur senso in voi d’umano affetto
serbate, per pietà datemi morte,
che pria che resti l’onor mio negletto
stimo or ora morir felice sorte.
Pietoso ferro, eccoti nudo il petto
a quest’alma infelice apri le porte;
pietoso ferro, e più pietosa mano
se in me non vibri la sua punta in vano.
68Se sol dal mio morir forza è ch’io speri
difesa all’onor mio, pace a la mente,
deh per pietà mostratevi in me fieri
e ferite il mio sen, benché innocente».
L’alma così de i barbari guerrieri,
che pur favilla di pietà non sente,
placar tentava, ma quei ladri ingordi
più prega e piange, più son crudi e sordi.
69Il più audace di lor già su la gola
le ferma il ferro, e ’l biondo crin le stringe,
et ora la sgomenta or la consola
con parolette ch’adornando finge.
Oronta allor, senza più far parola,
or di rossore or di pallor si tinge,
e preda è omai dell’amator crudele
quando scopronsi in mar nemiche vele.
70Lasciano i dolci assalti, ognun s’appresta
all’ire, all’armi, a la difesa intento,
ché già contro di lor rapida e presta
la nave vien, ché la seconda il vento.
Così fortuna a i fidi amanti infesta
sue vicende cangiava in un momento,
e mentre par che scemi in lor la pena
pur minaccia a i lor piè nova catena.
71Contro forza maggior non vien resista
e rendersi ciascun consiglio prende;
ma, quei cedendo, la vittoria acquista
la nobil coppia, e grazie al Ciel ne rende,
che dalla croce che su ’l legno ha vista
esser cristiani i cavalier comprende,
benché ad arte altri fregi e segni finti
su le vele fallaci abbian dipinti.
72E, come il fato vuol, mirasi accolto
d’Armindo il genitor sovra quel legno,
che tosto ravvisando il noto volto
volge in riso giocondo il fiero sdegno.
Già le catene al caro figlio ha sciolto,
né può tener le lacrime a ritegno;
piange anch’Oronta, e con affanno preme
nel combattuto cor le gioie estreme.
73Chiedeva al figlio il gran guerrier ch’il giro
di sue fortune a raccontar s’appresti,
ed ei, tratto dal petto un gran sospiro
mostrando gli occhi ora sereni or mesti,
incominciò: «Signor, s’io vivo e spiro
cortese dono è de’ favor celesti,
che me involàr con memorabil sorte
de le fauci più volte de la morte.
74Come è a te noto il rigoroso editto
ne mandò in Cipro il nostro duce accorto,
che nove giorni il termine prescritto
a tutti impose il far ritorno in porto;
perch’io non resti infra i rubelli ascritto
prendo congedo, e ’l canape ritorto
tosto per ritornar sciolto dal lido
ne la nave d’Argea lieto m’assido.
75Giunto era in alto il mal sicuro pino,
cheto era il mare e tacean l’aure avverse,
quando, o sua fraude o mio crudel destino
fosse, la nave il fragil fianco aperse.
Mentre in grembo dell’acque in giù ruino
tutti in un punto il crudo mar coperse,
ma, pur tra quei che non restaro absorti,
avvien che l’onda mi sostenga e porti.
76Nuota ancor meco Oronta, e fida scorta
la regge lieve tronco in mezzo all’acque,
doppo che mezza ella tra viva e morta
per breve spazio in fondo al mar sen giacque.
Nuoto io con una e l’altra mano accorta
per guida sua porger a lei mi piacque;
così per l’onde ove uno scoglio sorge
non lungi amico fato al fin ne scorge.
77Solitaria è la rupe e d’abitanti
non miro alcun vestigio in su l’arena,
e più ricerco penetrando avanti
la trovo più di boschi e d’ombre piena.
Mentre d’Oronta sbigottita a i pianti
nel dolente mio cor cresce la pena,
costor trovammo, che pietà nel volto
mostraro infin che n’ebbe il legno accolto.
78Sciolta a pena la nave era da lido
che pesante catena il piè n’avvolse,
e di lascivia pien lo stuolo infido
a la beltà d’Oronta il pensier volse,
e sol perché ne desti aiuto fido
il candor virginale a lei non tolse.
Or da tue mani sciolto ecco a te lice
il tuo figlio mirar, padre felice».
79Pieno tutto di gioia il buon Rosmondo
con amplessi iterati allor lo stringe,
e in sembiante non men lieto e giocondo
Armindo con sue braccia il padre cinge,
mentre anco Oronta, che dal grave pondo
di tante cure è sciolta, il volto pinge
d’un bel sereno e le purpuree rose
scopre, ch’il gran timor tenea nascose.
80Prende de gli empi allor giusta vendetta
il duce, e tutti fa gettar nell’onde,
e per l’ira mostrar c’ha in sé concetta
vuol che l’infame legno anco s’affonde.
E già la maggior vela all’aure eretta,
ratto sen vola per le vie profonde,
e ’l pin drizzando nel sentier più corto
lieto s’invia con la gran preda in porto.