Argomento
Spinge a nova battaglia i suoi guerrieri
e occultamente il re move l’antenne,
ma Baldovino, i suoi disegno fieri
già discoperti, incontro lui sen venne.
Fuggon dopo gran zuffa i Traci alteri
mentre sotto Bizanzio egli pervenne.
Gran danno fa l’astuto Sartabano
con le sue frodi al vincitor cristiano.
Vittoria dei Franchi su Aronte (1-34,2)
1Già sparite eran l’ombre e in Oriente
dal sol fuggendo s’arrossia l’aurora,
e cedendo ogni stella al raggio ardente
al gran lume s’ecclissa e si scolora,
quando su i legni de i cristian si sente
nunzia di guerra alta armonia sonora,
e a i fieri inviti ancor lungi risponde
la tracia tromba e ne risuonan l’onde.
2Il saggio duce de’ nemici a fronte
con bell’ordin movea l’alate antenne,
quando schierando ancor sue navi Aronte
per gli ondosi sentier oltre sen venne.
Stuol di veneti legni ardite e pronte
primo spiegò de’ remi suoi le penne,
e con impeto tal, come abbia l’ale,
de’ greci legni il destro lato assale.
3Fende l’aria di strali aspra tempesta
che quasi nube par che adombri il cielo,
folta così da quella parte e questa
che punto spesso è l’un dall’altro telo.
Molti cadono estinti e già funesta
morte converte i corpi esangui in gelo.
Sospira altri piagato et altri langue,
e versa co i sospir l’anima e ’l sangue.
4Cresce la zuffa, un pino all’altro avventa
gli adunchi ferri onde partir non possa,
né l’una e l’altra gente allor paventa
salir su i legni, ancorché spinta e scossa.
Pur la turba pagana assai più lenta
più che dal ferro è dal timor percossa,
e un presago terror che il cor le fiede
la man e arresta e con la mano il piede.
5E dimostrando un fievole vigore
non da virtù ma da vergogna è spinta;
s’inoltra avanti con dubbioso core
e par che sia pria di pugnar già vinta,
e senza far difesa alcun si more
e il legno e l’onda del suo sangue ha tinta.
Ma non già tal d’Osir la gente eletta
guerreggia, e fa di lor viltà vendetta.
6De’ veneti guerrier duce sovrano
Alviso allor, con formidabil fronte
su la nave trapassa e non in vano,
ché il capitan vien che improviso affronte.
Ma questi, ch’è di cor forte e di mano
vien resoluto al gran nemico a fronte,
e intorno a lui tosto gran turba inonda
che nel rischio il difende e lo circonda.
7D’aste e di spade un gran rumor s’aggira,
e ben cento lor punte hanno un sol segno,
ma son tanti offensori al brando, all’ira
dell’invitto campion scarso ritegno.
Fulminan gli occhi e mentre il ferro gira
più d’un piagato fa cader su ’l legno,
né s’allenta giamai fin che nel sangue
d’Osir non tinge e ’l fa cader esangue.
8L’orme seguì del veneto campione
la schiera sua, di cui già ’l legno è grave,
e generosa i ferri a i ferri oppone,
ché de la vita del suo duce pave;
cadon molti, altri fugge, altri è prigione,
e già preda è di lor la greca nave,
e seco ancor del destro corno molti
legni o son presi od al fuggir son volti.
9Ma in altra parte con diversa guerra
pugna quasi cedendo il popol franco,
e già Bimarte a lor si stringe e serra
che dell’armata ha in cura il lato manco.
Ma mentre ei molti in varie guise atterra,
lega Rosmondo a la sua nave il fianco,
e la sua gente da sublime loco
vibra a i legni soggetti e strali e foco.
10Quasi ardente Vesuvio incendi versa
dall’alte cime sue l’eccelsa mole,
mista al fumo la fiamma al ciel conversa
fra le nubi e fra i lampi eclissa il sole;
qual di stragi improvise intorno aspersa
lasciar la piaggia dal Tirreno ei suole
tal restano le navi, e franti e sciolte
prima dal foco e poi nel mar sepolte.
11In una lieve saettia Bimarte
fugge veloce e per rossor s’asconde
or che sue navi e lacerate e sparte
dal nemico furor vede per l’onde.
Vola Cesare intanto in quella parte
che par che più di difensori abonde,
ove è nel mezzo de l’armata Aronte
con molti legni a Baldovino a fronte.
12Quinci, quindi in un punto allor vedresti
uscir ben da mill’archi alati strali,
che ministri di morte agili e presti
piaghe improvise altrui portan su l’ali.
Spinger le prore e l’uno a l’altro infesti
vedi urtarsi cozzando i legni frali,
e molti ancor mentre l’un l’altro preme
in nemica union stringersi insieme.
13Cesare allor con la faconda voce
correndo in mezzo impetuoso e ratto,
rincora ardito il suo drappel feroce
e in breve tempo ha detto molto e fatto,
e, spinto avanti il legno suo veloce,
già contro Aronte egli primier ‘è tratto.
Ma gran turba d’armati a lui contende
il passo, e pronta il duce suo difende.
14Già d’estinti e feriti era ripiena
e l’onda e i legni, ov’è sol morte e lutto,
e vele e remi et aste in giro mena
rosseggiante di sangue il salso flutto,
quando arrivò su la sanguigna scena
Rosmondo in un col suo drappello instrutto,
e parve in mar, qual ne’ celesti campi,
Giove a gli empi avventar fulmini e lampi.
15Qual feroce leon dianzi rinchiuso
esce talor da la prigione aperta,
e pone in fuga il popolo confuso
per ogni via, siasi pur piana od erta,
tal la gran nave, ond’è l’ardor diffuso,
caccia la gente di sua vita incerta,
vince e ancor non offende e folgorando
atterrisce ogni core et ogni brando.
16Per mezzo va la fulminante torre
dell’alte navi e nulla mai l’arresta,
ch’ognun cede, temendo in sé raccorre
quella di fiamme orribile tempesta.
Odaspe sol con le sue navi accorre
e ’l gran navilio ad assalir s’appresta,
e già ’l ferma e primier per l’erta via
sotto un nembo di fiamme egli s’invia.
17Seguono gli altri, e perché omai difetto
han di bitumi, agevol è l’impresa,
oltre ch’ampi coperchi il capo e ’l petto
armano contro a la gran pioggia accesa;
ma Bimarte a quei forti il guardo eretto
si pente già d’aver la fuga presa,
e molte sparse navi allor raccolte
di nuovo in guerra le sue schiere ha volte.
18Alviso intanto, che folto stuolo
circondato rimira il gran campione,
con dieci navi sue dispiega il volo
e presto accorre all’inegual tenzone,
e seco Rosmondo anco il figliolo,
il forte Armindo, a i legni lor s’oppone,
e qui vedi anco insanguinar le mani
il ribellato Osman ne’ suoi pagani.
19Solo in udir la spaventosa voce,
solo in mirarlo ognun s’agghiaccia e trema,
e nell’orror del guardo suo feroce
vede presente la ruina estrema.
Se il ferro move o uccide o impiaga o noce,
ben forte è quel che lui non fugga e tema.
Rischio non cura, e in mezzo a cento spade
mentre pura tanti fa cader non cade.
20Dentro colà la torreggiante prora
ove Odaspe è salito al fin ascende,
ove il pagan co’ suoi più forti ancora
con assalto crudel Rosmondo offende.
Urta, apre il folto de la turba e allora
aspra vendetta contro lui si prende,
che il riconosce suo mortal nemico
come de l’empio re ministro amico.
21E già su la maggior torre si vede
d’Odaspe il capo in lungo tronco affiso,
e ’l busto sanguinoso anco da un piede
legato a vista altrui pender deriso.
Freme in mirando ed a mirar pur riede
trofeo di morte il già temuto viso
la persa turba, e i suoi nemici affronta
che vendicar del duce suo vuol l’onta.
22Ma qual senza il suo capo il busto esangue
del suo signor, tal senza guida resta
l’infedel volgo e intepidito langue
e, freddo ne’ suoi moti, al fin s’arresta.
Così coda talor di recis’angue
a seguir chi l’offese in van s’appresta,
e in van co’ giri obliqui ella si rota
e su l’arena al fin rimane immota.
23Fuggono i Persi al fine, e ’l vincitore
giunger non può le lor veloci antenne,
uscite già dal gran periglio fuore,
ché di velocità vincon le penne.
Così in fuga sospinge il vil timore
lo stuol che sì feroce in guerra venne,
e seguon dietro di lor orme i segni
non men fugaci ancor gl’ìndici legni.
24Ma le libiche navi, ove Elbazaro
condusse in guerra elette schiere e forti,
ne la più stretta zuffa allor restaro
fra i perigli, fra ’l sangue e fra le morti,
né i sospir de’ feriti o ’l pianto amaro
vien che temenza a i cor feroci apporti,
e qual cignal che più percossi i denti
aguzza più, più son nell’ira ardenti.
25Par che incontrar la morte abbia vaghezza
la fera gente e in disperata guerra
e l’ire e l’armi e tutti i rischi sprezza,
e co’ nemici più si stringe e serra.
Mostra Elbazaro indomita fierezza
e già la spada con due mani afferra,
la move in giro e fa da tutti i lati
molti estinti cader, molti piagati.
26Sovra il legno d’Adolfo è già salito
e tal guerreggia il capitan feroce,
ch’in molte parti lacero e ferito
quanto egli è offeso più tanto più noce,
quando Edoardo, al fido amico unito,
sfidalo a guerra con terribil voce,
e irreparabilmente il ferro spinto
entro sue vene il fa cader estinto.
27Ma si stringe a battaglia in quel momento
de la sua gente numeroso stuolo,
e in lor cresce lo sdegno e l’ardimento
dell’estinto campion l’amaro duolo.
Vengono altri di Libia al duce spento
anco soggetti, e con più ratto volo
vèr le navi cristiane Irman si spinge
e ’l morto amico a vendicar s’accinge.
28E in mezzo ad esse, di guerrier ripiene,
vibrar s’appresta inusitati strali.
Raccolse ei già da l’africane arene
copia d’angui pestiferi e mortali,
che famelici poi gran tempo tiene
chiusi nel sen di terrei vasi e frali,
questi cadon su i legni e rotti allora
i guerrier velenosi avventan fora.
29Con lubrici volumi escon ritorte
sparse di macchie d’or serpi voraci,
che in rabbioso furor portan la morte
ne’ lor denti acutissimi e mordaci.
Molti fuggian la miserabil sorte,
stringean altri pugnando i ferri audaci,
ma poco val, ché quasi d’Idra infeste
veggono ognor ripullular le teste.
30Però che avventa in coppia assai maggiore
di quello che credean le serpi orrende
la man nemica, e s’una pur no more
ne sorgon dieci, se nova urna scende.
nova forma di guerra ove il terrore
non men de’ morsi anco i più audaci offende,
né il fuggir giova, anzi il fuggir si teme,
ché spesso per fuggir l’angue si preme.
31Animate saette, arco a se stessi
fansi talora e senza penne han volo,
e portan, sibilando, i denti impressi
nel volto o ne la man l’ultimo duolo.
Restan così dal gran timor oppressi
che talor fuggon molti un angue solo;
or che fia poi se orribile e mortale
turba di serpi un sol guerriero assale?
32E più che i morsi irreparabil male
reca il fiato pestifero e nocente,
ché sparsa di velen l’aura vitale
invisibile stral fère la gente.
Così portato de i respir su l’ale
fa on piaga mortal l’alma languente,
e da quell’aure onde aver suol aita
ristoro micidial tragge la vita.
33Ma già Rosmondo con sue falci il legno
ove Aronte combatte ha seco unito,
né sol nel volgo vil sfoga il suo sdegno
ma mortalmente ha il capitan ferito,
onde già di fuggir non dubbio segno
dà il resto dell’armata sbigottito,
ed ora quella or questa nave è presa,
e pochi i legni son che fan difesa.
34Già per l’ondose vie privi di duce
erano sparsi i fuggitivi pini,
già rotta l’oste, Baldovin conduceL’esercito arriva in vista di Bisanzio, Baldovino rassicura il fratello spodestato di Alessio (34,3-47,2)
verso Bizanzio i trionfanti lini.
Or mentre a i lidi traci egli s’adduce,
par che già l’Asia il collo al giogo inchini,
e che il Gange espugnato e ’l Termodonte
al cristian vincitor pieghi la fronte.
35Giunge l’armata in su le tracie sponde
e lieto grido in arrivar si sente,
e incontrandola già corre per l’onde
per seco unirsi la rubella gente,
e, benché i lido a cui s’appressa abonde
d’armate torri a custodirlo intente,
l’abbandona la turba e paventosa
impedir lor passaggio ella non osa.
36Già su la spiaggia Baldovin discende
con le sue genti e ’l gran Bizanzio a fronte
mira, ch’al ciel con l’alte cime ascende
e chiude nel suo sen ben più d’un mote.
Con forti mura intorno egli si stende
e in terra e in mare ha sue difese pronte,
e con l’armata inespugnabil faccia
di nova guerra i vincitor minaccia.
37Ma già parton del sol gli aurei splendori
e di sue stelle si riveste il cielo,
e fuori uscita sovra l’erbe e i fiori
stende la notte il rugiadoso velo,
che d’ombre cinta i bei diurni ardori
con la man fredda ha già conversi in gelo,
onde le schiere con lor guardie intorno
sotto i tetti vicin fanno soggiorno.
38E qui prendon ristoro, e qui già cura
medica mano ogni guerrier ferito,
né cessar vedi la pietosa cura
benché fan l’ombre al dolce sonno invito.
Ma dileguando già la notte oscura,
a pena il sole in Oriente è uscito
quando, disciolto già di sue catene,
il cieco Ifacio a Baldovin sen viene.
39«Prencipe invitto, «disse «al cui valore
tremano gli empi e il mondo umil s’inchina,
a cui fia picciol premio e scarso onore
l’Asia, ch’ora al tuo scettro il Ciel destina,
ben tempo è omai che te prostrato onore
chi per te scampa da mortal ruina,
e sol per te sovra il tiranno indegno
vede del Cielo fulminar lo sdegno.
40E se ben co’ miei lumi, onde sol miro
fosca e perpetua notte, orbo infelice,
riveder più la luce in van sospiro
e mirar tuoi trionfi a me non lice,
pur co i pensier che nella mente aggiro
tue vittorie vagheggio anch’io felice,
e par de gli occhi miei che l’ombre amare
la tua gloria addolcisca e in un rischiare.
41Del mio crudo fratel l’alta fierezza
non è a te ignota, e a chi non è palese?,
che del mondo e del Ciel le leggi sprezza,
e infin la patria e ’l proprio sangue offese.
Ei con la man sempre a rapir avvezza
fabro a me fu d’inusitate offese:
tolse lo scettro e, quel che più mi duole,
tolse il crudo a’ miei lumi i rai del sole.
42Poscia per meglio assicurar suo regno
e in fronte stabilir le sue corone,
posto in oblio come del Ciel lo sdegno
sovra gli empi talor fulmini e tuone,
messi in fuga i miei figli il mostro indegno
qual reo fra ceppi in carcere mi pone,
e di Bizanzio fuor mi fa riporre
entro guardata inaccessibil torre.
43E de la morte ond’io bramoso fui,
nega a me che al mio martir dia fine,
nel mio lungo penar gli sdegni sui
sfogando, e le sue brame e empie e ferine.
Così, mentre io fra ciechi orrori e bui
men vivo, porta mie corone al crine,
e mentre quasi in tomba egli mi serra
con el proprie mie forze a me fa guerra.
44Or come tu senza aspettar miei preghi
tue schiere hai mosse, in un pietoso e forte,
così sper’io che tua pietà non neghi
difender me da la vicina morte,
e se avverrà ch’al fin s’inchini e pieghi
al tuo scettro guerrier d’Asia la sorte,
spero da tua bontà, che il dritto aita,
a me stesso, e’ miei figli e pace e vita».
45Qui tacque Ifacio, e da’ suoi chiusi lumi,
ch’amaro Occaso in notte eterna asconde,
apre di pianto allor duo larghi fiumi,
mentre a lui Baldovin così risponde:
«In van, prence, nel duol l’alma consumi,
or che è giunto il mio campo a queste sponde,
ch’in breve spero del sofferto scempio
vendetta far su ’l re crudele et empio.
46Or soffri invitto pur l’alta sciagura
e mira almen do’ tuoi pensieri il cielo,
e togli, prego, omai da l’alma impura
per te salvar del paganesmo il velo,
ch’il sommo Dio, ch’il tutto vede e cura,
il punirà co suo fulmineo telo.
Così vivrà ne la prigione inferna,
tu in breve notte et egli in notte eterna».
47Mandano intanto le città vicine
le chiavi a lui d’ubbidienza in segno.
Ma pur, benché preveda alte ruine,Sartabano conduce molti guerrieri franchi nella montagna, apre le dighe e li affoga (47,3-74)
sostiene Alessio il già cadente regno,
et augurando aventuroso fine
a le speranze sue nudre il suo sdegno,
e rinforza le mura e cerca in parte
raccor gli avanzi di sue schiere sparte.
48Ma Sartaban, ch’omai vedea languente
crollar già d’Asia il riverito impero,
fatto di nuovo a Baldovin presente
tenta a fine ridurre il suo pensiero,
e volta al fin del capitan la mente,
sì ben colora con sue frodi il vero,
ottener può che ne le ricche grotte
alcune schiere sian da lui condotte.
49Dell’ignoto pastor sotto la guida
tosto partìr con frettoloso piede.
Passano il mar dietro la scorta infida,
tanto ciascuno a sue menzogne crede.
Per calli obliqui Sartaban gli guida
ove al lido non lungi erger si vede
la fronte un colle, entro al sui seno scabro
l’inganno ordì l’insidioso fabro.
50Van per l’alpestre via liete e festanti
l’ingorde turbe a la magion de l’oro,
alzan le voci e talor anco i canti,
e s’ode intorno un mormorio sonoro.
L’astuto ingannator con novi vanti
speranze aggiunge a i desideri loro,
sì che per ritrovar ricchezze tali
giunger vorriano a le lor piante l’ali.
51Nasce intanto nel campo un gran bisbiglio
che par ch’ognor più formidabil suoni,
e con detti sdegnosi e bieco ciglio
già vien che contro il duce suo ragioni,
e fatto capo di Mireno il figlio
de la plebe adirata in tai sermoni
fatto repente al suo signor rubello
dispone a la partenza or questo or quello:
52«Così dunque negletto è il nostro merto
che a noi gli altri prepone il franco duce,
et or ch’è il varco a le ricchezze aperto
da i vicini tesor lungi n’adduce?
Ciò ch’abbiamo fin qui dunque sofferto
degno forse non è de l’aurea luce?
Sì crede certo, mentre altrui rivela
de l’oro il fonte e a noi l’ingrato il cela.
53Sarem del proprio sangue e de la vita
prodighi noi perch’ei trionfi e regni?
Andrem col ferro e con la mano ardita
di mille schiere a rintuzzar gli sdegni,
poi, se fortuna a i suoi tesor n’invita,
come noi stimi de’ suoi doni indegni
altra saran dal suo favor condutti
de la messe felice a còrre i frutti?
54Generosi compagni, ite e pugnate
con forte cor ne le più dubbie imprese,
schiere uccidete, ardete navi e fate
a chi poi vi schernisce alte difese!
Perché troppo a sue voglie il cor piegate,
a calpestarvi quel superbo apprese,
che mentre di pietoso il nome finge
sotto giogo più fiero ognor ne stringe.
55Andianne dunque, o che ’l consenta o ’l neghi,
ove n’invita avventurosa sorte.
Perché chieder mercé, porger più preghi
s’aperte son di libertà le porte?».
Sì parla, e già gran turba avvien si pieghi,
pronta a seguir del cavalier le scorte.
Parton già molte schiere ascose e chete
de l’or bramato ad ammorzar la sete.
56Altre poi seguon, da l’esempio mosse,
sì che già il campo indebolito resta,
e il duce intanto, a cui gran tema scosse
il cor pensoso, e stupido s’arresta,
– Or con quai genti a le nemiche posse
far resistenza Baldovin s’appresta?
dunque fia ch’il nemico ora qui veda
facil me fatto e incustodita preda? -,
57sì tra sé parla, e al fin consiglio prende
di girne là dove è sua gente accolta.
E colà giunto fa spiegar le tende
quasi abbia a l’opra anch’ei la mente volta.
Così a pregar chi ubbidir dèe non scende
e l’oste insieme ha in guisa tal raccolta
serbando a tempo a lui castigo degno
che de la plebe suscitò lo sdegno.
58Poco lontan da le marine sponde
sotto ruvide balze ampia caverna
s’apre, che ne le viscere profonde
per lungo tratto del terren s’interna.
per occulto canal passano l’onde
del mar vicin ne la sua parte interna,
quando l’argine rotti il fabro instrutto
le vie disserri all’ondeggiante flutto.
59Oro et argento in fra le ricche vene
imitando natura arte nascose,
et impuri metalli e non serene
glebe per meglio altri ingannar vi pose.
De i promessi tesor cresce la spene
sì ch’entra ognun ne le caverne ombrose,
scende a gara la turba e folta insieme
calca l’ignote strade e s’urta e preme.
60Vedresti già dentro l’infide grotte
sparse mille e più faci ardere intorno,
che quell’orrenda e sotterranea notte
rischiarar ponno e riportarvi il giorno.
Credon l’avide genti ivi condotte
colà trovar de l’aurea copia il corno,
e per più ricercar cavan più a dentro
e s’invian de la terra al cupo centro.
61Fabrican sue ruine, e più capace
rendon la tomba, al proprio danno volti,
infausta tomba ove lor brama audace
prima che morti ecco gli ha già sepolti.
Ma già per torbidi umor del mar vorace
per l’incognite vie corron disciolti
e già ne le caverne atre e profonde
con rauco mormorar gorgoglian l’onde.
62Attonito ciascuno all’improviso
diluvio d’acque per timor s’agghiaccia,
e quasi un marmo, dal terror conquiso,
immobil resta e non sa che si faccia.
Mista l’onda col pianto, il seno e il viso
bagna a i meschin mentre l’un l’altro abbraccia.
Tace chiusa da l’acque e non respira
la bocca, e intanto fuor l’anima spira.
63Quei che non eran nel profondo scesi
e più vicini a ritrovar l’uscita,
come per guida i bracci avanti stesi
cercan fuggendo di salvar la vita.
Si salvan pochi, al ciel aperto ascesi,
gli altri con mente stupida e smarrita
rapiti a forza dal furor dell’onde
bevon la morte entro quell’acque immonde.
64Così gran turba entro quegli antri prova
inusitata orribile tempesta,
che più ad ognora i suoi furor rinova
a i novi umor ch’il mar vicino le apresta.
Vano è ogni schermo e qui fuggir non giova
così rapido ha ’l piè l’onda funesta.
Sospir non odi e ne l’immensa tomba
solo de l’acque il gran fragor rimbomba.
65Su lieve pin verso Bizanzio in fretta
tutto festante Sartaban sen riede,
e de i nemici aver vittoria aspetta
or che parte di lor sommersa vede;
e, giunto al fin, la pastoral negletta
spoglia deposta, al re udienza chiede.
Disse poscia: «Signor, come ben sai
là nel campo nemico occulto andai,
66e seppi in guisa oprar che lo sperato
successo a noi recò palme felici.
Finsi i pianti e sospir, fin che piegato
ebbi il credulo duce a i detti amici.
Venne a l’auree caverne ove il bramato
tesor diè tomba a i tuoi nemici,
né poca gente ivi delusa giacque
ne la fame de l’or sazia de l’acque.
67E forse ancor, come ho sicura speme,
l’aureo splendor di vagheggiar bramosi
quivi restàr con Baldovino insieme
i più forti del campo e i più famosi,
ove il mar, che per te guerreggia e freme,
diè lor fra l’acque gli ultimi riposi,
e co’ suoi flutti in quel gelato loco
di tante fiamme lor vendicò il foco».
68Gode Alessio, et alzando al cielo il volto
dice: «Ho ben io donde compensi il duolo
se di guerrier sì numeroso e folto
stuolo a morte condusse un guerrier solo,
trofeo degno di te che qui sepolto
resti il popol cristian nel tracio suolo;
e sol per te l’alma presaga spera
da gli empi riportar vittoria intera.
69Ma Baldovin per tante stragi afflitto
modo non trova onde il suo duol conforte,
che pur troppo gli scote il core invitto
de’ suoi guerrier la miserabil morte.
Dubbio discorre e mentre il caso ascritto
or ad inganno or a perversa sorte,
del certo danno è la cagion incerta,
frode la stima, e pur non ben s’accerta.
70E contro Alceste, che rubelli detti
sparse nel campo e là guidò le schiere,
vien che giusto disdegno omai s’affretti
al suo fallo apprestar pene severe.
Uscì costui da i sotterranei tetti
quando entràr l’acque impetuose e fere,
e d al’onde a gran pena allor scampato
a più crudo morir salvollo il fato.
71Mentre in tal guisa in varie cure immerso
sospira Baldovin dal cor profondo,
l’acerbo affanno a mitigar converso
in lui rivolse Alteo sguardo giocondo.
«Sostieni, invitto del tuo fatto avverso,»
disse «signor, ben che sia grave il pondo,
ch’allor più si fa grande anima fore
quanto più contro lei cruda è la sorte.
72Vibra a i più forti ognor colpo spietato,
con gl’imbelli pugnar sdegna fortuna,
sol contro un petto di virtute armato
con nube d’ira il fiero volto imbruna.
Per prova far del tuo valore usato
contro il tuo core ogni sua forza aduna,
non perché t’odi già ma perché vuole
splenda più chiaro di tua gloria il sole.
73Son l’orrende sciagure i fieri mostri
con cui devi pugnar novello Alcide;
gli artigli del leon, del drago i rostri
d’Ercol la man trionfatrice irride.
Escan le furie da’ tartarei chiostri,
vera virtù mai temer si vide;
fulmini il ciel, s’apra l’inferno al fine,
impavida sostien l’alte ruine.
74Vinci dunque fortuna e con l’usato
valor t’accingi a seguitar l’impresa,
e ’l resto de l’esercito adunato
sospingi omai vèr la città difesa».
Sì parla il saggio, e del guerriero amato
di nova speme ha già la mente accesa
sì che i passati affanni in parte oblia,
e vèr Bizanzio le sue navi invia.