commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto X

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:42

Argomento
Come gl’impose Dio, l’Angelo guida
Lindoro a rimirar gli antri infernali,
lo scorge poi, scorta benigna e fida,
su le sfere del Ciel chiare e immortali,
indi veloce al Cielo empireo il guida
ove contempla Dio, legge gli annali
del fato. Al campo torna, a Baldovino
scopre il decreto del voler divino.

Lindoro scortato dall’Angelo visita gli inferi e il Paradiso (1-69,2)

1Così dicendo per l’aerea via
verso il lido tirreno il camin prende,
e ’l guerrier santo a quella parte invia
ove il Vesuvio al ciel fumante ascende.
Qui vasta bocca il crudo inferno apria
che esala fuor fiamme sulfuree orrende,
et una è questa de l’ardenti porte
onde entran l’alme a la perpetua morte.

2Passa il garzon sicuro in mezzo al foco
difeso da gli angelici splendori,
ch’a la luce del ciel cedeano il loco
quasi fuggendo l’infernali ardori,
sì che fra lor passando o nulla o poco
calor sentia come pur dianzi fuori;
ma più s’inoltra ne la cava orrenda
vede ombre sol, né fiamma è qui che splenda.

3«Pietà, signor, se di pietà son degno»
allor gridò; ma in quel momento istesso
illuminò quel tenebroso regno
il messaggio del Ciel che gli era appresso,
dicendo: «Qual timor se teco io vegno
aver puoi tu di rimanere oppresso?
Disgombra pur d’ogni paura il gelo,
non può perir chi per sua guida ha il Cielo».

4Mente a’ suoi detti ogni timor discaccia
e nel cor si rallegra e nel sembiante,
vede non lungi, in formidabil faccia,
con tre bocche Cerbero latrante.
Triplicata catena i colli allaccia
al fiero can, che a la gran porta è avante,
che, spirto anch’ei dannato, il fiero mostro
soffre sue pene nel tartareo chiostro.

5Al folgorar de l’improviso lume
lo stigio cane, digrignando i denti,
vorria latrar, come è pur suo costume,
ma non può disserrar le fauci ardenti,
né pur mirar non che latrar presume
ma vien ch’a se medesmo i morsi avventi,
e come sia da morta piaga offesi
immobil resta e giace in terra steso.

6Mostrano al cavalier sembianza umana
quell’ombre che di corpi hanno figura,
ma l’apparente forma è imagin vana
qual co i vivi color finge pittura.
Al fier Caimo ne la prima tana
l’empia man lega aspra catena e dura,
un tronco impugna e da quel tronco espresso
del fraterno omicidio è il grave eccesso.

7Del fallo suo ben meritata pena
con duro legno infaticabil mano
il batte ogniora in quell’orribil scena
di spirto inesorabil e inumano.
Vedi del capo da più d’una vena
scorrere il sangue in caldi rivi al piano;
freme e sospira e nel crudel dolore
mortalmente ognor langue e ma non more.

8Turba infinita d’omicidi ingiusti
soffron ne l’antro istesso eterne pene,
da spade acute ognor trafitti, e onusti
di gravi e inestricabili catene.
Altri immersi ne l’onde, altri combusti,
altri in man tazze han di velen ripiene,
e qual ciascun usò in dar morte altrui
instrumento crudel tormenta or lui.

9Concavo tauro di metallo ardente
che forma del gran seno ampia catena,
con orrendi stridor mugir si sente
che manda fuor da la sua parte interna.
Dentro rinchiusa è l’inumana gente
dal Ciel dannata a cruda pena eterna,
che trovò nel troncar le vite frali
novi tormenti a i miseri mortali.

10Falaride e ’l fier Cambise
e ’l Tamberlane e ’l barbaro Fereo
vivon quivi sepolti, e in nove guise
provano ognor tormento atroce e reo.
Piange colei che già sì cruda rise
putridi vermi allor che nascer feo
ne’ vivi corpi, et in più cruda sorte
cadavero immortal prova la morte.

11Parisate è costei, madre di Ciro,
né lungi è Tolomeo, rege d’Egitto,
e Ferotima ancor che in fier martiro
il popol di Cirene ebbe trafitto.
Forma di sospir mille un sol sospiro
lo stuol rinchiuso in doglie amare afflitto,
e quivi l’inventor di strazi e pene
ognor novo tormento a punir viene.

12Quei che a sforzar già di lascivia accesi
la pudica beltà preser diletto,
e ladri ingordi a dolci frutti intesi
a gioie amare ebbero Amor costretto,
contro se stessi e spade e dardi presi
ferian con le lor punte il proprio petto,
così ognora provando entro il lor core
in un punto medesmo odio et amore.

13I disperati oltraggiator del Cielo
ch’irritàr con bestemmie i santi numi,
portano in fronte un tenebroso velo
che loro accieca eternamente i lumi.
La lor lingua trafigge acuto telo
posando ignudi su pungenti dumi,
bendati e ciechi in tormentoso sonno
mirar già mai l’offeso Ciel non ponno.

14Il politico iniquo, a Dio rubello,
che leggi dar contro ragion presume,
stassi in un antro oscuro et un drappello
seco ha di regi ov’è di foco un fiume.
Mostran le vesti sue macchiato vello
d’oscurissima pece e di bitume.
Di scettro in vece acceso ferro stringe
e infocata corona il crin gli cinge.

15Han di sangue innocente in capo intrisi
li diademi lor gli empi consorti,
che osaro già, padri e fratelli uccisi,
fabricar monarchie su l’altrui morti.
Or da Pluton non che dal Ciel derisi
giaccion nudi nel suol languidi e smorti,
et in lor pena le superbe teste
la plebe più servil vien che calpeste.

16Legati appresso i traditor crudeli
pendono a un tronco et han scoperto il core,
che già coprìr d’insidiosi veli,
d’ossequio lusinghier, di finto amore.
Ogni lor fraude avvien che già si sveli
e gli occulti pensieri appaion fuore.
Il cor germoglia e ne le rinascenti
viscere ognora arrotan gli angui i denti.

17Soffron tra questi più tormento amaro
fuori versando lacrimose strida,
gl’infidi animi astuti che vantaro
ingannar più chi più di lor si fida.
Drappello infame che di fede avaro,
de l’innocente Amor crudo omicida,
qual vipera tra i fior nel bel sereno
d’un riso traditor serba il veleno.

18Gli avari ingordi, affaticati e lassi
d’argento e d’or sotto insoffribil pondo
sagliono in su con frettolosi passi,
tornando in giù d’una gran valle in fondo.
Oro infocato avvien che lor trapassi
l’avido core, e stato a lor giocondo
sarebbe il trar la miserabil vita
di quei mendici a cui negaro aita.

19Quei che nemici di pietà col riso
udiano i preghi de l’afflitta gente,
sordi del Cielo al replicato avviso,
sordi non meno al popolo languente,
or, benché amaro il pianto lor deriso,
alzan le strida né alcun mai li sente,
e pur sapea che quanto il Ciel dispensa
soverchio altrui, de’ poveri è la mensa.

20Vi è poi gran turba in orrido deserto
che di ferro rovente ha tronchi e spine.
Finser già questi in simulato merto
chiuder ne l’empio cor voglie divine,
teser l’infide reti in campo aperto
di lor voci faconde e pellegrine,
e, d’or bramosi, con occulto stile
trasser gli agni di Cristo al loro ovile.

21Lupi rapaci, insidioso manto
cinsero al sen di vigili pastori,
santa dicean la povertate e intanto
ne’ tetti lor crescean le gemme e gli ori.
Or saggi detti, ora pietoso canto
spargean con finta santità di fuori,
ma chiudean poi del cor nel centro interno
sotto volti di cielo alme d’inferno.

22Or ne l’Inferno ombre deformi e nere
stridon piangendo in dolorose voci,
e ne’ campi del foco in lunghe schiere
portan d’abisso e non dal Ciel le croci.
Se già il tergo sferzàr, corde leggiere
or mordon il lor sen, denti feroci,
così godendo in su le stigie arene
in vece d’oro eredità di pene.

23Stridendo sta per gran dolore immota
turba con fasci in man di carte frali,
schiera di spirti rei, di pietà vòta,
ch’apre ferite in lor larghe e mortali.
Di vasi ardenti in su le piaghe vota
liquefatto metal, solfi infernali,
ma si saldan ben tosto in lor le piaghe
perché di novo il ferro poi l’impiaghe.

24Rigide pene d’infocato acciaro
stan ne i lor cori eternamente affise,
per additar che già nel foco avaro
spesso inique sentenze avena decise,
e che, ministri di ragion, si armaro
contro ragion, l’altrui ragion derise,
e che fur ciechi a i pianti, a i prieghi sordi,
più crudi assai che masnadieri ingordi.

25Prencipi poscia e imperator supremi
sovra troni di foco egli rimira,
che già dier pene a i giusti, a gli empi premi,
ripieni il cor d’ambizione e d’ira.
Ciascun languendo ne i supplici estremi
co i servi suoi cangiar sua sorte aspira,
che per suo maggior duol vede traslati
ne’ bei regni del Ciel fatti beati.

26Vedi non lungi entro sulfurei laghi
notar mezzo sdruscite accese navi,
e qui son quei che di tesor sol vaghi
indegnamente ebber di Pier le chiavi.
Sferza crudel vien che il lor legno impiaghi,
già re potenti, or infelici e schiavi,
e bestemmian quel dì ch’in Vaticano
dier lor la mitra e il sacro scettro in mano.

27Già vicari di Dio sovra i mortali,
sedean su ’l trono in pontificie vesti,
e del romano ciel Giovi immortali
vibràr tonando i fulmini celesti;
or su ’l lor capo ardenti fiamme e strali
l’ira del Cielo fulminar vedresti,
e punito il lor vasto il Re del mondo
quanto più gl’inalzò gli preme al fondo.

28Questi et altri infiniti in quei profondi
spechi mirando il pio guerrier si duole
ch’abbia l’uom sì folle occhi sì foschi
che mai del vero non rimiri il sole,
e ch’ognor fugga i suoi splendor giocondi
mentre per l’ombre delirar pur vòle,
e come cieca talpa a l’ultime ore
apra gli occhi infelici allor che more.

29Così pensava, e tra le fiamme ardenti
colà nel regno de l’eterno pianto
non ben sicuro in timorosi e lenti
passi sen giva a la sua scorta a canto,
udendo in mesto suon d’urli e lamenti
rimbombar le caverne in ogni canto;
ma già l’Angel la mano amica e fida
porgendo a lui, fuor di quegli antri il guida.

30S’alza nel mezzo a l’ocean d’Atlante,
lontana dal confin del nostro mondo,
cinta d’atri vapor rupe fumante,
orrida porta del tartareo fondo.
Sparge ardenti faville e fiammeggiante
vomita incendi dal suo sen profondo,
né men d’Etna e Vessuvio accesa il crine
mostra e mover minaccia alte ruine.

31Già son là sotto e in un momento il porta
de l’arsa bocca a le sulfuree cime
per l’ardente sentier l’alata scorta,
lungi da le caverne oscure et ime,
e perché mesto il vede il riconforta,
pur se affrettando verso il Ciel sublime,
e col dolce suo dir di gioia pieno
lo rende come pria lieto e sereno.

32Giunto ove già mirar potea del Cielo
il bel seren l’Angel così gli dice:
«Sgombra dal cor d’ogni timore il gelo,
già tornar nel tuo mondo or a te lice.
Veduto hai già con quel fulmineo telo
s’armi l’ira del Ciel vendicatrice,
e quali il giusto et immutabil Dio
strazio eterno destina al popol rio.

33Or meco tu dal carcere infernale
omai ten passa a la celeste reggia,
ove de la magion bassa e mortale
fisso è nel Ciel meco salir tu deggia,
e mirar de’ beati in trionfale
soglio come lo stuol gode e festeggia».
Così dicendo dall’abisso oscuro
fuori lo trasse al Ciel sereno e puro.

34Uscito già dal tenebroso fondo
il pio Lindoro a rimirare il sole
vagheggiando il sereno aere giocondo
vien che pur si rallegri e riconsole,
e vèr la sfera de l’empireo mondo
già con la guida sua ratto sen vole,
e de le nubi sotto i piè già lassa
la regino caliginosa e bassa.

35Passa del foco elementar la sfera
e vicin de la luna il cerchio mira,
e Mercurio e del dì la messaggiera
che mai non lungi al chiaro sol s’aggira.
Con luce poi più viva e più sincera
il re de’ lumi in aureo carro ammira,
poscia Marte, focoso astro maligno,
e girar sovra lui Giove benigno.

36Pallido mira il gelido pianeta
ma con passi rotar assai più lenti,
indi gran turba festeggiante e lieta
splender più su di fisse stelle ardenti.
In parte eccelsa a gli occhi altrui secreta
cristalline mirò sfere lucenti,
quindi non lungi la fedel sua scorta
del Paradiso gli additò la porta.

37Lo splendor chiuso ne l’empirea mole
fulgidissimi rai sparge e riluce
da l’aurea porta fuor, come del sole
talor da rotta nube esce la luce;
né sì bella a i mortali apparir suole
l’aurora, che su l’ombre il dì riluce,
e ricca il sen di lucido tesoro
spiega le pompe sue purpuree e d’oro.

38Entra il bel garzon d’alto stupor ripieno
nel chiaro albergo ove i beati han sede,
e sì lieto è quel loco e sì sereno
ch’a pena a ciò che mira egli dà fede.
In lui del senso la virtù vien meno,
ché mortal vista a tanto lume cede,
sì che qual cieco ei sta per tempo breve
sin che a mirar novo vigor riceve.

39«Or apri gli occhi in questo eterno abisso
di luce, «disse a lui l’Angelo allora»
che già così l’Onnipotente ha fisso,
che te mortal d’immortal grazia onora.
Egli, tenendo in Dio lo sguardo affisso,
umile in atto il divin trono adora,
e contempla beato oltre il costume
del Sol che il sol produsse il foco e il lume.

40Unico Sol, di tre gran Soli ardenti
mira, che ne’ suoi rai se stesso asconde.
In tre volti ha un sol volto e i rai lucenti
in purissima luce egual confonde.
Spirto e vita de’ spirti e de’ viventi,
chiude in sé tutto ciò che fuor diffonde,
inestinguibil foco alma primiera
d’ogni moto principio immota sfera.

41Nume sovrano, ubbidiente ancella
regge a sua voglia la natura e il fato,
e il moto e il tempo e la fortuna e quella
che di falce tremenda ha il braccio armato
produsse il loco e da la sua favela
sovra i campi del nulla il mondo è nato,
dal cui sembiante amabile immortale
la bellezza e l’amor trasse il natale.

42Padre e figlio a se stesso, eterno amante
di se medesmo e gran principio e fine,
giudice giusto in suo voler costante,
gran Re de’ regni che non han confine,
al cui cenno egualmente in un istante
se nacque il mondo e proverà ruine,
che creò il tutto e con le mani immote
crear ciò che non è tutto ancor puote.

43Tal ne l’augusto trono in Ciel risplende
del sommo Dio la maestà suprema,
ma tanta luce dal gran soglio scende
ch’ei più mirar non s’assicura e trema.
Soverchio lume il debol guardo offende
né soffre il cor la meraviglia estrema.
Alza al fin gli occhi invigoriti e in esso
ancor di novo è a lui mirar concesso.

44In lui rimira il tutto e come done
sorti diverse a i miseri mortali,
come servo fa questo, a quei corone
dispensa, al altri o lieti eventi o mali,
come ne l’onda il gelo, il calor pone
nel foco, e come impenna al vento l’ali,
come addensa la terra e nel profondo
centro l’adduce col suo grave pondo;

45come del vasto e tempestoso seno
mova vento leggier l’ondosa mole,
come l’aria si turbi e il bel sereno
rapisca ombra di nubi a i rai del sole,
come il fulmine cada, arda il baleno,
e per vie tortuose in giù sen vole,
come del suol per umido alimento
si stringa in pioggie et in rugiade il vento;

46come cangi natura a poca a poco
in pesante metal lievi vapori,
come al calor di sotterraneo foco
in grembo al suol nascan le gemme e gli ori,
come le piante in più sereno loco
producan frutti e verdi foglie e fiori,
e ne i fiumi e ne i mari e ne le selve
nascan in varie forme e pesci e belve.

47Mira de l’aria abitator volanti
spiegar piume pompose alati augelli,
et a gara formar soavi canti
quasi ciascun del suo fattor favelli.
De l’uom poscia vagheggia a Dio sembianti
nascer di luce i volti onorati e belli,
e sotto il vago vel di spoglie frali
chiuder mente divina alme immortali.

48Del suo voler la libertà natia
contempla, e quanto in lui posson le stelle,
e come al basso et or al Ciel s’invia
con opre illustri or con oscure e felle,
che l’intelletto in lui per doppia via
puote guidar le sue potenze ancelle,
come a l’ire, a le brame e freno e sprone
adopri, onde virtù poi l’incorone.

49Poscia intorno mirando i guardi intenti
de gli Angeli rivolge a i puri chiostri,
nel primo Bel tutti d’amor ferventi,
altri in grado sublimi, altri minori.
Disegualmente in egual gioia ardenti
del gran tempio di Dio cigni canori;
di puro ardor, di santo zelo accesi,
di lui ministri a vari uffici intesi.

50Cinti gli omeri lor di lucid’ale
e di fulmini ognor la mano armati,
gli mira sotto al trono aureo immortale
del gran Monarca in ordine schierati.
Fur nel tempo primier del lor natale
di lor grazia sicura a pena nati,
nacque il merto in un punto al santo zelo,
gli altri ch’erràr, precipitàr dal Cielo.

51Non lungi a questi poi l’alme beate
vede, che già fèro soggiorno in terra,
che di giustizia e di fortezza armate
pugnàr felici in perigliosa guerra.
Fur nemiche d’orgoglio e d’impietate,
or lor il Cielo i suoi tesor disserra,
e vestite di luce in bianchi manti
risplendon gloriose e trionfanti.

52Han d’eterni rubin purpurei fregi
e, tessuti di rai, pomposi manti
quei che già in terra Pastor sacri o regi
desir nudriro generosi e santi.
Di magnanimo cor gli alteri pregi
prezzar sol questi di pietate amanti,
né cumulàr vaghi d’argento e d’oro
su l’altrui povertate empio tesoro.

53Altri prencipi mira e in altra parte
splender ancora i cavalier di Cristo
che, guerrier forti di pietoso Marte,
fèro di regni al sacro regno acquisto.
Quivi il Buglion, che schiere uccise e sparte
il gran Sepolcro liberar fu visto,
et altri duci che de gli altrui danni
pietosi debellaro empi tiranni.

54Molti e molti altri ancor mira da lunge,
pur gloriosi per mirabil’opre,
ma ’l debil guardo sì lontan non lunge
e spesso l’un splendor l’altro ricopre.
Passa più avanti et ove non disgiunge
gli oggetti al guardo il lungo spazio copre
le chiome ornato di bei rai lucenti
sacro Pastor de le cristiane genti,

55Gregorio, ch’in trofeo su ’l Vaticano
lasciò il drago infernal sovra l’insegna,
ch’a famelico stuol con larga mano
porgere aita a i successori insegna.
più suso altro Gregorio, ch’il profano
mostro dell’eresia calpesta e regna
magno, ch’infermo, ond’alcun più non cada,
fece all’Angel del Ciel ripor la spada.

56Mira splender non lungi il pio campione,
primo terror dell’ottoman guerriero,
ch’a i re cristiani glorioso sprone
spinse lor navi contro il greco impero,
che fra le triplicate auree corone
lauro immortal seppe innestar di Piero,
e sì forte incontrò le genti avverse
ch’il tracio orgoglio in mezzo al mar sommerse.

57E scorge appresso anco Alessandro il Quinto,
Giove a i mendici in pioggia d’or rivolto,
che re possenti a fulminare accinto
ha Ladislao fra due censure involto.
molti altri vede ma non ben distinto
al guardo appar lor luminoso volto;
sol di lor dignità discopre il segno
su la lor fronte il triplicato regno.

58Brigida, Elisabetta e il gran romano
Alessio, che fuggendo il patrio nido
corse in paese incognito e lontano,
quasi temendo di sua fama il grido.
Godon cinti di rai giunti al sovrano,
porto dal mar di questa vita infido,
e seco altri ch’ardendo in puro zelo
per gradi d’umiltà saliro al Cielo.

59Gallicano è tra questi, a grand’Augusto
genere invitto e capitano egregio,
che già di spoglie e in un di palme onusto
nulla prezzò di sue corone il pregio;
monaco umil sotto vil tetto angusto
servi uffici prepose a fasto regio,
e ’l dolce suon ch’a trionfar il chiama
sdegnossi udir de la canora fama.

60Tutti quei mira ancor ch’argenti et ori
già dispensaro a i miseri mendici
risplender misti infra i beati cori
del sommo Re fra i più diletti amici;
tesorieri di Dio, gli ampi tesori
ch’ei lor donò, donaro a gl’infelici,
or di larga pietà l’empirea mensa
delizie eterne in guiderdon dispensa.

61De’ divini poeti alta e sublime
vedeasi ancora armoniosa schiera,
ch’alzò moli canore in dolci rime,
memorie eterne a la pietà guerriera,
e perché l’uom mortal s’erga e sublime
da l’onda de l’oblio tacita e nera,
e sempre più d’altrui giovar sia vago
de l’eroica virtù pinser l’imago.

62De’ martiri le schiere hanno fregiate
col proprio sangue le purpuree vesti,
e premon d’ostro regalmente ornate
con regal maestà seggi celesti,
stimando alto favor la crudeltate
che le impiagò de’ rei tiranni infesti,
e che lor diè, per far di gloria acquisto,
sentenze ingiuste di morir per Cristo.

63Candidi manti e bianca luce e pura
veston color che contro Amore invitti
dal suo stral, dal suo foco alma sicura
mostràr, né mai restaro arsi o trafitti.
Questi ogni gioia di lascivia impura
sprezzando, fur ne la milizia ascritti
de’ pudichi guerrier ch’il bel candore
serbaro intatto del virgineo fiore.

64Risplende altrove in trionfante sede
qual novo sole il gran saggio d’Aquino,
et altri lumi de al santa fede,
Paolo, Bernardo e ’l celebre Agostino.
Stuol folto appresso fiammeggiar si vede
che, pieno il cor di spirito divino,
già stabilì co’ suoi facondi accenti
de la fede di Cristo i fondamento.

65Non può tutti mirar, ch’in sé comprende
la sfera immensa il giovane beato,
che nel profondo suo quanto più stende
la vista il men sempre ha di lei mirato.
Pur la parte veduta in guisa accende
la mente sua, ch’è fuor da sé traslato,
e mentre lieto or qua or là trascorre
pur con la vista al sommo Sol ricorre.

66Ebro di gioia, attonito e confuso
per soverchio piacer se stesso oblia
tai bellezze mirando, et oltre ogni uso
chiaro splendor che gli occhi suoi feria,
e d’ogn’intorno è tal fulgor diffuso
che quasi un mar di luce ivi scopria,
ch’ondeggia sì come talor nel sole
quando altri fiso rimirar lo vuole.

67Ma il sol, fonte di raggi, è un’ombra oscura
in paragon di quell’empireo lume,
c’ha sì vivo splendor, fiamma sì pura
ch’in van mirarlo occhio mortal presume,
sì che Lindoro, che è di carne impura
vestito, abbassa l’un e l’altro lume,
né più soffrir può nel beato loco
il cor la gioia e ’l guardo i raggi e ’l foco.

68L’Angelo allor «Non più mirar ti lice
con mortal guardo l’immortal sereno;
ben verrà tempo che godrai felice
eterno dì del sommo Sole in seno,
quando sciolto sarai da l’infelice
per man di morte carcere terreno»,
così dicendo a la stellata via
discende, e in vèr la terra egli s’invia.

69A pena giunto il messaggier celeste
sparì, solo lasciando il giovanetto,
che cinto il sen di luminosa vesteLindoro torna al campo crociato e preannuncia a Baldovino l’ormai prossima vittoria (69,3-80)
anch’ei sembrava un angelo a l’aspetto.
Nol riconobbe il capitan ma in queste
voci ei scoprissi: «Baldovin diletto,
io son Lindoro il servo tuo fedele
che giusto è ben ch’il tutto a te rivele,

70sì Dio m’impose». A questo dire in piedi
sorge e tosto l’abbraccia il capitano,
dicendo: «O quanto godo or che tu riedi!
Ben t’ho più volte ricercato in vano».
«Grazia del Ciel «risponde, «or me qui vedi,
ma tornato da loco assai lontano,
e quando da me tutto or udirai
a pena fede a i detti miei darai.

71Spinto che fui con gli altri insieme anch’io
da la fiera tempesta al ciprio regno,
m’accolse Argea con volto umano e pio
d’amor mostrando inusitato segno;
ma poi, scoperto l’empio suo desio,
ch’avea di trarmi a lasciv’atto indegno,
quanto ella audace mi pregò altrettanto
pronto sdegnai le sue preghiere e ’l pianto.

72Cangiossi in odio l’impudico amore,
e l’odio in guerra, e in fiero assalto e forte
e di magica scorza al mio rigore
l’armi adoprò con infernali scorte.
Di prigion fiera in tenebroso orrore
mi chiuse al fine, e minacciò la morte;
ritornò poi men cruda ma negletta
sempre da me, s’accinse a far vendetta.

73Né lungi omai del viver mio la meta
prefissa già la barbara regina,
freme d’ira, s’infuria e non s’accheta
già per tòrmi la vita il ferro inchina.
Ma perché non è mai così secreta
malvagità ch’a la bontà divina
s’asconda, ove mancò l’aiuto umano
dal Ciel discese onnipotente mano.

74Di Dio mano e ministro, a mia salute
Angelo fu da lui mandato in terra,
che on l’insuperabil sua virtute
mi trasse fuor da sì terribil guerra.
Gran guerriero del Ciel con non vedute
armi le guardie e l’ampia maga atterra,
la prigion apre e per le vie del polo
seco mi trae salvo et illeso a volo.

75Poi mi consola e benché indegno i’ sia
di grazia tal, – Messo di Dio (mi dice)
a te ne vegno con la scorta mia
perché possa mirar l’antro infelice,
l’antro infernal dove la gente ria
condannò l’ira sua vendicatrice,
indi l’empirea sfera, il glorioso
regno ov’eterno i giusti hanno riposo -.

76Così dicendo sovra nube lieve,
quasi in carro veloce, egli mi guida
di Pluto al regno, né timor riceve
l’alma seguendo la celeste guida.
Scesi giù ne l’inferno e in tempo breve
molto osservai, sentii gran pianti e strida.
Vidi i beati de l’empireo e in esso
Dio medesmo veder mi fu concesso.

77Ma ciò che vide l’occhio et il pensiero
rappresentar non può lingua mortale,
l’ardor, la luce di quel Sol primiero,
la bellezza ineffabile e immortale.
Sol questo a te posso ridir, che vero
chiude in sé il libro del destin fatale:
che sia vinto il tiranno et è vicina
la vittoria ch’il fato a te destina.

78Né se ben io lungi dal campo in parte
così lontana a te fatto ho soggiorno
inutil fui, né sarà qui di Marte
a l’impresa futura il mio ritorno,
ché, vinti i preghi de la maga e l’arte,
nunzio di palme a te dal Ciel ritorno,
sì grato a Dio, di questo vil suo servo
e il candor virginal che in me riservo».

79Mentre in sé stupefatto e pieno
d’alta letizia il capitan ardea,
nel volto più del solito sereno
ch’i presagi d’Alteo nel cor volgea,
e di novo le braccia al collo, al seno
avvolgend’egli intorno a lui dicea:
«Oh quanto deve a tua virtute il campo
cristiano, e chi da lui spera il suo scampo!

80Goda pur l’Asia or che dal collo scioglie
il giogo fier che l’empio re le pose,
e renda grazie a le tue sante voglie
che palme ci acquistàr sì gloriose.
Ceda l’Inferno e quante mai raccoglie
schiere di spirti Argea con l’arti ascose,
fugate e sparse e vèr l’abisso volte
restin fra le lor fiamme arse e sepolte.