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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:45

Argomento
Stupisce Argea d’aver Lindor perduto
e da’ suoi spirti la cagion richiede.
Rincora Alessio; il duce Aronte il muto
Osman disfida, aspra risposta il fiede.
Prova di gelosia lo strale acuto
Oronta, e scopre più di quel che crede;
s’inferma per amor. Manda il soldano
un messaggier che la richiede in vano.

Argea, saputo dell’intervento di Dio nella liberazione di Lindoro, si reca da Alessio e gli propone un piano per un attacco combinato (1-22)

1Ma intanto Argea, che stupida e confusa
da la prigion de l’incantato tetto,
benché pur fosse ogni sua porta chiusa,
vide sparir l’amato giovanetto,
di sdegno piena e in suoi pensier delusa
conclude, ogni rimosso altro sospetto,
che la cagion del repentino affanno
sia d’incanto maggior forza et inganno.

2E, spenta l’ira, or che non l’ha presente
s’il va fingendo a’ suoi desir prezioso,
et or brama vendetta ora si pente,
volgendo in varie parti il cor pietoso.
Risolve al fin ne l’agitata mente
l’empie furie chiamar dal regno ombroso,
e già stretta è in suoi cerchi e ubbidienti
vengon turbe di spirti a i noti accenti.

3Come l’ombre d’Averno a sé davante
vede la maga, imperiosa chiede:
«Con qual arte involò fra tante e tante
guardie Lindoro il fugitivo piede?
Vidi lampo improviso e in un istante
sparve, e lasciò me di pianto erede,
chi tanto oprò? forse del vostro regno
guerriero alcun di voi più forte e degno?».

4Tace, e non ode alcun ch’a sua risposta
risponda, e in vece di parole un riso
come per ischernir le dian risposta,
sussurar fra quei spirti ode improviso.
«Folli, vana speme ho in voi risposta»,
soggiunse allor con minaccioso viso.
***
***

5Ma per molto che chieda e i riti usati
adorni e formi note e voci immonde,
e benché pur minacci e bieca guati
quella schiera infernal nulla risponde.
«Itene «disse «allora a gli odiati
alberghi da quest’aure alme e gioconde,
ma pria di far ritorno a i neri chiostri
la cagion del silenzio a me si mostri».

6Mesto allora rispose il più sublime
de lo stigio drappel con voci orrende:
«Colui che tien in Ciel le glorie prime
e ch’ora a me sciolta la lingua rende,
quei che pur sempre nostri vanti opprime
e con un cenno il poter nostro offende
fu che a’ magici detti il vigor tolse
e nostre lingue in forti lacci avvolse.

7Nel resto imponi pur de’ detti tuoi,
tutti siam pronti ad eseguir l’impero,
ma per pugnar col Re superno a noi
non bastan l’armi de l’ardir primiero».
Sì disse, et ella: «Attenti udite, e poi
rispondete con l’opre al mio pensiero,
apprestandovi pronti in vari modi
contro i cristiani esercitar le frodi.

8Or andatene pur de l’aria pura
de l’ombre al regno ch’assegnovvi il fato;
quando la luna poi scema et oscura
farà giunta col sole il corso usato,
chiamerovvi a nov’opra e fia mia cura
spiegar a voi ciò ch’è da me bramato.
Ite amici, e nel tempo a voi prefisso
tornate a me dal tenebroso abisso».

9Così lor dice, e sopra il tergo accolta
d’infernal velocissimo destriero
vola più che saetta e densa e folta,
stringe intorno la nebbia e l’aer nero,
e in un momento in fra le nubi avvolta,
vèr Bizanzio s’invia, né messaggiero
altro vuol che se stessa in sì grand’opra
temendo ch’altri il suo disegno scopra.

10E quando appunto in suoi pensier dolente
ne la stanza più interna e più secreta
il re dimora, a lui si fa presente,
leggiadra in atto e con sembianza lieta.
«Deh, rasserena l’affannata mente,
signor, «poi disse «e le tue cure accheta,
varia è fortuna e quando più nemica
par che bieca minacci ella è più amica.

11Spesso in placido mar sicura nave
apre gonfie di zefiri le vele,
e quando meno la tempesta pave
turba l’onde e l’affonda il mar crudele.
E spesso ancor quando per l’onda grave
fra sospiri, fra pianti e fra querele
s’aggira il legno e quasi resta absorto
cangiasi il vento e lo conduce in porto.

12Nol nego, è ver, con formidabil faccia
sin qui fortuna il tracio regno assale,
non però da la reggia ancor ti caccia
né già il presente è irreparabil male.
Or dunque tu dal mesto cor discaccia
tanto timor, ché se d’acuto strale
s’armò già contro noi, spero il suo sdegno
cessi o l’arco rallenti o cangi segno.

13In quanto a me per darti aita ho fatto
più che non pensi, e con occulti inganni
senza l’armi adoprar, se non affatto,
tolti i perigli almen scemat’ho i danni;
or di novo ne vengo onde sia tratto
il nemico commune in novi affanni.
Ascolta dunque, e sua ruina intanto
de l’arti ascose mie sia pregio e vanto.

14Benché tu stia fra queste mura astretto
e cinto intorno da sue folte schiere,
e se ben recherai forse a difetto
uscir fuori e assalir le sue trincere,
nulla di men s’a la cagion l’effetto
risponde come dèe forza è ch’io spere,
e se il crin di fortuna a tempo pigli
ti fian guida a i trionfi i miei consigli.

15Quando la luna al sol congiunta a pena
tinto di luce avrà l’argenteo corno,
sì che fosca la notte e men serena
sotto i suoi rai n’apparirà d’intorno,
vedrai su ’l, mar meravigliosa scena,
vicino a i lidi u’ fa il cristian soggiorno
con mille faci in sen superbe navi
d’uomini e di donzelle onuste e gravi.

16Lampeggiar l’aria e ripercossa l’onda
splender vedrassi a i fiammeggianti ardori,
e con vago spettacolo e gioconda
vista usciran giovani e ninfe fuori,
et altre turbe ancor sovra la sponda
con ricchi manti intesti ed ostri ed ori,
che te chiamando e barbaro e inumano
chiederan soccorso al conduttier cristiano.

17E con pompa gentil di suoni e canti
gli offriranno in sua lode inno giocondo,
e in finti applausi il chiameran festanti
d’Asia non sol ma vincitor del mondo,
mostrando nel seren de i lor sembianti
deposto aver d’ogni lor cura il pondo
nel veder lui contro sì fiero orgoglio
pugnar per te depor dal regio soglio.

18Al folgorar de la beltà novella,
a gli applausi improvisi, a le preghiere,
a i balli, a i suoni, ad armonia sì bella,
a l’apparir di tante pompe altere,
lascieran voti i padiglioni e nella
spiaggia verran le curiose schiere,
e resterà così qualche intervallo
con poche guardie disarmato il vallo.

19E perché questo fia, doppo non molto
che cada il sol più agevolmente io spero
che non giacendo ancor ne sonno avvolto
corra incauto su i lidi ogni guerriero.
Or mentre quivi ad osservar fia volto
e i canti e ’l suon del popolo straniero
le vaghe ninfe improviso e i lor begli occhi ardenti,
manda fuori improviso armate genti.

20E mentre staran lieti in feste e in gioco
lungi dal vallo che sue squadre serra,
tu porta fra le tende e ferro e foco
e movi a l’empio inaspettata guerra,
ch’al fin pur troppo in questo chiuso loco
la tua gente oziosa e inutil erra,
mentre mira colui d ai padiglioni
fra i merli di tue mura i suoi prigioni.

21E, chi sa, forse ancor potrebbe ei stesso
restar piagato o tra le fiamme estinto,
o quando il giogo a l’Asia aver già messo
crede mirarsi fra catene avvinto.
Or facciam noi ciò ch’a noi far concesso,
resti egli poscia o vincitore o vinto.
Ardan le tende e chi v’è dentro, e intanto
spenga le fiamme o il sangue loro o il pianto».

22A questi detti si rincora e i lumi
più lieti a lei volgendo il re rispose:
«Se tanto speri ne’ costretti numi,
regina, e nel favor del’arti ascose,
ben sono a me del Ciel secondi i lumi,
ben suoi sdegni fortuna oggi depose,
onde spero ben tosto o in parte o in tutto
veder l’empio cristiano arso e distrutto».

Osmano sfida Aronte ma ottiene risposta sdegnosa (23-33,2)

23Mentre così ne la turbata mente
del re la maga ha nova speme infusa,
Osman de la dimora impaziente
non può tener più sua virtù rinchiusa,
e già venuto a Baldovin presente,
benché la lingua in favellar non usa,
prende in vece la penna e come puote
il gran pensier rivela in queste note:

24- Troppo in vero, signor, difeso e cinto
da queste tende in oziosa guerra
già d’esser parmi o prigioniero o vinto
se omai questa prigion non si disserra;
ma, se ’l concedi tu, da questo cinto
ch’al fin contro mia voglia or qui mi serra
uscir io bramo, e in gran duello a fronte
guerreggiar poi del sovran duce Aronte.

25Quasi in tragica scena in questo piano
col gran nemico io vo’ tentar la sorte,
con fermo piè, con feritrice mano
e spettatore e portator di morte.
Vantisi pure, or lo disfida Osmano,
venga, né speri più d’entrar le porte,
ma ben morendo udir da i muri alteri
dargli applausi al mo brando i suoi guerrieri -.

26Tali eran l’orme de’ suoi detti impresse
nel foglio, che sua mente altrui palesa,
ma poiché attento Baldovin vi lesse
il gran desio c’ha di novella impresa,
«Da me «disse «non fian giamai ripresse
le brame e l’ire di tua mente accesa.
Ben caro avrò tosto veder produtti
di tua speme su i fior di gloria i frutti».

27Udito ciò da la gran tenda in fretta
ratto si parte il capitan feroce,
e dubbio ancor s’ei la disfida accetta
il messo invia quanto più può veloce,
e la risposta impaziente aspetta
ch’ogni breve dimora anco a lui nòce,
sì certo restar crede al primo lampo
de la sua spada vincitor del campo.

28Né soffrir può mentre il messaggio attende
di far inerme più lunga dimora,
e cinge il ferro e la gran lancia prende,
d’elmo si copre e d’ogn’altr’arme ancora,
e su ’l lieve corsier d’un salto ascende
e in fier sembiante esce dal vallo fuora,
e poco va ch’il suo cavallo affrena
e immobil resta ne la vòta arena.

29Legge intanto l’invito e sorridendo
gl’invia cotal rescritto Aronte altero:
– Troppo cortese in ver l’incarco io prendo
di dar risposta ad inegual guerriero,
ma se il tenor di tua proposta apprendo
e se te stesso tu conosci, o fero,
vedrai che s’io disdegno il paragone
hai di lodar, non di biasmar cagione.

30Non scende Aronte a singolar contesa
con rei rubelli e se con tua disfida
mi chiami in campo, a me medesmo offesa
fare seguendo il tuo furor per guida.
Or come reo di maestade offesa
e del figlio del re crudo omicida
a pugnar col carnefice t’accingi
e d’usbergo e di spada il sen discingi -.

31Ma già ritorna il messagiero e giunto
la sprezzante risposta a lui presenta,
e in leggendola Osman da rabbia punto
la lacera in più parti e al suol l’avventa.
Mentre il fellon gridar volea in quel punto,
e i muti labri a i detti aprir pur tenta,
ma indistinto e confuso il suon uscia
e più co’ gesti che col dir s’udia,

32tratto dal gran furor punge il destriero
e s’avvicina ale nemiche mura,
e perch’altri il conosca alza il cimiero
mostrando faccia intrepida e sicura,
e minaccia co i guardi e in atto fero
par che voglia schernir l’altrui paura,
ma da la pioggia de gli strai pungenti
pur si ritira a passi gravi e lenti.

33Ma mentre Osman deluso in su l’arena
freme ch’Aronte il grand’invito irrida,
in molle agon la sua nipote IrenaOronta scopre Irene amoreggiare con Armindo e per dolore ne sviene (33,3-56,2)
a più cruda tenzone Amor disfida,
e già l’ha vinta e di crudel catena
già stretta il fier come in trofeo la guida,
nel cor ferita di pungente strale
de la figlia del re fatta rivale.

34Armindo, di beltà mostro gentile,
di lor trionfa qual novello Amore,
e d saetta egual colpo simile
trafitto ha già de le donzelle il core.
Di lor ciascuna in quel legiadro aprile
di beltà, di valor vagheggia il fiore,
ma di serva rival si reca ad onta
il novo amor l’innamorata Oronta.

35E di lacrime amare aspersa il seno
quando soletta è in suoi pensier raccolta,
così parla fra sé: – Qual rio veleno
ogni mia gioia e a me me stessa ha tolta?
De l’antica mia pace il bel sereno
ove sparì, chi l’ha fra nubi involta?
Perfida Irena, al padre mio rubella,
né men contro sua figlia iniqua e fella.

36Ma forse ancor ne’ suoi timor delira
per troppo amar la sospettosa mente,
e forse ei con ischerno anco rimira
di troppo audace fiamma Irena ardente,
e quanto può lungi da lei s’aggira
per non vedermi in dubbio tal dolente,
sì che dove io mi doglio egli incostante
devria chiamarmi, e mal accorta amante.

37O di quanto tesor per ombra lieve
di van sospetto io restarei pur priva
se quell’amor ch’a tant’amor si deve
togliessi a lui che in me sol par che viva.
Gran frutto in ver l’alma da lei riceve
se d’ogni ben la gelosia mi priva,
se fa sprezzarmi chi adorar mi suole
anzi tradir chi me tradir non vòle.

38Or che farò? Tu, saggio Amor, m’insegna,
tu che cieco non già ma un Argo sei,
tu la cui man ch’onnipotente regna
egualmente trionfa uomini e dèi,
tu il ver disvela ed a sgombrar t’ingegna
con l’armi di ragione i dubi miei,
e quest’idra crudel ch’in strana guerra
risorge ognor con la tua face atterra -.

39Così doleasi e dal suo amor geloso
impetrar non può pace o tregua almeno,
ch’ognor la sforza il suo pensier dubbioso
a nudrir novi affanni entro il suo seno,
e perché avviso a lei ne viene ascoso
ch’appunto allor tutto di gioia pieno
con la rivale Armindo suo favella
parte, e s’invia per rimirarli anch’ella.

40E certa poi che in ermo loco stassi
col caro suo l’invidiata Irena,
per la più via nascosa affretta i passi,
d’ira in quel punto e di furor ripiena.
Passa dentro una tenda e presso fassi
a una fessura onde mirar l’arena
puote senz’esser vista e il tutto udire,
né i detti sol ma ogn’atto ancor scoprire.

41E vede, ahi vista dolorosa e fiera!,
il caro Armindo suo su l’erbe assiso
stringer a lei la man bella e guerriera,
vagheggiando or il sen or il bel viso,
e con dolce atto la donzella altera
fissarsi in lui con un soave riso,
e seco ragionar sì dolcemente
che più de i dubi suoi dubio non sente.

42Misera Oronta, e chi de’ tuoi martiri
potria spiegar la minor parte almeno?
Troppo amaro è il pianto, i tuoi sospiri
troppo cocenti, e pur li chiudi in seno.
Tu sola puoi, ch’il proprio mal rimiri,
tu che di gelosia provi il veleno
narrali; tu, se pur tal forza impetra
il freddo gel che t’ha conversa in pietra.

43Doppo che molto più di quel ch’avea
sospetto vide l’infelice amante,
e che assai più di quel che non credea
fu certa di sua fé varia e incostante,
disperata nel duol che la struggea,
ritorse indietro le veloci piante,
e giunta al padiglione in su le piume
distesa aprì de gli occhi un largo fiume.

44Poscia dicea piangendo: «Ove sparite
care mie gioie e fortunati amori?
e voi, pene sì crude, onde n’uscite,
d’Amor dal regno o da l’abisso fuori?
Mal nate fiamme, aveste voi da Dite
principio infausto e da funesti ardori.
Ben è ragion che come nate in sorte
da crud’incendio a me rechiate or morte.

45Perché sorte crudel tra ’l fumo e ’l foco
non mi lasciasti incenerita allora,
così di me non prenderiasi or gioco
fiamma più cruda che il mo cor divora?
Forse a te parve quell’incendio poco
se viva non vedevi ardermi ancora,
stretta da indissolubile catena
esca perpetua a l’immortal mia pena.

46Posto ho il padre e la patria in abbandono
e le speranze di futuro regno
sol per seguir l’infido, e priva sono
di regio sposo sì possente e degno,
ché, se verace è de la fama il suono,
per cagion di mia fuga arse di sdegno,
sì che credendo esser da lui schernito
fe’ di duello al re mio padre invito.

47Là fra l’oro e le pompe in regio soglio
già del gran Nilo al re vivrei consorte,
ov’or fatta qui gioco al fiero orgoglio
di quest’iniquo in miserabil sorte
in van chiedo pietate, in van mi doglio,
me riserbando ad infelice morte,
anzi bramando e fulmini e ruine
per affrettar di tant’angoscie il fine.

48Perfido io qui mi lagno e tu ridente
d’Irena in seno il mio penar non curi,
né pur cred’io che volgi mai la mente
a la fé violata, a i tuoi spergiuri,
anzi con la lingua rea che sempre mente
di nuovo forse falsamente giuri,
giuri ma i doni tuoi rapine sono,
s’offri quel che donasti ad altri in dono.

49Ma di tal fallo io godo, essendo certa
che fia così la mia rival punita,
e quella fede avrà ch’ella ben merta
et anco più di quel ch’io fui schernita.
Irena, di che godi? O quanto incerta
o quanto perigliosa è la tua vita!,
se vita si può dir d’insidie pieno
viver mal cauta a un traditor nel seno.

50Ben lo prov’io, che semplicetta amante
qual incauta farfalla intorno al foco
ossequiose appresso lui le piante
sempre aggirai senza cangiar mai loco,
che sempre fisa a i rai del bel sembiante
presi me stessa e ’l proprio padre a gioco,
et ora in guiderdon de la mia fede
da l’ingrate sue fiamme ho tal mercede.

51Empia mercede, guiderdon spietato,
non meritati oltraggi, ingiusti affanni,
velenosi piaceri, ardor mal nato,
noie improvise, inaspettati danni,
traditrici promesse, odio celato,
placide frodi, ossequiosi inganni,
che più, sprezzato amore, onor tradito,
mostruosa impietà, strazio infinito».

52Volea seguir, ma di pallor dipinta
di senno, di vigor, di senso priva
restò su ’l letto poco men ch’estinta
ne gli occhi più non ch’i bei labri apriva.
Ma, giunto Amindo, dal dolor già vinta
e ne’ moti languente e semiviva,
veggendola non sa qual sia cagione
del mortal duolo e presso a lei si pone.

53Già l’ancelle sue fide a la meschina
corron d’intorno con pietosi uffici,
e spesso Armindo a lei con fronte china
invia per risvegliarla i detti amici,
et or l’una et or l’altra a lei s’inchina
e le asciuga col vel gli occhi infelici,
veggendo poi che dura il suo profondo
sonno, le traggon di sue vesti il pondo.

54E fra i candidi bissi i freddi avori
de l’ignude sue membra han già nascosi,
e spargon del bel viso i bianchi fiori
d’odoriferi nembi e preziosi;
ma ’l guerrier ch’è cagion de’ suoi dolori
volgendo intorno i rai mesti e pensosi
sente nel cor quasi un secreto avviso
che langue sì perch’è da lei diviso.

55Mentre così de la sua vita in forse
quasi in letto funebre Oronta giace,
gran gente intorno a la sua tenda accorse
che già la fama i casi suoi non tace.
Ma ratta e infaticabile sen corse
per tutto il campo e garrula e loquace
narra il vero et al vero il falso aggiunge,
passa fra i chiusi muri e al padre giunge.

56Ode amara novella e ’l crespo viso
bagna di pianto il genitor canuto,
ma giunge intanto a Baldovin avvisoIl soldano manda a richiedere Oronta, lei si rifiuta di lasciare Armindo (56,3-71)
ch’estranio pin s’è in riva al mar veduto,
e che fin da l’Egitto a l’improviso
del gran soldano è un messaggier venuto,
e che già posto ha su l’arena il piede
et al gran duce esser ammesso chiede.

57Che sia condotto in sua presenza impone,
et ei così l’alta ambasciata spiega:
«Tal fede il re d’Egitto in te ripone,
signor, che pria di guerreggiar ti prega,
né già senza matura alta ragione,
confiso in te teco a ciò far si piega,
che a ciò con dolce violenza il chiama
di tua bontà, del tuo valor la fama.

58Già noto è a te che dall’incendio uscita
poscia che Oronta fu per l’alte porte,
confusa fra le genti e sbigottita
ov’era Armindo la guidò la sorte,
né ignoto è ancor come da lui rapita
fosse, e come a lui brama esser consorte,
e credo ch’egualmente anco palese
ti sia che prima il gran soldan la chiese.

59Che il fior di bellezza abbia già colto
non teme il mio signor, che troppo in vero
duo re sì chiari avrebbe offeso e molto
se medesmo e l’onor di cavaliero.
Or, ciò supposto a tua bontà rivolto
chiede il mio re, com’io sicuro spero,
che del soverchio ardir per chiara emenda
Armindo al fin quel ch’è già suo gli renda.

60E spera in tuo favor ch’agevolmente
dal tuo comando egli eseguisca astretto
quanto da lui si chiede, e immantinente
l’assegni a me, c’ha suo custode eletto.
Né da sì saggio prencipe e clemente
teme che resti il suo pregar negletto,
e promette, s’onor tanto riceve,
quel guiderdon ch’a grazia tal si deve».

61Mentre così parlò, la mente intesa
tenne a’ suoi detti Baldovino e ’l ciglio,
pronto poscia rispose: «Assai mi pesa
se rapì Oronta di Rosmondo il figlio,
e più mi duol ch’oggi repente offesa
giace da grave morbo in gran periglio,
sì che s’ei ben volesse Oronta darti
non potrebbe volendo or sodisfarti.

62a per quanto si stende il nostro impero
sovra il voler d’avventurier sì degno,
prometto oprar con l’anglico guerriero
ch’egli renda al tuo re sì caro pegno,
né già temo che ’l neghi, e certo spero
che non godrà irritare il nostro sdegno,
et offender ragion, che s’al soldano
ella è promessa ogni protesto è vano.

63E perché ancor di cavaliero il pregio
professa Armindo, e più ch’ogn’altro stima,
come nato di sangue altero e regio,
rendralla intatta, com’e l’ebbe in prima,
che il tuo re ben è degno e assai mi pregio
se nostri gesti ei tanto onora e stima,
e in guiderdon de l’opra i’ sol vorrei
ch’egli avari non creda i pensier miei.

64Ma perché più indugiar? Concordi andiamo
entro a la tenda ove languente giace,
ch’il desio del tuo rege adempir bramo
e ch’or ora io nol possa assai mi spiace;
e ’l Ciel che n’ode in testimonio i’ chiamo
che godo di sua gioia e di sua pace,
e che tosto per lui nozze gioconde
sian celebrate in su l’egizie sponde».

65Sì ragionando al padiglion s’invia
ove la bella inferma ha ’l suo soggiorno,
che, richiamata la virtù natia,
il volto avea già di sue rose adorno.
Ma veggendo il gran duce in compagnia
di tal guerriero, ne ha rossor e scorno,
però ch’Armondo noto a lei vedea,
che consiglier d’Alessio esser solea.

66Pur con la debil voce a lui chiedendo
venir nel campo qual cagion l’ha spinto,
a lei rispose Armondo sorridendo:
«Amor c’ha te come il soldano avvinto».
Seguia poi lusinghevole dicendo:
«Tempo è, Oronta, d’uscir da questo cinto
e ciò spiegarti qual messaggio or oso
del re tuo padre e del mio re tuo sposo.

67Ben credo il sai, che sol per tua cagione
fervido d’ira e con armata mano
venner nel campo a singolar tenzone
il re tuo genitore e ’l gran soldano.
Sai quant’ei t’ama e che non vuol ragione
che t’abbia Alessio a lui promessa in vano,
e che non devi a lor recar tormento
ma l’un e l’altro re render contento».

68Così disse ad Oronta e molto ancora
oprò per lei disporre il pio guerriero,
che non sa quant’amor l’ange e l’accora,
quanto geloso più tanto più fiero.
Ma intanto a i detti lor ella scolora
il volto, e immota stassi in gran pensiero,
pur al fine d’Armondo a la proposta
spinta da cieco Amor diè tal risposta:

69«Come ben sai d’irreparabil foco
laccio scioglier non può se non la morte,
né al soldan il guerrier tant’è ineguale
ch’a me benigna destinò la morte.
Vanta anch’ei prischi onor, sangue reale,
né fia che macchia a i miei grand’avi apporte,
e se non regge ancor l’anglico regno
ben ne fia tosto successor ben degno.

70Figlia d’Alessio io son, ma non per questo
libero egli ha su ’l mio voler l’impero:
se me promise al gran soldan protesto
ch’io fui sempre contraria al suo pensiero.
Ben creder puoi ch’è molto a me molesto
d’esser a lui cagion di duol sì fiero,
ma pria morir vogl’io ch’egli si vante
giamai legarmi ad odioso amante».

71Così concluse, e ’l messaggier sospeso
resta a’ suoi detti, e, a Baldovin rivolto,
«Or che parti, signor, non dubbia ho inteso
risposta, e in vano ogni fatica ho tolto,
nel resto poi lascerò ad altri il peso,
bastami aver l’obligo mio disciolto.
Ben farò fede al re d’Egitto espressa
che per quanto a te spetta è a lui concessa».