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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:47

Argomento
Sopra il campo cristian sen vola Argea
e scopre dove Oronta ha i suoi soggiorno,
con lei parla; su ’l mar con forza rea
d’incanto nascer fa navili adorni;
scender su ’l lido poscia ella facea
vaghe ninfe e guerrier con trombe e corni.
Con tal frode de’ Franchi arde i ripari,
consola poi d’Oronta i pianti amari.

Arrivano al lido gli spiriti inferi e distraggono i Franchi fingendosi degli esuli (1-31,4)

1Ma già la notte il tenebroso manto
fosco più de l’usato in ciel distende,
mentre la luna al sol ritorna e quanto
a lui vicina è più men lume prende,
sì che, non lenta, il già promessa incanto
per ridurre ad effetto Argea discende
da l’alte mura di Bizanzio e ’l piede
pon su le nubi e non veduta vede.

2Veloce più che rapida saetta
la porta il vento, e fra le nebbie avvolta
sopra le tende de’ cristiani in fretta
passa, e ’l rumor de l’armi e’ detti ascolta,
e quando vede in mezzo al vallo eretta
pomposa tenda al carro il fren rivolta,
pensando ben che in padiglion sì adorno
la regal sua nipote abbia soggiorno.

3Né in vano il crede, ché poi, fatta appresso,
il noto suon di sua favella udia,
e da i sospiri e da’ suoi detti espresso
l’interno dl suo core ella scopria.
Osserva afflitta che doleasi e spesso
con l’acute sue voci il ciel feria,
chiamando in mesto e doloroso grido
il già sì caro Armindo empio et infido.

4Poco mancò che da l’aereo soglio
non discendesse al suo dolor dolente,
per dar qualche ristoro al suo cordoglio
sì disperata lacrimar al sente.
Ma vide la pietate il fiero orgoglio
ch’acceso ardea ne la sdegnata mente,
sì che seguendo il suo viaggio volse
al mare il lieve carro e ’l fren disciolse.

5E gl’infernali suoi pronti destrieri
mandò messaggi a le tartaree grotte,
ch’in un momento a i tenebrosi e neri
regni arrivàr della profonda notte,
e già su ’l mare ad eseguir gl’imperi
de l’arte sua venian le Furie indotte,
costrette allora al suo voler non tanto
da quel che fa ma dal già fatto incanto.

6Copronsi allor di vapor denso l’onde
del mar vicino, e un nuvol bianco appare
che si mesce a le nebbie atre e profonde,
che già coprian di fosco velo il mare.
Quindi s’alza e s’oscura e poi diffonde
tuoni improvisi, ardenti fiamme e chiare;
s’ingrossa e cresce e fatto ognor più grande
in varie forme si divide e spande.

7Ma breve tempo in aria sta sublime
e già rotto in più parti in mar discende,
e in lui s’immerge e da le cupe et ime
acque poi sorge e nova forma prende,
e già di grosse antenne escon le cime
fuori de l’onde, e a parte a parte ascende
or una vela or l’altra, e al fin già tutta
su ’l mare esce la nave a pien construtta.

8E in un momento a lei d’intorno ancora
d’altre navi sorgeano antenne alate,
repente uscendo da quell’acque fuora
del mare su ’l dorso a l’improviso nate.
Gran lume intanto il ciel notturno indora
sì che più splendon le lor poppe aurate,
e già i bianchi lor lini a l’aura sparsi
cominciavano al lido avvicinarsi.

9E spargendo d’intorno aurei fulgori
facean comparsa lucida e serena
mentre, il seno sferzando a i salsi umori,
moveansi lente in su l’ondosa scena.
Ricca di perle, di diamanti et ori
splende l’armata, che di ninfe è piena
e di guerrier, e ponsi omai mirare
dal lido, e udir lor voci acute e chiare.

10Ma Baldovino, a cui l’avviso è giunto
che s’invia verso il lido ignota armata,
veloce impon che in quel medesmo punto
esca a incontrarla ogni sua nave armata.
E cauto allor, da timor saggio punto,
molta sua gente in ordine schierata
dispon su i lidi, e con bell’arte stende
né incustodite già lascia le tende.

11Manda intanto, a scoprir qual siasi e quanta
la gente che ne vien, messaggi accorti,
o se d’amica o di nemica vanta
il nome, o pace o pur battaglia apporti,
benché in mirar sì lieta gente e tanta
bellezza, vien che pur si riconforti,
mentre pur di lontan s’odon quei legni
dar con le trombe d’amicizia segni.

12Nulla di men non ben sicuro appresta
al periglio vicin l’armi e l’ardire,
né con facil credenza immoto resta
tante navi veggendo a sé venire.
E ratto vola in quella parte e in questa
e dispon le sue genti a l’arme, a l’ire,
e ’l lido tutto sì di faci è pieno
che par che vi ritrovi il dì sereno.

13Ma i cauti messi già facean ritorno
che giunti poscia dier notizie intere
del numero de i legni e de l’adorno
coro di ninfe e de l’armate schiere,
dicendo ancor che in lor facean soggiorno
in numero maggiore a le guerriere
turbe madri e donzelle e putti e vecchi
e che non son di guerra ivi apparecchi.

14Mirasi intanto da sì vaga armata
repente uscir lieve e sottile un legno,
e ne l’aurea sua poppa in dolce e grata
maniera assiso un cavalier ben degno,
con bel cimier, con veste d’or fregiata,
che di bramar il capitan dà segno.
In sua nave Rosmondo allor l’accolse
et ei la lingua ingannatrice sciolse:

15«O vincitore, o trionfante invitto
domator di Bizanzio e d’oriente,
c’hai veloce qual fulmine sconfitto
del tracio re l’esercito possente,
benigno duce a tua pietate è ascritto
s’in te confida sol la nostra gente,
in te, cui diero in sorte i cieli amici
tòrre a i tiranni i popoli infelici.

16Del gran regno di Creta a te ricorre
l’afflitta gente, e in supplichevol pianto
da te chiede pietate e pronta corre
a te, che gli empi hai d’atterrare il vanto.
Troppo da lui depressa, odia et aborre
l’iniquo Alessio abominevol tanto,
tratta al tuo grido che sì chiaro suona
suddita volontaria a te si dona».

17Sì disse il finto cavalier mendace,
accompagnando i detti umili a i pianti.
Poscia s’inchina e riverente tace,
pur parlando co gli atti e co i sembianti.
Ma Rosmondo rispose: «Assai mi spiace
che non sia Baldovino a te davante,
ma pur di lui sostegno io qui la vice
e parlare in suo nome a me ben lice.

18Ignota a me de l’isola famosa
non è la gloria e la grandezza antica,
e ben con gran ragione ella è bramosa
sottrar se stessa a tirannia nemica.
Chi sotto il crudo ha mai quiete o posa
chi ’l prova esperto agevolmente il dica;
Bizanzio il narri, a l’altre genti esempio,
ch’arse la reggia al re crudele et empio.

19Ma già che voi sì ferma speme avete
ne la pietà de le nostr’armi, io spero
ch’a i desir vostri il frutto egual godrete
sotto l’ombra e ’l favor del pio guerriero,
e quando avanti al capitan sarete
che pago resterà vostro pensiero,
sì pronto a pro d’altrui conserva amore
del nostro duce il generoso core.

20Piacciavi dunque omai sovra le sponde
scender da i legni e farvi a lui presenti;
già veder parmi ch’ei di gioia abbonde
nel dar ristoro a tante afflitte genti».
Tace, e ’l finto messaggio allor risponde
con l’opre non fa più preghi o lamenti,
e par che pronto ogni dimora sdegni
per avvisar, per affrettar suoi legni.

21Lieve sen va de’ remi suoi su l’ale,
quasi volando per l’ondosa via,
e rassembra leggier rapido strale
che tesa corda al segno opposto invia.
Giunge e tosto ritorna e la navale
armata ancora appresso a lui venìa.
Suonan le trombe e quando taccion senti
in concorde armonia vari strumenti.

22E quanto più s’appressa allor più lieta
rinforza più gli armoniosi canti,
et or repente ogni sua voce accheta,
or torna e par che i più soave canti,
e l’ombra e l’aura allor tacita e cheta
udir fan più le voci sue festanti,
e da ben mille parti Eco risponde
dal vicin lido e ne rimbomban l’onde.

23E su la spiaggia anco un rumor sonoro
s’ode di gridi e di confusi accenti,
e de le trombe il chiaro suon canoro
de i tamburi al romor misto vi senti.
Spargon lampi d’acciaio e raggi d’oro
e nel lido e nel mar l’armate genti,
vago è l’orrore e mentre si diletta
sgomenta e piace e minacciando alletta.

24Ma già chiuso nel porto in terra scende
la stigia turba in simulati aspetti,
e più quanto è più presso ella risplende
ne’ ricchi manti in vaga foggia eletti
***

25Strette in vaghi drappelli errano ad arte
ossequiose a i capitan più degni,
et alcuna talor ne va in disparte
quasi ch’amante procacciar s’ingegni.
Altre con l’auree chiome a l’aura sparte
si fingon ebre e di furor dan segni,
come il gioir che fuor del petto abonda
turbi la mente e il senno a lor confonda.

26Altre poi più ritrose e come nate
di nobil sangue se ne gìano altere,
con maestà ma con sembianze grate
volgendo intorno le lor luci arciere,
e i rossor di bellezza e d’onestate
mescendo, comparian dolci e severe,
e queste assai più che le oscure e vili
mortal piaga imprimean ne i cor gentili.

27De’ lor begli occhi da le sfere ardenti
fulmini uscian d’insoliti splendori,
da cui percossi i cavalier languenti
prede restavan d’improvisi ardori.
Così finte bellezze et apparenti
a i creduli ferian l’incauti cori,
Folle chi crede a bel sembiante esterno:
spesso in volto di Ciel s’ama l’Inferno.

28In altre parti se ne van vaganti
i guerrieri, che seco avean condutti,
ed i fanciulli con lor madri erranti
e i vecchi in altra schiera anco ridutti.
Ma veggendo eseguiti i fieri incanti
Argea, per còrre di sua frode i frutti,
vola veloce entro al nube usata
ove il re l’attendea con gente armata.

29Et a lui si presenta e non veduta
se non da lui così ragiona ardita:
«Tronca, Alessio, ogni indugio, ecco è venuta
l’occasion ch’a guerreggiar t’invita.
Già ’l vallo de’ cristiani e sprovveduta
resta ogni tenda, or la tua gente incita
e perché lor porti ruina e morte
a tue schiere repente apri le porte.

30Ma guarda ben che resti Aronte chiuso
fra queste mura, ad altri uscir non vieto,
ch’il mio disegno rimarria deluso
s’in oblio tu ponessi il mio divieto.
Da questa pugna egli rimanga escluso
e ’l custodisci appresso te secreto,
e osserva ben, ché l’osservar ti giova,
lungi da te né pur un passo mova.

31Ma seco tu da l’alte torri intanto
ne l’altrui strage il mio valor rimira,
odi de’ tuoi nemici i gridi e ’l pianto
e ’l fiero assalto e il grand’incendio ammira».
Sì disse, e si spogliò l’usato manto,Argea conduce le truppe di Alessio e incendia le tende (31,5-53)
poi travestita in fra i guerrier s’aggira,
e spada et elmo e piume e prende fronte
simil così ch’ognun direbbe: è Aronte.

32Le squadre allor la magica guerriera
tosto raguna, e su ’l destrier volante
sembra rapido turbine e leggiera
aura, sì lieve ha le veloci piante.
Giunge a la porta et al custode impera
che tosto l’ubbidisce e in quell’istante
esce ella avanti e con l’usate voci
d’Aronte infiamma i suoi guerrier feroci.

33E già fatta vicina a i padiglioni
d’armi e cavalli un gran rumor s’udia,
e già di trombe e di tamburi i suoni
facean d’intorno orribile armonia.
Fugge ogni guardia e vien pur ch’abbandoni
il loco mentre esercito scopria
sì grande, e sol pensando al proprio scampo
corre su i lidi a darne avviso al campo.

34A lo strepito orrendo, a l’improviso
suono de l’armi erasi desto Osmano,
e in un momento in minaccievol viso
preso l’elmo e l’usbergo arma la mano,
e fuori a pena de la tenda, ucciso
più d’un assalitor manda nel piano,
e dove più stretta la turba stassi
famelico di sangue affretta i passi.

35Non fugge rischio, non paventa offesa,
e corre in mezzo a le confuse schiere.
Contro tanto furor non val difesa,
audace in guisa e impetuose fère.
Ruota la spada ch’a due mani ha presa
né teme a fronte aver turbe guerriere;
passa intrepido avanti e i vili e i forti
miete, e assai più che colpi egli dà morti.

36Ardace il riconobbe, emulo antico
d’Osman, forte guerrier caro al re molto,
tosto gridò: «Non fugge il tuo nemico
di rubello crudel l’impeto stolto;
fermo t’aspetto e ’l tuo morir predico
che scritto il leggo nel timor del volto.
Sordo già non ti stimo, or da’ risposta
se sei muto col ferro a tal proposta».

37Osman, che ben sapea quanto gagliardo
Ardace sia, quant’in valor famoso,
l’usat’impeto affrena e in bieco sguardo
mirandolo s’inoltra e sta pensoso.
Né meno questi irresoluto e tardo
mostrasi a i colpi ancorché minaccioso,
che ben sa che quel fier s’ha i labri inetti
più con l’opre favella che co i detti.

38Pur si risolve al fin, ma con grand’arte
finge fuggir perch’ei s’inoltri audace,
e in un momento d’ond’ei stassi parte
et al fianco d’incontro a lui si face.
Vibra rapido un colpo in quella parte
pria ch’Osman si rivolga astuto Ardace,
di punta il coglie, ma il guerrier sì lieve
girò che non mortal piaga riceve.

39Ben quella punta in lui fu sprone acuto
che l’affrettò pungendo a la vendetta;
sembrò fulmine il ferro che, veduto
a pena, l’atterrò con sì gran fretta,
che gareggiò col suo nemico muto
il loquace guerrier ch’al suolo ei getta,
e sì profonda fu l’aspra ferita
che finì con la voce anco la vita.

40Ma non però che vincitor di tanto
nemico resti il temerario Osmano
vien che non cerchi d’altre morti il vanto,
e più audace che mai move la mano.
E benché senta esser ferito e intanto
il sangue sparso colorisca il piano,
pur nulla cura, e novi rischi tenta
e tra i folti nemici oltre s’avventa.

41Ma più ch’il ferro o ’l suo valor fortuna
contro tant’armi lo riserba in vita,
e pur gran turba incontro a lui s’aduna
e conserva ben più d’una ferita;
la sua spada di sangue ancor
gli sembra,e tutti a pugnar seco irrita,
piaghe non teme, non paventa scosse
e par che goda al duol de le percosse.

42Dentro a i ripari intanto assalti fieri
dà l’esercito sparso in vario loco,
e destinati a ciò molti guerrieri
spargon veloci in fra le tende il foco,
et allor sembra il ciel via più s’anneri
al fumo che s’inalza a poco a poco,
né fansi qui le solite difese
nel vòto vallo a l’improvise offese.

43Pur molte squadre ch’eran qui rimaste
corrono a l’armi, a la difesa pronte,
ma il lor solito ardir non vien che baste
mentre le schiere han così folte a fronte,
mentre in lor tutte e spade e lancie et aste
spinge in un tempo il simulato Aronte,
sì che già corre il sangue in caldi rivi
e restan molti ucciso, altri mal vivi.

44Ma ne le tende non lontane al mare
non osa entrar la vincitrice gente,
perché dal lido assai vicin mirare
la puote il franco esercito possente,
e quanto può nascosa guerreggiare
s’ingegna allora con astuta mente:
mentre quel lungi in verso il mar si spande
senz’ordine disciolto in varie bande.

45Ben le trinciere non vicine a l’onde
col ferro assalse et or col foco assale,
e già fumo con tenebre diffonde
fiamma che sorge orribile e mortale,
che non più fosca in suoi vapor s’asconde
ma con luce più chiara in alto sale,
e se talor torbida fassi e scura
tosto in lingue di foco esce più pura.

46Vedi sorger nel mezzo ampia fornace
a la gran valle che d’incendio è piena.
Ferve il gran foco e rapido e vorace
s’inalza al ciel da l’infocata arena.
Precorre avanti luminosa face
per dilatar dal fiero ardor la scena,
ch’ognor s’avanza e spaventoso appare
e ne riluce quasi specchio il mare.

47Ciò che trova distrugge, aste e bandiere
e pali e tele e carri adduce in polve,
e per l’aria in volubili e leggiere
rote si spande e globi ardenti volve,
e con avida luce in vèr le sfere
s’affretta e ciò ch’a lui s’oppon dissolve,
e v fumo sparso con orrendo velo
forma nuvoli oscuri e copre il cielo.

48Volge lo sguardo a la gran fiamma ardente
che già riduce in cenere le tende
d’ira fremendo la cristiana gente
che tardi l’armi a la vendetta prende.
Ma intanto Argea pur di pietà s’accende
vèr la nipote sua d’amor languente,
e pria che giunga a la sua tenda il foco
seco la tragge in più sicuro loco.

49Né già d’Aronte a lei mostra il sembiante
ma scopre l’auree chiome e ’l vago viso,
e dice allor ch’anch’ella vive amante
e che egualmente è l’amor suo deriso;
ma perché Baldovino in quell’istante
venir vede in battaglia in sella assiso,
tornar tosto promette e la consola,
cangia sembianti e su ’l destrier suo vola.

50E sopra il vallo che già sparso e pieno
di gran fiamma e di fumo intorno mira,
ritien e in aria il suo cavallo a freno
e per meglio osservar lieve s’aggira,
e già correr qual fulmine o baleno
l’esercito cristian fervido d’ira
discopre contro i suoi, che sparsi vede
girne intenti a gli acquisti et a le prede.

51Veloce allor precipitando in giuso
fermossi in mezzo de le squadre erranti,
et ordinando il popolo confuso
ratta ne gia tra cavalier, tra fanti,
e sonando a ritratta esce dal chiuso
con le sue schiere e s’incamina avanti.
Corron queste, ella fa lor la scorta,
e invia l’avviso a tosto aprir la porta.

52Scende allor da le mura il fier tiranno
e seco Aronte e gli altri duci ancora,
e par che scemi in parte il grave affanno
ch’a lui fra mille dubi il cor divora.
E tutti in giuso unitamente vanno
pur lui seguendo senza far dimora
le schiere ad incontrar che lieve offesa
han ricevuto in sì felice impresa.

53Entran vittoriose e trionfanti
le schiere tutte, e incontro il re ne viene,
ch’allor versando per letizia i pianti
fa di sue braccia a i vincitor catene.
Ma cangiati in un punto i fier sembianti
nel suo solito volto Argea riviene,
e con tal arte il fa che Alessio e Aronte
veder nol ponno e pur le sono a fronte.

Argea consola Oronta e le propone un piano per testare la sincerità di Armindo (54-68)

54Con lor ragiona alquanto e poi, partita,
già non si scorda di tornar nel campo,
ove Oronta lasciò ch’intimorita
stavasi ancor del grand’incendio al lampo.
Vola su ’l carro e libera e spedita
per l’aereo sentier non trova inciampo,
se non ch’il sol da l’Oriente omai
invia con le prime aure i primi rai.

55E perché non così varca sicura
come fra l’ombre quando il dì risplende,
far dimora con lei fin che l’oscura
notte ritorni in ciel consiglio prende,
e ragionando di scoprir procura
l’interni suoi martiri e ’l tutto intende.
Ma ciò che narra del cristian guerriero
non approva però tutto per vero.

56Anzi lodando lui la riconforta,
dicendo a lei che gelosia s’inganna,
perché è di vista assai devile e corta
benché ognora cent’occhi aprir s’affanna,
e che sovente ad altro fine è torta
la cortesia d’un cor ch’ella condanna.
Ma quanto più le dice alla men prende
de’ suoi consigli e il cavalier riprende.

57E infiamma sì ne l’ostinato sdegno
c’ha contro Irena e contro lui la mente
ch’il pianto abonda già senza ritegno
su i fior del viso e nel bel sen cadente,
e tal si lagna e si dispera a segno
che nel gran duol già delirar si sente.
Ma la regina, che pietà pur n’have,
così le parla in sermon lento e grave:

58«Odi le mie parole, o del egregio
re di Bizanzio avventurosa figlia,
a me cara nipote e in sangue regio
congiunta, asciuga omai l’umide ciglia,
ché ben avrà la mia possanza il pregio
di placar l’ira ch’al tuo cor s’appiglia,
e modo ti darò di passar dentro
ne’ suoi pensier e ’l cor mirar nel centro.

59Col magico valor, che forze ignote
ancor ha talor di superar natura,
che del sol può fermar l’ardenti rote
et eclissa l’aurea sua luce e pura,
ch’infonder vita entro i sepolcri e puote
dar a i vivi d’estinti anco figura,
farò sì ch’al fin parta ogni sospetto
e resti il veri nel tuo dubbioso petto.

60Ma per me sola il tutto io non potrei
se l’opra tua non vi concorre in parte.
Or odi dunque attenta i detti miei,
e in un la forza de la magic’arte:
io vo’ ch’inferma nove giorni e sei
ma con finto languor sappi mostrarte,
e giunta poscia oltre li nove al sesto
vo’ che detto no nformi in volto mesto.

61E sol qualche sospir languida esale
come a te manchi la virtù natia,
e tal poscia respiri appunto quale
uomo moribondo il fiato estremo invia.
Io non veduta da nessun su l’ale
de le mie nubi, per ignota via,
meco ti porterò ma in quel momento
lascierò quivi un corpo esangue e spento.

62 farò che sì pallido si veda
con occhi sì eclissati e tenebrosi
e tanto a te simil ch’ognun si creda
ch’il cadavero tuo su ’l letto posi.
Fatte l’esequie poi, quando già preda
finta di morte fian tuoi membri ascosi,
nel marmoreo sepolcro allor vedrassi
s’ei t’ama e se dolente o lieto stassi.

63Allor dal riso o dal singulto amaro
scoprir potrai s’egli fu a te fedele,
e nel sembiante suo torbido o chiaro
forza allor fia ch’i suoi pensier ti svele.
Forse avverrà ch’al sasso amato e caro
venga sovente, e lacrime e querele
t’offra in tributo in tenebroso manto,
e faccia fede a l’ardor suo col pianto.

64E se ciò fosse io vo’ ch’allor ridente
esca tu fuor da le funeste soglie,
che ben nel chiuso avel farò possente
te porre e trar conforme a le mie voglie.
Così pietosa raddolcir presente
de l’amante fedel potrai le doglie,
e in bel trionfo dal sepolcro uscita
per dar morte al suo duol tornare in vita».

65Così parla la maga e gran diletto
sente in udirla la regal donzella,
e ne la speme del bramato effetto
sì rallegra così che non par quella,
e le dà laude e sol reca a difetto
sì lungo indugio a machina sì bella.
Mostra con tutto ciò sembianza mesta
et al finto morir lieta s’appresta.

66Partesi allor l’incantatrice Argea,
ma pria cortese la nipote stringe
con dolci amplessi, e ’l carro suo ch’avea
pronto a’ suoi cenni al volo usato spinge.
Ma perché in sua partenza ella gemea
tosto vèr lei di novo il risospinge,
e promette affermando il suo ritorno
che certo fia nel destinato giorno.

67D’applausi popolari intanto s’ode
la città dentro risuonar per tutto,
e coglie udendo l’aspettata lode
ogni guerrier de’ suoi sudori il frutto.
Aronte sol dentro il suo cor si rode
non essendosi fuori egli condutto;
pur, raffrenando la mestizia e i detti,
scaltro le gioie altrui fa suoi diletti.

68E fuor nel volto la sua doglia interna
non mostra allor che il re festeggia e ride,
e a lui conforme ogn’atto suo governa
e tal si fa qual esser lui s’avvide,
et anch’ei si rallegra e ne l’esterna
sembianza gode, e Baldovino irride.
Poi sedendo co i duci a lieta mensa
e cibi e lodi a i vincitor dispensa.