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L’Oriente conquistato

di Tiberio Ceuli

Canto XIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.09.15 7:49

Argomento
S’accerta Baldovin ch’opra d’incanto
fu la pomposa et improvisa armata.
Finge Oronta esser morta e scopre intanto
pur troppo Irena sua rivale amata;
esce fuor del sepolcro e cerca il vanto
de la vittoria contro Armindo armata;
Argea fraponsi. Il traditor Pireno
si scopre e more a i propri ordigni in seno.

Baldovino ritira l’esercito in un borgo vicino (1-13,6)

1Mentre fra lieti applausi in regal cena
stavasi il re fra’ suoi guerrieri assiso,
né men fra tanto è la città ripiena
di suoni e canti e di giocondo riso,
sta Baldovin quasi in funesta scena
mirando il vallo con turbato viso,
che in cenere sepolto da ben mille
reliquie esala ancor fumo e faville.

2E in tanta occasion di sì gran lutto
Alteo non ha che lo consoli almeno
poiché da l’oste fuor s’era condutto
prima non molto in erto colle ameno
per goder quivi in dolce pace il frutto
di stato giocondissimo e sereno,
lontano più che può da l’ombre vane
e da i deliri de le menti umane.

3Quivi a se stesso vive e non curante
di quant’apprezza ambizioso il mondo,
nudre nel cor, sol di sua pace amante,
d’ogni umana grandezza oblio giocondo,
e pensa e va quanto più puote avante
con l’acuto pensier nel Ciel profondo,
e contemplando ne l’empireo passa
e le cose caduche a dietro lassa.

4Colà già fuor de la volubil sfera
ch’il moto e ’l tempo in sé rinchiude sale,
il guardo affisa ne la prima e vera
immobile cagione et immortale.
Ritorna poscia in giuso e con sincera
luce il Ciel vede a sé mai sempre uguale,
e pria gli astri superni ivi rimira,
poscia verso gli erranti i lui gira.

5Mille et altre cagioni et altri ancora
effetti poi ne gli elementi ascosi
comprende, e come il verde suol s’infiora,
come sorgano i boschi alti e frondosi,
come il grembo a la terra il sole indora
e di perle arricchisce i seni ondosi,
come tanti animai sì belli a vari
producan gareggiando e terre e mari.

6Tante e sì varie cose osserva e mira
il saggio veglio, e nel desio più ardente
perché ’l tutto ne l’uom rinchiuso ammira,
in se stesso rivolge al fin la mente.
Qui vede come a Dio simil s’aggira
luce che in ogni parte arde presente,
e ne l’angusto mondo ella infinita
a tutt’i membri suoi dà senso e vita.

7Così di sé ne la più nobil parte
anco mortal vita celeste gode,
e ’l tutto rimirando a parte a parte
la mente fa de i bei tesor custode.
Ma Baldovino fiso il pensiero e l’arte
d’Argea vaga d’ordir magica frode
s’avvisa ben ch’il repentino danno
stato sia de la maga opra et inganno.

8E tanto più del ver s’accerta quanto
vede sparir l’ossequiose schiere
ch’in dolci atti e in sì pomposo manto
comparìr sì vezzose e lusinghiere;
sì che in dubbio non ha ch’opra d’incanto
fosser finte le navi e non già vere,
le vele e i remi e i naviganti e i segni
e tutto ciò che in sé chiudean quei legni.

9E da lungi osservandoli scorgea
de l’incanto crudel novi argomenti,
però che sorto orrido vento ergea
l’acque in monti volubili e cadenti,
e nel medesmo punto egli vedea
qual gran fiume del mar l’onde correnti
urtar nel fianco i legni e benché gravi
voltar sossopra le dorate navi.

10Strano a veder volger le navi in suso
quell’ima parte che nel mar s’asconde
e con l’antenne lor rivolte in giuso
toccar poi sol con la lor cima l’onde,
moversi in aria i remi e fuor d’ogn’uso
quasi penne trattar l’aure seconde,
e d’uomini e di donne il cavo seno
vòto restare e il fondo fuor ripieno.

11E volar lungo tratto in mezzo al mare,
poi transformarsi in lievi nubi oscure,
e farsi a poco a poco ognor più chiare,
poi per l’aria volar candide e pure,
indi svanir, fatte sottili e rare,
qual nebbia suol ch’in faccia al sol non dure,
e da lui rarefatta in un momento
si cangi in aria e s’assottigli il vento.

12Veduto ciò, seco si lagna e duole
restar così da l’empia Argea schernito,
e tutto mesto in erme valli e sole
co’ suoi pensieri se ne va romito;
ma non oblia però come pur suole
curare ogni languente, ogni ferito,
e degli estinti i corpi freddi e l’ossa
onorar poi di lacrime e di fossa.

13Ne i borghi indi vicini albergo prende
e le sue genti in vari lati ha sparse,
sin che rifatte sian novelle tende
e gli altri ordigni ancor ch’il foco v’arse,
e quasi ad onta da le fiamme orrende
vuol che veggansi tosto al cielo alzarse.
Mentre cauto in quest’opre il pensier giraOronta, dando seguito all’inganno, scopre che Armindo ama Irene, e cerca di ucciderlo fingendosi fantasma (13,7-54)
la bella Oronta in finta morte spira.

14E da la maga in quel momento è posto
il suo freddo cadavero in quel loco
ove ella si giaceva, e seco tosto
l’invola e nessun vede o molto o poco,
e la porta per l’aria e ’l carro ascosto
in sue nubi passar si prende gioco,
presso a la tenda del suo bel guerriero
che già credeasi il suo morir per vero.

15Indi sen vola a la sua reggia e quivi
fra l’ancelle sue fide Oronta asconde,
e cangia in color fosco i color vivi
del volto, e in nero crin le chiome bionde,
e aspetta infin ch’a lei novella arrivi,
portata da le nere anime immonde,
di quel che nell’esercito succede
e se dan tutti a la sua morte fede.

16Ma pur troppo creduto e fatto a pieno
fu da gli spirti il desiato incanto,
e già si vede al gran feretro in seno
giacerne Oronta col regal suo manto,
già con volto di lacrime ripieno
le sta gran turba gi guerrieri accanto,
e mesto più de gli altri Armindo involto
in nere spoglie ha lacrimoso il volto.

17Sol la rivale innamorata Irena
mentre cadea l’invidiato sole
tragge occulto piacer da l’altrui pena
e de la morte sua nulla si duole,
pensando che s’Amor l’alme incatena
con più d’un nodo esser men forte suole,
e che sendo da l’altro il suo diletto
sciolto il suo laccio diverrà più stretto.

18Pur mentre vede il cavalier dolente
che solo è del suo core e spirto e vita,
si mostr’anche’ella al suo languor languente
e finto pianto a uscir da gli occhi incita,
e mesta appresso a le bellezze spente
sospira e seco a pianger gli altri invita,
temendo che se almen pur qualche segno
non dà di duolo irriti Armindo a sdegno.

19Ma già di chiare e numerose faci
fatta nobil corona a lei d’intorno,
tra folto stuol di cavalier seguaci
l’ergon sublime in su ’l feretro adorno,
e tante fur le fiaccole e i vivaci
lumi che n’ebbe il sole oltraggio e scorno
Giunti al fine a la tomba ivi lasciaro
chiuso il bel corpo in marmo illustre e raro.

20In forma di piramide formato
è il nobil sasso da scultore egregio,
e di corone e d’aurei fregi ornato
ch’additan ch’ivi chiuso è corpo regio,
e perché al passagier non sia celato
de l’estinta donzella il nome e il pregio
entro un giro d’allor misto a i cipressi
scolto nel marmo fur tai detti impressi:

21IMMORTAL QUI LA BELLA ORONTA GIACE,
NOBILE PREDA A INESORABIL SORTE.
A LEI MORTE D’AMOR SPENSE LA FACE,
MA PRIMA AMOR VIBRÒ LO STRAL DI MORTE.
FIAMMA D’AMOR LE RESE IL PIÈ FUGACE
MA PRIA FUNESTO INCENDIO APRÌ LE PORTE.
NACQUE DA UN FOCO L’ALTRO E S’ELLA VINSE
L’UN CON LA FUGA E L’ALTORPOI L’ESTINSE.

22Tai fur le note nel sepolcro incise
dove Oronta credeano esser rinchiusa,
ma se de la sua morte Irena rise
non più temendo esser da lei delusa,
duolsi Armindo a la fé che già promise
pur ripensando e se medesmo accusa,
e bench’il novo amor d’Irena il lega
vèr lei sovente col pensier si piega.

23E da l’interno duol sentendo spesso
pungersi il core et infiammar la mente,
più d’una volta al suo sepolcro appresso
ne va solingo e tacito e dolente.
Et anco Irena se ne va con esso,
mesta nel volto e nel suo cor ridente,
ma perché sì doglioso Armindo scorge
finto ossequio di duolo anco a lei porge.

24Fa però quanto puote ond’ei cancelli
ogni memoria de l’antico ardore,
e col bel riso e co’ soavi e belli
occhi gl’imprime nove piaghe al core,
e s’avvien che d’Oronta egli favelli
seco talor, ne mostra ira e dolore,
dicendo esser virtù se quella oblia,
e che amar donna estinta è gran follia.

25Giunge fra tanto a la regina avviso
che messaggio infernale a lei rivela,
che talor mostra su le labra il riso
Armindo, e ch’or s’attrista e si querela,
non però torce da l’amato viso
d’Irena un guardo, e che l’amor non cela,
e che sovente al freddo avel che preme
l’estinta Oronta se ne vanno insieme.

26Udito ciò dal negro spirto Argea,
a la nipote sua così favella:
«Molto non ha, mista fra bona e rea,
intesa ho già d’Armindo tuo novella
ch’ei pianse il tuo morir, ma s’egli ardea
per te ch’or più l’accende Irena bella,
e che se pur talor mest’ha il sembiante
come amico si duol, non come amante.

27Andianne dunque senz’indugio e poi
quando ei presso l’avel sarà condutto,
osservar tu potrai con gli occhi tuoi
e con gli orecchi propri udire il tutto.
Ben ti consiglio per dar poscia a i suoi
cortesi gesti il meritato frutto
non sol per punir sua mente ingrata
venir di sdegno ma di ferro armata.

28Teco io verrò, né dubitar soletta
l’armi impugnar contro campion sì forte,
ch’io sarò in tua difesa e quando inetta
tu fossi ancor, potrò sottrarti a morte.
Su preparati dunque a la vendetta,
forse anco avrai tu la vittoria in forte,
vienne di ferro più che d’oro adorna,
vanne veloce e tosto a me ritorna.

29Prende intanto la maga un tal liquore
c’ha in sé virtù di spezzar ferri e marmi,
e per far più potente il suo vigore
più volte ancor vi assicurò suoi carmi.
Ma torna Oronta, a cui già l’elmo Amore
posto ha su i crini e cinte al fianco ha l’armi,
la pone Argea su ’l carro e ’l volo prende
ratto da Cipro a le cristiane tende.

30Giunta nel campo se ne sta sospesa
alquanto in aria rimirando intorno,
e vede a punto Armindo c’ha già presa
la via per gire al bel sepolcro adorno,
e seco Irena, che, d’amore accesa,
gode sovente far con lui soggiorno.
La maga a lei che seco va congiunta,
dice: «Ben opportuna or qui sei giunta:

31vedi colà su quel fiorito prato
di tua morte creduta indizio certo.
or odi dunque, dentro al cavo e vano
sasso discendi, e da me fiati aperto.
Quindi osservar potrai, mentre è lontano,
suoi gesti, ma se poi come ben certo
spero, s’appressa al tuo sepolcro allora
distinte udrai le sue parole ancora.

32Io starò, non veduta, al marmo appresso
per non lasciarti incustodita e sola.
or mira tu s’egli è dal duolo oppresso
o pur se per tua morte ei si consola,
che credendoti estinta il core istesso
vedrai negli atti e in ogni sua parola,
e tanto più quanto con lui discorre
la tua rival, che tua memoria aborre».

33Così parlando più vicina al sasso
faceasi, e come è giunta ella depone
nel piano Oronta in loco erboso e baso,
mentre il sepolcro a disserrar si pone,
e già in virtù de’ suoi liquori è il passo
aperto, e nulla a’ suoi desir s’oppone,
ch’a pena sparso ne la dura pietra
quasi scalpello il forte umor penetra.

34Intanto Oronta con sembianze smorte,
prima sepolta di morir s’interna
ne la fredd’urna, e in fra gli orror di morte
amor geloso i passi suoi governa.
Ben puote aprir quand’ella vuol le porte,
ch’Argea rinchiuse da la parte esterna,
oltre che fra sue nubi ella presente
quando non possa uscir sua voce sente.

35Ma già non lungi il cavalier rimira
ch’in lento passo in verso lei ne viene
vedendo che pur seco anco s’aggira
colei che stretto l’ha di sue catene.
Trema Oronta in quel punto , indi sospira,
ma ’l sospir preme e a fren su ’l labro il tiene,
né moto alcun fa ch’udir la possa
mentr’ei s’appressa a la marmorea fossa.

36Da l’aperto spiraglio osserva intanto
ogni moto, ogni guardo, ogni suo detto,
ma vede il riso in vece allor del pianto
su la bocca apparir del suo diletto,
e la perfida ancor che gli era a canto
in vece di dolor mostrar diletto,
per ischerno additando il sasso e ’l loco
del suo già caro incenerito foco.

37Ode poscia ch’ei volto a la donzella
dice, più lieto che turbato in volto:
«Mira là dove giace Oronta bella,
ivi ogni tuo sospetto anco è sepolto:
nol nego, già provai l’auree quadrella
de’ suoi begli occhi entro i suoi lacci avvolto,
ma quando Amor ne’ lacci tuoi mi strinse
ogn’altra fiamma il tuo bel foco estinse.

38Sovra il volto d’Irena un bel rossore
comparve allor, che non vergogna accese
ma con la face sua destollo Amore
ch’allor più che mai viva il cor le offese,
e soave così l’interno ardore
fu che gli occhi col pianto il fèr palese,
pianto che dal suo core a poco a poco
stillava Amore col suo dolce foco.

39Piangean gli occhi di gioia e muti i labri
parvero allor ma ben parlàr co’ baci,
dolci così ch’i teneri cinabri
quanto più chiusi anch’eran più loquaci.
Così da quelle rose industri fabri
suggean d’Amor il mel pecchie mordaci,
e in reciproche offese alti contenti
godeano più quant’eran più languenti.

40Cangiàrsi rai dolcezze a l’improviso
nel cor d’Oronta in un veleno amaro,
e ne l’invido sen que’ baci e ’l riso
in angoscia mortal si trasformaro,
e ben suoi membri a così certo avviso
freddi quasi cadavero restaro
in quel sepolcro, ma per tempo poco
si stette, e ’l gel tosto cangiossi in foco.

41Spinse col piè de la marmorea tomba
l’incisa parte, e tratto il ferro ignudo
gridò con suon qual di guerriera tromba:
«A l’armi, a l’armi o traditore, o crudo»,
«A l’armi, a l’armi «il fosco avel rimbomba.
Replica quella: «Io qui non più mi chiudo
ma scheletro animato, ombra risorta
a battaglio ti sfido ancorché morta.

42Al grido orrendo, al gran rumor del sasso
che non trovando a sua ruina inciampo
cadea di su precipitoso al basso,
del guardo fier, del ferro ignudo al lampo
sbigottì Armindo, e tirò indietro il passo,
e fuggì Irena ne l’aperto campo,
e l’uno e l’altra con tremante piede
s’arretra e mira e di mirar non crede.

43Ma s’inoltra colei di sdegno accesa
vibrando contro lui colpi mortali,
egli fuggendo a pena fa difesa
ma ’l segue Oronta, e quasi al piede ha l’ali.
Si ferma al fin, ma senza farle offesa
in guardia, e dice a li parole tali:
«Non più irritarmi, ombra dal centro uscita,
che morte avrai se è pur mortal tua vita».

44«Tu, cruda Aletto, ombra crudel d’Inferno,»
rispose allor «che nel mio seno il foco
spargesti sol per far mio duolo eterno,
e del mio fido amor prendesti gioco,
ma invendicato non sarà lo scerno
né vivo partirai da questo loco».
Vibra ciò detto il nudo ferro e a pena
di ribatterlo ha l’altro ardire e lena.

45Stende di novo impetuosa punta
con braccio allor sì risoluto e forte
che poco più che fosse avanti giunta
a lui recava irreparabil morte;
ma più ’l timor che ’l suo valor disgiunta
l’ha dal suo petto, e fu mirabil sorte
ch’in quel punto ch’in lui la spada volse
da tema astretto non pugnar risolse.

46E torse indietro il passo e il petto offeso
non ne restò ch’in quel momento il fosse.
Fuggì, ma nel fuggir dubio e sospeso
pur ripentissi e contro lei fermosse.
Ma in quel punto la maga il petto acceso
di pietà, con sua nube al suol calosse,
e già presaga de’ perigli sui
invisibil la rese a gli occhi altrui.

47Resta attonito quegli e ’l guardo volve
intorno, e spesso chiama e lei disfida,
ma nulla mira e in gran stupor s’involve
e sognar crede e si sé non si fida.
Cercar Irena al fine ei si risolve
che non sa dove il suo timor la guida;
ripon la spada e pargli ancor che dorma
ne’ suoi pensieri e di lei segue l’orma.

48Ma poco va che vede a sé vicina
tra i fiori assisa la gentil donzella,
che rassembra di lor vaga regina
le sue pompe spiegar rosa novella.
Ma come questa a la gelata brina,
così al gel del timor languiva anch’ella,
e la fredda paura i bei rossori
avea cangiati in languidi pallori.

49S’inchina Armindo e, sbigottito anch’esso
e tinto di pallor, presso le siede,
e sembra un giglio a vaga rosa appresso
e l’un per l’altro insuperbir si vede.
Mostran lor volto e timido e dimesso
che l’alma ancora alto spavento siede,
miransi insieme e i languidetti sguardi
son or più lenti e men acuti i dardi.

50A l’amato guerrier confusa Irena
dice: «Ancor sento in mezzo al core un ghiaccio.
Qual larva uscì, qual infernal sirena
da quel sepolcro ond’ancor tremo e agghiaccio?
qual poter, qual incanto or qui rimena
gli estinti, e move et arma a Oronta il braccio?
dunque non le bastò viva sprezzarmi,
che poi sepolta ancor prende in me l’armi?».

51Sospira il cavalier, tace e non osa
parlar di quel che non intende il core;
languido stassi e ’l capo in sen le posa
e in sì gran duol pur lo consola Amore.
Ma ne la faccia mesta e lacrimosa
pur talor fa ritorno il suo dolore,
stupido pensa e la fin le sue pensose
doglie sfogando, a lei così rispose:

52«Chi vide mai quasi da chiusa tenda
fuor d’una tomba uscir guerrier armato?
Io non so s’io pur sogni o ’l ver comprenda;
tu pur vedesti, et io l’ho pur mirato.
Se larva fu ben è ragion ch’apprenda
quindi il tenor del mio nemico fato,
se corpo esangue ancor privo di vita
sin dal sepolcro fuor contro m’irrita.

53Ma sia pur come credo arte d’Inferno
ch’in cotal guisa disunir ne vuole,
ch’io prenderò l’ombre d’abisso a scherno
sol in mirar de’ tuoi begli occhi il sole.
Tu fonte sol del mio gioire eterno
in te sol fia ch’ogni mio duol console,
ma tempo è di tornar verso le tende
or che rapido il giorno al mar discende».

54Sorge così dicendo e la solleva
col forte braccio onde risorga anch’essa,
ed ella, benché lenta, in piè si leva,
ch’ancor languia da la gran tema oppressa,
e come sicurezza ella riceva
dal suo valore, al fianco suo s’appressa,
la man gli stringe e così fan ritorno
gl’impauriti amanti al lor soggiorno.

Pireno è intercettato dai Franchi e ucciso con la sua stessa mina (55-69)

55Ma qui dentro a le tende alto periglio
già si prepara al conduttier sovrano,
se d’Irena l’avviso e ’l suo consiglio,
che lo prevenne, nol rendesse vano.
E già preda di morte al crudo artiglio
fora in mezzo a sue schiere il capitano,
se di fortuna inaspettata aita
ch’il reo scoprì nol conservasse in vita.

56Già sparse avea la vaga aurora in cielo
al sol l’aure sue chiome e rugiadose,
e già copria con luminoso velo
del volto i gigli e le purpuree rose,
quando Piren, ch’in lungo e bianco pelo
venerabil appar, sue frodi ascose
nel centro del suo cor, lieto in sembiante
al romano guerrier si fece avante,

57e disse a lui: «Se la sembianza esterna
di nobil cor, come pur suol, fa fede,
spero mi guidi ne la stanza interna
de l’aurea tenda ovil gran duce siede.
Nel calle incerto i passi miei governa,
misero peregrin ciò da te chiede,
misero sì se guardi fuor ma dentro
non fia vil se mirerai nel centro.

58Né già d’alti natali in me il difetto
altro o d’antica stirpe accusar puote,
ma di fortuna sol, che sì negletto
gode vedermi e mi deprime e scote.
Fu già ’l mio caro genitor costretto
dal crudo Alessio in region remote,
e diè l’iniquo a lui perpetuo esiglio
perché il valor temeva e ’l suo consiglio.

59Spento il mio padre poi, non men crudele
ne’ figli suoi l’empio furor non scema,
e di sua ferità, di mie querele
ben fede fa la mia miseria estrema,
Lungi dal suol natio spiegai le vele
perché come minaccia ei non mi prema,
vidi l’Italia mendicando e vidi
l’ibero e ’l gallo e di Germania i lidi.

60Varcai l’Albi e l’Onacro e poco lunge
da tergo i Belgi e poi le genti Olsate,
e vidi come angusto mar disgiunge
lo Sveco e ’l Dano e l’onde lor gelate.
Passai più sotto al polo ove mal giunge
raggio di sol, né vi conduce estate,
e per l’indico mar poscia ritorno
facendo vidi onde rinasce il giorno.

61Giunto al fin dove il Caucaso sublime
erge la fronte, ove il mio padre nacque,
nel patrio suol non lungi a le sue cime
presso l’Arasse ritornar mi piacque.
Giunto colà, per inasprir le prime
sciagure, estinta la mia madre giacque,
sì ch’afflitto assai più ch’in altro lido
traea miei giorni nel paterno nido.

62Ma perché al fin, come pur suol, fortuna
si stanca sempre in saettar un segno,
quand’appunto il mio cor speme nessuna
avea di pace e di placar suo sdegno,
mi giunse avviso come qui s’aduna
l’esercito cristian nel tracio regno,
e ch’il suo duce invitto e glorioso
e non meno che forte anco pietoso.

63Or tu, signor, se del mo caso strano
favilla di pietà t’infiamma il petto,
scorgimi, prego, al capitan sovrano
e m’introduci al suo cospetto,
ch’io quest’opra gentil d’industre mano
non vil tributo, anzi pur dono eletto,
offrir gli bramo; è in questo breve e tondo
globo pur tutto effigiato il mondo.

64«A se stessa, o buon vecchio, adito face
la tua virtù, «rispose il cavaliero «
né d’uopo hai di me tu, ma se ti piace
teco ne vegna, additerò il sentiero».
Così con finto cor, con fronte audace
copria Piren de’ suoi disegni il vero,
e celò così ben l’inique frodi
che Cesar l’accarezza e gli dà lodi.

65E seco ognor si mostra più cortese
sin che presente al capitan lo guida,
ma Baldovino, le luci d’ira accese,
tosto che ’l vide, a’ suoi si volge e grida:
«Ecco il fellon ch’in me l’insidie ha tese,
prendete l’empio, il traditor s’uccida.
Fra catene ristretto, in questo loco
mora, novo Perillo, entro il suo foco».

66Ciò detto a pena, in ferrei lacci stretto
fu da’ ministri, e come il duce impose
appeso il fero ordigno al proprio petto
fuori del vallo il traditor s’espose,
legato a un tronco, ivi a morir costretto
nel foco istesso ch’il crudel compose,
miserabil trofeo d’orrida scena
e fabro industre de la propria pena.

67Ma la mina letal, ch’insidiosa
serba quel finto mondo entro il suo seno,
quasi fiamma sulfurea in nube ascosa
ancor non arde, e tien se stessa a freno;
ma quanto tarda più, tanto penosa
la vita è più del misero Pireno,
e di sue pigre rote i lenti moti
condanna, e mira il ciel con occhi immoti.

68E brama s’a la machina fatale
d’infiammarsi la via fosse impedita,
ch’avventi Giove un fulmine mortale
e per pietà lo tolga allor di vita,
e ’l prolungar sue pene è sì gran male
ch’in fin le furie a sua ruina invita.
S’ange così che per uscir di scherno
già che non l’ode il Ciel, chiama l’Inferno.

69Stanno in tanto a mirar su le trinciere
il funesto spettacolo improviso,
e fuori ancor le numerose schiere
con fermo piede e con immobil viso,
quand’in un punto e tuona et arde e fère
la chiusa fiamma, et ei riman diviso,
lacero e sanguinoso e sovra l’erba
spargonsi i membri e d’uom forma non serba.