Argomento
Ringrazia Dio che gli svelò le frodi
Baldovino, e si fa cibo al sacro altare.
Combatter vuol, ma vien ch’Alteo non lodi
che sì presto a la pugna ei si prepare;
molte ragioni adduce, e gli dà modi
onde a sperar certa vittoria impare.
Riporta Oronta al padre Argea nascosta
fra nubi, ei del soldan vuol che sia sposa.
I Franchi indicono messa per ringraziare il Signore (1-15)
1Ma già schernite sì crudeli e nove
arti, fuor di periglio il capitano
ingrato non s’asside o lento move
in render grazie al gran Motor sovrano,
e prima impon ch’ogni guerrier rinove
e purghi l’alma e da la sacra mano
sciolto con mente d’amor santo accensa
si cibi poi su la divina mensa.
2Quindi in mezzo a i ripari allor s’eresse
sublime altare, e d’aurei fregi ornato,
e quivi il sacerdote orando lesse
e fu primier del sacro pan cibato.
Indi rivolto con pian man concesse
a ciascun poi del popolo adunato
il cibo sceso da i celesti regni,
pria dicendo: «Signor, non ne siam degni».
3Solo in disparte Baldovin raccolto
ne’ suoi pensieri genuflesso adora
quel che poco anzi ha nel suo seno accolto,
gran Re del Ciel ch’il suo vil tetto onora.
E, dopo lui, l’esercito disciolto
stassi con fronte umile e prega e plora,
mentre il gran sacerdote al sacro canto
diè fine, e insieme al sacrificio santo.
4Vedeasi poi, quasi in sublime soglio,
orator sacro in alta sede asceso,
ch’armato contro l’infernale orgoglio
così comincia, d’alto zelo acceso:
«Leghi ciascuno or che la lingua io scioglio,
il suo pensier, se fosse altrove inteso
ch’in brevi detti io vo’ mostrarvi aperta
del Ciel la via, benché scoscesa ed erta,
5Scoscesa ed erta ma però sì piana
a chi per guida ha di virtù la face
ch’ogn’altra ancor ch’in apparenza vana
sembri piena di fior, tormenta e spiace.
Scese nel corpo vil la mente umana
che quasi in tomba imprigionata giace,
non già per farsi ancella a i sensi indegni
ma perché sovra lor trionfi e regni.
6Ma se qual talpa gli occhi a lo splendore
di virtù sol morendo aprir volete,
non vedendo i suoi rai non è stupore
se sempre immersi nel vil fango siete,
se v’aggirate in tenebroso orrore
meraviglia non è s’ognor cadete.
Chi sarà che di voi prenda il governo
se voi medesmi vi prendete a scherno?
7Non già così l’Onnipotente mano
di cui la gloria ancor qui giù risuona
ne tien da voi l’aiuto suo lontano
ma ratti affrena e pigri ognor vi sprona,
e sovente minaccia e non in vano
dal grand’arco del ciel fulmina e tuona,
e spesso ancor, come ier fe’ in quell’empio,
mostra di sua giustizia orrendo esempio.
8Ma più spesso però pietosa in atto
vèr noi si mostra, e d’alto amor fervente.
mirate ciò nel gran favor c’ha fatto
al sovrano guerrier ch’è qui presente,
mentre il duce serbando anco ha noi tratto
dal periglio vicino et imminente,
né solo noi ma ’l Trace e il Perso e il Moro
che sol da sua pietà spera ristoro.
9Che fora l’uom se da virtù superna
non ricevesse ogni momento aita?
Arida polve in questa valle inferna,
né pur godrebbe un’ora sol di vita.
Saria nostr’alma, ancor che nata eterna,
senza luce aura lieve, ombra smarrita,
se quasi luna del suo sole i rai
fosca per sé non rimirasse mai.
10S’il sommo Sol non gli dà vita un nulla
è l’uom mortale, non che un’ombra lieve.
Mira il fosco natal, mira la culla
ne l’alba vil del nostro giorno breve,
mira il nato bambin che si trastulla,
co i lamenti e col latte il pianto bene,
piange presago di sua dura sorte
quasi più brami ch’il natal la morte.
11Su su, ciascun la sua viltà natia
a contemplar, ad ammirar s’appresti,
e fuggendo l’infida oscura via
rivolga il guardo a i bei sentier celesti,
ché son le pompe, la beltà, la ria
sete de’ regni e d’or sogni molesti.
Misero l’uom che l’apparenti forme
vede sognando e vigilando dorme.
12Mirate il ciel con tante faci accese
che vèr l’empireo il el sentier v’addita,
e con lingue di luce ognor cortese
onde scendeste a ritornar v’invita.
Mirate come intorno egli si stese
e in cari amplessi ci conserva in vita.
Per noi sempre mirar arde di zelo,
apre tant’occhi quant’ha stelle il cielo.
13Sarete voi così protervi e duri
e così sordi a chi bear vi brama
che fuggirete entro gli abissi oscuri
per non mirar il ciel ch’a sé vi chiama?
Qual serpe mai, qual tigre è che non curi
la sua simil che l’accarezza e l’ama?
E pur la mente vostra a Dio simile
sprezza e si prende Iddio medesmo a vile.
14Or se mortali no ma dèi celesti
sète, se a l’alma rivolgete il guardo,
perché non risorgete agili e presti?
ché non spronate il grave corpo e tardo?
Udite da sua parte i miei protesti
or che nel lume suo m’infiammo et ardo,
saret’Angeli in Ciel se i desir vostri
frenate, o pur vi cangerete in mostri.
15Amate il Creator, che n’è ben degno,
se l’esser vostro sol da lui deriva.
Ami l’un l’altro ancor, né l’oro o ’l regno
v’insuperbisca, e il tutto a lui s’ascriva,
e di vostra pietà sia chiaro segno
che chi non ha de’ vostri doni viva.
Sprezzate il mondo e sol in Dio godete,
e morir pria che morti oggi apprendete».
Baldovino raduna il consiglio e mostra intenzione di combattere, Alteo lo frena prospettando nell’attesa il compiersi di alcuni eventi favorevoli (16-48)
16Qui tacque, e già finiti i sacri uffici
dentro i ripari ogni guerrier sen riede.
Ma Baldovin, che pur de’ suoi nemici
restar al fin vittorioso crede,
chiama a consiglio i capitani amici,
e perch’al saggio Alteo lungi risiede
manda messaggio frettoloso e ’l prega,
ed ei far paghi i suoi desir non nega.
17Siedon già sotto i padiglion raccolti
e in cotal guisa il gran guerrier ragiona:
«Sovente il Ciel, bench’in sue nubi accolti
fulmini serbi, sol lampeggia e tuona,
e innocenti baleni a l’aria sciolti
sol minacciando orribile risuona,
tal a me sembra il nostro campo e parmi
che sol siam chiari al lampeggiar de l’armi.
18Non dico già ch’il ferro vostro in vano
risplenda ognor né mai battaglia apporte,
che so ben io che su la vostra mano
portò sovente i fulmini di morte,
e che sol voi temendo il re pagano
rinchiuse tien l’assediate porte,
ma dico ben ch’inutile ogni impresa
fia se non cade la città difesa.
19Vive anco e regna da nostr’armi cinto
il serpe fier ch’infetta a l’Asia il seno,
e se non cade giù dal soglio spinto
potrà sempre temersi il suo veleno.
Certo non può s’ei non rimane estinto
l’oppressa gente assicurarsi a pieno,
che potria, bench’in tana or si raccoglie,
in altro tempo rinovar le spoglie.
20Dunque il fatto fin ora è poco al vanto,
nulla al desio, scarsa mercede a l’opra,
più che scarso ristoro al commun pianto
e degno sol che d’alto oblio si copra.
Or noi godrem che neghittosi tanto
il crudo re da la città ci scopra
egli sedente spettatore e noi
sol faticosi fra l’incendi suoi?
21Ben col suo ferro il valoroso Osmano
quasi con lingua acuta a noi ciò disse,
quando poc’anzi con armata mano
al duce avverso il fero invito scrisse.
Sempre dunque vedrem su questo piano
le tende e l’aste immobilmente affisse?
e d’argini e di fosse intorno cinti
non meno intanto i vincitor ch’i vinti?
22Già le baliste e gli arieti e pronte
oltre tant’altre machine murali,
le nostre armate torri ergon la fronte
di fiamme il seno gravide e di strali,
che vibrar ponno agevolmente il ponte
su i muri, e per recar gli ultimi mali
introdur poscia per sicure strade
nel cor de la città le nostre spade.
23Bramo dunque portar, s’Alteo l’approva,
diman l’assalto a le nemiche mura,
che più presto che puossi a me più giova
tòr gl’infelici a servitù sì dura.
Ben fia del valor vostro usata prova
da gli empi riportar palma sicura,
da gli empi che sovente a fuggir usi
stann’or fra i muri per timor rinchiusi.
24Itene, o forti, nel vicin periglio
di tante altre vittorie a corre il frutto.
Già vedo o preso o in vergognoso esiglio
fuor de’ suoi regni il crudo re condutto,
già reciso de l’empio il fiero artiglio,
già il popol d’Asia in libertà ridutto,
già caduto Bizanzio, Alessio estinto,
basta che guerreggiate, avete vinto».
25Così dicendo avea di fiamma il volto
più del solito assai lieto e vivace,
ma ’l venerabil saggio a lui rivolto
pensoso in atto in lui s’affisa e tace.
Poscia da tutti e più dal duce molto
pregato, disse: «Luminosa face
esposta al vento è ver che più s’accende,
ma pur men viene quanto più risplende.
26Mirabil certo il valor vostro e ’l pregio
n’apparirà ne la mortal contesa,
e più colmo d’ardire il tuo cor regio
s’or dai l’assalto a la città difesa,
ma già che ’l chiedi io dirò bench’egregio
consiglio fora a ritardar l’impresa,
né pur che segua glorioso fine
viltà può dirsi il paventar ruine.
27Benché qua giù ne la volubil scena
de le cose mortali anco sovente
via che par più sicura a morte mena
e più certa ragion spesso anco mente,
nulla di men se d’aspre spine piena
la strada è malagevole e pendente
sempre sarà più provido consiglio
sceglier quella ove appar men di periglio.
28Ma perch’uman saper debil e corto
questa conosca e impresa ancor non lieve,
che spesso resta infra gli errori absorto
se i rai del sommo Sol pria non riceve,
con tutto ciò da la sua grazia scorto
ciò che sperar ciò che temer si deve
dirò, ch’a me quasi fra nebbia luce
del primo Ver dà l’invisibil luce.
29Lascio ch’in Ciel nemico influsso a i tuoi
desir s’accende ne la quinta sfera,
che non così, non molti giorni poi
splenderà formidabile e severa,
e che non sì nemici i raggi suoi
verserà sovra e l’altra primiera,
appressandosi già lucida e belle
seco ad unirsi l’amorosa stella.
30Ma ciò che più m’aggrada e mi promette
speme di palma, è che da l’ampie valli
del gran Danubio a te non poche elette
verran schiere di fanti e di cavalli,
ch’oltre che molto il duce lor s’affrette
sono lungi da noi brevi intervalli,
né forano qui giunte se non fosse
che da me pria furo chiamate e mosse.
31Però che il sommo Dio, che il tutto cura,
se ben permise a i mostri empi infernali
ch’uscisser fuor di lor prigione oscura
e d’Alessio in favor spiegasser l’ali,
inspirò me che con paterna cura
compensassi l’offese aspre e mortali,
e risarcisse il danno de’ tuoi spenti
guerrier con doppio stuol d’armate genti.
32Sì ch’a te ignoto et a me sol palese
è il gran soccorso ch’insperato attendi,
in guisa come non temute offese
vennero a te d’inaspettati incendi.
Così quando nol pensa il Ciel cortese
l’uom mira, e quindi sua pietate apprendi,
e quindi impara ch’in dar premi e pene
sempre per util nostro Argo diviene.
33Argo di vista così acuta e spessa
che de i cor passa e de i pensier nel centro,
che de i giusti e de’ rei le dritte o torte
voglie contempla, e infin penetra a dentro
ch’a me talor si degna aprir le porte
del ver quando in suoi rai mi riconcentro,
e ciò sol per mostrar quanto ei sublimi
se stesso alzando i più negletti stimi.
34Con questo lume a me dal Ciel disceso
a voi che sète ancor del Cielo amici
m’offro per guida a dimostrarvi inteso
la via per debellar vostri nemici,
perch’oltre a quanto io vi dicea ch’appreso
ho d i prosperi influssi od infelici,
oltr’il soccorso che verrà ben tosto
vi svelarò maggior secreto ascosto.
35Poco doppo ch’il sol sotto l’algente
segno si volgerà del Capricorno,
così freddo e sottil Borea fremente
e con tal forza spirerà d’intorno
che diverrà quasi cristal lucente
l’onda del mare, e dentro anel sì adorno
restaran sotto al duro tetto accolti
pur guizzando i suoi pesci anco sepolti.
36Fatto immobil pianura il mar sonante
fermerà muto il mormorar de l’onde,
né più con tante sue percosse e tante
rabbioso ognor flagellarà le sponde,
non più s’inalzarà vasto gigante
per poi formar voragini profonde,
né più l’incresperà Zefiro lieve
ma starà quasi marmo immoto e greve.
37Così vedrai del gran Bizanzio a fronte
dal gelido rigor de i venti fieri
su ’l cristallino inaspettato ponte
fabricati su ’l Bosforo i sentieri,
onde potransi al grand’assalto pronte
spinger l’alte tue torri e i tuoi guerrieri,
e sovra i duri e immobili cristalli
al grand’uopo schierar fanti e cavalli.
38Di più, dirò che l’agghiacciato flutto,
guerreggiando per te quando il possente
in riva al Nilo esercito costrutto
verrà in soccorso a la nemica gente,
non lungi da Bizanzio al fin ridutto
ferme nel gel sue navi immantinente,
resterà, benché forte e d’armi cinto,
dal freddo e da la fame in parte estinto.
39Agiungo a tutto ciò, benché sia grande
e sicuro vantaggio a l’alta impresa,
che in quel tempo medesmo in queste bande
sarà la terra del tremoto offesa,
sì che Bizanzio ch’alte mura spande
dal furor sotterraneo in van difesa
tremando, anzi cadendo, in strana sorte
a suo mal grado t’aprirà le porte.
40E senza ch’il Monton duro e serrato
replichi gli urti conquassar le mura
in più d’un luogo tremulo e forato
cadrà il parete offrendo via sicura.
Stupido Alessio ne l’avverso fato
a pena intenderà l’alta sventura
mirando intanto le sue schiere altere
volontarie inchinarsi a tue bandiere.
41Ma tu in quel tempo a la vittoria il corso
non affrettar, ma spettator t’arresta,
che se non stringi a l’ardimento il morso
potrebbe anch’a tue schiere esser molesta,
e lascia pur che ciò ch’è in tuo soccorso
rechi a i nemici tuoi strage funesta,
che ben potrai senza periglio al fine
trionfante calcar l’alte ruine.
42Udite dunque, avventurosi amici,
e con gran fé ne’ detti miei sperate,
nessun s’affretti, a i prosperi e felici
successi e in vil ozio il piè fermate,
e tu, gran Baldovino, i tuoi nemici
vincerai se l’assalto a la cittate
prolungherai sin che tre volte intorno
muti il sol nel Zodiaco il suo soggiorno.
43Doppo tre lune, come a te paleso,
de la quarta nascente al primo lume
il rinchiuso vapor repente acceso
scoterà l’ampia terra oltre il costume,
da l’invincibil forza allora offeso
senza sparger di sangue un largo fiume
cadrà il muro nemico; or tu confida
in Dio, che per mio mezzo or sì t’affida.
44Quando il sol poscia in mezzo al ciel risplenda,
nel dì già noto a voi, cessand’i moti,
non fia più che nel suol l’aria s’accenda,
né che più dentro al cavo sen si roti,
né più verrà che come pria si renda
mobil la terra e siano i muri immoti,
allor la gente tua lieta e sicura
s’inoltri pur su l’abbattute mura.
45De’ miei consigli allor sotto la guida
a trionfo immortal t’apri il sentiero,
e debellata l’empia gente infida
il tiranno crudel spoglia d’impero.
Pugna, vinci, trionfa, il Ciel ti guida,
che per mio mezzo or i predice il vero.
Già sei tu vincitor, ma tua vittoria
sia de’ miseri scampo, a Dio sol gloria».
46Qui tacque il saggio, e un mormorar giocondo
udiasi allor, mentre approvar suoi detti,
et egli come in gran pensier profondo
s’immerga, immoto ha gli occhi al Ciel diretti,
e come l’alma avendo a vile il mondo
di far ritorno al patrio Ciel s’afretti
nel sommo Sol tutti i suoi spirti,
de la mente al fervor langue ne i sensi.
47Poscia ch’in sé rivenne, a lui rivolto
tutto festante Baldovin sì disse:
«Se miro ciò che da’ tuoi labri ascolto,
se di farne tai grazie il Ciel prescrisse,
al tuo merto s’ascrive, a cui ben molto
egli concede, e se l’Inferno uscisse
dal centro suo tutto a miei danni intento,
se ne difendi tu nulla pavento.
48Ma voi, forti campioni al cui valore
nascon già nove palme in Oriente,
scacciate pur sicuri ogni timore
e serenate pur la vostra mente.
Qual mai ne’ vostri cor gioia maggiore
giuger potria di questa ch’or già sente?
chi mai sperò ch’il terremoto, il gelo
e che per noi pugnar dovessi il Cielo?
Argea riporta Oronta ad Alessio, questi manda la maga dal soldano d’Egitto per dargli in sposa la figlia e ottenere aiuti (49-75)
49Argea fra tanto al suo fratel diletto
su ’l carro di sua nube occulta riede,
e giunta già sott’il regal suo tetto
avanti a lui mov’improvisa il piede.
«Mira, «dicea «se a’ miei desir l’effetto
quando usar voglia l’arti mie succede.
Sallo il cristian che vide in fero gioco
risplender l’ombre di sue tende al foco.
50Né già tu meno il sai, che da sicura
parte non vil ristoro a’ tuoi gran mali
vedesti accese ne la notte oscura
le fiamme a te festive, e lui mortali.
ma che dirai quando maggior ventura
rintuzzerà del tuo dolor gli strali,
quando da me resa a’ tuoi cenni pronta
ricondurrò ne la tua reggia Oronta?
51Benché cinta di guardie e custodita
da tant’armi nemiche e da trinciere,
e, quel cha forza più, nel cor ferita
dal crudo Amor che sì soave fère,
quella ch’estinta credi or fuori uscita
da la prigion di tant’armate schiere,
con cor mutato, in placidi sembianti
e in atto umil te la vedrai davanti».
52Così diceva, e da patern’affetto
intenerito il re feroce intanto
sentia sì gran piacer dentr’il suo petto
che per fuori esalar si sciolse in pianto.
«Or mira tu se pari sia l’effetto»
soggiunse la regina, «al mio gran vanto»,
e in questo dir ruppe la nube e sparse
et Oronta improvisa ivi comparse.
53Che genuflessa a lui davanti sciolse
pioggia di perle da’ begl’occhi ardenti,
ma il padre allor co’ baci suoi raccolte
gran parte de le lacrime cadenti,
e fra le braccia sì stretta l’accolse
ch’espresse anco tacendo i suoi contenti.
Poi sollevolla e doppo alquanto fisse
in lei tenne le luci e così disse:
54«Quant’a me già tolse il funesto ardore
quando mia reggia incenerita giacque,
a fronte al duol che sol per te maggiore
m’afflisse l’alma o poco o nulla spiacque.
Non estinse il gran pianto il mio dolore
come la reggia non estinser l’acque,
e in quel gran foco a me sì crudo e rio
bramai morir te non trovand’anch’io.
55E credendo ch’a te rogo fatale
già dato avesse la tue fiera sorte,
sempre crescea l’inconsolabil male
e sol poteami consolar la morte,
Ma tu fra tanto al pino audace l’ale
spiegavi dietro le fallaci scorte
d’Armindo audace, di pietate ignuda
verso la patria, al genitor più cruda.
56Ma di ciò, benché grave e strana offesa,
parlar non curo e dar nov’esca al duolo,
né più di sdegno ho in me favilla accesa
tanto nel rivederti io mi consolo,
e già che con Argea senza contesa
fatt’hai ritorno nel paterno suolo,
posta affatto in oblio l’onta passata
sarai da me quant’eri prima amata.
57Sol bramo ciò: che liberar non neghi
l’afflitto padre da i presenti affanni,
e pronta più ch’a le minaccie a i preghi
non cerchi a te recar gli estremi danni.
Ben temp’è omai che la tua mente pieghi
a dar pace al mio cor ne gli ultimi anni,
e già ch’al re d’Egitto io t’ho concessa
tu non voglia schernir la mia promessa.
58Ei, regnator de le feconde arene
che bagna il fertil Nilo, arde bramoso
di provar nel tuo sen dolci catene
e sol nel grembo tuo spera risposo,
e spesso in lettre supplichevol viene
a chiederti et offrir sé per sposo,
ma pria, credo la fama a te pervenne,
per tua cagion meco in duello venne.
59Dunque non disdegnar di porti in fronte
con novo onor le libiche corone,
mostrando al fin tue lente voglie pronte
di tanti preghi al non mai stanco sprone,
che ciò facendo i fieri oltraggi e l’onte
passate meco egli in oblio già pone,
e ben cred’io , tale in te fede ha ’l core,
ch’ancora intatta a lui può darti Amore.
60Né credo già che nel regal tuo sangue
macchia sì vile avessi impressa mai
che certo allor feroce in te qual angue
spargerei tosco e più crudele assai,
e godrei viva e calpestarti esangue
né mai da me perdono impetrarai
se prima col tuo sangue un tal errore
non lavasse il mio ferro entro il tuo core.
61Ma ciò non temo, e so ben io ch’il fiero
cristian ti trasse entro sua nave a forza,
non conoscendo te per qual sentiero
ei ti guidasse, e ciò mio sdegno ammorza.
E se del tutto a pieno intesi il vero,
per ritornare usasti ogni tua forza,
e come Argea qui m’assicura ancora
costretta fosti a far colà dimora.
62Ma tu nulla rispondi, e muta piangi,
deh, prego, parla e mi consola a pieno».
«Padre diletto, «allor rispose «m’angi
troppo la mente; ho il cor pudico e ’l seno,
te chiamo, o Ciel, se il ver non dico frangi
la vita mia con subito baleno,
se fur mie voglie a sì gran fallo indotte
chiudimi o terra in sempiterna notte.
63Temi dunque che tanto il mio regale
sangue e me stessa ancor post’in oblio
avessi mai, che mal giungendo a male
giungessi al tuo dolor lo scorno mio?
Né il cavalier che mi condusse a tale
anzi fu sempre e riverente e pio,
e se pur mi rapì sempre cortese
le mie nozze bramò ma non l’offese.
64Il gran guerrier che mi rapì non vile
nacque di sangue ignobile et oscuro,
ma di stirpe regal chiara e gentile
e gli avi suoi re di Britannia furo,
e che nel campo de i cristian simile
non è di regia nobiltà ti giuro;
sol Baldovin, d’inegual sangue altero,
a lui sovrasta in grado sol primiero.
65Tutto ciò narro acciò che tu più certo
quanto ho già detto agevolmente creda,
e riguardando a’ suoi natali, al merto
ciò che si deve a sua virtù conceda,
né in me voglia né in lui sì gran demerto
supporre ingiusto, e al vero al fin tu creda,
e l’intatta tua prole accogli in guisa
che non sia mai da i dubi tuoi derisa.
66Ben ti prometto che non mai lontano
avrò il pensier da i desideri tuoi,
e già che è tuo desire al gran soldano
or accoppiarmi, or siasi pur se ’l vuoi.
Solo mi spiace che l’armata mano
moss’abbia in te ma ben pentissi poi.
Al fin non fugitiva e non rubella
ti son, ma come pria figlia et ancella».
67Così dicendo co i sospiri impose
e con lacrime ancora a i detti il fine,
che del bel viso in su le fresche rose
parean lucenti e liquefatte brine.
Poscia se stessa in atto umil compose
col vel coprendo il bel tesor del crine,
e poi ch’il re nulla più dice o chiede
s’inchina, e move a le sue stanze il piede.
68Resta tutto ripien d’alto contento
Alessio allora, et ad Argea sì dice:
«Ben veggio che tu sempre il core intento
avesti a consolar quest’infelice,
e ben gli effetti e i dolci frutti io sento
nati da pianta a me così felice.
Sol bramo ch’anzi me terra ricopra
se cominciassi ancor di fine a l’opra.
69E s’hai condotto al padre suo dolente
la cara figlia, ancor la sposa amata
spero ch’al gran soldan render presente
ma quanto pria non ti sia cosa ingrata.
Né già vorrei, se ’l tuo voler consente,
n’andassi tu nel nuvol tuo celata,
ma ’l tuo poter lasciando e l’arte ascosa,
sovra una nave mia ricca e pomposa.
70Accompagnata ancor da molti legni
già ch’il nemico va scorrendo il mare,
per rintuzzar di lui l’armi e gli sdegni
se pur mai ti venisse ad incontrare,
poiché è molto opportuno a’ miei disegni
che tosto vada, sì perché mandare
potria soccorso a me di genti e d’oro,
sì per mostrar quant’il soldano onoro.
71E ben facil ti fia da rege amante
impetrar pronto a mio favor l’aiuto,
e tanto più se in dimandar costante
tu fossi ciò che quasi è a e dovuto.
Né a lui fia grave, ché ben sai di quante
forze egli abbondi, e quanto sia temuto
ne’ suoi regni non sol ma ne i vicini,
infin di là da i libici confini.
72Forse mandarmi esercito sì grande
potria ch’el nome sol temesse e ’l grido
l’empio cristian, che sì superbo spande
e l’armi vittoriose in questo lido,
ch’io poi curi il tuo regno e che là mande,
sin che ritorni tu, ministro fido,
d’uopo non è che mi ricordi e quanto
bramassi più sarà mio peso intanto.
73Onde se a ciò far tu ti disponi or ora
tornar potresti al tuo regal soggiorno
e far nel regno tuo breve dimora
sin ch’Oronta a te invio su ’l legno adorno,
ch’il nono dì da l’Oriente fòra
non uscirà né forse il sesto giorno
che nel tuo porto giungerà l’aurato
legno ch’al gran tragitto ho destinato».
74Pronta rispose Argea: «German diletto,
ciò che tu brami d’eseguir desio,
né il carro il sole avrà da l’onde eretto
che tornata sarò nel regno mio,
e, benché nol chiedessi, ancor costretto
al veloce ritorno è il voler mio,
ch’in gran dimora la soggetta gente
potria l’arti spira de la mia mente.
75 Ciò ch’a me non aggrada, il far palese
a la vil plebe i più riposti arcani».
Così dicendo su la nube ascese
e sparve, e opra il porto e i flutti insani
sì rapida volando il camin prese
ch’i traci lidi a lei già son lontani,
e in breve tempo il gran Bizanzio a tergo
lasciando, giunse al suo regale albergo.